Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 09

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prima che avesse l'esercito intiero, ma per mostrare intanto a
Cornwallis ed ai libertini della provincia, che egli era vivo ed abile
all'osteggiare. Poneva gli alloggiamenti sulla sinistra riva, e molto in
su presso le fonti dell'Haw per evitar la necessità del combattere.
Cornwallis, udito, che le armi di Greene si facevano di nuovo sentire
nella Carolina, abbandonando Hillsborough, e passando l'Haw più sotto,
andò a porsi presso l'Allemance-creek, facendo correre i cavalli di
Tarleton fino al fiume Deep. Così i due eserciti si trovavano molto
vicini, e solo separati dal fiume Haw. Seguivano spesse scaramucce, tra
le quali una ne avvenne di non poca importanza, nella quale Tarleton fe'
gran danno nella legione di Lee, ai montanari ed alle milizie del
capitano Preston. Si andarono per lo spazio di molti dì i due nemici
capitani con molta maestria volteggiando, l'Americano per ischivar la
battaglia, l'Inglese per farla; nel che tanto fu avventurato, od esperto
Greene, che ottenne l'intento suo. Infine avendo egli verso la metà di
marzo messo in assetto nuove genti, massimamente stanziali e bande
paesane della Virginia condotte dal generale Lawson, ed alcune milizie
caroliniane guidate dai generali Butler, e Eaton, fatto confidente, si
determinò a non voler più sfuggir l'incontro, ma per lo contrario a
combattere coi nemici a bandiere spiegate in una terminativa battaglia.
Si spinse perciò innanzi con tutte le genti, ed andò a piantar gli
alloggiamenti a Guilford-courthouse. Argomentava, che siccome prevaleva
di numero di soldati, e principalmente di cavalli, la sconfitta dei suoi
non avrebbe potuto essere totale, nè irreparabile; e che il più
pernizioso effetto, che avrebbe operato, stato sarebbe quello d'indurre
la necessità di ritirarsi un'altra volta nella Virginia, dove avrebbe
potuto agevolmente rifar l'esercito. Considerava ancora, che le milizie,
le quali abbondavano nel campo, si disbanderebbero prontamente, se non
fossero usate tosto, e durante il primo calore degli animi loro. Da
un'altra parte, se gl'Inglesi rimanevano perdenti, lontani dalle navi
loro, in mezzo ad un paese tanto avverso, impossibilitati alla ritirata,
ne sarebbe stato l'esercito loro conculcato e disfatto. Certo nella
vicina battaglia mettevano più gran posta gl'Inglesi, che gli Americani.
Cornwallis dal canto suo si accorgeva ottimamente, che il rimaner più
lungo tempo in que' luoghi con un esercito nemico sì possente da fronte,
e coi popoli all'intorno o freddi, o titubanti, o avversi non era più
oltre cosa possibile ad eseguirsi. La ritirata poi, oltrechè sarebbe
riuscita d'infinito pregiudizio agl'interessi del Re, doveva riputarsi
pericolosissima, per non dire del tutto impraticabile. I suoi soldati
erano veterani valentissimi, usi a tutte le arti, ed a tutti i pericoli
della guerra, e già nudriti in tante vittorie. Perilchè, non lasciato
luogo a dubitazione alcuna, scegliendo fra tutti il partito, se non il
meno pericoloso, certo il più onorevole, avviò tosto il suo esercito
alla volta di Guilford con animo di por fine una volta a tanti indugi,
ed a tante giravolte con una giusta e determinativa battaglia. Per
essere più spedito, e per precauzione in caso di sconfitta, mandò il
carreggio colle bagaglie con una grossa scorta sino a Bell's-mills,
luogo situato sul fiume Deep. Greene anch'esso, dirizzate prima le
salmerie a Ironworks a dieci miglia distante alle spalle, aspettava la
battaglia. L'uno e l'altro mandavano avanti gli stracorridori per
pigliar lingua. S'incontrarono nello spazio tra mezzo i due eserciti
quei di Tarleton con quei di Lee, e ne seguì un feroce affrontamento.
