Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 18

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siccome scemano orrore alla guerra, così dovrebbero anche le nazionali
rivalità e nimicizie raddolcire e rattemperare. In cotal modo l'isola
Minorca ritornò, dopo d'essere stata bene ottant'anni in poter della
Gran-Brettagna, sotto l'imperio della Corona di Spagna.
Quando si ebbero in Inghilterra le novelle di tanti, e così gravi
disastri, e massime dei patti di Jork-town si commossero
maravigliosamente gli animi, e del desiderio di cose nuove
s'impressionarono. Già era venuta a noia a tutti la lunghezza della
guerra, e la enormità delle spese, che in ella si erano fatte, o
tuttavia si facevano. Ma le novissime sconfitte accrebbero questa
universale scontentezza; e colla diminuzione della speranza delle
vittorie era nato in ognuno un maggior desiderio della pace. Si vedeva
manifestamente, che lo sperare di poter ritornare un'altra volta in
sulla guerra offensiva sulla terra-ferma d'America era del tutto vano; e
che il costringere gli Americani all'obbedienza per mezzo della forza
era cosa impossibile diventata. Le segrete mene per dividere quei
popoli, il terrore, e la crudeltà dell'armi dei Barbari, i tentativi di
tradimento, la distruzione del commercio, la falsificazione dei
biglietti di credito, cose tutte, che i ministri britannici avevano
messo in opera, e le vittorie stesse di Howe, di Clinton e di Cornwallis
non avevano potuto tanto operare, che gli Americani facessero sembianza
di volere all'antica soggezione ritornare. E se furono costanti
nell'impresa, allorquando la nave loro si trovava inabissata, e vicina a
sommergersi, come si poteva credere, che fossero per piegarsi ora,
ch'ella era dai prosperevoli venti dentro il desiderato porto sospinta?
Egli era chiaro agli occhi di tutti, che la guerra contro l'America non
poteva più altro fine avere fuori di quello di ottenere, riconosciuta
però la independenza, i più onorevoli accordi, che si potessero. Da un
altro canto le gravi perdite fatte nelle Antille facevano di modo che si
temesse di maggiori; e si stava in molta apprensione rispetto alla
Giamaica, contro la quale si sapeva, che i Borboni volevano dirizzare le
forze loro con grandissimo apparato. Il danno poi di Minorca, e la
perdita di San Filippo, così forte castello, erano causa, che si
dubitasse anche di Gibilterra. Tutte queste disgrazie imputavano i
popoli, siccome sogliono fare, non alla contrarietà della fortuna, ma
alla insufficienza dei ministri. La qual cosa, se non era del tutto
senza ragione, non era però senza qualche torto. Coloro, che dentro il
Parlamento, e fuori si erano ai disegni di quelli sin dal principio
della querela opposti, levarono un grandissimo romore. Andavano dicendo,
esser questi i presagiti frutti della ministeriale imprudenza ed
ostinazione. Sclamavano, doversi cambiare quest'inetti e corrotti
servitori della Corona; doversi impedire, che coloro, i quali la patria
condotto avevano all'orlo del precipizio, non le dessero ad un bel
tratto la pinta e l'ultimo trabocco; doversi infine aprir la via alla
salute collo scartare questi decennali intoppi; doversi gettar via
quest'impronti istromenti di una infelice guerra. Queste vociferazioni
erano conformi al temporale, e trovavano negli scontenti popoli buona
corrispondenza. Inoltre a nissuno era nascoso, che, poichè la necessità
dei fati aveva operato sì, che bisognasse calare agli accordi
coll'America, e la independenza di lei riconoscere, non era convenevole,
che coloro, i quali tanto gli Americani avevano colle irritative leggi
prima, e poscia coll'armi troppo spesso a mò dei Barbari esercitate,
asperati, essi accordi praticassero, riputando poco atti istromenti di
una buona pace gli autori di sì aspra guerra. Già il generale Conway con
molta eloquenza orando nella Camera dei Comuni il giorno 22 di febbraio
aveva posto, e vinto il partito, perchè si pregasse Sua Maestà,
commettesse a' suoi ministri di non continuar più oltre nel proposito di
voler ridurre le colonie alla leanza per mezzo della forza, e della
guerra sulla terra-ferma d'America. Nella tornata poi de' 4 marzo pose,
ed ottenne il partito, che coloro, i quali consigliassero al Re, di
