Alle porte d'Italia - 19

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Tenda!_ — E quel grido, risuonando in un momento di silenzio, destò
l'eco d'altre mille grida, e fece cadere un nuvolo di fiori davanti ai
soldati dell'ultimo plotone, che li guardavano stupiti, come per dire:
— Fiori?... Bottiglie avrebbero ad essere. E il plotone passò, urtando
con l'ala sinistra, spinta in fuori da un ondeggiamento del centro,
contro lo steccato d'un palco, che scricchiolò come per un colpo di
catapulta, provocando un nuovo scoppio di grida festose e d'applausi.

Ed ecco le trombe arrabbiate e la lunga penna d'aquila del comandante
del battaglione _Val di Stura_. Io vidi lontano il villaggio severo di
Vinadio, aggruppato sul pendio della montagna, come un pugno d'armati
alla difesa, e il forte minaccioso in alto, e la strada ferrata in
fondo alla valle, serpeggiante sui ponti mobili e sotto i voltoni a
feritoie, accanto al torrente rotto dalle rocce; e più in là la gola
sinistra delle Barricate, allagata di sangue francese; e il colle
dell'Argentera, sfavillante delle legioni di Pompeo. L'agronomo vide
invece il villaggio di Castelmagno in Val di Grana, celebre pel suo
formaggio azzurreggiante, e le belle colline di Caraglio, di cui
conosceva il vino, _grosso, ma buono_. Il battaglione procedeva nella
piazza, franco e ordinato, mostrando le sue cinquecento facce rosate
e virili, su cui pareva espresso un pensiero solo. Mistress Penrith
credette di vedervi un'espressione generale di tristezza, e domandò
se quella fosse l'indole degli abitanti delle due valli. — Lei mi
fa celia! — rispose il Rogelli, ridendo; — qui fanno gli impostori.
— Era da vedersi, come aveva visto lui, con che matta furia, dopo
dieci ore di marcia “effettiva„ davano la caccia ai corvi, per
l'ambizione di quelle benedette penne, o gareggiavano a far ruzzolar
pietroni dai precipizi per snidar camosci dai nascondigli, con la
speranza d'assaggiare un boccone da buongustai. E descriveva le scene
amenissime dei pasti: gli Alpini su in cima che salutano festosamente
l'apparizione dei muli carichi giù nella valle, chiamandoli per nome
un per uno, come fratelli; lo squillo del rancio accolto con cento
grida di gioia; e via tutti di volo a cercar legna e rododendri a
mezzo miglio all'intorno; e in pochi minuti rieccoli carichi di fasci
enormi e di tronchi d'alberi interi; i fuochi brillano, le gamelle
bollono, gli esperti di culinaria tiran fuori l'erbe colte per la
via, lo zucchino o il pomodoro portato in tasca per sette miglia,
qualche volta il porcospino o lo scoiattolo cacciati la mattina;
e allora salti e allegrie; e chi trita, e chi pesta, e chi soffia:
impasticcian salse maravigliose e soffritti incredibili; s'ingozzano
di fragole spiaccicate, s'annerano il viso di sugo di more e di bacche
di mirtillo, succhiano la borraccia fino all'ultima gocciola, e su,
che è risonata la tromba: tutto quel festino è durato trenta minuti,
tra apparecchi e primo chilo, e sono già in fila un'altra volta, che
ricomincian la salita, affettando e macinando pane placidamente per
spazzare il canale cibario, che tornerà a gridar soccorso fra un'ora.
— Brochi! Brochi! O Brochi! — gridò improvvisamente il Rogelli, dando
in una risata di cuore. — Chi è? Cos'è? — domandarono intorno. Aveva
visto nell'ultimo plotone un soldato di sua conoscenza, un mangiatore
famigerato, privilegiato di doppia razione e sempre rimpinzato dai
compagni, e pure eternamente famelico. Ma il suo grido andò perduto nel
clamore della moltitudine che dava l'ultimo saluto a _Val di Stura_.