Dapprima la fortuna inclinava a favore di Lee, poscia cresciuti di
numero gl'Inglesi, superò Tarleton. Lee si ritirava di nuovo al campo.
In questo mentre l'uno e l'altro esercito si apparecchiava a far la
giornata. Vi erano nell'Americano da seimila uomini, la maggior parte
milizie della Virginia, e della Carolina Settentrionale, il rimanente
stanziali virginiani, marilandesi e delawariani. Gl'Inglesi, inclusi
anche gli Essiani, sommavano a un dipresso a duemila quattrocento
soldati. Era la contrada tutto all'intorno una boschereccia
selvatichezza interrotta qua e là da campestri campi. Una collina dolce
e boscata s'attraversava, e molto dall'una parte e dall'altra si
continuava della strada maestra, che guida da Salisbury a Guilford. La
strada stessa passava per mezzo la selva. Da fronte, e prima che si
arrivasse a piè della collina, v'era un campo largo seicento passi.
Dietro la selva, tra il suo cisale posteriore, e le case di Guilford si
distendeva un altro campo spedito, molto acconcio a volteggiarvi dentro
i soldati. Questa collina selvosa, e questo campo aveva Greene empiuto
di genti, e, fatto ivi il suo alloggiamento fermo, intendeva di
combattere la vicina battaglia. Aveva egli nel seguente modo assembrato
i suoi soldati. Erano partiti in tre schiere. La prima composta di bande
paesane della Carolina Settentrionale guidata da Butler, e da Eaton si
era fermata alle falde della collina sull'anteriore orlo della selva, ed
aveva a petto una folta siepe. Due bocche da fuoco guardavano la strada
maestra. La seconda consistente in milizie virginiane, e governata da
Stephens, e da Lawson erasi attelata dietro, e parallela alla prima
dentro il bosco, forse ottocento passi distante. Gli stanziali poi sotto
il generale Huger, ed il colonnello Williams si erano fermati nel campo
frapposto tra la selva e Guilford, dove potevano adoperarsi e mostrare
la loro virtù. Due altre bocche da fuoco arringate sopra un poggio a
lato loro erano pronte a spazzar la strada. Il colonnello Washington
cogli uomini d'arme, e con alcuni fanti leggieri, ed i corridori di
Linch assicurava il fianco destro, il colonnello Lee con altri fanti
leggieri, ed i corridori di Campbell il sinistro. Ma Cornwallis
disponeva le sue genti di modo, che il generale Leslie con un reggimento
inglese, ed il reggimento essiano di Bose occupassero la diritta della
sua prima fila; ed il colonnello Webster con due colonnelli di soldati
inglesi la sinistra. Un battaglione delle guardie formava un poco di
retroguardo ai primi, ed il generale O-hara con un altro al secondo.
L'artiglierie, e gli uomini d'arme marciavano stretti sulla calpestata.
Tarleton colla sua legione arringatosi sulla medesima tenne ordine di
non muoversi, se non in caso di estremo bisogno, fino a che le fanterie,
superato il bosco, spinte si fossero nel campo posteriore, dove la
cavalleria avrebbe potuto a posta sua armeggiare. Incominciava la
battaglia coll'allumarsi da ambe le parti le artiglierie, che non poco
diradarono le file. Poscia gl'Inglesi, lasciate indietro le artiglierie,
si spinsero avanti, traversando scoperti, ed esposti ai colpi del
nemico, il campo anteriore. Le milizie caroliniane senza far motto gli
lasciarono approssimare, poscia trassero. Gl'Inglesi, fatto una prima
scarica, si avventaron correndo colle baionette. Fecero i Caroliniani
cattivissima sperienza. Senza aspettar l'urto del nemico, nonostante la
fortezza del sito loro, abbandonarono la zuffa, e si misero
vergognosamente in fuga. I Capi gli confortarono invano per far loro
riassumere gli ordini, e per rannodargli. Così dette piega, ed andò in
fuga il primo stuolo americano. Stevens, veduta la rotta irreparabile
dei Caroliniani, perchè i suoi non ne sbigottissero, diè voce, che
quelli tenevano ordine, tosto fatti i primi spari, di ritirarsi. Aprì
quindi le sue file per dar luogo ai fuggiaschi, le passassero; poi le
richiuse. Sopraggiunsero gl'Inglesi, e si attaccarono coi Virginiani. Ma
questi sostennero francamente la pugna, e vi fu che fare assai, prima
che volessero cedere il luogo. Finalmente piegarono, e si ritirarono
anch'essi, non senza qualche disordine nelle file, verso gli stanziali.
