Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 20

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pubbliche feste, il popolo, che spesso sotto i balconi della sua casa
concorreva, lo voleva vedere; e volesse egli, o no, gli era forza il
mostrarsi, ed allora le acclamazioni e gli applausi non erano pochi,
tutti ad alta voce chiamandolo, (tanto è bella la virtù, che piace anche
ai nemici in un nemico) il bravo, il valoroso Francese. Ne' luoghi
pubblici, dov'ei compariva, gli facevano le affoltate intorno, non per
noiarlo, ma per fargli onoranza; e tanto si andò oltre con questo
occupamento della plebe londinese verso il conte di Grasse, che
pretendevano, e volevano che altri il credesse loro, che la fisonomia
del conte ritraesse dell'inglese; e gli fu giuocoforza, si lasciasse
fare il ritratto. Del quale se ne sparsero tostamente tante copie nel
contado, che chi non l'aveva, era tenuto scemo, o disamorevole. Fu
Rodney creato dal re Pari d'Inghilterra sotto il titolo di lord Rodney,
Hood Pari d'Irlanda, Drake e Affleck Baroni del regno.
In Francia intanto le novelle della rotta dei dodici aprile furono di
universale cordoglio cagione, tanto più grave, quanto stat'erano più
liete le passate speranze. I Francesi però durevoli nell'allegrezza,
trascorrevoli nella mestizia, ed animosi di natura tosto si
riconfortavano. Fu il Re il primo a dar l'esempio della fermezza.
Seguitavano gli altri. Comandò per rifornir i perduti, si fabbricassero
incontanente dodici vascelli tra di 110 cannoni, di 80 e di 74. Il conte
di Provenza, e quel d'Artesia, suoi fratelli, ne offerirono del loro
ciascuno uno di 80. Il principe di Condé uno ne offerse di 110 in nome
degli Stati di Borgogna. I Preposti de' mercanti, gli Schiavini e le sei
Capitudini de' mercanti della città di Parigi, i negozianti di
Marsiglia, di Bordeaux, di Lione si risolvettero anch'essi con
maravigliosa prontezza a somministrare allo Stato ciascuno una nave
della medesima portata. I ricevitori e gli appaltatori generali della
Camera pubblica, ed altri pubblicani offerirono, e fornirono somme di
pecunia di non poca importanza. Furono tutte queste esibizioni
accettate; ma non già quelle, che avevano fatte i particolari cittadini,
ai quali il Re, perchè la buona volontà dei già gravati popoli in
maggior aggravio loro non tornasse, fe' le somme offerte, o già donate
restituire. In cotal modo, per l'universale consentimento d'animi verso
la patria, verso il Re bene inclinati, si sopportò in Francia l'acerbità
della fortuna, si riparavano i passati danni, e le felici speranze
dell'avvenire si rinfrescavano.