continuar la guerra offensiva sul continente della settentrionale
America fossero chiariti nemici del Re, e della patria. Per le quali
cose tutte coloro, che dirigevano le consulte segrete, dove le cose si
stillavano, e si risolvevano, si accorsero, ch'era oggimai tempo di por
mano al solito rimedio del cambiamento dei ministri. Vi era fra gli
uomini un'aspettazione grandissima. Infine il dì 20 di marzo, avendo il
conte di Surrey mosso nella Camera dei Comuni, perchè si supplicasse al
Re di far gli scambj ai ministri, lord North alzatosi, e con molta
gravità favellando disse, che non occorreva, si dessero più oltre
pensiero di questa bisogna; perciocchè il Re già aveva i presenti
congedato, e fra breve avrebbe nuovi ministri creato. Poscia continuò a
discorrere, che prima di tor congedo dalla Camera si credeva egli
obbligato di renderle grazie dell'appoggio e del favore, che pel corso
di tanti anni conceduto gli aveva. Aggiunse, che un successore di
maggior capacità, di maggiore senno, e più atto, e fatto per riempir
quel luogo, era facile trovare; ma più zelante degl'interessi della
patria, più fedele al suo Principe, ed amator più sincero della
constituzione, non parimente. Sperava, che i nuovi ministri della
Corona, qualunque essi fossero, avrebbero tali consiglj presi, che
effettualmente avrebbero liberata la patria dalle presenti difficoltà, e
sì dentro che di fuori la sua umile fortuna sollevata. Concluse dicendo,
che del rimanente egli era pronto a stare alla sua patria di tutti gli
atti del suo reggimento; e che quando se ne volesse far una disamina, ei
non era a patto nissuno per isfuggirla. Furono i nuovi ministri creati
di quelli, che nelle due Camere del Parlamento si erano più caldamente
mostrati alla causa degli Americani favorevoli. Tra questi il marchese
di Rockingam fu eletto primo Lord del Tesoro, il conte di Shelburne, ed
il signor Fox segretarj di Stato, lord Giovanni Cavendish camerlingo;
l'ammiraglio Keppel fu nel medesimo tempo creato visconte,
e Capo del maestrato sopra le cose navali, che chiamano l'uffizio
dell'ammiragliato. Tanta fu l'allegrezza dei popoli a queste elezioni,
che si temette, quel di Londra non prorompesse, come suol fare, in
qualche improvvisa riotta. Ognuno era diventato confidentissimo, che
presto si sarebbe il fine della guerra, e di tante calamità conseguito.
Solo avrebbero voluto, che i patti fossero onorevoli, e perciò tutti
desideravano, e pei nuovi ministri speravano, che qualche evento
favorevole la Gran-Brettagna riscuotesse da quel bassamento, in cui era
caduta per gl'infelici casi avvenuti sull'uscir del passato, ed in
sull'entrar del presente anno.

FINE DEL LIBRO DECIMOTERZO


LIBRO DECIMOQUARTO

[1782]
Gli Stati, che esercitavano la guerra, non aspettavano altro per compir
i disegni che avevano orditi sul principiar del presente anno, che la
perfezione degli apparecchj, la stagione favorevole e la occasione
propizia. Stracchi gli uni e gli altri dalla lunga guerra si accorgevano
ottimamente, che gli avvenimenti di questo medesimo anno avrebbero, e la
fortuna di quella, e le condizioni sue definito. Non ignoravano neanco,
che a chi ne tocca vicino alla pace, a quel ne va il peggio; perciocchè
non ha tempo di riaversi. Per la qual cosa avevano tutti ogni ingegno
posto, e ponevano, ed ogni opera facevano, perchè fossero le armi loro
sì gagliarde, che dovessero ad ogni modo restarne al di sopra. Volevano
gli alleati principalmente ed acquistar il dominio dei mari di Europa, e
far l'impresa di Gibilterra, ed impadronirsi della Giamaica. I Francesi
in ciò erano specialmente, che si soccorresse alle cose loro nelle Indie
orientali, le quali nonostante il valore di Suffren, e molte non men
ostinate, che bene combattute battaglie contro Hughes, le cose loro
erano andate in declinazione, e già le due importanti Terre di
Negapatam, e di Trincamale erano in poter degl'Inglesi venute. A tutti
questi fini, siccome pure a proteggere le proprie conserve, e quelle del
nemico intraprendere s'indirizzavano i pensieri dei confederati. Si
erano perciò accordati, che le armate spagnuola ed olandese andassero a
trovar la francese nel porto di Brest, e con quella congiuntesi ne
