Alle porte d'Italia - 18

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due commensali non avessero fatto anch'essi una serie interminabile
d'assaggi, con lo scopo di confermarsi sempre più nel loro parere; per
il che non mi fu difficile di stornare garbatamente il discorso. E lo
stornai così bene che cominciò a saltare di qua e di là a rompicollo,
dalle ultime elezioni comunali alla maschera di ferro, e dall'attore
Toselli a un nuovo sistema di cavatappi, fin che andò a cadere e a
rialzarsi in una appassionata discussione intorno ad un uomo celebre,
il cui nome si ricorda a ogni passo per quella pianura e su quei monti,
perchè vi raccolse la gloria e vi fu maledetto, e vi lasciò di sè un
concetto sempre disputato e ancora incerto: il maresciallo Catinat.
*
* *
— Un tristo condottiero, come gli altri! — gridava il professore,
infocandosi. Egli non capiva come avesse potuto acquistare “una
nominanza„ d'uomo generoso e mite, un generale che aveva permesso
l'eccidio di Cavour, che aveva lasciato perpetrar le stragi di Val San
Martino, dove teneva al suo seguito un giustiziere e due birri, che
aveva fatto ammazzare le donne valdesi “per aver molestato i soldati
coi sassi„ e che abusava della corda in maniera, da far dire persino ai
francesi che “impiccava troppo.„ _Il pend trop!_ E tutti a gonfiare il
buon Catinat, il generoso Catinat, “grande, buono, semplice e sublime,„
come diceva il suo bugiardo elogio funebre; “il saggio, il filosofo,„
_les talents du guerrier et les vertus du sage_, anche il Voltaire, col
suo impudente distico dell'_Henriade_. E il bello era che aveva finito
con crederlo anche lui, tanto da sperare che — l'umanità con cui aveva
trattato i valdesi gli avrebbe procacciato l'amor degli uomini — e da
dire che n'era più altero che delle vittorie della Marsaglia e della
Staffarda! Ci voleva della disinvoltura! _Sciagurato!_ — Come se le
più infauste pagine delle istorie subalpine non recassero vergato in
fronte il suo più infausto nome! Sentiamo, che cosa avrebbe ella da
allegare in contrario? — E ingollava una bicchierata di Campiglione
per premiarsi della sua eloquenza. Veramente, io avevo una gran voglia,
anzi un gran bisogno di ribattere le sue ragioni con lo stesso impeto
e con altrettanta voce; ma risposi invece con molta mansuetudine,
considerando che il sentimento patriottico, quando è rinvigorito da un
buon vino, anzi da due buoni vini, va particolarmente rispettato. No,
non la pensavo come lui, nient'affatto. Mi pareva che si potesse dire
come il Carutti: — Il bravo e buon Catinat. — Bisognava giudicarlo
in relazione col suo tempo, come tutti gli uomini. Le stragi che si
commisero in nome suo, sarebbe ingiustizia addebitarle a lui. Tutte
le volte che gli fu possibile, le impedì, come nelle Provincie di
Juliers e di Limburgo, malgrado gli ordini espressi del Luvois; più
volte, anzi, s'attirò addosso le collere dell'implacabile ministro, per
aver risparmiato la vita, come fece a Susa, ai presidii vinti delle
fortezze. Ma non _poteva_ impedire. Ecco il punto. Quando scese in
Italia la prima volta, meno che mai. Gli eserciti lo amavano, perchè
era affabile coi soldati, perchè soccorreva e consolava i malati e i
feriti, perchè si privava del necessario per loro, perchè era buono e
giusto, in fin dei conti. Ma nel furore degli assalti e delle vittorie,
non gli obbedivano più, gli sfuggivano affatto di mano, e nè lui nè