I figli del Monviso, signori! — gridò uno studente. Era il battaglione
Val Maira che veniva avanti; un battaglione levato nella valle di quel
nome e nelle due valli di Saluzzo; i nati su
Le alpestri rocce di cui, Po, tu labi;
cresciuti lungo le umili sponde del rigagnolo che porterà all'Adriatico
il tributo di dieci fiumi e di mille torrenti. Giovani di alta
statura, di viso pacato e benevolo, con quell'andatura _a ondate_
della gente avvezza a salire; soliti in buona parte di emigrare in
Francia l'inverno, o di scendere al piano per le mietiture e per
le vendemmie. La folla gridò: Viva val Varaita! Viva Saluzzo! — La
prima compagnia ricevette una canestrata di miosotidi da un gruppo
di signore saluzzesi affacciate a un terrazzo. Molti soldati avean
tra la folla le loro famiglie scese dai monti per salutarli. C'eran
dei nativi di Crissolo, che da ragazzi s'erano avventurati tremando
nelle tenebre della grande caverna del Rio Martino, echeggiante di
fragori misteriosi; e dei Paesanesi, usati a indicare al forestiero la
casa leggendaria dove spirò Desiderio; e montanari di Casteldelfino,
pratici della foresta stupenda di pini cembri, a cui il Monviso
deve il bell'aggettivo di Virgilio. Villaggi, borgate, dove durano
ancora costumanze bizzarre antichissime. Parecchi di quei soldati,
per esempio, — quelli di Sampeyre, — li aveva portati a battesimo il
padrino, con le spalle ravvolte in un fazzoletto bianco, simboleggiante
il suo ufficio donnesco. Essi medesimi, al desinare degli sponsali,
sarebbero passati in piedi sopra la tavola per andar a schioccar un
bacio alla sposa, sotto la cuffia carica di trine fatte in casa. Altri
riceveranno da lei, il dì prima del matrimonio, il regalo consacrato
del pagliericcio e il loro corteo nuziale sarà romanamente preceduto
da un giovinetto portante una conocchia fasciata di lana. E per molti
il letto matrimoniale sarà il primo letto in cui avran la consolazione
d'allungarsi, poichè nei paesi loro, per tradizione, il celibato
non ha diritto che al fenile. — Sono sposi di buona stoffa, — disse
il Rogelli; — lo garantisco io! — E tutti risero; ma egli non rise.
Sì, certo, egli li aveva visti lavorar senza zaino. Con lo zaino,
maraviglie; senza zaino, prodigi. Salgono su per l'erte più ripide,
diritti come statue, col respiro inalterato; camminano su per massi
mobili di roccia bilicati sull'orlo dei precipizi; s'arrampicano su per
le nevi ghiacciate, per pareti di sasso quasi verticali, attaccandosi
a crepe, a sporgenze leggerissime, a bassorilievi di pietra liscia
appena afferrabili, e sotto i loro piedi c'è la morte, e sopra il loro
capo una croce; che importa! Dove gettan la mano, è un artiglio; dove
piantano il piede, è inchiodato; e mentre chi li guarda trema, essi
ridono! — Evviva! Viva! Viva! — gridò con quanto n'aveva in gola. E
vedendo che la folla non aveva bisogno d'eccitamento all'applauso, il
buon _chauvin_ delle Alpi rimase un minuto immobile, con lo sguardo
come smarrito dietro alla fantasia prepotente, che lo trasportava forse
nei valloni silenziosi e profondi e nelle grandi foreste di larici e di
abeti, da cui eran discesi i suoi “figliuoli.„ Lo riscossero le trombe
“laceratrici„ di _Val Chisone_.

