Alle porte d'Italia - 21

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per le sue vie, accumularono gli anni e i galloni; altri, ancor nel
fiore dell'età, li tolse all'esercito una ferita gloriosa; parecchi
morirono eroicamente sotto le sciabole della cavalleria austriaca,
a Montebello, a San Martino, a Custoza, usciti appena dalla Scuola.
Gittar l'anima di là dall'ostacolo, prescrive il cavallerizzo tedesco,
e slanciarsi subito ad afferrarla: essi la gittarono fra i nemici, e
non la riafferrarono più. E ci sentiamo battere il cuore ritrovando nei
registri della Scuola i loro nomi, con l'elenco delle punizioni subite
per le loro scappate giovanili, nate da un bisogno imperioso di divorar
la vita, come se la presentissero breve. E ritroviamo con quelli i
nomi di tutto il patriziato d'Italia, i quali ci risveglian nell'anima
un'eco di quella divina musica del cinquantanove, al cui suono
correvano ad arrolarsi i duchi, i conti e i marchesi, e strigliavano
allegramente i cavalli, impazienti d'imperlare i loro stemmi di sangue.
La Scuola d'allora formava l'ufficiale; quella d'oggi non fa che
compirlo; ma è più faticosa e più austera dell'antica. Licurgo
troverebbe poco a ridire sopra l'orario. Gli ufficiali inforcan
gli arcioni appena arrivati, e si può dire che restano in sella per
nove mesi: non scendon da cavallo che per andare agli attrezzi di
ginnastica, passano dalla ginnastica alla sala di scherma, scappano
dalla scherma alla scuola d'armi da tiro e d'ippologia, corrono dal
maneggio al campo degli ostacoli, dal campo degli ostacoli alla scuola
di campagna, dalla scuola di campagna al quartiere, continuamente
incalzati, sobbalzati, scrollati, svegliati prima dell'alba, spossati
prima di sera, tenuti a mensa tutti insieme, vigilati da vicino e da
lontano dall'occhio paternamente terribile d'un colonnello che li
conosce un per uno come figliuoli, e li governa col regolamento da
una mano e l'orologio dall'altra. Venuti dalla Scuola di Modena, dove
prevale la penna al fucile e il tavolino al cavallo, ricevono qui una
scossa violenta, quasi brutale, che li sopraffà a tutta prima; ma che
riconoscon ben presto necessaria e benefica nella forza duplicata dei
muscoli e in un nuovo e come impetuoso sentimento della salute. In
quei pochi mesi segue in quasi tutti una trasformazione fisica, come
per effetto d'una seconda e rapida adolescenza. Vengono giovanotti,
ripartono uomini; entrano studenti, escon soldati. E questo si propone
la Scuola, e per questo da rude educatrice li affatica e li sferza,
quasi mirando a domar la carne e a castigar le passioni.... Ma non doma
e non castiga nulla. Tutta quella gioventù smaniosa di vita non bastano
a contenerla nè i lacci serrati della disciplina, nè la mano ferrea del
colonnello, nè la cerchia angusta di Pinerolo: essa ribolle e zampilla
fuori come vino spumante da una botte forata. Torino l'accende, come
un grande specchio ustorio, e l'attira, come una gigantesca tromba
aspirante. E le gite lecite e le corse clandestine s'avvicendano, come
s'alternano tra i fidanzati, sotto gli occhi dei parenti, le carezze
permesse e palesi e gli ardenti baci furtivi. Ah le belle scappate!
