Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 04

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annegarono nelle sopravanzanti acque: parecchj affogarono nella mota. Le
tenebre spessissime, il frequente folgoreggiar del cielo, i tuoni
spaventevoli, il fischiare orribile del vento, lo stridore della cadente
pioggia, le grida miserabili dei morenti, le lamentazioni
compassionevoli di coloro, che disperati erano al non potergli
soccorrere, il pianto e gli urli delle donne e dei fanciulli facevano di
modo, ch'e' pareva venuto il finimondo. Ma all'aprirsi del dì si
discopriva agli occhi dei sopravviventi uno spettacolo da essere
piuttosto raffigurato dalla spaventata immaginazione, che descritto da
una mente non percossa da tanta calamità. Quella testè sì ricca, sì
fiorita, sì ridente isola pareva ora ad un tratto trasformata essere in
una di quelle polari regioni, dove per l'aspetto sinistro del sole regna
un eternale inverno. Case nissune in piè, o rovine traballanti; alberi
diradicati; cadaveri umani sparsi qua e là; niun bestiame vivente; la
sopraffaccia stessa della terra non pareva più quella. Non che fossero
distrutte le promettenti messi e le copiose ricolte; i giardini
medesimi, sì dilettevole ornamento, ed i campi, sì lieta speranza dei
mortali, non erano più: o arena, o fango, o pozze dappertutto; i
partevoli termini distrutti; i fossi scassati; le strade sprofondate.
Sommò il numero dei morti a parecchie migliaia. Questo si sa; ma quanto
sia stato per l'appunto, è incerto. Imperciocchè oltre di quelli, ai
quali furon sepoltura le rovine delle case loro, non pochi furono
agguindolati dal crudel girone fin dentro il mare, altri sguizzati via
da novissimi, e non mai più veduti torrenti, e fiumi, o dall'onde marine
strascinati, le quali, oltrepassato il solito confine, dilagato avevano,
e spazzato molto indentro le terre. Tanta fu la gagliardia del vento,
che un cannone, che buttava dodici libbre di palla, ne fu trasportato,
se si dee prestar fede ai documenti più solenni, da una batteria
all'altra, lontana bene a trecento passi. Quello poi, ch'era avanzato al
furor della tempesta, diventò preda in parte della rabbia degli uomini.
Rotte le prigioni saltaron fuori in quella fatal notte i ribaldi, i
quali in un coi Neri poco curando, come gente disperata, la rabbia del
cielo, tutto avevan messo a sacco ed a ruba. E forse ne sarebbe stata
tutta l'isola condotta ad un totale sterminio, ed i Bianchi tratti a
morte, se non era, che vi si trovò a quel tempo il generale Vaughan con
una grossa schiera di stanziali, i quali colla disciplina e virtù loro
la scamparono. E tanto fecero, che cansarono una grossa quantità di
munizioni da bocca, senza di che era da temersi che gl'isolani testè
liberati dal flagello della tempesta non soggiacessero a quello non men
orribile della fame. E non è da passarsi sotto silenzio da un candido
amatore della verità, e delle opere gentili, che i prigionieri di guerra
spagnuoli, che non eran pochi in quel dì nella Barbada sotto la condotta
di Don Pedro San Jago, capitano del reggimento d'Aragona, fecero tutte
quelle parti, che a ben nati e civili uomini si convenivano. Posti tra
quel violento scroscio in balìa loro, non che si valessero
dell'opportunità offerta per commettere qualche atto inimichevole, niuna
cosa lasciarono intentata, nè a fatica, nè a pericolo alcuno si
ristettero per aiutare i miseri Barbadesi. Nel che la cooperazione loro
non riuscì di poca utilità. Le altre isole sì francesi, che inglesi
furono poco meno di quella della Barbada devastate. Ma nella Giamaica
all'impeto della tempesta si coniunse un orribile tremoto, ed inoltre il
mare gonfiò sì fattamente, che tutte le case, ed i campi, sin molto
addentro nell'isola, ne furono totalmente desertati. Ma stantechè il