Avendo noi sin qui raccontato in quale modo per un irreparabile
infortunio degl'Inglesi sia stata la guerra sulla terra-ferma d'America
terminata, e come altresì per una fatale sconfitta delle forze navali
della Francia sia veduta a conclusione nelle Antille, egli è oggimai
tempo, che da quelle lontane ragioni la mente rivocando, ci facciamo a
descrivere, qual fine ella abbia avuto là, dond'ella principalmente
procedeva, vogliam dire in queste più vicine contrade di Europa. Erano
gli occhi di tutti gli uomini rivolti all'assedio di Gibilterra. Nè non
aveva mai nè in quell'età, nè forse in molte superiori veduto Europa
tentarsi oppugnazione, che fosse di maggior aspettazione per la fortezza
di quella rocca, e per gli effetti importanti, che dal perderla, o dal
vincerla risultavano. Veleggiava Howe al soccorso di quella. Cadevano
nei discorsi degli uomini varj concetti. Alcuni confidandosi nell'ardire
e nel sapere britannici, e dalla felicità dei passati tentativi
all'esito del presente argomentando, pensavano, che l'impresa del
soccorso sarebbe a buon fine riuscita. Altri attendendo alle prepotenti
forze navali della lega, nell'industria, e nel valore di Don Luigi, e
del conte di Guichen, che le governavano, confidando, portavano una
contraria opinione. Chi si persuadeva, osservati gli straordinarj
preparamenti che stati erano fatti, e tuttavia si facevano dagli
assedianti, che fosse non che probabile, vicina la resa della piazza. E
chi per lo contrario credeva, considerata la fortezza del luogo, la
concinnità delle fortificazioni, ed il coraggio degli assediati, ch'ella
fosse non solo improbabile, ma impossibile. Tutti poi erano venuti in
questa opinione, che l'opera sarebbe riuscita dura, e che vi si sarebbe
sparso dentro molto sangue. Intanto la fama era corsa, e raccontando le
cose di Gibilterra aveva acceso nell'animo di tutti gli uomini valorosi
un ardentissimo desiderio di entrare a parte, od almeno di trovarsi
presenti, come spettatori di quelle onorate fazioni, che sotto di quelle
mura dovevano agli occhi degli uomini maravigliati rappresentarsi.
Quindi è, che non solo dalla Francia, e dalla Spagna i più riputati
personaggi per generosità, e per valore concorrevano a gara al campo di
San Rocco, e nel porto di Algesiras, ma ancora dall'Allemagna, e dalle
più lontane regioni del Settentrione. Nè tanto potè operar la barbarie
nelle vicine popolazioni delle coste africane, che non accorressero
anch'esse nei più propinqui lidi per poter di là l'inusitato spettacolo,
che soprastava, prospettare. Ogni cosa era in moto nel campo, nelle
flotte, negli arsenali dei confederati. Elliot dall'alto della rocca con
mirabile costanza aspettava il pericoloso assalto. Ma primachè quelle
cose raccontiamo degnissime invero di memoria, che seguirono, egli è
cosa necessaria, e, secondochè noi stimiamo, da non riuscir discara ai
nostri leggitori, l'andar descrivendo, qual fosse la natura de' luoghi,
e quali le fortificazioni dentro e fuori della rocca, e quali ancora
fossero gli apparecchiamenti, e le intenzioni degli assediatori. Ella è
la Fortezza di Gibilterra fondata sopra di una roccia, la quale a guisa
di lingua nata dalla terra-ferma di Spagna corre per lo spazio di una
lega da tramontana a ostro, e si termina in un puntazzo, che chiamano
punta d'Europa. La cima della roccia è alta a mille piedi sopra il pelo
dell'acqua del mare. Il suo lato di levante, quello cioè, che è volto
verso il mediterraneo, è tutto da una parte all'altra composto di un
vivo macigno, e talmente rupinoso ed erto, che non che altro, il salirvi
su è cosa del tutto impossibile. La punta d'Europa, fatta anch'essa di
vivo sasso s'abbassa, e termina in una spianata venti piedi alta sopra
l'acqua del mare, e quivi gl'Inglesi hanno piantato una batteria di
venti colubrine, che traggono di punto in bianco. Dalla punta d'Europa
indietro il promontorio s'allarga, ed alzandosi si distende poscia in
un'altra spianata, che sta a ridosso della prima. Questa seconda è
abbastanza grande, perchè i soldati vi possano fare per la difesa del
luogo tutte le loro mosse, armeggiamenti, ed uffizj militari; e siccome
la china è dolce, e ne sarebbe la salita agevole, così gl'Inglesi vi han
fatto tagliate, e procinti di mura qua e là, e circondato il ciglione
della spianata con un muro quindici piedi alto, e grosso altrettanti, e