beato ultimo treno del sabato! deliziosi tuffi a capofitto nel veglione
vietato, dati con la voluttà del nuotatore fanciullo che si slancia
nudo nel fiume, in barba alla guardia municipale! E saran terribili
i ritorni, nell'ore più fredde della notte, in calesse, col vento e
la neve in faccia, con l'ansia di non arrivare in tempo pel primo
esercizio della mattina; nè riuscirà difficile al colonnello, che
avrà udito da letto lo scalpitio accusatore dei cavalli, riconoscere
sull'alba i profughi, o ai morsi dei cavalli capovolti, o ai colbac
messi al rovescio nel dormiveglia, o agli occhi pesti e ai capelli
arruffati dalla mano febbrile del carnevale. E ci sarà pure il rischio,
sonnecchiando in sella, di perder l'equilibrio al primo salto di
montone del maremmano ombroso, e di risvegliarsi in grembo alla madre
terra, fra quel maledetto urlìo dei compagni: — Paga! Paga! Paga! —
Ma che monta! Si faranno le frizioni di spirito canforato e si pagherà
il fio e lo Champagne.... ma si sarà slanciata l'anima a volo come un
cavallo alato a traverso a una notte ardente di Torino, si saranno
tracannate d'un fiato otto ore di libertà e di pazzia, con la gioia
frenetica della ribellione e del trionfo.
E quell'anno di Pinerolo rimane nella memoria di tutti gli ufficiali
di cavalleria come uno degli anni più saporiti della giovinezza, forse
appunto per ciò, che il più caro dei piaceri, quello della libertà,
non vi si beveva che a stille, a traverso ai buchi del regolamento,
ed ogni stilla riusciva come un'essenza potente che dava il profumo e
l'ebbrezza di dieci calici. Molte volte, fra le cure e le amarezze che
crescon via via, col crescere dei fili d'argento sopra il berretto e
di sotto, essi lo ricordano con desiderio quell'anno fresco e vivace,
che spicca come un fiore vermiglio nella filza in gran parte scolorita
di tutti gli altri. E ritrovandosi dopo lungo tempo nei campi e nei
presìdi, subito, e sempre, si rammentano l'uno all'altro con loquace
allegrezza le sciabolate date insieme alle teste di cuoio nel campo
degli ostacoli, e le cavalcate su per la collina di santa Brigida
e per i sentieri da capre del monte dei Muretti, e i capitomboli
fatti e scansati, e quella sala da pranzo chiara e sonora, che intese
tante proteste gastronomiche, smentite dal lavorìo precipitoso degli
“avorii„ giovanili, e quelle eterne clamorose discussioni tecniche sul
cavallo ungherese e sull'italiano, e sulla sella antica e la nova, e
sull'incrociamento orientale od inglese, e sulla cadenza delle andature
e sull'equitazione di campagna e di maneggio e tutti quei bei sogni ad
occhi aperti, tutte quelle dorate immaginazioni di guerra e d'amori, di
cariche vittoriose e di ritorni trionfali, che si spensero poi ad una
ad una sull'orizzonte decrescente della vita, come le fiammelle d'una
luminaria lontana. Ah sì, e quel fabbricone della Scuola era uggioso
e quell'orario spietato; ma un verso festoso risonava in ogni parte e
rallegrava ogni cosa, ed era quello che il cuore canta una volta sola
in settant'anni. Ed ella pure, signorina, ha da aver per la Scuola un
po' di gratitudine, perchè qui imparò il suo tenente, e non sotto alle
sue finestre, a stare a cavallo come ci sta, senza rompere la comandata
perpendicolare che scendendo dalla punta della spalla e rasentando a
mezza via quello che è prescritto passa a quattro dita dal tallone; e
se vuol dire la verità, ella s'è prima innamorata della perpendicolare
che dell'anima. E deve qualche cosa alla Scuola anche lei, signora
contessa; le deve la soddisfazione che provò all'ultimo _paper-hunt_,
di vedere il suo capitano far così maravigliosamente la volpe a
traverso a fossi, e a tronchi d'alberi e a siepi, e metter tanto spazio
in pochi istanti fra sè e i cacciatori, ch'ella sola, spronando a
furia la morella, riescì a scoprirlo e a raggiungerlo in una solitudine
verde; la quale risonò d'una nota armoniosa, che non era la nota d'un
usignuolo.