altri avrebbe avuto la forza e i mezzi di tenerli in freno. Soldati
usciti dalla peggior canaglia delle città grandi, imbarbariti dalle
guerre selvaggie d'oltralpi, indisciplinati per consuetudine, in
specie quelli che condusse in Piemonte, consapevoli degli ordini del
Louvois che voleva una guerra sterminatrice, corrotti, eccitati alla
indisciplina dagl'intrighi di Corte di cui erano testimoni nello stesso
campo del loro generale, — intrighi orditi a danno di lui e per maggior
disgrazia del paese che invadevano, — come gli avrebbero obbedito,
quando irrompevano vincitori in una città o in un villaggio nemico,
dopo un combattimento feroce? E chi teneva in freno gli eserciti di
quel secolo, gli imperiali a Mantova nel 1630, le truppe del duca
di Lorena in Francia durante la minorità di Luigi XIV, i soldati del
Wallenstein nei loro medesimi paesi? Ciò non di meno, egli dava spesso
degli esempi terribili; faceva impiccare i _maraudeurs,_ era “senza
pietà coi soldati senza pietà„; andava molte volte, travestito, a
interrogare i contadini, anche in paese nemico, per sapere se avessero
patito sevizie; e rendeva delle giustizie solenni. Ma quello che valeva
a tenere i soldati in soggezione nei campi, non valeva più una volta
ch'erano sguinzagliati al sangue e alla morte, e che non c'era più un
solo uffiziale che potesse tener nel pugno un solo soldato. No, tutta
la sua vita lo difendeva dall'accusa di barbarie: la modestia mostrata
in tutte le occasioni, l'affetto che ebbero per lui il Fénélon, il
Vauban, il La Rochefoucauld, gli uomini più illuminati e più gentili
del suo tempo; la solitudine austera in cui visse gli ultimi anni,
nella sua terra di Saint-Gratien, riverito e amato dai suoi contadini;
la sua coltura, il suo amore per la famiglia, il suo disinteresse, la
semplicità della sua vita, tutte le sentenze e i motti che rimangon di
lui, segnati dell'impronta di un'intelligenza alta e serena.... No, non
era un barbaro. Sarebbe una vera ingiustizia il mettergli il marchio
del sangue sopra la fronte. Scoraggiato, indignato, qualche volta egli
può non aver neppure tentato d'impedire gli eccessi del suo esercito,
per non uscire esautorato da un tentativo di repressione impotente;
ma egli ne sentì sempre orrore in cuor suo, e li deplorò sempre con
amarezza, o non si ha più diritto di giudicare la natura umana. Non
aveva scritto a Parigi, dopo la battaglia di Staffarda: “Bisogna pure
aver compassione di questi disgraziatissimi popoli: che cosa s'ha da
fare?„ E tutti sanno quello che gli risposero: “Bruciare, bruciare,
bruciare.„ No, che cosa volete! Mi è simpatico. Anche la sua figura,
quel parruccone arricciolato che gli casca fin sulla corazza, quella
fronte spaziosa, quegli occhi grandi e buoni, quella bocca filosofica,
quell'aria in cui si riconosce qualche cosa dell'ingenuità dell'antico
avvocato che abbandona l'avvocatura per aver perduto una causa che
riteneva giusta, mi piace. Ci siamo battuti con lui per vent'anni,
ce n'ha date, se n'è prese, è stato vittima dell'ingiustizia nella
vecchiezza, ha sopportato l'avversità con animo altero, pigliava fra
le braccia i soldati che morivano, morì disprezzando gli onori e la
gloria. Rispettiamolo. È così bello esser giusti con un nemico!
— Sta bene, — concluse il mio agronomo, scrollando il capo; — ma ha
fatto del gran danno alle campagne.