munitissimo d'artiglierie. Oltreacciò hanno costrutto all'indentro della
spianata medesima un campo trincerato, ove come dentro una sicura
ritirata possano ripararsi, e rattestarsi, caso, che fossero dalle
esteriori difese cacciati. Da questo luogo havvi la via ad un altro più
alto e posto tra massi dirupati e scoscesi, dove avevano gli assediati
gli alloggiamenti loro piantato. Sul lato occidentale del promontorio a
riva il mare è fondata lunga e stretta la città di Gibilterra, che era
stata dall'ultima batteria data alla Fortezza quasi intieramente
distrutta. Ella è chiusa a ostro da un muro, a tramontana da una vecchia
bastita, che chiamano il castello de' Mori, e da fronte verso il mare da
un parapetto quindici piedi grosso, e munito da luogo a luogo di
batterie, che traggono a livello d'acqua. Dietro la città il monte si
innalza molto ben erto sino alla cima. Per maggiore sicurezza di questa
parte hanno anche gl'Inglesi due altre fortificazioni, che molto
s'inoltrano nel mare, fatte, l'una e l'altra guernite di formidabili
artiglierie. La prima posta a tramontana chiamano molo vecchio, la
seconda molo nuovo. Nè contenti a questo fecero avanti il molo vecchio,
ed il castello de' Mori un'altra bastita consistente in due bastioni
accortinati, la scarpa de' quali, ed il cammino coperto sono molto
difficili a minare, per esser contramminati ben per tutto.
L'intendimento di chi fece questa murata si fu per battere colle
artiglierie piantate in essa, e spezzare quella stretta striscia di
terra, che corre tra il mare e la roccia, e per la quale si ha l'adito
dalla terra-ferma di Spagna alla Fortezza. Più in là fu per mezzo di
argini, e di cateratte introdotta l'acqua del mare, e formatosene una
laguna, o marese, che molto aggiugne alla fortezza del luogo. La roccia
finalmente la quale è a tramontana, che è quanto a dire dalla parte di
Spagna, più alta, che in qualunque altro luogo, fronteggia il campo di
San Rocco, ed è munita ne' luoghi più acconci di una maravigliosa
quantità di batterie, che sopraggiudicano le une le altre, e traggono a
cavaliere sopra il campo spagnuolo. In questo modo tutta quella mole era
ridotta a Fortezza molto sicura. Tra quel risalto, che fa il promontorio
di Gibilterra e la costa di Spagna, havvi dall'altra parte verso ponente
una profonda tacca, dentro la quale ingolfandosi il mare forma quel
seno, che chiamano il golfo di Gibilterra, o d'Algesiras. Il porto poi,
e la città d'Algesiras sono posti sulla occidentale riva di questo golfo
rimpetto Gibilterra. Il presidio, che vi era dentro, sommava a poco più
di settemila soldati, e circa dugento cinquanta uffiziali. Tal era la
natura di questa rocca, contro la quale la Monarchia spagnuola, come in
una impresa studiosamente presa a gara, e vicinamente spettante all'onor
della Corona, aveva gran parte delle forze sue adunato, aiutata ancora
dai possenti rinforzi della Francia. I due Re confederati credevano, che
nell'acquisto di quella consistesse la perfezione della guerra; e perchè
la espugnazione far si potesse con riputazione e sicurtà maggiore, le fu
preposto il duca di Crillon tanto risplendente per la recente vittoria,
sperando tutti, che il conquistatore di Minorca avesse ad essere il
vincitore di Gibilterra. I preparamenti poi per avanzare la oppugnazione
erano non solo grandi, ma maravigliosi, e sin là inuditi. Più di dodici
centinaia di cannoni de' più grossi stavano pronti a fulminar da
ogn'intorno la piazza, e tanta era la quantità della polvere, che se ne
avevano ottantatremila bariglioni; delle palle e delle bombe
all'avvenante. Quaranta piatte con grosse artiglierie, la metà
altrettante con enormi bombarde stavano in punto per noiar il presidio
dalla parte del golfo, ed a queste dovevano e protezione, e maggior
forza dare con terribile apparato cinquanta navi d'alto bordo, dodici
francesi, le altre spagnuole. Altri legni più leggieri, come sarebbe a
dire fregate e simili, s'erano a questi più gravi frammescolati, perchè
potessero e soccorrere, e ministrare, ove d'uopo fosse, gli altri, e
ficcarsi più vicini ne' luoghi più opportuni, ed ove la occasione si
discoprisse, alla Fortezza. Oltreacciò più di trecento battelli s'eran
fatti venire da tutte le parti della Spagna, i quali giunti a quelli,
che già sì trovavano in Algesiras, erano una moltitudine infinita.