uscissero poscia all'alto mare; e correndo dallo stretto di Gibilterra
sino alle coste della Norvegia da ogni forza nemica lo nettassero. Era
l'intento loro, che mentre le navi più grosse, oltratesi nei mari ed
anche nei canali più stretti, le armate nemiche impedissero dall'uscir
fuori, le fregate spazzassero ogni cosa nell'aperto, e le conserve ed il
commercio inglese sperperassero. Nè a ciò si ristavano. Volevano altresì
bezzicar continuamente, e tenere in apprensione le coste della
Gran-Brettagna, ed anche, se qualche favorevole occasione si aprisse,
scendervi, e desertar il paese, e se i popoli romoreggiassero, o non
fossero i difensori pronti, farvi anche di peggio. A tutte queste cose
fare erano molto atti, avendo, quando le forze loro congiunte fossero,
meglio di sessanta navi di fila con un numero maraviglioso di
velocissime fregate. Non avevano a gran pezza gl'Inglesi nei porti loro
una forza, che fosse sufficiente al resistere ad un sì formidabile
apparato. Speravasi dal canto della lega, che la guerra antillese ed
europea avrebbe in questo anno il medesimo fine avuto, che nel varcato
quella d'America; e che in tal modo si sarebbe di breve conseguìto una
lieta, e felicissima pace.
Dall'altra parte in Inghilterra i nuovi reggitori dello Stato niuna cosa
lasciavano intentata per soccorrere alle cose afflitte, e per resistere
a quella piena, che loro veniva addosso. Quello, che per l'inegualità
delle forze non potevano, speravano coll'arte dei capitani, coll'ardire
dei soldati, e colla opportunità delle fazioni conseguire. Mentre
stavano apparecchiando l'armata, e tutte le cose necessarie al soccorso
di Gibilterra, impresa, che sopra tutte le altre, dopo quella della
sicurezza del regno, stava loro a cuore, conobbero, che prima di tutto
era mestiero l'impedir la congiunzione dell'armata olandese colla
francese e colla spagnuola. Nel che si otteneva ancora, e nel medesimo
tempo, che s'interrompesse il commercio, che gli Olandesi andavano
facendo nel Baltico, ed il proprio dagli insulti loro si preservasse.
Perilchè fecero uscire dal porto di Portsmouth l'ammiraglio Howe con
dodici navi di fila, avendogli commesso, andasse a volteggiarsi sulle
coste d'Olanda. La cosa tornò lor bene. Imperciocchè l'armata olandese,
la quale, commesse le vele al vento, già era uscita dal Texel,
abbandonato del tutto l'imperio di quei mari, di nuovo era rientrata nel
porto. Howe dopo essere stato pel torno di un mese in crociata presso
quelle coste, veduto, che il nemico non faceva mostra alcuna di voler
uscire un'altra volta, ed avendo per l'insalubrità della stagione molti
malati a bordo, se ne tornò a porre in Portsmouth. Ma fu poco dopo
mandato al medesimo servizio in luogo dell'Howe l'ammiraglio Milbanke,
per opera del quale, comechè il commercio d'Olanda del Baltico non
ricevesse danno alcuno, ciò non di meno quel d'Inghilterra fu tutelato,
e soprattutto il passo pel canale della Manica all'armata nemica
impedito. Così l'Olanda, tanto chiara repubblica nei tempi andati, fuori
del valor dimostrato nella giornata di Doggers-bank nulla fece in questa
guerra, che di sè, e dell'antica sua fama degno fosse. Tanto era ella
dall'antica gloria e potenza scaduta; miserabile effetto delle
esorbitanti ricchezze, dell'eccessivo amor del guadagno, e forse più
ancora delle malaugurose Sette, che vi regnavano; perciocchè se in una
repubblica quelle Sette, che risguardano il reggimento interno dello
Stato, sono qualche volta utili a mantenere viva la libertà e la
generosità degli animi nei popoli, non è nissuno, che non veda, che
quelle, le quali hanno per obbietto i potentati esterni, partoriscono un
tutto contrario effetto, e fanno, che dalla rabbia in fuori, nissuno
vivace spirito si conservi. Certamente il più manifesto segno, che
s'indebolisce la forza, e si perde la independenza, si è in una nazione
lo scellerato parteggiare pe' forestieri; e quest'era per l'appunto la
condizione degli Olandesi di quei tempi. Quindi è, che sul finir della
presente guerra, se non fu l'Olanda all'estrema condizione condotta, che
anzi se ricuperò in gran parte le cose perdute, ciò all'armi ed
all'intervenimento della Francia, piuttostochè alle proprie forze si dee
massimamente, anzi intieramente riputare.