*
* *
Il Catinat ci fece far notte. Quando uscimmo, la rocca di Cavour non
era più che una macchiaccia nera che si staccava sul cielo di cattivo
umore “incombendo sinistramente„ come diceva il mio professore, alla
città già illuminata. Nella stazione del tranvai, dove il piccolo
treno aspettava, non c'era che una famiglia di contadini, una nidiata
di ragazze e di ragazzetti, carichi d'involti, che s'installarono in
un carrozzone di seconda classe, in silenzio. Una donna dai capelli
grigi, che pareva la madre, piangeva. Di lì a poco arrivò di corsa
un contadino, d'una cinquantina d'anni, secco, una faccia di uomo
logorato dal lavoro, ma d'espressione risoluta; salì sul treno, diede
un'occhiata alla famiglia, e poi venne ad appoggiarsi al parapetto
esterno in faccia a noi. Il nostro agronomo lo riconobbe: era un
contadino delle parti di Bagnolo, dove possedeva una piccola vigna e un
piccolo prato, una casetta, e un po' di bosco.
— Dove si va, compar Drea, con tutta la baracca? — gli domandò il mio
compagno.
— Eh! eh! — rispose quello, placidamente, accendendo la pipa; — vado
lontano. — Poi soggiunse con un gesto vago: — In America.
L'agronomo rise. — Voi scherzate, — gli disse — E la vigna?
— Venduta.
— Siete matto. Com'è possibile? Possedete della terra qui e la lasciate
per andare in America?
— Che cosa vuole? Son due o tre anni che mi accorgo di _far del brodo
consumato_. N'esce più di quello che entra. Bisogna bene che mi dia le
mani dattorno fin che sono ancora in tempo.
— Ma come mai, se le terre di quelle parti son così buone?
— Buone, va bene. Ma senta un po'. La mia vigna, a volerla far rendere,
bisogna rinnovar le viti. Io non ho quattrini. Non posso far la spesa
delle viti e dei pali. E poi c'è il mantenimento della famiglia: undici
bocche. Sicchè lei vede.
— Ma la vostra famiglia lavorerà, m'immagino.
— Ma che lavorare! Son quasi tutte femmine. Si sa bene il lavoro che
possono fare le femmine. Il primo maschio è entrato negli undici anni
alla Madonna d'agosto.
— Ma le ragazze, non avete pensato a mandarle a servire, le ragazze?
Sarebbero tante bocche di meno.
— Tante bocche di meno; lo so anch'io. Ci ho pensato sicuro. Ma veda
un po' come andò. La maggiore non sa fare che tre pietanze, e i signori
non s'accontentavano. La seconda, lasciando stare che non sa di cucina,
ha un umore un po'... duro, sa, la sua maniera di fare che è il motivo
che non potè mai reggere con nessuno più di tre o quattro giorni. La
terza, una settimana dopo partita, gli s'è attacata la _pecòndria_, e
me la son vista ricascar a casa come le altre.
— Oh insomma! mi pare impossibile che non ci sia una maniera di
cavarsela, senz'andare in America! Un uomo alla vostra età con tutta
quella famiglia.... È un affar serio, sapete. Pensateci bene. Sareste
ancora in tempo a cambiar idea.
— Cosa vuol cambiare idea, santo Iddio! Se avessi trovato quattromila
lire in prestito a un piccolo interesse, da poter far la spesa delle
viti e il resto, sarei rimasto qui, si capisce. Ma dove trovarlo quel
galantuomo?
Gli domandammo in quale America andava. Ci disse:
— Bonosaire.
Gli domandammo se sapeva almeno presso a poco in che parte del mondo si
ritrovasse quel paese.
— Cosa vuole ch'io sappia? — rispose. — So che c'è trenta giorni
d'acqua.
— Avete mai viaggiato per mare?
— Non l'ho mai visto.
— Avete delle lettere di raccomandazione?
— Che lettere vuol ch'io abbia?
— Conoscete qualcheduno laggiù?
— Nessuno.
— E che cosa farete appena sbarcato?
— Ma!
Ci guardammo. Era proprio il caso, come dicono i giornali, di omettere
i commenti.