Intanto tra per l'effetto della battaglia, e quello dell'inegualità del
terreno e della spessezza del bosco si era la schiera inglese anch'essa
disordinata, ed aperta in varj luoghi. Perilchè i capitani, fatti venir
avanti i due dietroguardi, riempirono con questi gli spazj vuoti. Tutta
la schiera allora, passato il bosco, ed arrivata nel campo posteriore,
si lanciava contro gli stanziali. Ma questi asserrati sostennero
l'impeto del nemico valorosamente. Ciascuno di loro dimostrava
egregiamente la sua virtù, sicchè stette per un pezzo la vittoria
dubbia, a quale delle parti dovesse inclinare. Sulla sinistra loro
Leslie trovò sì feroce incontro negli stanziali, che fu costretto a
ritirarsi dietro una fondura, e quivi star aspettando le novelle di
quello, che fosse accaduto in altre parti. Ma nel mezzo vi era gran
pressa, e si travagliava aspramente. Il colonnello Steewart col secondo
battaglione delle guardie, ed una mano di granatieri valorosissimamente
combattendo aveva fatto volger le spalle, e preso due cannoni ai
Delawariani. Ma i Marilandesi valentissimi vennero rattamente alla
riscossa, e non solo ristorarono la battaglia, ma fecero barcollar
gl'Inglesi. Sopraggiungeva in questo mentre il colonnello Washington
colla cavalleria, ed urtati ferocemente i regj, gli metteva in manifesta
fuga, gli tagliava a pezzi, ripigliava i cannoni. Ne furono sperperati,
e quasi morti tutti i soldati di Steewart. Egli stesso ne rimase ucciso.
In questo punto l'evento della giornata pendeva da un sol filo; e se gli
Americani avessero, seguendo la fortuna loro, tutto quello che dovevan
fare, fatto, tutto l'esercito inglese era spacciato. Se tosto rotto le
guardie, e morto Steewart, occupato avessero un poggio, che giace a lato
la strada maestra sull'orlo posteriore del bosco, e munito
d'artiglierie, avrebbero probabilmente rimosso ogni dubbio della
vittoria. Imperciocchè in tale caso non avrebbero potuto gl'Inglesi
rinfrescarsi in quella parte di nuove arme e di nuovi combattitori, ne
sarebbe stata separata l'ala loro sinistra dalla mezzana e dalla
diritta, e le sbaragliate guardie non avrebbero avuto comodità di
riaversi e di riordinarsi. Ma gli Americani contenti a quello, che sin
là avevan fatto, in luogo d'impadronirsi del poggio, andarono a
ripigliare i posti, che avevano prima che si scagliassero contro
gl'Inglesi. Quindi avvenne, che il tenente inglese Macleod, veduto il
bello, si spinse avanti colle artiglierie, e, collocatele in su quel
medesimo poggio, potè ferire aspramente da fronte gli stanziali
americani. I granatieri ed un altro colonnello inglese comparvero sulla
destra dentro il campo, e spintisi avanti percossero anch'essi con
grand'impeto in quelli. Nell'istesso tempo spuntò sulla sinistra
un'altra insegna di stanziali inglesi, e Tarleton arrivò spazzando colla
sua legione. O-hara intanto, avvengadiochè fosse ferito sconciamente,
aveva riordinato le sbattute e sconfitte guardie. Tutte queste genti
mandate ed arrivate in fretta dalle due ali, e dal mezzo in aiuto, e per
riparare alla rotta della mezzana e prima schiera, produssero quegli
effetti che se ne dovevano aspettare. Gli stanziali americani, sopra i
quali era restato tutto il pondo del fatto, assaliti da tante parti,
cominciarono a rimettere del primo impeto, e ad uscire dalla battaglia,