Ed anche Pinerolo ama la sua Scuola, che mantien vive le sue tradizioni
di città militare, e ch'è oramai così intimamente legata con essa,
che al suono di quel nome — Pinerolo — passa per la fantasia d'ogni
italiano una cavalcata sfolgorante di ufficiali ventenni. Ed essa li
accoglie assai più che come ospiti, come figli, da vecchia gentildonna
piemontese, nata di valorosi e cresciuta fra l'armi; e volta il capo
in là con un sorriso, a suo tempo, da madre ragionevole e indulgente,
che intende la giovinezza. E la Scuola le aggiunge vita e leggiadria.
Il movimento degli elmi argentini e dei colbac neri, e delle divise
strisciate di bianco, di rosso, di ranciato, di giallo, e il via vai
rumoroso dei cavalli e dei soldati dello _squadrone d'istruzione,_ le
dà l'aspetto d'una città di frontiera quando è imminente la guerra.
Oltre che quell'accolta di giovani è come un focolare continuamente
riatizzato, che tien l'aria accesa di faville amorose, a cui volgon gli
occhi ed aprono il cuore le figliuole gentili della _fortissima hosti_.
Perchè grande è ancora la virtù seduttrice di quell'Arma, la quale
unica forse, negli eserciti moderni, serbò un riflesso dell'antica
poesia guerriera, e un certo nome di romanzesca spensieratezza,
sdegnosa delle gretterie della vita. Quel pensiero della _tomba
aperta_ desta nei cuori femminili un vago senso di trepidazione, che
è un principio d'amore. Lo scalpitare del cavallo adombrato chiama
alla finestra un visino inquieto. Gli sguardi s'annodano. Qualche
testa bruna di cavaliere, già accaldata dai colbac, s'accende; e più
d'una testina dalle trecce bionde sogna un titolo patrizio e il golfo
di Napoli o la Conca d'oro; e molte speranze paterne germogliano e
fioriscono come pianticelle coltivate in segreto. Ma sopraggiungon
gli esami, lo scoppio del primo temporal d'estate rompe i sogni, il
primo vento d'autunno porta via i fiori, e qualche lagrima verginale
cade a terra, e qualche sospiro paterno s'alza al cielo. Ma ecco, al
cader delle foglie, altri elmi, altri colbac, altri blasoni, e nuovi
baietti e morelli e saurini, e allora i sogni ricominciano, e i fiori
rispuntano. Ma il raggio degli occhi azzurri penetra qualche volta
così addentro sotto alla divisa del cavaliere, che il _no_ dei parenti
lontani non gli fa che inasprir la ferita, e terminato a un tempo il
celibato e la scuola, egli porta via in groppa la sua subalpina; e
allora la città, che commentò per un anno tutte le vicende del romanzo
cavalleresco, applaude alla chiusa felice come alla carriera finale
d'un torneo, mentre la Maldicenza cancella due nomi dal registro
giallo, scrivendoci sopra — Saldato.
E si va aggiungendo in tal modo qualche filo di seta ai vecchi e forti
legami che stringono la Scuola a Pinerolo; la quale dimostrò nobilmente
l'animo suo, tre anni sono, piangendo come una sventura cittadina
la morte del bravo ufficiale, che era ai suoi occhi quasi l'immagine
vivente di quell'istituto. Egli era stato un mirabile esempio del come
la rettitudine dell'animo e l'adempimento amoroso e costante dei propri
doveri possano accumulare per sè soli sopra un uomo modesto ed oscuro
tanta simpatia, tanta onorabilità, da confondersi quasi con la gloria.