vento era da levante, gli effetti del temporale furono maggiori sulle
spiagge occidentali della medesima, particolarmente nei distretti di
Westmoreland, e di Hannover. Accadde in ispecialità, che mentre gli
abitanti di Savanna-La-Mer, ricca e grossa Terra nel Westmoreland,
stavano stupefatti osservando l'inusitato gonfiamento del mare, lo
sterminato cavallone arrivò loro addosso, e tutto, uomini, bestie, case
portò seco a perdizione. Non rimase vestigio veruno di quella infelice
Terra. Più di trecento persone furono inghiottite dalle onde. I fertili
campi rimasero largamente coperti d'infecond'arena. Le più opulenti
famiglie furono ad un tratto ridotte alla più strema miseria. E se oltre
ogni dire degna di compassione fu la condizione di coloro, i quali in
terra abitavano, non fu migliore quella degli altri, che si trovarono in
sull'acque. Imperciocchè delle navi, che gli portavano, alcune andarono
a traverso negli scogli, altre furono ingoiate dal furibondo mare, ed
altre a grande stento se ne tornarono lacere e fracassate nei porti. A
queste fatali strette si trovarono non solo quelle, che viaggiavano, ma
ancora quelle, ch'erano sorte nei porti anche i più sicuri, le quali o
ruppero dentro i medesimi, o furono cacciate di forza nel mare sì
straordinariamente fiottoso. Tra le altre il Fulminatore di 74 cannoni
affondò anime e beni. Parecchie fregate o naufragaron del tutto, od in
tal modo furono scassinate, ch'era difficil cosa diventata il
racconciarle. Perirono in tutto per gli effetti di questa procella di
navi inglesi un vascello di 74, due di 64, uno di 50, con sette in otto
fregate. In mezzo a tanti, e sì gravi disastri, e ad un quasi totale
disfacimento della natura, recò qualche conforto la umanità del marchese
di Bouillé. Erangli venuti nelle mani alcuni marinari inglesi,
miserabili reliquie delle ciurme delle navi il Lauro, e l'Andromeda, che
rotte si erano sulle spiagge della Martinica. Gli rimandò franchi e
liberi a Santa Lucia, mandando, non voler ritenere prigioni coloro, i
quali erano stati alle prese cogli arrabbiati elementi, e dall'impeto
loro scampati. Aggiunse, sperare, avrebbero gl'Inglesi i medesimi
termini usato verso di quei Francesi, che l'inesorabile fortuna avesse
gettato in poter loro. Ricordò, increscergli, gl'Inglesi cattivi esser
così pochi, e nissun fra gli uffiziali essersi salvato. Conchiuse con
dire, che siccome era stata comune ed universale la calamità, così anche
dover esser comuni ed universali la umanità e la benevolenza. I
mercatanti di Kindston, città capitale della Giamaica, con mirabil
esempio di bontà cittadina tosto si obbligarono a somministrare un aiuto
di diecimila lire di sterlini ai sofferitori. Il Parlamento, udito il
fortunoso caso, quantunque a quei dì tanto fosse pressato dalle spese
della guerra, decretò si donassero ai Barbadesi ottantamila lire di
sterlini, ed a quei della Giamaica quarantamila. Nè i doni si ristettero
alla munificenza pubblica; che anzi molti privati cittadini vollero
soccorrere della propria pecunia gli abitanti delle Antille. Il navilio
di Guichen, e quello di Rodney schivarono la burrasca, perchè il primo
già era partito nel mese d'agosto per alla volta dell'Europa con
quattordici vascelli di tre palchi, convogliando una ricca e numerosa
conserva di navi mercantili. Il secondo, e per questa stessa partenza di
Guichen, non sapendo, dove questi s'inviasse, e perchè quelle genti
spagnuole sbarcate all'Avanna gli davano non poco sospetto, mandate,
come abbiamo detto, alcune navi a proteggere la Giamaica, si era posto
in via poco tempo dopo colle rimanenti per alla Nuova-Jork. Ma però in
America, prima ch'egli vi arrivasse, anzi prima che partisse dalle
Antille, v'era intervenuto un maraviglioso rivolgimento nelle pubbliche
cose, siccome da noi sarà in conveniente luogo raccontato.