S'intendeva che questi dovessero, durante l'assalto, che si sarebbe
dato, somministrare alle navi da guerra il bisognevole, e sbarcare le
genti, tostochè fosse la Fortezza smantellata. Nè minori erano gli
apparecchj, che si erano fatti dalla parte di terra, di quello che si
fossero quei del mare. Eransi gli Spagnuoli già fatti avanti colle
zappe, ed avevano la circonvallazione loro compiuta, e rizzatovi su, con
una quantità maravigliosa di cannoni, numerosissime batterie. Per
infondere poi, se non maggior coraggio, del quale non mancavano, agli
Spagnuoli, ma più vivi spiriti tanto necessarj alla bisogna di un
assalto, s'erano fatti venire al campo di San Rocco dodicimila eletti
Francesi. Considerata la smisurata copia degl'istromenti di
oppugnazione, che si avevano in pronto, e la tostanezza dei soldati, i
Capi dell'assedio desiderosissimi di vedere il fine dell'impresa erano
in tanta confidenza venuti, che già avevano tra di loro posto in
deliberazione, se si dovesse, senza più oltre badare, andar all'assalto.
S'erano fisso in mente, che nel medesimo tempo, in cui le genti da terra
avrebbero assaltato la Fortezza dalla parte dell'istmo, il navilio la
battesse d'ogni intorno da quella del mare. Speravano in tal modo, che
la guernigione già non troppo numerosa, oltre il numero dei morti e dei
feriti, pel quale stata sarebbe infievolita, dovendo fronteggiare e
difendersi da tante parti, ne sarebbe aperta la via ad una onorata
vittoria. La perdita di alcune migliaia d'uomini, e quella di parecchie
navi di fila stimavano leggier cosa, purchè un sì prezioso frutto si
cogliesse. Ma i più savj e più prudenti capitani mantennero, che
quest'era un partito non che pericoloso, temerario. Osservarono, che
dalla parte di terra, finchè non si fossero levate le difese alla
piazza, il tentar l'assalto sarebbe un mandar i soldati ad una certa
morte senza nissuna speranza di vittoria; e che da quella del mare le
navi ne sarebbero state dalle artiglierie della Fortezza guaste e
distrutte, primachè avessero potuto fare sopra di quelle impressione di
sorta alcuna. S'avvedevano ottimamente, che, se era impossibile, come
appareva, vincer la rocca assaltandola solamente dalla parte di terra,
così da un altro canto non si poteva sperare di poterla battere con
frutto dalla parte del mare, se non si avessero in pronto navi, le quali
meglio che le ordinarie, potessero ai colpi delle artiglierie resistere.
Imperciocchè con breve assalto non era la Fortezza vincevole; un lungo
era impossibile per la subita distruzione delle navi. Per rimediare a sì
fatto pericolo, e porre in grado gli assediatori a poter durare anche
per la parte del mare con una lunga battaglia contro la Fortezza, varie
e moltiplicate furono le invenzioni degli uomini ingegnosi, i quali a sì
gloriosa impresa avevano gl'intelletti loro aguzzati. Tutte furono con
somma diligenza esaminate. Molte furono poste in disparte, come
insufficienti; nissuna come di troppa spesa. Infine dopo molte consulte
si approvò, e si convenne di trar ad esecuzione il trovato, per verità
assai sottile e magnifico del signor d'Arçon, colonnello del corpo reale
degl'ingegneri francesi. Questo fu la costruzione di certe macchine
molto mirabili, che chiamarono batterie galleggianti, le quali non
potessero nè essere rotte dalle palle fredde, nè accese dalle roventi.