Allora si vide una festa di famiglia bellissima, un battaglione che
entrava trionfalmente in casa propria, soldati nati a un passo fuor
di Pinerolo, figliuoli della forte Fenestrelle, della ridente Perosa,
della bella Giaveno, ricevuti nella loro piccola capitale, dove li
aspettavano i parenti, gli amici, le belle, che s'erano conquistati
i primi posti tra la folla a furia di gomitate, e che aspettavano da
varie ore quel sognato momento: non v'erano d'estranei che quei di
Cesana e della città di Rivoli, l'Auteuil di Torino. Si vedevan nella
calca molte donne dell'alta valle di Fenestrelle con quegli strani
cuffioni bianchi, che paiono grandi elmi di carta; molte di quelle
vispe montanine di Pragellato, che nei loro balli tradizionali, a una
nota convenuta del violinista, s'arrestano, e danno e pigliano dal
ballerino un lungo bacio sulla bocca; e centinaia di ragazze degli
opifici, con gli occhi lustri e antiche facce di nonni, ch'eran forse
calati dai loro villaggi per l'ultima volta. Non aspettarono che
passasse le prima compagnia: scoppiarono all'apparire dei zappatori.
Pareva che non li avessero più visti da anni. Urlavano e ridevano,
agitavan le braccia, chiamavano i soldati per nome, si cacciavano
in mezzo ai plotoni, volevano romper le file. Gli altri spettatori,
commossi, non applaudivano più. La signora inglese inumidì le frange
del suo ventaglio. Essa credeva che quell'espansione affettuosa fosse
l'effetto di una lunga separazione. Ma il Rogelli la disingannò. Si
vedevan molto sovente, anche troppo. Era il lato debole degli Alpini
quello di passar troppo spesso vicino a casa. Si poteva dire che le
uniche mancanze loro erano gli scappamenti. Innamorati del loro angolo
di mondo, come tutti i montanari, quando vedono di lontano il campanile
del villaggio, sono affascinati: sanno quello che li aspetta dopo la
scappata, non monta; svignano che il diavolo li porta, e ritornano poi
col capo basso e col viso lungo, rassegnati al castigo previsto, che
scontano senza rifiatare, ruminando i lieti ricordi; e se qualche cosa
li trattiene talvolta, non è il timor del castigo, è il terrore d'esser
ripescati a casa dall'arma benemerita, e di farsi vedere nella propria
valle in mezzo ai cappelli a due punte. — Poveri uccelli di montagna! —
esclamò il Rogelli. — Bisogna vederli poi l'inverno nelle città grandi,
dove non han mai messo piede, che altra gente diventano, come paion
piovuti dalle nuvole! Tornano dal teatro sbalorditi, si smarriscono
per le vie di pieno giorno, corron come matti al suono della ritirata,
scantonando a casaccio, presi dalla furia e dall'affanno; e guai alle
costole degli urtati! E sempre sospirano l'estate che li ricondurrà
alle loro montagne e ai loro parenti; ai quali, nel frattempo, scrivono
delle lunghe lettere faticose, su fogli comprati uno alla volta, col
soldato alpino sul margine. E intanto il battaglione _Val Chisone_
era passato, e i soldati degli ultimi plotoni si scotevano in fretta
dai cappelli e dalle spalle i rododendri e le margherite, che cadevano
insieme ai pensieri della famiglia e dell'amante, nel cospetto del Re.