Egli fumava tranquillamente la sua pipa, guardando l'orizzonte nero. La
sua famiglia se ne stava rincantucciata nella carrozza, con gl'involti
sulle ginocchia, tutti pensierosi. La madre aveva in braccio un bimbo
di pochi mesi, e un altro bimbo d'un paio d'anni che le dormiva col
capo sulle ginocchia.
Forse mentre scrivo queste parole essi son tutti in un mucchio, sfiniti
dal digiuno, con gli occhi fuor del capo, pallidi come cadaveri,
rotolanti da due o tre giorni l'un sull'altro nel sudiciume, e
agghiacciati dal terrore del naufragio, dentro a un camerone di terza
classe d'un bastimento italiano, sbatacchiato come un guscio di noce
dalle onde enormi dell'Atlantico, a duemila miglia di lontananza dai
due mondi.
Oh! arrivino salvi alla nuova terra, con quei due bimbi sani, povera
gente, e vi siano accolti con carità, e vi trovino il pane e la pace.


I DIFENSORI DELLE ALPI

_Al Colonnello Federico Queirazza_
Comandante del 2º Reggimento alpino.
Riuscii a infilarmi nell'ultimo grande palco di destra nel punto
che v'entrava il signor Rogelli, spingendosi innanzi la lunga cugina
inglese, la signora Penrith, venuta apposta da Torino, e non trovammo
più che tre palmi di panca all'entrata, dove stava aspettando da
un'ora quella beata faccia d'agronomo, che mi aveva accompagnato a
Cavour. Il buon Rogelli era trionfante. Quell'idea del ministro della
guerra, di radunare nella sua città natale, nell'occasione delle
grandi esercitazioni estive, tutti e venti i battaglioni alpini,
per celebrare il decimo anniversario della loro istituzione con una
sfilata solenne davanti al Re d'Italia, era, per lui, un'idea sublime;
e da quindici giorni urlava quell'aggettivo per tutti i caffè di
Pinerolo, offerendo del Campiglione a quanti gli facevano coro, e
dicendo roba da chiodi dei giornali che avevan gridato allo sperpero
del danaro pubblico. Vi son dei capi originali dei cittadini maturi
e pacifici, che s'innamorano d'un Corpo dell'esercito, come certi
artisti dilettanti, d'una data scuola di pittura; e non bazzicano
che quelli ufficiali, s'infarinano dei loro studi, ripetono i loro
discorsi, in modo che a vederli e a sentirli chi non li conosce li
scambia con antichi ufficiali del Corpo che adorano: il che è la più
dolce delle loro soddisfazioni. Il signor Rogelli era di questi, e
aveva la passione degli Alpini: una passione che gli vuotava la borsa,
ma gli riempiva la vita. Egli era amico intrinseco di maggiori e di
capitani, teneva dietro alle compagnie nelle escursioni in montagna,
pagava da bere ai soldati, raccoglieva fotografie di gruppi, conosceva
a fondo il servizio, e aveva sulla palma della mano la topografia
delle zone e sulla punta delle dita la tabella del reclutamento. Non
vedeva nell'esercito che gli Alpini, e gli pareva che riposassero
sopra di loro tutte le speranze d'Italia. Non era proprio un ramo, era
un ramocello di pazzia: il suo amor di patria aveva le mostre verdi e
portava la penna di corvo. Una passione schietta, peraltro, e nobile,
in fondo: nata dall'amor della montagna, dov'era cresciuto, e dalla
simpatia per l'esercito, in cui aveva un fratello, e da vari altri
gusti e sentimenti, di cacciatore, d'acquarellista, di gran mangiatore
e di buon figliuolo, mescolati e riscaldati da una fiammella segreta di
poesia, che mandava fuori una volta all'anno la scintilla d'un cattivo
sonetto. E per ciò era raggiante di gioia quella mattina, e appena mi
vide, mi gettò un sonoro: — Ci siamo! — accennandomi la lunga fila di
palchi imbandierati che il Municipio aveva fatto inalzare nella gran
piazza, a destra e a sinistra del padiglione del Re. Il Municipio
aveva fatto le cose per bene. Il signor Rogelli si stropicciò le mani,
levò dal braccio della signora il canestrino di fiori, per ridarglielo
al momento opportuno, e prese posto in piedi, appoggiato a una delle
antenne della tenda, nell'atteggiamento d'un generale vittorioso.