Combattendo nel modo che si è detto, tra di loro così ferocemente gli
uomini e gli elementi sulla terra-ferma d'America, e nelle circonvicine
isole, non se ne stavano in Europa oziosamente a badare i potentati
guerreggianti. Prevalevano gl'Inglesi per l'unità dei consiglj; ma
avevano a paragon dei confederati minor numero di navi, quantunque le
loro meglio instrutte fossero di quelle dei Francesi e degli Spagnuoli.
Avevano questi per lo contrario più numeroso navilio, e più copiosi
soldati. Ma tratti gli uni e gli altri in diverse parti dai contrarj
interessi non facevano quel frutto, che avrebbero potuto desiderare.
Quindi è, che gli Spagnuoli, avendo sempre la loro principal mira posta
all'acquisto di Gibilterra, là mandavano le genti, e spendevano i
tesori. A questo medesimo fine le navi loro ritenevano nel porto di
Cadice, invece di congiungerle alle francesi, e tentare, uniti a questi,
qualche rilevata impresa contro la potenza britannica. Quindi i Francesi
obbligati erano a mandar le loro in quel medesimo porto, ed intanto le
armate inglesi bloccavano i porti loro dell'Oceano, intraprendevano il
commercio, arraffavano le conserve, pigliavano le fregale. Era uscito
all'alto mare con un'armata di circa trenta vascelli l'ammiraglio
inglese Geary, il quale, morto Carlo Hardy, era stato posto in suo
scambio al governo di quella. S'incontrò il dì tre di luglio in una
conserva di navi mercantili francesi cariche di cocco, di zucchero, di
caffè e di cotone, e scortate dal vascello il Fiero di 50 cannoni. Geary
diè dentro, e ne pigliò dodici, e più ne avrebbe pigliato, e forse
tutte, se non che una folta nebbia, e la vicinanza delle spiagge nemiche
lo impedirono. Le altre giunsero a salvamento nel porti. Parecchie altre
navi francesi, principalmente fregate, vennero poco tempo dopo, sebbene
non senza una pertinace difesa, in poter degl'Inglesi. Tutti
gl'incontri, ch'ebbero luogo, sarebbe troppo lunga bisogna il
raccontare; merita però particolar menzione il cavaliere de Kergerion,
il quale, governando la fregata la Belle-Poule, si difese lungamente
contro Jacopo Wallace, che guidava il vascello il Nonpari di 64 cannoni;
e non fu, se non dopo la morte del Kergerion, che il suo successore
Lamotte-Tabouret, avendo lacere le vele, gli alberi rotti, fracassati i
carretti delle artiglierie, e morti molti de' suoi, si arrese.
Di queste perdite molto bene si ristorarono i confederati il giorno 9
d'agosto. Era partita sul finir di luglio dai porti d'Inghilterra una
numerosa conserva di bastimenti sì regj che mercantili per alla volta
delle Indie orientali ed occidentali. Cinque dei primi portavano, oltre
molte armi, munizioni ed artiglierie, una quantità notabile di attrazzi
navali ad uso della flotta inglese, che stanziava in quelle lontane
regioni. I secondi arrivavano a diciotto, ed erano o navi annonarie, o
cariche di armi, di munizioni, di tende, e di reclute destinate a
rinfrescare, e rifondere l'esercito d'America. Erano gli altri
bastimenti mercantili di ricchissimo carico. Accompagnava la conserva il
vascello d'alto bordo il Rumilli con tre fregate. Andavano al viaggio
loro, e già radevano, sebben di lontano, le coste di Spagna, quando
improvvisamente la notte degli otto agosto s'incontrarono in una squadra
dell'armata confederata, la quale stava sulle volte sulla via solita a
tenersi per alle due Indie. Era la squadra sotto la condotta
dell'ammiraglio spagnuolo, Don Luigi di Cordova. Scambiarono gl'Inglesi
i lumi soliti a porsi la notte dai naviganti sui calcesi per quei del
convoglio loro, e seguitavano il nemico, credendo di seguitare i loro.