Nato di famiglia povera, aveva cominciato la sua vita militare a sedici
anni, trombettiere nei Cavalleggeri di Saluzzo; ed era entrato sergente
_istruttore d'equitazione,_ poco più che ventenne, alla Scuola; nella
quale, esercitando sempre lo stesso ufficio, aveva raggiunto il grado
di maggiore, e finito la carriera e la vita. Egli aveva insegnato
l'equitazione a tutti gli ufficiali di cavalleria dell'esercito
italiano, che tutti, anche lontani e dopo molti anni, lo ricordavano
sempre con affetto e con gratitudine. Maestro impareggiabile a
cavallo, appassionato dell'arte sua in fondo all'anima, aveva un
aspetto soldatesco, un gesto imperioso, un comando fulmineo, che
parevan l'espressione d'un anima di ferro; ed era buono e ingenuo come
un ragazzo. Fuori di servizio, gli ufficiali gli andavano attorno,
celiando, come a un babbo buon diavolo, di cui si faccia quel che si
vuole. In fatto di coltura, era rimasto poco più che soldato; maggiore,
parlava ancora piemontese ai napoletani e ai toscani che s'ingegnavan
di capirlo dai gesti. Ma così fatta era la stima che ispirava l'uomo
e il maestro, che sarebbe parso ignobile il sorridere di quello che
mancava all'ufficiale. Tutta Pinerolo lo conosceva, ed egli conosceva
tutti, e passava in mezzo ai saluti e ai sorrisi della città amica,
che lo vedeva tutti i giorni, da quasi trent'anni, semplice e affabile
nella sua dignità matura d'ufficiale superiore, come era stato nella
sua alterezza giovanile di sergente. Un giorno che egli tornava da una
passeggiata, il cavallo gli s'inalberò all'improvviso, e gli cadde
addosso riverso, dandogli col capo nel ventre una percossa mortale.
Portato a casa insanguinato e fuor dei sensi, fu assistito dì e notte
dai suoi ufficiali, che si diedero il cambio al capezzale, finchè
visse. E i suoi ultimi pensieri, le sue ultime parole furon per loro.
Delirando, s'affannava per un allievo che gli pareva pericolante
all'esame, e lo difendeva con la Commissione, gridando che lo dovevan
provare con un cavallo anziano, non con un cavallo giovane; o ne vedeva
un altro cader di sella nel campo degli ostacoli, coi piedi impigliati
nelle staffe, e gridava: — Fermate! fermate! — cacciandosi le mani nei
capelli, povero Baralis. E così, tutto al suo dovere anche nell'agonia,
spirò. E l'antico trombettiere ebbe le onoranze d'un principe. La
città intera si affollò dietro al suo feretro, e la cavalleria italiana
gli pose sulla fossa un busto di marmo, che il suo valoroso e gentile
colonnello, Eugenio Pautassi, scoprì, salutandolo con le più nobili
parole che possano uscir dal cuore d'un soldato.
E così i comandanti e i maestri invecchiano e muoiono, e la Scuola è
sempre giovane: essa riceve ogni anno un'onda di sangue vivo e ardente,
che gorgoglia alcuni mesi fra le sue mura, e si rispande poi per tutta
Italia a inturgidire e a rinfiammar le vene dei venti reggimenti di
cavalleria, un po' svigoriti e tediati dalla lunga aspettazione della
prova. Poichè lo stato d'animo d'un esercito che dura nella pace da
molti anni, è molto simile a quello d'una ragazza, a cui il tempo fugge
e l'amor non arriva. E la stessa dubbiezza stanca e impaziente ad un
tempo è nell'animo di chi ne parla o ne scrive, perchè se è inumano
da un lato il desiderar la guerra per la guerra, non ci è possibile
dall'altro il salutare e ammirare questo tesoro sacro di giovinezza,
di forza e di ferro, senza che ci trascini l'affetto, ogni momento,
al desiderio di vederlo operante e glorioso. O terribile domani,
pieno di oscurità e di silenzio, che cosa nascondi? Quale sarebbe il
grido che ci fuggirebbe dall'anima se ti rischiarasse un lampo, un
lampo solo, ai nostri occhi? E forse ci vedresti già segnata la tua
sentenza, o bell'ufficiale dei lancieri, che spingi il tuo grande
baio oscuro sulla via di San Secondo: invano tu spererai sul tuo letto
d'ambulanza di portar saldata ai baci dell'amante l'orrenda ferita che
t'aprirà la fronte. E tu ti sentirai piegar sotto, fulminato in mezzo
al petto, quello stesso saurino che ora accarezzi, o futuro dragone di
_Piemonte,_ e saranno gli stessi cavalli del tuo squadrone, sventurato,
che a pochi passi dal quadrato nemico frangeranno il tuo bel corpo
giacente. E a te, o bel cavaliere dalle mostre gialle, sarà un colpo
di lancia vibrato nelle tenebre quello che ti segnerà sul petto il
posto della medaglia dal nastro azzurro, la quale non giungerà in
tempo a sentire il palpito del tuo cuore. Ma questa previsione non vi
turba, bravi giovani; voi rispondete con un sorriso: — Che importa! —
e, spronato il cavallo, vi slanciate a briglia sciolta nell'avvenire,
offrendo gioiosamente la fronte al bacio della Patria e della Morte.