Un'altra indiavolata musica di trombe, un altro battaglione d'atleti
rosei, e di nuovo mille grida in un grido: — Ecco i Valsusini. —
S'avanzava il battaglione Val Dora, il meglio dei figliuoli della
valle famosa, del canale d'eserciti, a cui dà il nome la vecchia
Susa, _chiave d'Italia_ e _porta della guerra,_ che vigila le vie del
Monginevra e del Moncenisio, e guarda le Alpi Graie e le Cozie. Eran
giovani d'ogni parte della lunga valle, dal ventaglio di vallette che
s'apre intorno alla fredda Bardonecchia, fino ai bei laghi di giardino,
che danno grazia e fama a Avigliana. — Che pezzi di colonne! — esclamò
il Rogelli, inorgoglito; — veri pilastri di cattedrale! — Tali erano
infatti. Si trovavano là in mezzo degli intrepidi pastori che avevan
passato l'adolescenza a guidar pecore fra gli aquiloni che flagellano
le cime del Rocciamelone e della Ciaramella, dei tenaci lavoratori
delle cave di Bussoleno; dei membruti contadini d'Oulx, nati in fondo
a un sepolcro immane di montagne. L'agronomo lanciò un'esclamazione
solitaria, ch'era come il frammento vocale d'un soliloquio muto: —
Il vino di Chiomonte.... ah lo credo! — Lepide usanze! — disse, come
fra sè, il Rogelli. C'eran lì i soldati di Gravere, che quando si
presenteranno alla casa della sposa per condurla in chiesa, troveranno
sull'uscio una vecchia sformata e cenciosa, la quale vorrà darsi in
cambio della ragazza, e ne seguirà un diverbio di commedia, fin che
la vecchia butterà una mestolata di riso in faccia al giovane, che
scapperà coi compagni ridendo. Quelli di Monpatero, invece, avranno il
comodo di poter calcolare la dote delle ragazze dal numero di strisce
rosse che portano in fondo al gonnellino nero nei dì di festa. Altri
vedranno scappar la sposa di chiesa dopo il _sì,_ e dovranno andarsela
a cercare per molte ore, fin che la troveranno in un nascondiglio...
che sapranno prima. V'erano nel battaglione anche dei giovani di
San Giorio, i quali, nel giorno del Santo Patrono della cavalleria,
accompagnano la processione, vestiti d'ogni sorta di carnovalesche
divise, brandendo mostruosi spadoni, e battendosi per via, a capriole
e a versacci, fin che si ribellano al loro duce, e ammazzatolo, lo
copron d'erba, e ne eleggono e portano un altro in trionfo. Chi avrebbe
sognato mai quelle fantocciate guardando quei visi composti e quegli
occhi fissi! Curiosa gente, a cui le montagne enormi, e i giochi strani
della luce e le oscurità spaventose dei luoghi ove vivono, volgono
la mente alle superstizioni. E credono e raccontano storie miracolose
d'inabissamenti di monti e di apparizioni terribili, e consultan gli
stregoni e ragionan coi morti la notte. — Con quelle facce lì, sì
signori! — gridò il Rogelli guardandoli, col suo largo riso paterno.
— E porteranno nelle marce le tasche piene di minerali per il loro
tenente, od anche una marmotta viva, o un miriagramma di muffa per
farsi il letto; ma un teschio trovato fra le rocce, per il museo
alpino del maggiore, ah! mai al mondo.... Ah i miei cari semplicioni!
Evviva la faccia vostra! Evviva _Val Dora!_ — E la folla ripetè
entusiasticamente: — Evviva _Val Dora!_ Evviva Susa! Evviva Avigliana!
— fin che fu intronata alla sua volta dalla fanfara infernale di Val
Moncenisio.

Era il battaglione gemello di quel di Val Dora, levato nella stessa
Comba di Susa e nelle tre valli sorelle per cui scendono a salti
sonanti i tre rami della Stura di Lanzo, e sui poggi ameni di Corio,
di Rivara, di Fiano, di Ceres, seminati di borghi floridi e di ville.
O belle memorie di scampagnate domenicali, di cene sotto le pergole
e di balli nei giardini illuminati! Bei valloni boscosi e freschi,
e santuari altissimi, luccicanti come perle bianche sull'immenso
manto verde della montagna! A veder le facce di melagrana di quei
soldati, venivano al pensiero le fiorenti balie di Viù, ingioiellate
come madonne, che spandono intorno un odor di latte e di salute, e le
vezzose montanine di Lemie, col loro cappello di feltro nero calcato
baldanzosamente sur un orecchio. Mi parve di riconoscerne molti, di
averli veduti ragazzi, con le racchette ai piedi, scendere per le
viottole coperte di neve, che conducono a quelle povere scuole della
valle, dalle cui finestre non si vede cielo. Certo v'eran fra loro
dei frequentatori della Comba selvaggia, dove andavano a cacciar
l'orso i principi Savoiardi, e di quei che vivono sotto la minaccia
perpetua di Roccapendente, e dei nati in quel triste villaggio di
Bonzo, al quale per sessantanove giorni dell'anno non si mostra il
disco del sole. Quante ne dovevano aver già passate a vent'anni, quali
dure prove doveva aver già vinto quella loro gagliardissima tempra!
