Alle porte d'Italia - 22

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complimentacci impertinenti.... coi quali ricomincian gli assalti e le
ventagliate.... fin che la ragazza alza gli occhi al terrazzo; e allora
restan là, due statue di sale, in un atteggiamento così miserevole, che
mi sento preso da paterna pietà, e rientro rapidamente nel mio casotto,
come un grosso automa d'orologio.
*
* *
Passano anche delle coppie coniugali, borghesi, belline; per metà,
s'intende; e scordan quasi tutte, anche queste, di guardarsi dal
bastione di Malicy. Una signora fa quattro passi di polka; un'altra si
stacca dal braccio del marito per contraffare l'andatura d'un'amica
grassa. Sento dei frammenti di diverbio, delle botte e risposte
secche, di quelle che fan fare i lucciconi alla signora, e mangiare
il sigaro all'altro. — Hai torto, hai torto, hai torto. — Oppure: —
Questa non la spunti, sai, Giorgetta! Tientelo a mente. — Delle coppie
vanno per un tratto divise, l'uno a destra e l'altro a sinistra della
strada, sbadigliando, e guardando da due parti opposte, con tutta
l'aria d'esser mortalmente seccati del settimo sacramento; e poi,
all'improvviso, sentendo dei passi davanti o di dietro, si avvicinano
in fretta, e si parlano, sorridendo da buoni amici, per salvare il
decoro del cuore. Delle signore si fermano qualche volta per richiudere
un orecchino che scappa, o stringere una cintura che si scioglie, o
levare una pietruzza dalla scarpetta scollata. E sarebbe mandata da Dio
quella pietra. Ma è un caso tristo: c'è sempre il marito davanti....
e son così opachi! Ma non importa, mi ci diverto; con qualche danno,
peraltro; come la malaugurata sera di quel barbone, che riannodando il
velo del cappello alla moglie, per di dietro, le stampò nella nuca un
maledetto bacio, di cui sentii fra capo e collo il contraccolpo, come
un pugno ben assestato di _boxeur_ inglese.
*
* *
Passano dei solitarii, e non son quelli che mi diverton meno. Li
so già tutti a memoria, quasi. So che a quell'ora precisa vedrò
spuntare il tale e il tale altro: degli ufficiali pensionati, degli
impiegati in riposo, dei convalescenti che fan la salita tutti i
giorni, per ordine del medico; dei “benestanti„ larghi e lenti,
che vengon su con lo stecco in bocca, con le mani strette dietro la
schiena, guardando qua e là con un sorriso vago, e andando a cercare
i ciottoli per buttarli da parte col piede: desiderabili segni di
quelle chilificazioni soavissime, che si fanno soltanto nelle città
piccole, dopo una giornata di lavoro tranquillo. C'è un vecchio prete
mingherlino che passa ogni sera alle sette e tre quarti, tira a destra
per la strada del camposanto, ripassa sotto il terrazzo alle otto e
mezzo, col breviario aperto fra le mani, senza mai alzar gli occhi,
senza mai cambiare il passo, senza soffermarsi mai un secondo; e fa
quella passeggiatina in quel modo da più di trent'anni. Un vecchio
signore panciuto passa costantemente con la canna ritta contro il
braccio destro, e il panama infilato nella canna. Un altro piglia
infallibilmente la sua presa di tabacco nel momento che passa accanto
a un tiglio che ombreggia la strada. E io mi diverto a indovinare le
altre abitudini di quei buoni signori, i pasti regolati appuntino,
quelle ore di sonno sacramentali, l'aborrimento profondo di certe
salse, certe fissazioni strane invincibili in fatto d'igiene, la
fascia di lana intorno alla vita, la piccola cantina scelta pei casi di
malattie, e la piccola farmacia di casa, rifornita a tempo con grande
cura. E sporgendo il capo indolenzito e stanco dallo scribacchiamento
di tutto il giorno, li seguito tutti fin che spariscono, con un sospiro
d'invidia.