DAL BASTIONE MALICY

Ecco perchè finisco il libro sul bastione Malicy. Il giardino della
villa Accusani copre per l'appunto il terrapieno dell'antico bastione
Malicy dov'era una delle più grandi fonderie della Francia, e il muro
alto che lo sostiene è ancora quello della fortezza di Luigi XIV. A
un'estremità di questo muro c'è una finta facciata di castello, dalla
quale sporge un terrazzino, che dà sull'aperta campagna. Di lì si
vede, a destra, l'imboccatura della valle del Lemina, di fronte, quella
della valle del Chisone, più in là a sinistra, quelle delle valli di
Luserna, del Po e della Varaita, e al di sopra di un mezzo cerchio
di colli e di monti floridi, le alpi Cozie, dominate dal Monviso, il
quale par piccolo, come sogliono i grandi a chi li avvicina. Sotto al
terrazzo, alle falde del colle di San Maurizio, ci son due poderi di
due sorelle, la morte e la guerra: da una parte il cimitero, dall'altra
la piazza d'armi, e in mezzo, fiancheggiata dalle ultime case sparse di
Pinerolo, passa la strada diritta che conduce a Penosa e a Fenestrelle,
attraversando il bel villaggio dell'Abbadia. Più lontano si vede San
Secondo, al piede d'un monte, e nel piano, la rocca di Cavour. Un
paesaggio vasto, vario, fresco, che sale, trasformandosi gradatamente,
dal sorriso verde dei campi e dei giardini, alla maestà bianca e
celeste delle più alte montagne d'Italia. Fu quella bellezza che mi
fece scrivere. Non si direbbe; ma è della bella natura come delle belle
donne, che fanno commettere delle corbellerie. Composi quasi tutto
il mio libro sul bastione Malicy: per questo ce lo finisco. Non ci ho
quasi colpa; ci fui forzato. Vadano a picchiar dei pugni nel bastione,
i critici.
*
* *
Ci passai tante belle ore, solo e tranquillo, a meditare dei
capolavori che non farò mai e a fabbricarmi delle ville che non
avranno mai fondamenta! È vero che anche là, qualche volta, m'arrivano
delle amarezze e delle noie, in busta e sotto fascia, suggellate e
raccomandate, con francobolli di tutte le forme e di tutti i colori. Ma
che volete? Non attaccano. Il vento se le porta via, insieme a tutte
quelle piccole teste multicolori di re, di imperatori e di presidenti
di repubbliche, che dopo avere un po' volteggiato per aria, si vanno
a posar sui pampini del vigneto di sotto. E poi, ho delle cose ben
più importanti da pensare, la mattina per tempo, quando m'avvio al
terrazzo con la posta sotto il braccio. Ci sarà o non ci sarà il
Monviso stamani? Sarà tutto ammantato, o solamente incoronato, o avrà
le spalle coperte e il capo nudo? Con che grillo si sarà levata sua
maestà? A che ora potrò riverire il Cornour, il Frioland, il Servin, e
le altre eccellenze canute? Che spettacolo avremo a Corte quest'oggi?