quantunque ordinati, minaccevoli ed attestati. Lasciarono sul campo non
solo i due pezzi di artiglieria, che avevano di fresco riconquistati, ma
ancora due altri in poter del nemico. Webster allora ricongiunse l'ala
sua a quella di mezzo, e, fatto nuovo impeto contro l'estrema ala dritta
di Greene, agevolmente la fugò. Cornwallis si astenne dal far seguitare
dalla cavalleria di Tarleton gli Americani che si ritiravano, perchè di
quella gliene faceva mestiero in altra parte. Si erano attaccate l'ala
dritta inglese colla stanca americana; e quantunque il reggimento
essiano di Bose, condotto dal signor de Buy, il quale in quel dì
combattè con molto valore, e le altre genti inglesi avessero il
vantaggio, tuttavia gli Americani facevano un'aspra contesa. E siccome
il terreno era disuguale ed ingombro di boscaglie, e che le milizie
erano molto atte al combattere alla leggiera, così non potevano i primi
venirne a capo. Fugate ritornavano, cacciate si rimpiattavano, rotte si
rattestavano. In mezzo a questa battaglia sparsa, o per meglio dire
moltitudine di parziali abboccamenti sopraggiunse battendo Tarleton, il
quale girato intorno alla punta dell'ala dritta de' suoi, e nascosto in
mezzo al fumo delle armi loro, imperciocchè a questo fine avevano tratto
tutti ad una volta, urtò l'inimico contrastante, e rottolo gli fece
votar le stanze in ogni parte. Le milizie s'inselvarono. Così furon
liberati gli Essiani da quella lunga, e fin là inestricabile avvisaglia.
In questa maniera fu posto fine all'ostinata e molto varia battaglia di
Guilford, la quale si combattè addì quindici di marzo. Vi perdettero gli
Americani tra morti, feriti, prigionieri e smarriti meglio di tredici
centinaia di soldati. Pochi furono i prigionieri. La più parte de'
feriti si annoverarono tra gli stanziali; i dissipati per la fuga, e
tornati alle loro case fra le milizie. Huger e Stevens furono tra i
feriti. La perdita degl'Inglesi fu in proporzione del numero loro
maggiore, sommando i morti ed i feriti gravemente a più di seicento
ottimi soldati. Oltre Steewart sopraddetto, morì con forte rammarico
loro Webster. Howard e O-hara, che tenevano i primi luoghi nell'esercito
regio, siccome pure Tarleton, rimasero feriti. Dopo la battaglia ritirò
Greene le sue genti dietro il Reedy-fork, dove attese un pezzo a
raccorre i fuggiaschi, gli sciorinati ed i traviati. Poscia
indietreggiando vieppiù, andò a por gli alloggiamenti ad Ironworks sulle
sponde del rivo Troublesome. Cornwallis rimase padrone del campo di
battaglia. Ma non solo non potè côrre nissuno dei consueti frutti della
vittoria, ma ancora fu costretto di abbracciare quei consiglj, che
sogliono usarsi dai vinti. La stanchezza de' suoi, la moltitudine dei
feriti, la fortezza dei nuovi alloggiamenti presi dal generale
americano, ed il prevaler questi di soldati armati alla leggiera,
massimamente di cavalli, lo impedirono dal seguitar la vittoria. Poscia
la vivezza ed il numero dei libertini, la freddezza dei leali, i quali
non che facessero le viste di voler romoreggiare dopo il fatto di
Guilford, se ne stavano quieti, nonostante che Cornwallis con un nuovo
bando gli avesse invitati a correre alle armi, ed a rivoltarsi
all'obbedienza del Re, soprattutto la carestia delle vettovaglie
operarono di modo, che il capitano britannico fu necessitato a tirar le