*
* *
Verso sera, passan pure dei soldati, che vanno a spasso per la
campagna, quasi sempre a due a due. Sento degli accenti napoletani,
siciliani, toscani, lombardi. Alcuni cantano. C'è un toscano che
solfeggia _dove vai, dove vai, ricciolina_, deliziosamente, e
molto bene accompagnato da un tappetto di fantaccino che dimena le
spalle alla becera. Discorrono delle loro faccende: la consegna, la
riparazione alle scarpe, il nuovo orario, _la arne attiva, u capurale,
quel bagolon d'un furée_.... — Qualche volta esprimono dei sentimenti
d'ammirazione per delle signore incontrate poco prima. — _Chilla è
bona!_ — _Ah! che bonbonin!_ — Ce ne passan degli scompagnati, che
si fermano a piluccare le more delle siepi con una ghiottoneria di
bambini. Corron dietro alle lucertole, si chinano a frucar coi fuscelli
nei formicai. Son capaci di perdere un'ora a cercare un uccello di
cui sentono il verso dentro a un cespuglio o tra i rami d'un albero,
grondando di sudore a forza di girare, di accoccolarsi, di torcersi
come le biscie. Scendon giù verso i campi, tornano indietro con dei
mazzi di fiori selvatici infilati nella tunica, felici di poter far
quattro passi fuor delle scatole, col cinturino sulla spalla e con le
mani nelle tasche, aspirando gli odori dei prati e dell'aie, dove son
nati e cresciuti. E qualcheduno si volta a guardare in su, con una
espressione di curiosità amichevole, che mi compensa di un mese di
rompimenti.
*
* *
A una cert'ora, ci ho un altro spettacolo: vedo risalire per la strada
di val di Lemina dei gruppi di vecchi e di vecchie del vicino Ricovero,
vestiti di rigatino grigio, che ritornan dalla passeggiata. Poveri
vecchi! Passando sotto il terrazzo, quelli che possono, alzano il viso;
e allora posso dire anch'io che “quaranta secoli mi contemplano.„ Par
che tornino da una battaglia. Vengono prima gli uomini, delle facce
d'arancie seccate sopra le caminiere, dei corpi segaligni, nodosi come
le calocchie, dei nani sbilenchi che paiono usciti di sotto un torchio,
delle anime lunghe che spenzolano da tutte le parti, delle figure
bizzarre, in cui non si raccapezza più la fisonomia, e rammentano i
famosi struldbruggs di Laputa, condannati alla decrepitudine eterna,
nel libro del Gulliver; delle andature che presentano insieme tutti i
ciondolii e tutti i tentennamenti d'un mazzo di marionette tenuto dalla
mano d'un paralitico. Quanto trista e maligna è la natura a imporci
insieme a quel modo l'ilarità e la compassione! Poi vengon le povere
donne, dei cubi, delle piramidi equilatere, delle esse, degli otto,
dei visi pelosi e infunghiti; fra i quali pure si riconoscono degli
occhi pieni di benevolenza e di dolcezza, che esprimono ancora un amore
lieto della vita, e promettono ancora delle buone azioni, dei piccoli
sacrifizi utili a qualcheduno. Ma chi mi dà a pensare più di tutti è
uno sbilungone tutto rotto, vecchio come il primo topo, con una barba
che pare un granatino sudicio, una faccia buffa, che dev'essere il
bell'umore della compagnia, che racconta sempre qualche cosa, con una
voce di trombone affiochito, degli aneddoti lepidi, da quanto sembra,
perchè provoca intorno delle risate faticose, degli scotimenti di
gobbe, degli accessi di tosse, dei milioni di rughe, uno scombussolìo
da mandare per il medico. Che cosa diavolo dice? È una curiosità che mi
tormenta. Deve ancora raccontare degli aneddoti lubrici, quel mummione,
delle avventure del 1820, chi sa che birbonate.... e che finezze!
Qualche parola m'arriva; ma il senso mi scappa, e mi ci danno.
*
* *
Passano alle volte delle squadre di collegiali coi berretti rigati
d'oro, in due file, accompagnati dall'assistente; i primi, piccoli,
d'otto o dieci anni, gli ultimi sulla quindicina, beati di essere
all'aperto, e di aspirare quell'aria a sorsate come un vino generoso;
passano allargando e allungando le file, voltandosi da tutte le
parti, parlando tutti insieme, con una gradazione ascendente di forza
vocale, dalle note femminee della prima ginnasiale ai vocioni velati
del liceo, disputando a tre a tre, a quattro a quattro, e spandendo
per la strada delle regole di grammatica latina, degli enunciati di
teoremi, delle risate, dei nomi storici, dei trilli, dei calcoli di
ventesimi, confusamente, con quella mimica sbracciata e angolosa degli
scolari, che somiglia un po' alla gesticolazione delle marionette.