Il terrazzo è chiuso da una porta. Alle volte, apro la porta del
paradiso: è uno splendore immenso di verde, di azzurro, di neve, di
sole, e come l'effetto d'un prodigio, che abbia spinto le Alpi innanzi
di dieci miglia. Altre volte, è un malumore universale, una musoneria
così chiusa e cocciuta, che lascio subito ogni speranza: non mi attento
neanche a domandare il più piccolo favore. Certe altre mattine, invece,
è una mutabilità di umore, un via vai di nuvoloni, un errare incerto di
fiocchi bianchi e di grandi veli grigi lacerati, un lavorìo, un fare e
disfare inquieto e faticoso, col quale mi sembra che la natura risponda
alla mia domanda: — Non so.... vedremo.... sto cercando.... vede bene
che non sto con le mani in mano.... Ripassi fra un'ora. — Ma io resto
là, appunto per veder le prove, coi gomiti sulla ringhiera del mio
palchetto, fino all'ultima scena del quint'atto, in cui tutto viene in
chiaro e s'aggiusta.
*
* *
Sotto il terrazzo passa una stradetta, fiancheggiata da un muricciolo,
la quale forcheggia in quel punto: un ramo va giù verso il cimitero,
l'altro discende, nascondendosi quasi subito, per il fianco del colle
di San Maurizio, fino a Pinerolo. Il bivio forma come una terrazza,
da cui si vede la pianura e le montagne. Per questo passan di lì,
salendo e scendendo, quasi tutti i pinerolesi peripatetici, che fanno
il giro del colle verso sera. Anche ai tempi della fortezza, ci doveva
correre una strada, o un sentiero, un po' più lontano, prediletto
dagli amanti dell'aria libera, che facevan delle passeggiate _extra
muros_. Ecco, per esempio, è un gran divertimento, per me, nelle lunghe
ore che passo là, veder venire innanzi i giovani fratelli Bochiardi,
Paolo e Antonino, stretti a braccetto, tutti e due grandi e belli, che
concertano a bassa voce il viaggio da Pinerolo al Corno d'oro, dove
difenderanno eroicamente la porta d'Adrianopoli contro l'esercito del
secondo Maometto; e poi scendere lentamente, tenendosi su la tonaca di
domenicano, e fantasticando forse qualche nuova birberia da affibbiare
a Zanni di Bergamo, quel capo ameno di Matteo Bandello; e dietro di
lui, un'amazzone snella e ardita, la contessa Ortensia di Piossasco,
ancora tutta trionfante d'aver salvato la città dalla scalata notturna
dei soldati del Lesdiguières; e poco dopo, una cavalcata pomposa
dello stato maggiore del cardinale Richelieu, e una frotta d'ufficiali
cappelluti del Direttorio, e una folla d'italiani d'ogni provincia,
i nostri bei volontari di cavalleria del cinquantanove, che passano
declamando i versi del Berchet e di Gabriele Rossetti.... L'ultimo
è sempre il generale Brignone, grigio e curvo, con quell'aria di
sant'uomo; che passa solo solo, a passi brevi e stanchi, meditando
sulle sue battaglie e sulle sue sventure.