La sfilata doveva cominciare alle dieci. I palchi eran già tutti neri
di giubbe, variopinti di signore, scintillanti di divise, brulicanti
come vasti alveari; e un mare di gente, in cui mettevan foce molti
torrenti, fiottava, rumoreggiando, su tutto lo spazio che corre dalla
porta di Torino alla porta di Francia. Nelle grandi case della piazza
pareva che si fossero ammontati tutti gli abitanti di Pinerolo, e
che volessero schizzar fuori dalle finestre, come gocce di liquido
compresso dalle commettiture del recipiente; i terrazzi rassomigliavano
a enormi giardiniere, riboccanti d'ogni specie di fiori di montagna; e
nei palchi e per la piazza innumerevoli fogli volanti, sui quali erano
stampati i nomi dei venti battaglioni, e dei paesi dove si levano,
s'agitavan per aria e giravano per tutte le mani, macchiettando la
folla di mille colori, come grandi farfalle prigioniere. Dal giorno
dell'entrata d'Emanuele Filiberto, Pinerolo non aveva più visto,
certo, ribollire tanto sangue, fremere tanta festa tra le sue mura.
A grande stento era tenuto sgombro un angusto spazio per il passaggio
dei battaglioni, tra i palchi e i portici, ed anche quel piccolo solco,
aperto di viva forza nella piena umana, continuamente si richiudeva,
quasi che la folla ne soffrisse come d'una ferita. Gli Alpini dovevano
sfilar per plotoni, venendo giù dalla valle del Chisone: da due giorni
erano accampati là, dall'abbadìa fino a Perosa, e ne formicolava tutta
la valle, come se fosse calato un esercito dal Delfinato. La testa
della colonna era già alle prime case di Pinerolo. Tutto era proceduto
e procedeva bene, anche lassù, dove s'eran dileguate fin dall'alba,
sotto gli sguardi severi del Rogelli, le ultime nuvole d'un breve
temporale della notte.
Allo scoccar delle dieci, annunziato dagli squilli di cento trombe
e accolto da un applauso che parve il fuoco di fila d'una divisione,
comparve il Re.
Nello stesso punto si videro spuntare in fondo alla piazza la penna
bianca del Comandante del primo reggimento, e le penne nere del primo
battaglione.
Un aiutante di campo portò l'ordine di cominciar la sfilata, le bande
suonarono, la folla immensa si scosse, come corsa da una scintilla
elettrica, e poi tacque per alcuni secondi, profondamente.

Il colonnello del primo reggimento s'avanzò. Il battaglione _Alto
Tanaro_ si mosse.