Ah! quanto è lontano quel tempo.... che è tanto vicino!... Ci ritrovo
delle teste ricciute di antichi miei compagni di scuola in quelle
file, ci riconosco delle voci di venticinque anni fa, dei gesti che mi
ricordano mille cose. Ma non c'è mica da fidarsi a star sul terrazzo
mentre passano, perchè si può dare il caso, come una sera, che i primi
discutano del miglior modo d'acchiappare le mosche, e quei di mezzo
tacciano, e gli ultimi ragionino ad alta voce, e _senz'alcun sospetto,_
di colui che pende, non visto, sul loro capo; e, certo, può accadere di
sentirsi dire delle cose gradevoli, ma si corre anche il rischio....
*
* *
Altre volte, dopo una mezz'ora di silenzio, sento un bisbiglio di
voci armoniose, e vedo a traverso ai rami degli alberi una confusione
variopinta di penne, di fiori, d'ombrellini, di veli; tre o quattro
famiglie affollate; delle ragazze di dieci anni, delle signorine di
venti, delle signore di trenta, la scala vivente del paradiso, che vien
su. E fanno un bel quadro, per alcuni minuti, tutti quei visi rosei sul
fondo verde delle viti e delle acacie, e le calzine bianche fra l'erba;
e un po' più in qua, i cappellini vermigli e rosati che spiccano
sull'azzurro delle montagne; e anche più vicino gli occhi celesti che
scintillano sotto le ciglia nere. E a proposito, com'è il sangue di
Pinerolo? Non saprei che dire. Tra il sangue di Torino e quello di
Pinerolo non c'è che un'ora di strada ferrata. Arrotondate un po' più
le spalle e colorite un po' più le guancie.... Intanto le signore son
lì sotto; la fatica della salita fa ondulare i seni, l'aria dei monti
agita i capelli sulle tempie, e le braccia che si alzano a ravviarli
mostrano i contorni graziosi e la pelle bianca.... Ma è la visione d'un
momento. Il mormorìo armonioso s'allontana, i veli e le ombrelline
si rinascondon fra gli alberi, e non resta più che un po' di profumo
nell'aria e qualche orma di piedino sulla via.
*
* *
Poi passano delle coppie d'amici, a molta distanza l'una dall'altra,
lentamente, parlando forte, in modo ch'io sento le parole prima di
vedere i visi, e raccolgo dei brani di discorsi curiosi, tagliati poi
d'un colpo, o continuati con un abbassamento improvviso di voce, quando
la coppia arriva in vista dell'osservatorio. — .... Capisce! — dice
una voce rimbombante che s'avvicina, — mi _siringa_ trecento quaranta
lire di ricchezza mobile! E io li schiaffo lì per lì tanto di ricorso,
dimostrando come e qualmente.... — Scompariscono: non sento più nulla.
Dopo cinque minuti, una voce lenta e placida che espone una biografia:
— .... in seconde nozze la signorina Gloriocci, figlia di primo letto
del commendator Gloriocci, ch'era capo divisione agl'interni nel 1860;
_dimodochè_ egli venne ad essere cognato della contessa Vespretti,
precisamente l'anno dopo che s'era separata dal marito per il famoso
scandalo col capitano.... — Passano, succede un lungo silenzio, e
poi una voce stridula e concitata: — .... a parlar di calunnie e
d'intrighi, birbone che non è altro! Con che diritto? Con quali prove?
Come ha tanta faccia di accusare gli altri dopo quella birbonata del
settantasette? Come non capisce che un giorno o l'altro.... — Poi
daccapo una voce grassa e pacata: — .... in un involto di carta, oppure
dentro a un pezzo di tela, e lo mette in pentola: ma senz'acqua, badi!
e deve cuocere in quattro o cinque ore, a sola bragia, per effetto dei
vapori che si svolgono, e che restan lì chiusi: lei mangierà il miglior
lesso che sia mai stato assaggiato al mondo dacchè si parla di mangiare
e di bere....