La mattina seguente si trovarono impacciati in mezzo alla flotta
spagnuola. Questa prestamente gli accerchiò e pigliò da sessanta
bastimenti. Le navi da guerra scamparono. Ora entravano i vincitori nel
porto di Cadice trionfando. Concorrevano i popoli a vedere la
moltitudine dei cattivi, e le ricche spoglie, notabile ornamento alla
vittoria, e spettacolo loro tanto più grato, quantoch'era ed inusitato e
poco sperato. Scendevano a terra pressochè tremila prigioni d'ogni
ordine, condizione ed età. Erano sedici centinaia di marinari, luttuosa
perdita all'Inghilterra, e non pochi passeggieri. Gravissimo fu il danno
non tanto per le cose mercantili, ma ancora, e molto più per le
provvisioni da guerra, delle quali nelle due Indie gl'Inglesi
abbisognavano. Fu questa assai lieta vittoria agli Spagnuoli, e da essi
con infinita allegrezza ricevuta. Per lo contrario le novelle causarono
nella Gran-Brettagna un rammarico grande, e si udirono contro i ministri
in ogni parte gravissime querele, accusandogli ognuno di temerità,
perchè sapendo, che i confederati stavano così gagliardi in Cadice,
provveduto non avessero, che la conserva viaggiasse molto più alla larga
dalle coste di Spagna.
Intanto se così si travagliava sui mari d'Europa, le cose non passavano
neanco quiete sotto le mura di Gibilterra. Aveva la Spagna, come abbiamo
veduto, capriccio sopra di questa Fortezza. In ciò pareva aver posto
tutti i suoi pensieri, e volervi adoperare tutte le forze del regno. Era
la cosa in sè stessa di molta importanza, e pareva anche poco onorevole
ad un sì possente Re, che uomini forestieri possedessero una Terra
dentro il suo reame, e gli tenessero, come si suol dire, quel calcio in
gola. Paragonavasi il caso di Gibilterra con quello di Calais,
allorquando questa città era posseduta dagl'Inglesi, e volevasi, che
l'istesso fine avesse. Per la qual cosa, dopoch'era stata rinfrescata da
Rodney, l'ammiraglio spagnuolo Don Barcelo sognava del continuo modi, e
con ogn'industria s'ingegnava per impedire, che non entrassero dentro
alla sfuggita nuovi soccorsi. Da un altro canto il generale Mendoza, al
quale obbedivano le genti di terra, ogni sforzo faceva per serrare la
Fortezza da quella parte, fortificando ogni dì il suo campo di San
Rocco, e continuamente approssimandosi, quanto possibil era, con nuove
cave e trincee. Ciò nondimeno, e nonostanti tutte le cautele usate dai
capitani spagnuoli, tanta era l'instabilità dei venti e del mare, e sì
fatta l'attività ed industria degli uffiziali inglesi, che di quando in
quando entrava dentro nuovo fodero. Il che riusciva d'infinita
allegrezza alla guernigione che ne pativa, e di uguale rammarico agli
Spagnuoli, i quali s'erano fatti a credere, non potere la difesa bastar
sì lungo tempo. Questi sforzi del presidio molto erano aiutati dalla
presenza di parecchie navi da guerra, ch'erano state lasciate nel porto
dall'ammiraglio Rodney, tra le quali una ve n'era di 74 cannoni,
chiamata la Pantera. Per levarsi quel bruscolo d'in sugli occhi, gli
Spagnuoli fecero il disegno di volerle ardere in un colle navi da
carico, che nel medesimo luogo erano sorte, siccome pure i magazzini
pieni di munizioni, ch'erano stati costrutti sulla riva del mare.