Ripigliando ora il filo della storia là, donde il lasciammo, si erano
d'intorno a questi tempi le certe novelle ricevute in Inghilterra,
ch'era pronta a salpare dal porto di Brest una considerabile conserva
volta alle Indie per recarvi rinforzi di soldati, d'armi e di munizioni.
Dubitandosi dall'un canto della Giamaica, dall'altro delle possessioni
delle coste del Malabar, non s'indugiarono punto i ministri, e fecero
tosto uscire l'ammiraglio Barrington con dodici navi d'alto bordo,
perchè andasse in cerca di quella conserva, e trovata la sfolgorasse.
Eseguì egli diligentemente i comandamenti loro, ed arrivato nel golfo di
Biscaia s'incontrò nella conserva, la quale consisteva in diciotto navi
onerarie, ed in due da guerra chiamate il Pegaso, ed il Protettore, che
le convogliavano. Era il tempo brusco, ed il mare tempestoso. Ciò non di
meno dava loro la caccia velocemente. Il vascello il Fulminante, molto
franco veleggiatore condotto dal capitano Jervis, sopraggiungeva, e si
attaccava col Pegaso, che era governato dal cavaliere di Sillano. Durò
la battaglia, essendo le forze delle due navi pressochè uguali, per bene
un'ora molto feroce. Ma finalmente il Francese, morti o feriti molti de'
suoi, si arrendè. Essendo il vento fresco, ed il mare grosso appena
Jervis potette una piccola parte dei prigionieri della predata nave
marinar nella sua, e por dentro a quella una piccola parte de' suoi.
Portava perciò grandissimo pericolo, che si riscuotessero. Ma arrivò in
questo punto il capitano Maitland colla sua nave la Regina, e compì la
bisogna. Ciò fatto, una folata gli separò. S'imbattè poi Maitland in
un'altra grossa nave francese, chiamata l'Azionario, e combattutala,
dopo leggier contrasto, la pigliò. In questo mezzo le più leggieri
fregate avevan dato la caccia alle onerarie, le quali in sul primo
apparir degl'Inglesi, dato il segno, si erano a bello studio, e con
molta velocità sparpagliate. Dodici vennero in poter loro, grave perdita
alla Francia. Imperciocchè oltre le navi, le armi e le munizioni sì da
guerra, che da bocca, meglio di undici centinaia di valenti soldati
vennero in poter dei vincitori. Barrington colle predate navi, colle
spoglie, e coi cattivi felicemente rientrava nei porti d'Inghilterra.
Questi consiglj di far correre i vicini mari da flotte spedite, essendo
riusciti bene, determinarono gl'Inglesi di continuare nei medesimi; al
che fare tanto più volentieri si accostarono, quanto che nissuna novella
era loro pervenuta, che fosse la grossa armata dei confederati in punto
d'arrivare su di quelle spiagge; e se le deliberazioni delle leghe
furono in ogni tempo lente, perchè intricate, e di diversi interessi
frammescolate, molto anche tali furono nella presente occorrenza,
quantunque la Francia e la Spagna fossero ardentissime nel desiderio di
abbassar la potenza dell'inveterato nemico. Perciò gl'Inglesi, i quali
con nissun altro, che con loro stessi si consigliavano, assai si
avvantaggiavano colla prontezza, e coll'unità delle deliberazioni. Per
la qual cosa, entrato Barrington, mandarono fuori Kempenfeldt a correre
il golfo di Biscaia, commettendogli, che tutto quel male, che potesse,
facesse al commercio francese, l'inglese proteggesse, e specialmente due
ricchissime conserve, che frappoco si aspettavano, una dalla Giamaica,
l'altra dal Canadà, dagl'insulti del nemico preservasse.