All'apparire delle nappine bianche della prima compagnia, scoppiò un
applauso e un evviva che fece rintronare la piazza, e dalle finestre
e dai palchi venne giù un diluvio di fiori. Tutti quei soldati alti,
forti, e la più parte biondi, con quei cappelli alla calabrese, con
quelle penne ritte, con quelle mostre verdi, d'un aspetto poderoso
a un tempo e leggiero, e quasi arieggianti un'altra razza, e pure
così italiani negli occhi, destarono un primo senso vivissimo di
maraviglia e di simpatia. E anche l'applauso fu più caldo perchè era
un battaglione singolare, composto di piemontesi e di liguri, levati
in quel triangolo delle antiche Provincie, che poggia a Oneglia e a
Savona, e tocca col vertice Mondovì: figli della montagna e giovani
della marina, dai visi bianchi e dai visi bruni, diversissimi d'occhi,
di lineamenti, di capelli. La folla acclamò alla rinfusa i paesi
delle due parti delle Alpi: — Viva Garessio, viva Albenga, Bagnasco,
Finalborgo, Pamparato, Diano! — E a tutti balenò alla mente, come
visto per uno squarcio della catena, un declivio grigio d'olivi, e il
villaggio bianco, circondato d'orti e di boschetti d'aranci, spiccanti
sul mare azzurro, picchiettato di vele. Sfilavano in una maniera
ammirabile. E nel voltarsi tutti a sinistra, di tratto in tratto,
per correggere l'allineamento, mostravan le teste ben costrutte, i
colli taurini, le guance vivamente colorite. La signora Penrith, piena
di benevolenza protettrice per l'Italia, prorompeva in esclamazioni
ammirative, dicendo che non avrebbero sfigurato accanto alle guardie
della regina Vittoria. Il Rogelli non toccava più terra, pareva che li
avesse impastati e modellati lui tutti quanti. E sclamava: — Guardi che
casse forti di toraci! — Veda che travatura di corpi! — Magnificava
il sistema di reclutamento: quello dell'esercito dell'avvenire. Non
eran battaglioni misti di gente d'ogni provincia: erano pezzi viventi
d'Italia che passavano, coi loro nomi e con le loro tradizioni; e
avevan ciascuno una propria alterezza di famiglia, innestata sul largo
sentimento dell'amor di patria e dell'onor nazionale. — Guardino
che frontispizi di galantuomini! — Montanari di cervello dritto,
coi concetti del tuo e del mio ben distinti, logici come quattro e
quattr'otto, dai quali s'ottiene tutto ragionando, persuadendoli che le
mancanze sono “cattive speculazioni„; affezionati ai loro uffiziali,
coi quali prendon familiarità, senz'abusarne, nella vita comune della
montagna; punto attaccabrighe, neppur quando trincano; sani e schietti
come l'aria delle loro vallate. — Viva il battaglione _Alto Tanaro!_ —
gridò, alzando il cappello. — Viva Savona! Viva Mondovì! Viva Oneglia!
— gridò la folla. E tutto il primo battaglione passò, — fra quelle
rumorose acclamazioni della patria, ch'egli sentiva per la prima volta,
— tranquillamente, — come se non fosse il fatto suo; e portò al Re
d'Italia il primo saluto delle Alpi e del mare.

E vennero innanzi le nappine rosse di _Val Tanaro,_ salutate due volte
da diecimila grida. Mi parve di riveder passare il primo battaglione.
Ma non v'erano più i visi bruni della marina. In questo erano i figli
di tutti quei villaggi segnati dalla storia, i cui nomi sono per noi
come schianti e lampi di fulmine, che rischiarano il viso pallido di
Buonaparte: i figli di Cairo, di Montenotte, di Dego, di Millesimo;
di quei memorabili monti, dove i piemontesi contrastarono per quattro
anni, di rupe in rupe e di gola in gola, il passo alla Francia. Erano
soldati delle terre dove il Genovesato e il Piemonte si toccano,
confondendo i linguaggi e le costumanze; nati fra gli alti boschi di
castagni e di faggi, tormentati dai venti del mare, che spandono per le
solitudini un lamento pauroso e solenne; degni veramente di chiamarsi
liguri fra i loro vicini della marina e piemontesi tra i loro fratelli
del Monferrato; saldi al lavoro, arrendevoli alla disciplina, bravi
come i molti padri loro che onorarono il sangue italiano nella legione
immortale di Montevideo. E venivan tra loro i piemontesi pretti di
Murazzano, di Donesiglio, di Dogliani, i figliuoli dell'altera Ceva,
già dura ai denti di Napoleone, e quelli che le madri portarono in
fascie a baciar l'altare della Madonna di Vico. — Viva Ormea! — gridò
la folla. — Viva Bossolasco! Viva Sassello! — L'agronomo avrebbe voluto
gridare: — Viva il vino Dolcetto; — ma confidò il suo pensiero a me
solo. Il Rogelli, pratico di quei paesi, ricordava le belle prese
di pernici e le grandi canestrate di tartufi bianchi. E riprese a
decantare il reclutamento alpino, grazie a cui una buona parte dei
giovani nei battaglioni son conoscenti vecchi. Vi si trovano accanto
il padron di casa e il suo inquilino; e molte volte il proprietario
d'un podere, soldato semplice, e il suo affittavolo, caporale; o i
figliuoli di due consiglieri comunali nemici, che si riconciliano al
fuoco del bivacco; od anche i corteggiatori d'una stessa ragazza, per
i quali il servizio nell'esercito è come un periodo di pace armata,
dopo di che ricomincierà più ardente la lotta. Bisogna sentire le loro
conversazioni, che _sapor locale!_ E come commentano il _Popolo_ del
sabato, che porta la cronaca del comunello! — Guardino quei zappatori!