I figli dell'ultima Balme, più di tutti; molti dei quali avrebber
potuto raccontare orrende istorie di parenti schiacciati dalle frane,
e di tristissimi mesi di prigionia, trascorsi nelle case sepolte,
in mezzo alle provvigioni accumulate come per un assedio, che poteva
finir con la morte. — Qui ci son degli orfani delle valanghe, — disse
il Rogelli, scotendo il capo. La signora Penrith buttò giù una manata
di semprevivi. — Viva Lanzo! — gridò improvvisamente la folla. — Viva
Viù! — Viva Groscavallo! — Anche i figli di Groscavallo passavano, i
discendenti degli audaci minatori che i Duchi di Savoia portavan con sè
nelle guerre, i figli di Chialamberto, del piano d'Usseglio, d'Ala di
Stura, che scendono l'inverno a fare i brentatori o gli spaccalegna, o
vanno fuori di Stato a guadagnarsi la vita coi più duri mestieri, con
quell'unica suprema ambizione di riuscire a mettere l'una sull'altra
quattro pietre dei loro monti, per morirvi sotto, dicendo: — Muoio
nella mia valle e in casa mia! — Ed era ancora l'amore appassionato dei
loro monti che metteva in tutti quei capi un solo proposito, visibile
negli occhi intenti e nelle fronti corrugate; l'impegno di mantenere le
file diritte e parallele a prova di spago, perchè si dicesse: — Come
hanno sfilato bene quelli delle tre valli di Stura! — E i cinquecento
montanari passarono, allineati come veterani, rispondendo appena con
un leggerissimo sorriso degli occhi immobili all'acclamazione della
folla; la quale li seguitò con lo sguardo e col grido, fin che apparve
dall'altra parte della piazza una nuova penna candida di colonnello,
che annunziava i figli d'altre valli e d'altre montagne.

Dal movimento che si fece nella folla si poteva argomentare che il
primo battaglione che veniva innanzi dovess'essere un battaglione di
conoscenti e di vicini. Era quello di _Val Pellice_, infatti; formato
di giovani di Torre, di Bobbio, di Rorà, d'Angrogna, del fiore dei
montanari scomunicati; ma già dimentichi del passato, nati già oltre
a dieci anni dopo la redenzione civile dei loro padri; e frammisti ai
figli della Rocca di Cavour, ai compaesani del Pellico, del Denina
e del Brignone, e ai soldati di Cumiana e di Villafranca. Appena il
primo plotone comparve, qualcuno gettò un grido: — I Valdesi! — E
quel grido, quell'idea di veder confusi con gli altri quei soldati,
in un battaglione nominato dalla loro valle, destinato a combattere
sulle loro montagne, in difesa della patria di tutti, fu come una
scintilla che fece divampare e prorompere in grida altissime mille
sentimenti generosi. Si videro agitarsi tra la folla centinaia di
cuffiette bianche di Valdesi; da una finestra cadde una corona con
l'emblema della candela della fede; e mistress Penrith, balzata in
piedi, ricacciò dentro a stento un grido d'entusiasmo protestante.