sue genti indietro sino a Bell's-mills sul fiume Deep, lasciando anche a
New-Garden molti de' suoi più sconciamente feriti in poter dei
repubblicani. Rinfrescate le genti a Bell's-mills, e raggranellate
alcune poche vettovaglie, dirizzò l'esercito verso Cross-creek alla
volta di Wilmington. Lo seguitava spacciatamente Greene, e con un nugolo
di stracorridori continuamente lo noiava alla coda. Non fe' l'Americano
fine alla persecuzione, se non quando egli arrivò a Ramsay's-mills, dove
essendo la contrada sterile e sfruttata, e rottosi dagl'Inglesi il ponte
sul Deep, gli lasciò andar al cammino loro. Ma siccome quegli, che
animoso era, e grande intraprenditore, volendo giovarsi della
congiuntura, in cui i regj si trovavano al disotto, ritorse con
novissimo ardore le sue genti per verso la Carolina Meridionale, la
quale era stata spogliata della più gran parte de' suoi difensori, e
specialmente si difilava a gran giornate contro Cambden. Così Greene
rotto a Guilford era più potente in sui campi che prima; così i
vincitori, come se vinti fossero, partivano dal giuoco, ed i vinti, come
se fossero vincitori, incalzavano fieramente, e di nuovo più arditi, che
prima, correvano alle offese. Cornwallis dopo gravi fatiche e stenti
arrivò a Wilmington il giorno sette aprile. Quivi si appresentavano alla
mente sua due imprese da farsi, ambedue di grandissima importanza. Una
era di muoversi in soccorso della Carolina Meridionale, l'altra di
volgersi alla Virginia per congiungersi colle genti d'Arnold, e con
quelle, che di fresco vi aveva condotte Phillips. Furono molti i
dispareri dei Capi dell'esercito intorno quest'oggetto, dalla decisione
del quale poteva dipendere tutta la somma della guerra. Volevano alcuni,
che si conducesse tosto l'esercito nella Virginia. Allegavano, esser la
contrada tra il fiume del capo Fear e Cambden povera, gretta ed impedita
da frequenti fiumi e fiumane; che specialmente il passare il fiume Pedee
con un nemico così grosso da fronte era cosa troppo malagevole e
pericolosa; che sulla strada per a Georgetown s'incontravano le medesime
difficoltà; che l'imbarcar le genti per a Charlestown era opera tediosa
e lunga; che nulla v'era da temersi per quest'ultima città; che
l'assaltar con esercito potente la ricca provincia della Virginia
avrebbe rivocato Greene dalla Carolina; che non si sarebbe potuto
arrivare in tempo per soccorrere lord Rawdon, che allora si trovava
dentro Cambden, e che, se egli fosse stato rotto prima dell'arrivo
dell'esercito soccorritore, si sarebbe questo trovato nel vicinissimo, e
forse irreparabile pericolo di essere tagliato a pezzi da forze a molti
doppj superiori. Da un altro canto quei, che mantenevano la contraria
opinione, instavano, che le strade alla volta della Virginia erano non
meno, e forse più difficili di quelle che menavano alla Carolina; che
gli indugi dell'imbarcare provenivano massimamente dalla cavalleria, e
che questa poteva sicuramente fare il viaggio per la via di terra; il
che i capitani suoi, e soprattutti Tarleton, si offerivano prontissimi
ad eseguire; che ciò posto si poteva prestamente fare l'imbarco; e se i
venti fossero favorevoli, si sarebbe potuto arrivare nel buon dì in
soccorso della Carolina; che poichè non si era potuto conquistare la
Virginia, si doveva almeno conservar le Caroline; che il recarsi contro