Finalmente dopo molto tempo consumato in vano, si erano i confederati
posti all'ordine per mandare ad effetto quelle imprese, che avevano
disegnate. Il conte di Guichen preposto al governo dell'armata francese,
e don Luigi di Cordova, capitano generale dell'una e dell'altra,
salparono dal porto di Cadice nell'entrare di giugno con venticinque
navi delle più grosse tra francesi e spagnuole; e volte le prue a
tramontana viaggiavano alla volta dell'Inghilterra col desiderio, e
colla speranza di cavar dalle mani di quegli arditi isolani l'imperio
del mare. Ivano piaggiando le coste di Francia, e mentre procedevano nel
viaggio loro venivano di mano in mano a congiugnersi altre navi da
guerra, che in diversi porti stanziavano, e massimamente una maggiore
squadra, che nel porto di Brest era sorta. Per tutti questi accostamenti
diventò l'armata dei confederati sì numerosa, che vi si annoveravano
bene da quaranta vascelli grossi di alto bordo. Arrise la fortuna a
questi primi conati. Incontratisi nelle conserve di Terranuova, e di
Quebec, le quali erano convogliate dall'ammiraglio Campbell con una nave
di cinquanta, e parecchie fregate, quelle parte pigliarono, parte
sperdettero. Diciotto onerarie vennero in poter dei vincitori, assai
ricca e preziosa preda. Le navi da guerra scamparono, ed entrarono a
salvamento nei porti di Inghilterra. Così i Francesi, con un insigne
fatto, della perdita della conserva delle Indie si rappigliarono.
Ottenuta questa, se non difficile, certo utile vittoria, e diventati del
tutto padroni del mare, si recarono verso le bocche del canale della
Manica, e quivi schieratisi, come già altre volte fatto avevano,
dall'isola Scilly al capo Ognissanti, stavano attendendo a quello, che
fosse per succedere sulle coste dell'Inghilterra, alla preservazione
delle proprie conserve, ed al rapimento di quelle del nemico
continuamente badando. I ministri britannici non se ne stavano
neghittosi; ma poste ventidue navi di fila sotto la condotta
dell'ammiraglio Howe, gli mandarono, uscisse al mare, evitasse la
battaglia trascorrendo, ogni opera facesse per proteggere la conserva
della Giamaica, preziosa in sè stessa, e più ancora per la recente
perdita della Canadese. Non mancò Howe a sè stesso; ma da quel capitano
pratico, ch'egli era, tostamente sbrigatosi dall'armata nemica,
veleggiava a ponente di questa di verso la parte, dalla quale doveva
venir la conserva. E tanto fu egli, o destro, o fortunato, che la cosa
gli venne fatta. Peter-Parker, che faceva il convìo alla conserva,
questa stessa, e tutta l'armata dell'Howe entrarono a man salva nei
porti d'Irlanda in sul finir di luglio. Se ne tornarono poscia i
confederati dopo l'inutile mostra, non più fortunati, e non più arditi
in questa, che nelle due prime stati fossero, nei porti loro.
L'impresa però, intorno la quale con maggior contenzione d'animi si
travagliava in Europa, quell'era dell'assedio di Gibilterra. Gl'Inglesi
tutti erano in questo, che a quella Fortezza si soccorresse; i Francesi,
e massime gli Spagnuoli, che s'intraprendessero i soccorsi. Questa cosa
era venuta in gara tra di loro; poichè oltre la gloria dell'armi, e
l'onor delle Corone, quella rocca era opportunissima alla conservazione
dell'imperio del mare mediterraneo. Neanco mai in nissun'altra fazione
di guerra ebbero gli uomini tanta aspettazione collocato, quanta in
questa, e quest'assedio pareggiavano ai più famosi, così degli antichi,
come dei moderni tempi. La pressa era grande in Inghilterra per quel
soccorso; perciocchè sapevasi, che di già dentro la rocca s'incominciava
ad aver carestia di munizioni, massimamente da bocca, e che gli
assediatori avevano il largo assedio cambiato in oppugnazione, volendo
con mirabili macchine, delle quali sarà per noi favellato in appresso,
far pruova di pigliare per forza quello, che colla fame non avevano
potuto. Adunque mentre a quelle mura tanto per natura, e per arte forti
e munite sovrastava un'aspra, e non mai per lo avanti udita battaglia, i
ministri britannici facevano riscontrar in Portsmouth tutte le forze
navali del regno, incluse quelle, che stanziavano sulle coste
dell'Olanda, e le altre, che correvano il golfo di Biscaia. Là
concorrevano anche in gran numero quelle da carico, sulle quali con
grandissima diligenza si abbarcavano le provvisioni. L'impresa del
soccorso di Gibilterra bolliva forte. Infine sul principiare di
settembre, essendo ogni cosa in pronto, Howe, capitano generale
dell'impresa, accompagnato dagli ammiragli Milbanke, Roberto Hughes e
Hotham partì da quel porto, avendo sotto la sua condotta, oltre quelle
da carico, ch'erano una gran moltitudine, trentaquattro navi d'alto
bordo, non poche fregate, e molti brulotti. Dalla fortuna di
quell'armata pendeva quella dell'assediata Fortezza.