Cinque barbuti ministri delle valli, ch'erano in un angolo del nostro
palco, s'alzarono, scoprendosi il capo. Ma al Rogelli passò un triste
pensiero. — A chi sa quanti di costoro, — disse, — è già entrata
in capo l'America! — All'agronomo era entrato in capo il vino di
Bricherasio, come se l'alito di quei soldati gliene avesse portato
alle nari l'aroma. — E rimangon così calmi, — osservò la signora, —
così placidi, in mezzo a tante dimostrazioni! — Che vuol lei! — riprese
il Rogelli; — sono Alpini. Son tutti così. Ma vedono e sentono tutto,
non dubiti. Come in montagna. Vanno su zufolando, e paion distratti;
ma nulla sfugge al loro sguardo e al loro orecchio: nè il pietrone
accanto alla via, che l'anno passato non c'era; nè una scorciatoia che
faccia risparmiar cinque passi; nè il suono d'una voce lontanissima
che noi non udremmo neppure un miglio più avanti. Ah! i sensi degli
Alpini, signori! Dove noi non distinguiamo una casa da un masso, essi
distinguono una donna da un uomo; odorano l'erbe da insalata a dieci
passi di distanza, sentono al fiuto l'acqua nascosta e la nebbia
che s'alza; indovinano il sentiero invisibile, prevedono il burrone
lontano, capiscon dallo scroscio del torrente se si può o no guadare,
vi segnano la pioggia e la neve dove voi non vedreste una grandine di
formaggi d'Olanda, e riconoscerebbero le orme d'una cavalletta. E son
quei lupi di montagna lì, quelli lì proprio! — esclamò, accennando
i soldati. E in quel momento appunto i _lupi_ della prima compagnia
sfilavano davanti al palco reale, e quelli dell'ultima davanti al
nostro, rilevando il largo busto e la fronte ardita sotto la calda
carezza della patria.

Avanti il battaglione _Val d'Orco!_ Avanti il bel Canavese verde,
padre dei vini generosi e dei gagliardi lavoratori, dall'anima aperta
e dal sangue bollente, impetuosi nell'ire e nell'allegrezza come
le piene dell'Acqua d'oro! Avanti i calderai infaticati di Cuorgnè
sonora, i fabbricanti di cucchiai d'abete della romita Ceresole, e
i vignaioli dalle gaie canzoni, che rompono i silenzi dei castelli
d'Agliè e di Valperga! In mezzo a questi, venivano i montagnoli
dell'industriosa Val Soana, gli zingari del Piemonte, buoni ad ogni
arte e ad ogni mestiere, e parlanti fra loro uno strano gergo furbesco;
e quelli di Valchiusella, curiosi e cortesi, e di bell'aspetto; —
i più tenaci faticatori delle tre valli; — i quali, per compenso
di non poter pronunciare le _esse_, posseggono le più appetitose
ragazze della regione; dei visetti provocanti di santarelle fallite;
— quelle di Rueglio; — vestite d'una sottana che stringe il ventre e
s'arruffa dietro in mille piegoline, e d'un giubbetto ricamato, su cui
s'appoggiano e tremano i più sodi tesori del Canavese. La folla salutò
il battaglione con grida gloriose di: — Viva Ivrea! Viva Castellamonte!
Viva Locana! — quando una voce stentorea dal palco vicino urlò: —
Viva Pietro Micca! — Perdio, aveva ragione: v'erano nel battaglione i
figliuoli della Manchester d'Italia, i compaesani di Quintino Sella;
v'erano i giovani di Val d'Andorno. Mille grida echeggiarono: — Viva
Micca! Viva Andorno! — E tutti gli occhi cercarono in mezzo alle file
gli abitanti di quel fresco paradiso di Val del Cervo, ordinato e
pulito come un parco reale, dove tutti san leggere e nessuno tende la
mano; cercarono quei muratori nati, quei minatori d'istinto, quelli
scalpellini partoriti apposta, che vanno a fare il gruzzolo e a onorar
la fibra italiana in tutte le plaghe dei venti; altrettanti rozzi
Quintini per ardimento, pertinacia e buon senso; e a tutti passarono
per la mente le loro grandi ragazze, curve sotto l'ampia gerla, in cui
porterebbero l'amante sulla Mologna; biancorosate che paion dipinte
dal Rubens; con quegli occhi color di zaffiro, e quel fazzoletto a
colori serrato intorno alla fronte bianca, e quelle maniche di camicia
tagliate al gomito, che lascian vedere le braccia di lottatrici. — Ah
che bellezza di battaglione! — esclamò il Rogelli. — Ah! il buon vino
di Valdengo! — sospirò l'agronomo. E la signora buttò una rosa per
aria dicendo: — A Pietro Micca! — E la moltitudine vibrò un lunghissimo
grido, in cui si sentì un fremito d'affetto per il salvator di Torino.