— esclamò, e gongolò in fondo all'anima all'applauso che salutò i
zappatori dell'ultima compagnia: otto colossi, che parevan stati scelti
fra mille, e che s'avanzavano maestosamente, a passi da commendatori di
pietra, col coltellaccio alla cintura, armati di badile, di gravina, di
picozza e di maranese, sorridenti e disinvolti sotto quel carico come
se portassero degli oggetti d'ornamento. E gittò un grido squillante:
— Viva _Val Tanaro!_ — al quale rispose la moltitudine in coro; e poi
si voltò dall'altra parte urlando: — Viva _Val Pesio!_ — e la folla
rispose: — Viva _Val Pesio!_ — e si girò verso il nuovo battaglione,
che mostrava già in fondo alla piazza le sue cinquecento nappine verdi.

Il battaglione _Val Pesio_ s'avvicinò, in mezzo ai battimani e alle
grida. Eran daccapo piemontesi e liguri confusi, compaesani dello
statista Botero e del romanziere Ruffini, del presidente Biancheri e
dell'autore di _Monsù Travet;_ figliuoli di Taggia piena di viole, di
Bordighera coronata di palme, di San Remo inghirlandata di ville, di
tutti i più incantevoli paesi della riviera di ponente; e con loro i
soldati di Carrù, di Trinità, di Villanova, della Chiusa, dalle rudi
voci, dagli aspri dialetti, dai fieri volti. — Giovani di nerbo e di
testa, — esclamò il Rogelli; — dopo cinque settimane di servizio son
soldati! — Vini forti e secchi, — disse l'agronomo; — dopo cinque
anni di bottiglia, sono un'essenza da principi! — Sono bella gente, —
osservò la signora. — Sono Alpini, — rispose modestamente il cugino. —
E come ci tengono! Lei dovrebbe vedere alla visita di leva, quando si
dice a un aspirante Alpino: — Sei troppo debole, — come si fanno rossi
dal dispetto e dalla vergogna. — Ma io ne porto un paio di zaini! —
rispondono; perchè vogliono entrar negli Alpini a ogni costo; anche per
non allontanarsi da casa, si capisce; ma molto più per amor proprio,
in faccia alle ragazze del paese, a cui voglion far la corte con la
penna in capo. La signora avrebbe voluto ritrarre il battaglione con
la fotografia istantanea. — Ma che! — esclamò il Rogelli. — Questi
non sono Alpini! — Bisognava coglierli in marcia, all'apparire d'un
villaggio, dove sperano di ballare la sera, quando tutti si rianimano
e s'aggiustano sul cappello le _stelle di montagna_, che non c'è verso
di fargliele levare, a quei don Giovanni alpestri ambiziosi. Bisognava
vederli dall'alto, quando formano una striscia nera e serpeggiante su
per i fianchi nevosi del monte, lunga a perdita d'occhi, che si spezza,
si riannoda e lampeggia, facendo risonare la valle deserta di risa e di
canti, ripercossi dall'eco di cento gole. Bisogna vederli sfilare come
fantasmi sulle vette altissime, velati e ingigantiti dalla nebbia, o
far la catena nei passi pericolosi, con la neve fino all'anche, stretti
per mano gli uni agli altri, o legati con le corde alla cintura; o
camminar brancicando nella _tormenta_, col berretto calato sugli occhi,
col fazzoletto annodato intorno al capo, col bastone in pugno e le
_crapette_ ai piedi avvolti e accecati dal nevischio; o correre di
notte per la montagna, come un branco di pazzi, in mezzo ai tuoni e
ai baleni, dietro alle tende portate via dall'uragano. Bisogna vederli
quando precipita un loro compagno non si sa dove, e occorrendo quattro
arditi per andarlo a prendere, venti buttan via il cappello e la daga,
e sono già sotto a rischiar la pelle, che gli ufficiali gridano ancora:
— Prudenza! — Là si vedon gli Alpini! — E come se avesse inteso quelle
parole, la folla salutò l'ultimo plotone di _Val di Pesio_ con uno
scoppio tonante di evviva, che parve l'urrà d'un assalto.