Il primo di questi fini si doveva conseguire per la straordinaria
grossezza delle pareti di esse batterie, il secondo per mezzo di un
invoglio, che tutte le rivestisse dalle parti, donde potevano venir i
tiri, il quale consisteva in una coperta di grossissime travi, e di una
grossa lama di sughero, il quale per essere stato lungamente immerso
nell'acqua era, non che umido, inzuppato. Oltreacciò vi s'era racchiusa
dentro, come quasi un grosso velo, in tutta la larghezza di essa
coperta, una falda di sabbia bagnata. E tutte queste cose non
soddisfacendo ancora l'animo dell'ingegnoso inventore, per render le sue
macchine più sicure contro il pericolo dell'incendio, ebbe con
maraviglioso magistero operato, che un'agevole circolazione di acqua si
potesse per tutte le parti loro incessantemente stabilire. Conciossiachè
fossero esse per ogni dove perforate, e per questi canali interiori, o
docce per mezzo di numerose e larghe trombe, che dentro del mare
pescavano, si poteva, non altrimenti, che nel corpo umano il
sangue per mezzo del cuore viene spinto in tutte le vene, fare
abbondevolissimamente l'acqua salire e trascorrere. Quindi è, che se
fosse avvenuto, che una palla rovente fosse penetrata all'indentro,
rompendo essa una, o più docce faceva di modo, che si spargesse a copia
l'acqua tutto all'intorno della medesima, e sì la spegnesse;
maraviglioso ordigno, che operava in guisa, che il male stesso fosse
causa del suo rimedio. Perchè poi le macchine fossero preservate
dall'impeto delle bombe, ed i soldati, che dovevano le artiglierie loro
ministrare, dalla scaglia e dalle palle difesi, le aveva d'Arçon fatte
coprire con un tetto accomignolato, pel quale sdrucciolando le bombe
andassero, senza far alcun danno, a cader nel mare. Era il tetto alla
restante macchina annodato per mezzo di certi ingegni, che il rendevano
muovevole, in guisa che si poteva esso più, o meno a volontà di chi
governava, e secondo il bisogno, inclinare. Era composto di cordoni
reticolati, ricoperti di cuoi lavorati a posta, e bagnati. Tutto questo
macchinamento stava fondato sopra gli scafi di grosse navi di portata da
secento a quattordici centinaia di botti, alle quali a quest'uopo erano
stati tolti tutti gli attrazzi, ed ogni specie di armamento. Erano
queste batterie galleggianti dieci, e portavano tra tutte cencinquanta
quattro grossissimi pezzi di cannoni, tutti rizzati in sulle batterie
loro, oltre la metà altrettanti tenuti in riserbo per gli scambj. La
sola Pastora, che era la capitana, ne aveva ventiquattro sulla batteria
e dodici in riserbo. La Tagliapiedra, capitanata dal Principe di Nassau,
e la Paula, che così chiamavano due altre delle più gagliarde, ne
avevano poco meno. E perchè per le morti o le ferite non potessero venir
meno gli artiglieri, si erano posti trentasei di questi sì Spagnuoli,
che Francesi al maneggiamento di ciascun pezzo. Il governo di tutto
questo navilio era stato commesso all'ammiraglio Don Moreno, capitano
esperto e forte, la cui opera era stata di molta utilità nelle cose di
Minorca. E comechè queste navi di trovato novissimo e per le materie,
colle quali erano formate, e per la grandezza loro, e per la
straordinaria quantità delle artiglierie, che portavano, fossero
pesantissime, ciò nondimeno, tal era la maestria della costruzione loro,
erano veleggiatrici leggieri, e come se fregate fossero, veloci e
maneggevoli.