*
* *
E tutti si fermano un minuto al muricciolo ad ammirare il tramonto.
Quando tutta la pianura è già nell'ombra turchina della sera, scendono
ancora per la valle del Chisone, per la valle di Luserna e per la
valle del Po, come per tre immense finestre, dei fasci di luce calda,
che rischiarano tre lunghissime striscie di campagna, indorando case,
boschi e torrenti. I monti bassi son già quasi neri; i monti alti d'un
azzurro cupo; le montagne altissime ancora chiare, d'un azzurrino
limpido, unito e dolce come l'acqua della grotta di Capri; e tutte
ornate a ponente di tante mantelline di seta rosea tempestate di
gemme e di stelle d'oro. Poi tutte queste mantelline s'accorciano,
si stringono, si riducono a una collana, non son più che un diamante,
svaniscono. Ultimo resta ancora il Monviso sotto la larga carezza del
sole. E il sole lo accarezza, — lo tocca, — lo lambe, — lo abbandona. E
allora tutta l'enorme catena bruna si intaglia violentemente nel cielo,
e lo squarcia e lo morde coi suoi mille archi acuti e con le sue mille
piramidi, disegnando nel fuoco una delle più belle e più formidabili
immagini di grandezza che sian mai balenate alla mente umana.
*
* *
A quell'ora i contadini tornan dal lavoro e i ragazzi e le vaccaie
dai pascoli. Da tutte le parti mi arrivan dei canti all'orecchio; quei
canti dei contadini piemontesi, così strani e tristi, cantati a voce
altissima, e strascicati con un lungo sforzo, come per farsi sentire
a grandissime distanze, e rotti da certi trilli gutturali, fiorettati
di certi vezzi, direi quasi, violenti, che fan soffermare per la
viottola il cittadino che passa, offeso nell'orecchio, e pure curioso
di risentirli. Alcune voci mi suonano vicine, delle voci femminili,
piene e poderose, che mi fanno immaginare delle grandi ragazze con la
bocca squarciata e col seno ansante; altre più vicine, di cui distinguo
le parole, una voce tremula, una canzone patetica, che comincia
_l'America è grande l'Italia è piccolina,_ e dice d'un mazzetto di
fiori che sarà portato a traverso all'Oceano; altre, lontanissime,
delle voci lunghe e dolenti, simili alle cantilene dei marinai e
alle grida degli spazzacamini, le quali s'avvicinano, si allontanano,
muoiono, e poi tornano a suonar più lontano; e pare che tutte quelle
voci si chiamino e si rispondano di qua e di là dal Lemina, e dalla
pianura alle colline; grida d'amore tradito, sospiri di miserie senza
speranze, addii a soldati lontani, e implorazioni di soccorso: cento
voci, la grande voce diffusa e stanca della campagna che si lamenta
delle fatiche mal compensate, dei balzelli, della leva, delle guerre,
e invoca il sonno consolatore.
*
* *
Tutt'a un tratto, un vento impetuoso che vien dall'Alpi disperde tutte
quelle voci. E allora, davanti a me, comincia la grande sommossa della
folla verde, agitata da mille idee e da mille passioni contrarie. È
un rimescolìo di tempesta: delle dispute appassionate di tigli che
s'insultano; delle denegazioni rabbiose di gelsi offesi che gridano;
no — no — mai, mai in eterno; — degli atti disperati e convulsi di
acacie atterrite; degl'impeti di furore di pioppi che si curvano
per far violenza ad alberelle sottili, le quali si arrovesciano e si
divincolano; e delle piccole mischie feroci d'alberelli che s'odiano,
e più in là un tentennìo lento di grandi alberi saggi che disapprovano
tutto quel sottosopra. A poco a poco, tutto si queta. Poi, da capo,
come al soppraggiungere improvviso d'una mala notizia, un nuovo scoppio
d'ira e di dolore, uno scatenamento di proteste e d'imprecazioni,
una disperazione, un dimenìo, un non volersi dar pace, un tumulto di
moltitudine minacciante, la quale pure, a grado a grado, si rabbonisce,
abbassa le braccia e la voce, si lascia quasi persuadere, s'acqueta a
certe condizioni, facendo ancora dei segni di dubbio, con un mormorìo
leggero di malcontento, per non parer troppo facile a contentarsi.