Un'altra penna di colonnello biancheggiò in fondo alla piazza, e
vennero innanzi le nappine bianche del battaglione _Col di Tenda_, i
giovani nati tra le foreste brune e le forre cupe delle due alte valli,
in cui scrosciano il Gesso e la Vermenagna; i grossi Limontini dalle
facce color di giuncata e di sangue, i fratelli delle Tendesi robuste
che portano come un diadema intorno al capo biondo il nastro di velluto
nero, e i pastori del vasto altopiano di Vallasco, tempestato di fiori
azzurri e bianchi, e delle montagne di Valdieri; molti dei quali,
giovinetti, incontrarono mille volte per le loro erte viottole Vittorio
Emanuele solitario, vestito da alpigiano, che li salutò col _ciau_
famigliare. Duri soldati, nati in villaggi di duri nomi, stridenti
come comandi soldateschi: Entraque, Roccavione, Robillante, Roaschia;
cocciuti come quel loro comune famoso, che negò al Re per molti anni
il privilegio di cacciare nelle sue terre. E venivano innanzi a passi
lunghi, calcando il piede come per provar la saldezza del terreno,
e guardando diritto davanti a sè, senza badare agli applausi e agli
evviva. — Questi sono solidi! — esclamò il Rogelli. — Frammenti di
roccia; tutte ossature di zappatori; trentatrè chilogrammi addosso e
via come caprioli; quattr'ore a quattro gambe per la neve a cercare i
sentieri coperti; tre giorni filati in mezzo alla furia dei temporali;
dei capitomboli da sbriciolarsi il capo, e su, dopo una fregatina di
neve alle orecchie, come se niente fosse, con un compagno ferito sul
dorso, se occorre; e gelati dal vento che fende la faccia o saettati
dal sole che affoca le rocce, su ancora, su sempre; e quando arrivano
alla tappa, capaci di scaraventar lo zaino in un burrone per far la
scommessa d'andarlo a riprendere, o di scivolar per tre miglia giù da
un monte, facendo slitta della giacchetta, afferrati alle maniche come
a due briglie. E con questo, in _ottantasette giorni_ di seguito, non
un malato nella compagnia! Degli appetiti da Gargantua, e tutti matti
per la vite. Li sanno a mente come i dì della settimana, per nome
e cognome, i sindaci e i farmacisti che hanno la buona abitudine di
offrire il bicchiere ai bravi Alpini! E nelle osterie meglio provviste
ci fanno piazza pulita in un quarto d'ora. — E a una domanda della
signora: — Dei soldi? — rispose; — sono i Nabab dei soldati degli
Alpini; ci pensano i padri e i fratelli che fan quattrini fuor di
patria; piovono i vaglia internazionali. Viva il battaglione _Col di
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