Essendo in tale modo tutti gli apparecchiamenti al fine loro condotti,
ed ogni cosa in assetto, e credendosi se non da tutti, certo dalla
maggior parte non che probabile, sicura la presa della Fortezza,
allorquando le si desse l'assalto, arrivarono verso mezzo agosto
all'oste i due Principi francesi il conte d'Artesia, ed il duca di
Borbone. Ciò fu fatto studiosamente per dar maggior animo agli
assedianti, e perchè potessero i principi côrre il frutto essi stessi dì
sì gloriosa vittoria. E certo, se al loro giugnere al campo si
rallegrassero, e di nuovo ardire si accendessero tutti, massimamente i
Francesi, nissuno il domandi. Pareva loro mill'anni, che non
incominciassero il fatto; ed avevano meglio di freno, che di sprone
bisogno. Tanto erano vive le speranze, che si erano concette, che il
duca di Crillon ne fu stimato cauto, ed anzi timido, che nè, per aver
detto, che fra quindici giorni sarebbe stato padrone della Fortezza. La
volevano pigliare in ventiquattr'ore. Fu la venuta dei Principi francesi
accompagnata da ogni sorta di gentilezze. Teneva il conte d'Artesia con
ispesa infinita gran tavola, e sì gran cortigianie usava, che pareva,
che i modi parigini, e gli usi della Corte di Francia fossero stati ad
un tratto in mezzo alla rozzezza dei campi, ed al romore dell'armi
trasportati. Nè solo queste cortesie si usavano verso gli amici, ma
seguendo il costume di quel secolo tanto ingentilito, anche verso i
nemici. Avevano gli Spagnuoli intrapreso un plico di lettere indiritte
agli uffiziali della guernigione di Gibilterra, e le avevano portate in
Corte a Madrid, dove si tenevano in serbo. Queste il conte d'Artesia
ottenne dal Re Cattolico, e giunto al campo le ebbe al loro ricapito
mandate. Pel medesimo procaccio il duca di Crillon scrisse al generale
Elliot, dell'arrivo dei principi ragguagliandolo, e da parte loro
assicurandolo, in quanto pregio eglino tenessero e la persona, e la
virtù sua. Richiedevalo, ed instantemente pregavalo, fosse contento di
accettare un presente di frutta, e d'ortaggi, che per uso suo proprio
gli mandava; siccome pure un po' di ghiaccio, ed alcune altre delicature
pe' gentiluomini della sua casa. Pregavalo in ultimo luogo, che siccome
non gli era nascoso, ch'ei si nutriva unicamente d'erbaggi, così gli
piacesse d'informarlo, quali specie meglio amasse, per poternelo
regolatamente, e giornalmente fornire. Rendette Elliot colla sua
risposta cortesia per cortesia, molto il duca, ed i principi
dell'amorevolezza loro ringraziando. Fece quindi a sapere al primo, che
accettando il presente di lui, erasi scostato dalla determinazione, la
quale si aveva fisso nell'animo, di niuna cosa consumare, e nissuna
comodità a sè medesimo procurare, che gli altri suoi commilitoni non
potessero usare o procurarsi. Concluse con dire, ch'ei credeva, che al
suo onore si appartenesse, che ogni cosa, e così l'abbondanza, come la
carestia fossero a lui, ed a' suoi soldati anche negli ultimi gradi
constituiti, comuni. Pregollo finalmente, non mandasse più oltre
presenti, poichè non avrebbe potuto all'avvenire usargli per sè stesso.
Furono queste proposte e risposte molto degne e di quei che le fecero, e
de' principi, ch'ei rappresentavano.