la prima si era un porsi in dubbio di conquistare una nuova provincia, e
nella certezza di perderne intieramente due, e forse tre delle altre,
che già erano in potestà del Re; che già i popoli in queste incuorati
dall'avvicinarsi di Greene, e dalla lontananza dell'esercito si
sollevavano universalmente a cose nuove; che già Marion e Sumpter
correvano la campagna; che ogni cosa vi si volgeva a nuova ribellione;
che poichè nulla si aveva a temere di Charlestown, si doveva anche star
sicuri rispetto a Cambden, città fortificata con un presidio gagliardo
dentro, governato da un capitano esperto e forte; che per altrettanto
tempo, per quanto le città di Charlestown, e di Cambden si reggessero a
divozione del Re, era sempre la Carolina da stimarsi in balìa sua, e da
potersi facilmente tutta ricuperare; lamentavano finalmente, che la gita
verso Cambden non fosse stata intrapresa già fin quando, trovandosi
l'esercito a Cross-creek, si ebbero le novelle, che non si poteva aprir
la via alla navigazione del fiume del capo Fear da quel luogo stesso di
Cross-creek sino a Wilmington. Ma che quantunque pel fatto soprastamento
il prospero successo non fosse più del pari certo, tuttavia era ancora
probabile, e non si doveva tralasciarne la occasione. Prevalse la
opinione dei primi, e Cornwallis indirizzò totalmente l'animo, dopo
fatto una sufficiente fermata a Wilmington a fine di riposar le genti, e
rammassar vettovaglie, a volgersi contro la Virginia. Dalla quale
deliberazione del capitano britannico ne nacque poco appresso quel
fortunoso avvenimento, il quale fu principal cagione del pronto fine
della guerra, e dell'americana independenza.

FINE DEL LIBRO DUODECIMO


LIBRO DECIMOTERZO

[1781]
Mentre nel modo che abbiamo detto, Greene e Cornwallis, i quali si erano
sì lunga pezza vicendevolmente perseguitati, ora spiccatisi l'uno
dall'altro s'incamminavano il primo contro la Carolina Meridionale, il
secondo contro la Virginia, gl'Inglesi e gli Olandesi, nuovi nemici, si
apparecchiavano alla guerra, e già tra di loro esercitavano le ostilità.
Speravano i primi, siccome quelli, che veduto avevano già da qualche
tempo addietro la guerra olandese nell'aria, e perciò meglio acciviti
d'uomini, e d'ogni sorta di arnesi guerreschi si appresentavano, di
potere sulle prime affliggere con qualche gran fatto la potenza e la
ricchezza del nemico; la quale speranza era stata la principal cagione
dell'affrettata denunziazione della guerra. Intendevano, colle vittorie
da acquistarsi contro gli Olandesi, potersi rifare delle perdite fatte
all'incontro dei Francesi e degli Americani, e così arrecare nei futuri
negoziati della pace, quando che fossero, tale somma in tutto di
vantaggi, che bastevol fosse a procurar loro le più favorevoli
condizioni. Da un altro canto aspettavano gli Olandesi cogli aiuti dei
confederati, e colle forze proprie di potere l'antica loro gloria
marittima rinverdire, ricuperare le ricche possessioni state tolte loro
nell'ultime guerre, e liberare il commercio dall'avanìe britanniche. Nel
che grande era la contenzione d'animi in Olanda, e gagliardi gli sforzi
che vi si facevano. Decretava la repubblica, si allestissero da
novantaquattro navi da guerra tra le quali undeci di alto bordo,
quindici di cinquanta cannoni, due di quaranta, le rimanenti minori.