*
* *
La mattina, peraltro, c'è quasi sempre vita nel piano. Nella piazza
d'armi galoppano rumorosamente, lampeggiando, dei drappelli di
lancieri, comandati dagli ufficiali della Scuola; ci son non so
dove (vicino al camposanto, mi pare) i trombettieri del distretto
che s'esercitano a straziare gli orecchi e le anime; e dal cortile
d'una caserma, in cui vedo dentro, vengon su sonore e distinte le
voci dei soldati che rispondono all'appello su cento tuoni, come
una tastiera di cembalo picchiata a caso da un bimbo. Intanto vien
giù per la strada di Fenestrelle un gran tintinnìo di sonagli, un
armento dietro l'altro, dei torrenti enormi di lana, che traboccano
nei fossi, e par che minaccin d'allagare la campagna; scendon file
di carri carichi di lastre del Malanaggio; sull'aie vicine si batte
il grano coi correggiati; arriva il tranvai di Perosa, sbuffando;
il Lemina brontola, e qua e là in mezzo ai campi fumano, come tede
gigantesche, gli altissimi camini rossi delle officine. Qualche volta,
in quell'ora, passa là sotto fra gli alberi, per la strada bassa del
cimitero, un feretro, seguito da molta gente con le candele accese; e
allora fa un contrasto stranamente drammatico quel mormorìo lamentevole
di preghiere, che vuol dire: — Tutto è finito, — con quei nitriti
violenti, con quelle grida giovanili d'ufficiali, per cui la vita
incomincia: — Aaaaavanti! Caaaaricate! — grida alle quali tien dietro
la pesta precipitosa di cento cavalli sfrenati.
*
* *
Poi seguon dell'ore di silenzio e di solitudine, e allora il mio
spettacolo preferito è una casetta rustica, lì accanto, abitata da
una piccola famiglia: una vecchia vedova, che fa la lattaia; un suo
figliuolo, che lavora da muratore; la moglie del figliuolo, che fa la
balia, e una ragazzetta, figliola della vecchia. Tutto il loro avere
è un pezzetto di prato e un par di vacche. Campan di nulla, e paion
contenti. La sposa è una trovatella, presa bambina dalla lattaia, e
allevata da lei. Il figliuolo se ne innamorò e la volle. L'adorano
tutti. È allegra, canta dalla mattina alla sera, col suo bacherozzolo
in braccio. Io tengo dietro a tutte le loro faccende e conosco tutte
le loro abitudini. Quando ritorna dal lavoro, il figliuolo conduce le
vacche nel prato, e così, per spasso, gira il braccio intorno al collo
ora all'una ora all'altra, mentre è chinata che pascola, le arrovescia
la testa in su, e la bacia nel muso amorosamente. Sull'imbrunire,
mangiano una minestra, seduti davanti all'uscio. Dopo cena, gli sposi
fanno una passeggiata di trenta passi, fino al bivio, dove rimangon un
po' di tempo appoggiati al muro, a guardare i monti. Rincasano; brilla
un lume a una finestrina per un quarto d'ora; poi si spegne, e tutto è
finito. E così tutti i giorni, e tutto l'anno. E io provo un piacere,
una commozione di fanciullo, a raffigurarmi cento volte un vecchio
milionario malato, che va a bussare una sera a quella porta con una
carta della Maternità fra le mani, ed entra in quella casa; e sento
un grido: — mio padre! — e uno scoppio di pianto, e il rumore d'una
caduta, e voci confuse di meraviglia e di gioia, e il frullo dell'ali
della pace che vola via da quel nido per sempre....
*
* *
Quel gran silenzio della mattina, qualche volta, è rotto da molte
voci insolite, dai discorsi di un gruppo d'amici, venuti di lontano,
che discutono concitatamente per dimenticare una colezione infelice;
e quelle mattine si spandono dal terrazzo per la campagna, come
uccellacci esotici portati là in una gabbia, le più bizzarre frasi
del mondo, delle parole d'una lingua misteriosa e sinistra, che
fanno correre un fremito per le fibre dei gelsi vicini.... — ....