Fattesi dall'un canto e dall'altro tutte queste cortesie dicevoli alla
pace, si pose tosto mano alle orribilità della guerra. Era fin là Elliot
stato quasi inoperoso a rimirare i preparamenti degli alleati, e veduto,
ch'ebbe spuntare nel porto di Algesiras quelle enormi moli delle
batterie galleggianti, se nulla rimesse della sua costanza, fu nondimeno
commosso a non poca maraviglia. E non sapendo quale avesse ad essere
l'effetto loro, molto se ne stava dubbio e sospeso. Faceva però da parte
sua tutti quegli apparecchj, che per un uomo prudentissimo si potevano
fare, e di tutte quelle difese si forniva, che meglio credeva, fossero
atte a potere l'impeto loro frastornare. E tanto ei si confidava nella
fortezza del luogo, e nella virtù de' suoi, che in niun modo dubitava
del finale esito della contesa. Per dimostrar poi al nemico, che egli
era vivo, invece di aspettar l'assalto si recò in sull'assaltare.
Avevano gli assedianti, con incredibile celerità lavorando, condotto a
perfezione le trincee dalla parte di terra, e già molto si avvicinavano
alle falde della Rocca. Volle Elliot pruovarsi, se le potesse guastare.
Perciò la mattina degli otto settembre ei piovve contro di quelle una sì
sfolgorata quantità di palle roventi, di bombe, e di carcasse, che fu
cosa maravigliosa. Alle dieci già la batteria detta di Maoone era tutta
in fiamme; i magazzini, i carretti dei cannoni, gli assiti delle loro
piazzuole, ed i gabbioni in più di cinquanta luoghi, spaventevole
spettacolo, ardevano. Le traverse, massime sulla punta orientale della
circonvallazione, il parapetto, le trincee furono in gran parte
distrutte. E non fu senza gran fatica, e grave perdita di soldati, che
venne fatto agli assedianti di spegnere il fuoco, e d'impedire la totale
rovina delle opere loro. Si risentì il duca di Crillon gravemente, e
l'indomani, risarciti avendo la notte con prestezza maravigliosa i
danni, fe' scoprire tutte le sue batterie, ch'erano cento novantatre
bocche da fuoco, e battè con inestimabile furia le fortificazioni
degl'Inglesi, così quelle della montagna, come quelle di sotto. Nello
stesso tempo una parte della flotta, giovandosi di un favorevole vento,
e lentamente movendosi, andò traendo contro il nuovo molo, ed i bastioni
vicini; poscia non fu sì tosto arrivata alla punta d'Europa, che ivi
schieratasi in ordinanza diè una feroce stretta alle batterie, che la
difendevano. Ma poco nocumento provarono da tante, e sì furiose
battaglie gli assediati. Succedè per pochi dì un silenzio di guerra, il
quale doveva per una sanguinosa battaglia rompersi. Era il giorno
tredici di settembre destinato dai cieli ad una fazione, della quale non
si legge nelle storie nè la più aspra pel valore dimostrato da ambe le
parti, nè la più singolare per la qualità delle armi, nè la più
terribile, mentre durava, nè la più gloriosa per la umanità mostrata dai
vincitori dopo l'evento. Essendo già la stagione divenuta tarda, e
temendo i confederati, che l'Howe, il quale si avvicinava, non riuscisse
a rinfrescar la Fortezza, si risolvettero a non mettere più tempo in
mezzo per mandar ad effetto quell'assalto, che avevano in animo di
darle. Era il disegno loro, che e le batterie di terra, e le
galleggianti, e la flotta, e le piatte armate, fulminassero tutte al
medesimo tempo la piazza. Avevano di modo ordinato la cosa, che mentre
dal campo di San Rocco si traesse furiosamente contro gli assediati in
arcata, acciò le palle di rimbalzo e di rimando non gli lasciassero
stare ai posti loro, le batterie galleggianti andassero ad arringarsi
lungo il muro, che fronteggia il golfo, distendendosi dal molo vecchio
sino al nuovo. In questo mezzo le piatte, o sia le barche armate di
cannoni e di bombarde, postesi alle due ali della fila di queste
batterie galleggianti, dovevano tirar di fianco contro le batterie
inglesi, le quali difendevano quelle fortificazioni, che sono a riva il
mare. L'armata intanto, aggirandosi qua e là, avrebbe questa, o quella
parte noiato, secondochè pei venti, e per le circostanze della battaglia
si sarebbe potuto più convenientemente eseguire. In cotal modo in uno e
medesimo punto quattrocento bocche da fuoco, senza far conto delle
artiglierie dell'armata, avrebbero battuto la piazza. Dal canto suo
aveva Elliot ogni cosa preparato alla difesa necessaria. Erano i soldati
alle guardie loro, gli artiglieri colle corde accese presso i cannoni;
ed un numero maraviglioso di fornaci ardevano per infuocare le palle.