Dovessero governare tutto questo navilio, la più ferma speranza della
repubblica, diciottomila eletti marinari. Si spedirono le più veloci
saettìe ne' varj luoghi dei dominj olandesi, per avvertire i
governatori, ed i capitani dell'incominciata guerra, esortandogli di
farsi forti sull'armi, ed a stare a buona guardia. Il Re di Francia ebbe
tosto mandato in tutti i porti del suo Reame avviso della cosa, acciò le
navi olandesi, che vi si trovavano, conosciuto il nuovo pericolo,
pensassero ai casi loro, e non si esponessero a diventar preda ad un
nemico svegliato, e forte sull'armi navali. Era la Francia intentissima
nel procacciare, che l'Olanda non ricevesse danno in quella causa, che
questa aveva più pel di lei, che per suo proprio interesse intrapresa.
Ma tutte queste cautele, quantunque opportunamente usate, non poterono
tanto operare, che gl'Inglesi, ai quali la fresca rottura della guerra
era stata piuttosto il colore per usare le già apparecchiate armi, che
un motivo per apparecchiarle, non si avvantaggiassero, e molti, e gravi
danni non facessero in su quelle prime prese al più animoso che provvido
nemico. Parecchie navi da guerra, o cariche di preziose merci vennero in
poter loro. Tra le prime si notò principalmente il vascello il Rotterdam
di cinquanta cannoni predato dal vascello inglese il Warwick. Ma
quest'eran cose di poco momento a paragon di quelle, che intervennero a
pregiudizio degli Olandesi nell'Indie occidentali. Avevano i capitani
britannici in quelle spiagge ricevuto dall'Inghilterra tostane
commissioni d'impadronirsi delle possessioni olandesi, tanto delle
isole, quanto di terra-ferma, le quali per la lunga e sicura pace non si
guardavano, e male stavano armate, sicchè poco atte essendo a resistere
agli assalti del primo nemico, che si appresentasse, vi era da far del
bene assai. Rodney, il quale sul finir del trascorso anno sen'era dalla
Nuova-Jork ritornato a Santa Lucia, e Vaughan si mettevano all'impresa,
in ciò altrettanto più pronti, in quanto che aveva il Re loro, negli
editti pubblicati per regolar le prede da farsi contro gli Olandesi, una
notabil parte di quelle ai predatori conceduto. Fiutata prima invano
l'Isola di San Vincenzo, e sollevati, verosimilmente per dar probabile
copritura al vero disegno, con subita apparita sulle coste loro gli
abitatori della Martinica, si appresentarono improvvisamente con
diciassette vascelli, e quattromila soldati da terra il giorno tre di
febbraio avanti l'isola di Sant'Eustachio appartenente agli Olandesi.
Era ella altrettanto indifesa, che ricca preda ai conquistatori.
Imperciocchè sebbene sia essa assai montagnosa ed aspra, e che non si vi
possa sbarcare altro che in un solo luogo, e questo ancora facilmente
difendevole, tuttavia nissuna speranza si aveva di poter ributtare
l'inimico, non essendovi dentro presidio di ragione alcuna; Olandesi
pochi, una moltitudine d'uomini di diversa natura e costumi, Francesi,
Spagnuoli, Americani, Inglesi, tutta gente usa al mercanteggiare, non al
guerreggiare. Inoltre vivevanvi dentro gli abitatori molto sprovveduti,
nissune armi vi erano apparecchiate, ed il governatore, e con esso lui
tutti gli altri, a tutt'altra cosa avrebbero pensato fuori che a questa.
Tanto erano le menti loro occupate nelle bisogne del commercio, e
nell'amor del guadagno. È l'Isola di Sant'Eustachio sterile e bretta in
sè stessa, non essendo abile a produrre più di seicento, o settecento
bariglioni di zucchero ciascun anno. Ma per altro era divenuta a quei
tempi la più frequentata, e la più ricca scala dell'Indie occidentali.