Quand'ecco, giunge un telegramma che smentisce tutto.... e allora
scoppia formidabilmente, per non più placarsi nè interrompersi, la
rivoluzione sociale.
*
* *
Allora, solo sul terrazzo, nell'oscurità che sale, flagellato dal
vento, come sul cassero d'un naviglio, mi godo tutto quel fragore
d'uragano, pieno di grida, di sibili, di gemiti, di parole dolorose,
che mi suonano all'orecchio come susurrate da spettri invisibili che
mi passino accanto di volo. Il fragore viene a ondate: sono urrà di
Eugenio di Savoia che si slancia all'assalto di Santa Brigida, urli dei
prigionieri del Saint-Mars flagellati, pianti dei fanciulli astigiani
sepolti nella torre degli Acaja, rantoli di cavorresi sgozzati sulla
rocca; e poi, dopo un breve mormorio sordo e come compresso, ecco, la
marchesa di Spigno scoppia in singhiozzi, i Valdesi cantano i salmi
della vittoria sulle vette d'Angrogna, i cannoni della Varaita tuonano,
gli emigranti mandano l'ultimo addio alla patria, trentamila grida
di gioia salutano il vincitore di San Quintino; tutto il passato si
ridesta e mi parla; tutti quei benedetti dolori, tutte quelle sante
gioie, tutta quella grande storia di sangue, di fuoco e di pianto, alla
quale io debbo la mia soddisfazione di quel momento: la soddisfazione
d'un italiano libero, che contempla i confini della sua patria libera,
sul finire d'una giornata operosa, nella quale scrivendo, ricevendo
saluti d'amici lontani, e scorrendo giornali e libri d'ogni provincia,
è vissuto un poco in tutte col pensiero e col cuore, e ha come sentito
sulla fronte il grande alito caldo della Madre comune.
*
* *
Intanto, s'è fatto notte; le finestre delle officine e delle caserme,
giù nel piano, son tutte accese, e qua e là, per i campi e sulle
colline, brillano pochi lumi, come occhi infiammati, che battan le
palpebre, sul punto di chiudersi al sonno. Allora, in quella oscurità
fitta, in cui le falde dei monti scompaiono, par che tutta la campagna
vastissima salga, e sia già falda delle Alpi; e le Alpi nere appaiono
immense sul cielo grigio, come le onde d'un mare prodigioso che si sia
levato per sommergere il mondo, e rimanga immobile lassù, minacciando.
Quelli sono i momenti in cui mi sento più incatenato ad ammirarle,
poichè non c'è più nulla sulla terra che distolga da loro gli occhi
o il pensiero. E le guardo, le adoro, le chiamo madri di soldati di
ferro e sorgenti eterne di poesia e di salute, terribili, bellissime
e buone, nostra alterezza, nostro amore, e nostra forza. E starei chi
sa quanto a parlar con loro, se a un certo momento non mi sentissi
quattro piccole mani sulle spalle e due voci leggiere negli orecchi,
che mi domandano: — Ebbene, che cosa fai qui? A che cosa pensi? — A
che cosa penso! Come ve lo posso dire? Penso a queste montagne che han
visto tante cose, a questo angolo d'Italia dove si è tanto sofferto
e combattuto, e ch'io vorrei far conoscere e amare da tutti, e che un
giorno potreste esser chiamati a difendere, anche voi due, miei cari
figliuoli. Voi non capite ancora queste cose; ma io scriverò un libro
nel quale ci sarà tutto, perchè lo leggiate poi fra molti anni, in
faccia alle Alpi; e lo intitolerò _Alle porte d'Italia_. — E provo un
grande piacere allora a udir gridare quelle quattro parole da quelle
due voci infantili, con un accento in cui si sente quasi un primo
fremito inconsapevole del più grande degli affetti; e m'immagino tutta
la loro generazione che le ripeta insieme a una voce, in un giorno di
pericolo, dei milioni di voci confuse in un grido amoroso e tremendo,
il quale passi sopra la patria come il soffio precursore della
vittoria.

FINE.
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