Peraltro le armi non erano i soli stromenti che i nuovi ministri della
Gran-Brettagna volevano adoperare per arrivare al fine loro, ch'era
quello di una fortunata guerra, e di una onorata pace. E siccome tutti i
nemici loro, quando nella presente unione continuassero, vincere e
superar del tutto non isperavano, così fecero pensiero di mettere
screzio tra di quelli, e scomunargli con fare a ciascun di loro
profferte di condizioni di pace separate, avvisandosi, che il rompimento
della lega stato sarebbe la più sicura via al conseguimento di una
finale vittoria. Nel che speravano ancora, che quand'anche non avessero
potuto ottenere l'intento, avrebbero almeno conseguìto quello di dar
pasto, e di contentar i popoli della Gran-Brettagna, e rendergli, con
dimostrare la necessità della guerra, alla continuazione della medesima
meno avversi. Nè non era possente stimolo agli animi loro il pensare,
che pure dovevan essi, volendo sostener quelle persone, che fin là tanto
fuori, quanto dentro del Parlamento sostenute avevano, amici ed autori
di pace, se non sinceramente, almeno apparentemente dimostrarsi. Per
tutte queste cagioni operarono di modo presso l'Imperadrice delle
Russie, ch'ella fece uffizio di componimento colle Province Unite
d'Olanda col proporre, essendo a ciò fare dal Re della Gran-Brettagna
autorizzata, alla repubblica una tregua, e quelle medesime condizioni di
pace, che stat'erano accordate coll'Inghilterra nel trattato del mille
seicento settantaquattro. L'ambasciador di Francia, che allora si
trovava all'Aia, e che vegghiava queste pratiche, gagliardamente operò,
perchè la cosa non avesse effetto, esortando gli Stati Generali a
mantenersi in fede. Espose, che pure si erano colla Francia a non fare
la pace coll'Inghilterra, se non se quando questa avesse riconosciuto
l'illimitata libertà dei mari, obbligati; parlò dei concerti presi tra i
due Stati intorno le operazioni navali da farsi contro il comune nemico,
il rompere i quali sarebbe stato ugualmente poco onorevole alla
repubblica, che dannoso al suo Re, loro fedele alleato. Toccò finalmente
della riconoscenza, che gli dovevano per la conservazione del Capo di
Buona Speranza, e per la ricuperazione dell'isola di Sant'Eustachio, e
delle colonie di Surinam, l'una e l'altra operate dall'armi di Francia.