E tutti quei giovani passarono, sorridendo di gratitudine, come per
dire che nei lontani paesi dove sarebbero andati a guadagnarsi il pane
per la vecchiaia, non avrebbero dimenticato quel grido.

E allora si sollevarono dinanzi a noi i quattro prodigi delle Alpi: fu
come una rapidissima sfolgorante visione del Monte Rosa e del Monte
Bianco, del Cervino e del Gran Paradiso, di dieci valli, di cento
laghi, di mille picchi, e di formidabili abissi, e di castelli merlati,
e di torri e d'archi romani, e di vasti boschi d'abeti e di pini,
imbiancati dalla luna e squassati dal vento dei ghiacciai. Benvenuti
i granitici figli della grande vallata. A tutti parve di veder
guizzare tra le file le gonnelle rosse delle ragazze di Gressoney, e
alzarsi i larghi cappelli rotondi e i capricciosi berretti neri delle
montanare di Challant e di Cogne. E tutti intesero gridare il nome
del loro paese, le guide di Valsavaranche e i pastori di Valpellina, i
vignaioli di Valtournanche e gli spazzacamini di Rhêmes, i tessitori di
Valgrisanche e i figliuoli d'Aosta, italiani tutti nel cuore, qualunque
sia il linguaggio che suoni sulle loro labbra, e prodi, certo, alla
prova, come i loro padri della vecchia brigata, che il Piemonte venera
ancora. — _Viva Aosta la veja!_ — gridò la folla, rimescolandosi. —
Viva Crodo! Viva Domodossola! Viva Val Sesia! — Poichè v'erano pure
nel battaglione i figli di quella nobile valle, sulla quale spira
come un'aura gentile la gloria di Gaudenzio Ferrari, che suscita e
tien vivo nelle anime più incolte un sentimento amoroso dell'arte; di
quei recessi profondi e tranquilli, di dove si vede lì come a un trar
di mano sorridere e arrossire il Monte Rosa sotto il primo bacio del
sole; di tutti quei bei villaggi di linguaggio e d'aspetto tedesco,
che presentano ciascuno, come un fiore proprio, un costume di donna
tutto grazia, colori e bizzarria. Passavano dei cacciatori d'aquile e
di marmotte, degli stuccatori e dei marmoristi, dei giovani altissimi,
delle teste bionde come il grano, dei nativi di Fobello, che ha fama
di dar le più belle ragazze delle Alpi, graziosamente incoronate di
nastri verdi e vermigli, ricadenti sopra le spalle: dei fratelli,
dei fidanzati forse di quelle forti Margherite dell'alta valle di
Sesia, che veston i giustacuori neri e scarlatti, trapunti d'oro e
d'argento, scintillanti al sole come corazze di principesse guerriere.
E la moltitudine gridava: — Viva Ivrea! Viva Vercelli! Viva Novara!
— Era l'ultimo battaglione piemontese che passava, gli ultimi figli
del grand'arco dell'Alpi che va dal Monte Rosa al Colle di Cadibona; i
cuori batteron più forte, i fiori piovvero più fitti, i saluti presero
il suono d'un addio, e si prolungarono.... Quando a un squillo delle
nuove trombe che venne d'in fondo alla piazza, tutta la folla si voltò
da quella parte impetuosamente, e il cielo risonò d'un grido solo: — La
Lombardia!