Era essa, come un porto franco al quale concorrevano in grandissimo
numero i mercatanti da tutte le parti del mondo, sicuri di trovarvi e
sicurezza, e facilità di scambj, e moneta copiosissima. La neutralità
sua, e la guerra altrui l'avevano a tanta prosperità condotta, e fattala
diventar il mercato di tutte le nazioni. Là venivano i Francesi e gli
Spagnuoli per vendervi le derrate loro, e comperarvi le merci inglesi.
Là accorrevano gl'Inglesi per vendervi queste merci, e levarvi i
proventi francesi e spagnuoli. Ma gli Americani massimamente lungo tempo
si giovarono della prosperevole neutralità di Sant'Eustachio. Perocchè
portandovi i proventi loro ne levavano poscia con inestimabile utile, ed
evidente avanzamento dell'impresa loro le armi e le munizioni da guerra,
che i Francesi, gli Spagnuoli, gli Olandesi, e gl'Inglesi stessi vi
arrecavano. Certo grande aiuto agli Americani si fu questo franco
mercato di Sant'Eustachio. Il che fu causa, che un oratore della Camera
dei Comuni, non so con qual prudenza, ma certo con biasimevole
smoderatezza orando, ebbe detto, che se l'Isola di Sant'Eustachio fosse
stata precipitata negli abissi, avrebbe l'independenza americana avuto
corta vita. Queste cose si dicevano; ma quelle che si fecero, furono
bene consuonanti colle parole. Si riempì l'Europa di querele contro
l'avarizia inglese. Gli uomini più prudenti e più modesti
dell'Inghilterra stessa condannavano i barbarici eccessi, veggendo con
tanta insolenza essere offesa la dignità del nome britannico. Rodney e
Vaughan fecero la chiamata al governatore dell'isola, si arrendesse fra
lo spazio di un'ora; altrimenti ne starebbe alle seguenze. Il signor
Graaf, il quale non aveva ancora avuto notizia della nuova guerra, non
sapeva, che cosa questo volesse dire; ed appena che volesse prestar fede
all'uffiziale, che gli aveva intimato la resa. Infine conoscendo
benissimo, che era giuocoforza risolversi, ed essendo il luogo spogliato
d'ogni presidio, rispose, dar in mano di Giorgio Rodney e di Giovanni
Vaughan l'isola con tutte le sue pendici; solo raccomandando la città e
gli abitatori alla clemenza e mercè dei capitani britannici. Le quali
quante, e quali siano riuscite, or ora siamo per raccontare. Era l'isola
non che piena, pinza di tutti i beni, e delle più preziose merci del
mondo. Non solo tutti i magazzini, ch'erano numerosissimi e capacissimi,
ne erano da capo in fondo zeppi; ma le spiagge stesse erano gremite di
barili di zucchero e di tabacco. Gli stessi conquistatori, tuttochè
assetati di preda, ed in grande aspettazione fossero, ne rimasero
fortemente maravigliati. Si fe' una stima così un cotale alla grossa,
che il valor delle merci arrivasse a meglio di tre milioni di sterlini.
Tutte furono senza distinzione veruna pigliate, inventariate e
confiscate. Gravissimo fu il danno degli Olandesi, massimamente della
loro Compagnia dell'Indie, e degli Amsterdammesi, i quali ne possedevano
una ragguardevol parte. La qual cosa riuscì di non poco contento
agl'Inglesi irritatissimi contro i cittadini di Amsterdam per cagione
del calore, col quale nella patria loro seguitato avevano le parti
francesi. I principali sofferitori però non furono già gli strani; ma
sibbene i proprj mercatanti inglesi, i quali confidatisi nella
neutralità del luogo, ed in alcuni atti del Parlamento, che a ciò fare
gli autorizzavano, accumulato vi avevano una inestimabile quantità di
proventi antillesi, siccome pure di derrate e merci d'Europa. Nè il
danno si rimase al pigliamento delle merci stivate nei magazzini; che
anzi da dugento trenta bastimenti di ogni foggia con ricchissimo carico,
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