Questi furono gli uffizj dell'ambasciadore. Considerarono poi gli
Olandesi, che quelle isole e colonie erano come altrettanti statichi in
mano dei Francesi, e che poca speranza poteva rimaner loro di
ricuperarle, se essi dalla lega colla Francia si discostassero. Queste
cose in un coll'opera dei partigiani della Francia, i quali in questa
occorrenza efficacemente si travagliarono, fecero di modo, che gli Stati
Generali non si dimesticarono alle proposte inglesi, e si risolvettero a
non dipartirsi dall'amicizia di Francia, allegando, che ciò molto bene
si conveniva a quella incorrotta fede, colla quale era sempre stata
solita a procedere quella repubblica. Nè miglior fine sortirono le
pratiche a questo medesimo fine introdotte presso i governi di Francia e
di Spagna; perciocchè entrambi le offerte condizioni ricusarono, il
primo, perchè aveva ferma speranza di cacciar del tutto gl'Inglesi
dall'isole delle Antille, ed ottenere poscia migliori patti in proposito
della libertà dei mari; il secondo per questi stessi motivi, e
principalmente per quella leccornìa, accresciuta anche dalla speranza di
aver in mano sua la Giamaica e Gibilterra, non considerando, che l'uomo
ordisce, e la fortuna tesse; l'uno e l'altro poi per osservare il patto
di famiglia, e per conservare intatto l'onore delle loro corone, il
quale sarebbe grandemente offeso ad un somigliante abbandono fatto
dell'alleato loro. Ma i ministri britannici avevano non poca speranza,
che pei maneggi loro si potessero ridurre le cose a qualche composizione
cogli Stati Uniti d'America. Per questo avevano mandato per iscambio al
generale Clinton il Carleton, uomo, il quale per la prudenza ed umanità
dimostrate nei passati fatti della canadese guerra era in buona voce
presso gli Americani. Gli diedero facoltà, siccome pure all'ammiraglio
Digby, di accordar la pace cogli Stati Uniti, riconoscendo la
independenza, e concludendo con essi un trattato di amicizia e di
commercio. Ma gli Americani considerarono, che a quel tempo nissuna
legge era stata fatta dal Parlamento, che autorizzasse il Re a
concludere o pace, o tregua coll'America, e che per conseguente
quest'erano offerte e promesse, che i ministri facevano di per sè
stessi, e che il Parlamento avrebbe potuto disdire. Conoscevano la
ripugnanza, che aveva grandissima il Re al riconoscere la independenza
loro. Perciò entrarono in gran sospetto, che ci covasse sotto qualche
occulta frode, o malizia. Nel quale si confermarono anche maggiormente,
quando intesero le novelle, che i ministri avevano introdotto pratiche
d'accordi separati presso gli altri potentati guerreggianti d'Europa.
Per le quali cose tutte si fermarono onninamente in questa sentenza, che
questo fosse un andirivieno britannico fabbricato a bello studio per
disgiugnergli tra di loro, e per menargli per parole. Sospettavano, che
il trattamento dell'accordo fosse stato con artifizio dagl'Inglesi usato
per deviargli dalle provvisioni della guerra, e per farsi più facile
l'oppressione loro. Fece anche a questo tempo il ministro francese
presso il congresso grandi uffizj, perchè si sturbasse la pratica, e non
si desse retta a queste proposte, dall'una parte la mala fede
britannica, dall'altra la lealtà e la generosità del suo Re esponendo, e
con vivi colori dipingendo. Parve invero una gran cosa a coloro che
reggevano i consiglj dell'America, il rompere sul bel principio dello
Stato loro le promesse, e lo scambiar in una non sicura amicizia una
provata alleanza. Perilchè ricusarono. Dichiarò il congresso non potere,
nè volere in alcun negoziato particolare, nel quale l'alleato loro non
partecipasse, entrare. E perchè da nissuno potesse stimarsi poco sincera
la fede della repubblica, e per tor ogni speranza all'Inghilterra, ed
ogni sospetto alla Francia, i particolari Stati tutti decretarono, che
non mai sarebbono divenuti ad una pace coll'Inghilterra, se non vi fosse
stato il contento dell'alleato; chiarendo anche nemici alla patria
coloro, i quali tentassero di negoziare senza l'autorità del congresso.
In cotal modo si ruppero sul principiar del presente anno le pratiche
della pace, perchè le cose della guerra non erano ancor mature, e perchè
in mezzo a tanta scambievole diffidenza nissuna forma di concordia si
poteva trovare, se non era dall'ultima necessità indotta.
Andando le cose in America a questo cammino, nelle lontane isole
dell'occidente già s'incamminavano elle a quel fatale caso, che doveva
por fine all'antillese guerra, non altrimenti, che quello del Cornwallis
aveva concluso l'americana. Eransi dai confederati quei maggiori
apparati, che possibili fossero, fatti, per fare una volta l'impresa
della Giamaica. Avevano gli Spagnuoli una possente armata, ed una grossa
banda di soldati nelle isole di San Domingo e di Cuba, l'una e l'altra
fornitissime di ogni cosa, e pronte a partire per ogni qualunque
fazione, che si volesse tentare. Il conte di Grasse poi si trovava nel
porto del Forte Reale della Martinica con trentaquattro grosse navi di
fila, con altre due di cinquanta cannoni, con due armate in fluta, e
molte fregate. Quivi attendeva a racconciarle, e stava aspettando una
seconda conserva partita da Brest sul principio di febbraio, la quale
gli recava una egregia quantità di armi e di munizioni, delle quali
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