Fu un'apparizione splendida e cara, un'ondata di poesia manzoniana
che c'entrò nell'anima. Il battaglione Valtellina, i figliuoli
del Resegone, chi non li conosceva? i compaesani di Lucia,
d'Azzeccagarbugli e di Don Abbondio; le cui sorelle e le amanti portano
ancora nelle trecce la raggera di lunghi spilli e il busto di broccato
a fiori e la gonnella corta di filaticcio di seta. Ah! quelli sì
avrebbero fatto la meritata accoglienza ai lanzichenecchi del Conte
Rambaldo! Buona e prode Valtellina, che si gloria di non aver lasciato
combattere battaglia nazionale, dal quarant'otto al sessantasei,
senza farvi correre un rigagnolo del suo nobilissimo sangue. _Devota
morti pectora liberae,_ ancora, come contro alle legioni di Claudio
Marcello e di Publio Silo. Venivano, e a noi pareva d'attirarli con
la forza della simpatia profonda che c'ispiravano. La folla salutò il
battaglione con un grido d'allegrezza. Erano bei soldati, d'aspetto
montanino; ma singolarmente sereni, e quasi brillanti nel viso, che
facevan pensare a cinquecento Renzi vestiti a festa, che andassero
a domandare _il giorno_ al curato. L'agronomo, invece, pensò al buon
moscadello bianco e grigio dei loro paesi, lamentando la crittogama che
aveva rovinato quei preziosi vigneti per dieci anni. — Ah! se fosse
vivo Donizetti! — esclamò il Rogelli; — Donizetti che _sentiva_ la
montagna, che marce avrebbe composto per il suo battaglione alpino! —
V'eran lì dei compaesani di Tommaso Grossi, dei giovani cresciuti fra
i giardini deliziosi di Bellagio, dei figli delle tre pievi della riva
occidentale, e della _pianura infame,_ e della malaugurosa gola di via
Mala, confusi a pescatori di Riva, e lavoratori della bella e selvatica
Valassina chiusa nell'abbracciamento amoroso del lago, e a pastori dei
monti bergamaschi, avvezzi al fragore della cascata del Brembo, o scesi
dai villaggi che sentirono primi il fremito e l'eco del giuramento
di Pontida. — Buona e brava gente, — disse il Rogelli; — dai petti di
ferro e dai cuori d'oro, belli egualmente a vedere quando porgono la
mano all'ospite e quando l'alzano sul nemico. Molti di quei soldati
avevano padri e fratelli nella Nuova Zelanda o in Australia, dove
lavorano al taglio dei boschi o alle miniere, e ricevevan denari di
là; e non pochi di essi vi sarebbero andati, forse; ma per ritornare,
certamente, poichè per la patria essi rovesciano il proverbio: Lontana
dagli occhi, vicina al cuore. Una rosa alla Valtellina, mistress
Penrith! — Viva i Valtellinesi! — gridò la folla. — Viva Lecco! — Viva
Bergamo! — Viva Chiavenna! — E ci parevan più belli e più trionfanti
quei soldati italiani, perchè vedevamo con la fantasia, di là da loro,
come il fondo oscuro d'un quadro lieto, la miseranda Lombardia del
seicento; e pioveva fiori da tutte le finestre e da tutti i palchi;
e brillava negli occhi di tutti un sorriso, un'espressione di gaiezza
insolita, come se vedessero tutti all'orizzonte la riva maravigliosa
del lago di Como, fuggente sulle acque azzurre e sotto il cielo rosato.

Un altro battaglione, un'altra visione. Si levano a destra i monti
scoscesi ed altissimi che fanno cintura da settentrione a Val Brembana
e a Val Camonica e le cime bianche della giogaia del Tonale, di là
dalla quale è il Tirolo tedesco; a sinistra la muraglia immensa delle
Alpi, una fuga di coni e di guglie che fendon le nuvole, un ammasso
prodigioso di ghiacciai, oltre i quali è il Canton dei Grigioni; e
fra queste due formidabili pareti salta l'Adda giovane e sfrenata,
disputando il fondo della valle alla grande strada che risale dalla
pianura lombarda ai gioghi dello Stelvio, e trapassa l'intera catena.
— Viva l'alta Valtellina! — s'udì gridar da ogni parte, e da un capo
all'altro della piazza. — Viva _la madre delle valli!_ — gridò il
Rogelli. — Qui ci sono i figliuoli di quei temerari tiratori bormiesi
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