ma quell'animazione antropomorfa che s'infiltra per tutti i meati
del mondo zolesco.... — .... no, tu confondi coi piccoli omotteri
della famiglia dei coccidi che si trovan negl'internodii delle
piante monoiche.... — dice che l'anima dell'individuo, entrando per
opera dell'amor platonico negli ordini operativi, partecipa alla
vita universale della psiche cosmica e si congiunge col Logo.... —
.... sai che interessa interiormente l'estremità posteriore delle
tre circonvoluzioni temporo-sferoidali e una parte della porzione
posteriore della circonvoluzione parietale inferiore.... — Ed è un
ridere allora a vedere lo stupore profondo delle due vacche della
lattaia, e l'aria triste d'incredulità con cui scrollan la testa, come
per dire col Manzoni: — Neghiamo tutto e non proponiamo nulla....
*
* *
Appena c'è un po' d'ombra, s'ammucchia lì sotto tutta la spazzatura
di bimbi del vicinato. È un altro spettacolo che non darei per molte
commedie in cinque atti. Oramai li conosco quasi tutti, quei tometti.
C'è dei bei ragazzi, cresciuti all'aria forte di San Maurizio,
che arrivano a gran passi, _abbambinando_ fra le gambe larghe i
fratellini d'un anno; delle cecine alte tanto da terra, che portano
in collo dei bofficioni, con delle faccie come melanzane; e poi dei
mangiapagnotte di tutte le misure, delle pance tonde, delle vere palle
di cavolfiore, dei minuzzoli che si reggono appena, dei cosi lunghi che
si poppano il dito grosso, col cappello a sghimbescio, una bretella
sola, la giacchetta tutt'occhi, i calzoncini a bracaloni, le calze
a giambardella, le scarpe a ciabatta, e la camicina che sboccia di
dietro. Povere mamme! che canaglia! Bisogna vederli, come si svoltolano
nella polvere e strascicano il sedere sui sassi e struscian la pancia
sul muricciolo, tutti in riga, col capo spenzolato in fuori e la coda
di tela per aria, giocando a chi sputa più lontano. E stan lì delle
mezz'ore, a contrattare il baratto d'un bottone, d'un chiodo, d'un osso
di pesca, d'un cencino rosso, facendo un chiocchiolìo interminabile per
ogni uccello e per ogni cane che passa, finchè delle voci minacciose li
chiaman per nome di lontano; e allora si sparpaglian tutti ciabattando,
ranchettando e ballonzolando, fuorchè uno o due, le anime perse della
compagnia, ribelli a ogni legge umana e divina; i quali rimangono
appoggiati al muro in atteggiamento affettato di noncuranza, succhiando
i mozziconi dei miei virginia.
*
* *
Più tardi passano delle coppie d'amanti rustici; delle ragazze
tozzotte, con due tendoni di capelli lustri appiccicati alle tempie,
e con un nastrino di velluto nero intorno al collo; dei giovani col
cappello a cencio e coi calzoni alla francese. Quando arrivan lì,
credon sempre di esser soli. Guardano bene intorno, molte volte; ma,
poveri giovani! al solito non si ricordan mai di guardare in alto.
E poi che si può vedere, con quegli occhi in solluchero? Le teste
si chinano sulle spalle, le braccia girano intorno alle vite.... e
il fotografo, dal terrazzo, conta i minuti secondi. Qualche volta
c'è degl'indiscreti, e allora le ragazze piegano indietro il busto
tutto d'un pezzo, come popattole spezzate alla cintura, e ributtano
i nasi temerarii con dei colpi di ventaglio da cavare il sangue;
e i battuti si vendicano azzeccando dei pizzicotti da intaccar la
pelle ai rinoceronti. Poi s'acquetano, e s'appoggiano al muricciolo;
discorrono lungamente; la ragazza con gli occhi bassi, facendo scorrere
tra le dita l'orlo del grembiale nero; lui, coi gomiti appuntati, in
atto d'adorazione; e s'indovina dalle risa dell'uno e dall'occhiate
di rimprovero e dai rossori dell'altra, le scioccherie grasse e i
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