Alle sette della mattina le dieci batterie galleggianti condotte da Don
Moreno si muovevano. Alle nove arrivavano, e parallele si attelavano
alle mura della Fortezza, comprendendo lo spazio dal vecchio al nuovo
molo. La capitana di Don Moreno si pose a fronte del bastione del Re;
poscia a diritta, ed a stanca della medesima si arringarono le altre con
grandi ed ordine e costanza. S'incominciò allora da ambe le parti a por
mano allo sparar delle artiglierie con uno schianto, ed un romore
orrendo. Dalla terra, dal mare, dalla roccia fioccavano a copia le
palle, le bombe, le carcasse; ma terribil era soprattutto l'effetto
delle palle roventi, delle quali sì spessa grandine saettò Elliot, che
parve a tutti, ed ai nemici stessi cosa maravigliosa. E siccome le
batterie galleggianti erano quelle delle quali come di cosa nuova, e non
bene conosciuta stavano gli assediati in maggiore apprensione, così
contro di queste, come ad un comune bersaglio dirizzavano essi la mira
dei colpi loro. Ma queste, tal era l'eccellenza della costruzione loro,
non solo efficacemente resistevano, ma rendendo fuoco per fuoco, furia
per furia, già avevano non poco danno operato nelle mura del vecchio
molo. Folgoravano con eguale forza e assediati e assedianti, e stette un
pezzo dubbia la vittoria. Infine verso le tre ore meriggiane certi
fumaiuoli si scopersero sopra il tetto delle due batterie galleggianti
la Pastora, e la Tagliapiedra. Questi erano causati da alcune palle
roventi, che penetrate molto indentro nelle pareti, non avevano potuto
essere spente dal versamento dell'acqua fatto dagli artifiziali
doccioni, ed avevano alle vicine parti il fuoco appiccato. Questo
covando, ed appoco appoco serpeggiando, continuamente si allargava.
Vedevansi allora acquaiuoli, i quali con non poca prestezza, ed evidente
pericolo della vita loro operando, si affaticavano in versar acqua nelle
buche fatte dalle palle, per ispegnervi il distendentesi fuoco. Tra per
l'opera loro, e per l'effetto dei sifoni, tanto si contenne il medesimo,
che le batterie continuarono a stare, ed a trarre sino alla sera. Quando
poi incominciava ad annottare, era l'incendio sì cresciuto, che non solo
era molta la confusione in esse, ma ancora il disordine si era in tutta
la fila sparso. Allora, rallentandosi notabilmente il loro trarre,
quello della Fortezza venne a sopravanzare. Elliot sempre più
s'infiammava nella battaglia, e spesseggiava co' tiri. Si continuò a
scaricar tutta la notte. La mattina ad un'ora le due batterie ardevano.
Le altre parimente, o per l'effetto delle palle roventi, o perchè gli
Spagnuoli, come scrissero, disperati di poterle salvare, avessero a
bella posta appiccato il fuoco, erano in fiamme. Ora il perturbamento, e
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