Apparecchiarono a questo fine sette brulotti con un numero grandissimo
di battelli e di bastarde; gli uni, e le altre pieni di soldati, e
d'ogni sorta di armi da offendere. Nel medesimo tempo le navi da guerra
di Don Barcelo sorsero, e s'arringarono avanti la bocca della cala, non
solo per dar coraggio a' suoi, e concorrere nella impresa, ma ancora per
intraprendere qualunque nave, che avesse voluto cansarsi. Dal lato di
terra Mendoza stava pronto per accrescer terrore alla cosa, e per
facilitar il disegno, a piover bombe dentro la città, tostochè i
brulotti appiccato avessero il fuoco al navilio inglese. Appuntarono
all'impresa la notte de' 6 giugno. Era ella molto scura, il vento ed il
mare propizj. Gl'Inglesi non si addavano. Ivano i brulotti
avvicinandosi, e già era vicino a compiersi il disegno. Ma gli
Spagnuoli, o impazienti, o per l'oscurità della notte credendosi più
presso di quello ch'erano veramente, o temendo di accostarsi di
vantaggio, precipitarono gl'indugj, e dier fuoco ai brulotti ancora un
po' lontani. Destaronsi gl'Inglesi a sì improvviso accidente, e nulla
punto smarritisi al subito pericolo, uffiziali e soldati montarono
spacciatamente nei battelli, e con mirabile coraggio accostatisi agli
ardenti brulotti gli aggraffarono, e condussero alla larga in luoghi,
dove non potessero far danno. Gli Spagnuoli senza frutto alcuno si
ritirarono. Intanto era Mendoza intentissimo a farsi avanti coi lavori
della circonvallazione. Il generale Elliot, al quale il Re Giorgio aveva
commesso la cura di difendere quella rocca, lo lasciava fare. Ma quando
lo Spagnuolo aveva condotto a fine le opere sue, ecco che Elliot a furia
di cannonate le disfaceva, ed intieramente rovinava tutte. Saltava anche
qualche volta fuori, e, guaste le opere degli assedianti, ne chiodava o
rapiva le artiglierie. Queste vicende parecchie volte si rinnovarono. Se
ne rallegravano gl'Inglesi; gli Spagnuoli ne sentivano una noia
grandissima. Per la qual cosa aguzzando gl'intelletti loro alla
necessità, e male soffrendo, che una piccola presa di genti, poichè il
presidio di Gibilterra, inclusi gli uffiziali, non passava i seimila
soldati, non solo loro resistessero, ma con sì prosperi successi gli
combattessero, fecero una deliberazione, la quale molto noiò nel
processo di tempo la guernigione, accrebbe la difficoltà ed i pericoli
della difesa, e produsse in ultimo un total eccidio della città. Questa
fu di construrre in gran numero certe piatte, che chiamarono _barche
cannoniere_. Erano sì fatte, che portavano da trenta a quaranta botti,
quaranta o cinquanta uomini, ed un cannone in prua, che buttava ventisei
libbre di palla. Altre portavano bombarde. Avevano una larga vela, e
quindici remi dalle due bande. Erano molto maneggevoli; ed intendevasi
con esse di gettar bombe e palle nella città e nei forti di nottetempo,
ed anche, quando la occasione si scoprisse, di assaltar le fregate.
Poichè credevasi, che due di queste piatte fossero bastevoli a far
istare una fregata. E siccome poco si alzavano sopra il pelo dell'acqua,
così era cosa assai malagevole il por loro la mira, e colpirle. Non
avendo i Gibilterrani in pronto una simil sorta di navi, male dagli
assalti loro si sarebbero potuti difendere. Così gli Spagnuoli erano
intentissimi nel procurare a sè stessi questo nuovo istrumento di
oppugnazione, che stimarono dover apportare grandissimo giovamento alla
felice riuscita dell'impresa.
Mentre prevalevano in tal modo sulla terra-ferma d'America le armi
britanniche; che nelle Antille quelle dei due antichi rivali si
pareggiavano, e che in Europa con diverso evento si combatteva, sicchè
pareva, che non ancora volesse la fortuna a favore nè di questo nè di
quell'altro nemico inclinarsi, le cose fin là incerte e dubbie state
nelle Province unite dell'Olanda ad un certo e determinato fine
s'incamminavano. Conciossiacosachè avevano i cieli destinato, che la
querela americana commovesse alla guerra tutto il mondo, e che colla
congiunzione delle armi olandesi a quelle dei Borboni e del congresso si
venisse a compir quella formidabile lega, che pareva, dovere l'ultimo
tuffo dare alla potenza dell'Inghilterra. Erano state dal bel principio
della querela le cose d'America fomentate in Olanda con molta
estenuazione di quelle d'Inghilterra, sia per l'amore che a questa causa
della libertà si portava generalmente a quei tempi in Europa, sia perchè
paresse agli Olandesi, che l'impresa ridondasse tutta in pro
degl'interessi della comunanza protestante, temendosi molto dai
dissenzienti delle vere o credute usurpazioni della Chiesa anglicana, e
sia finalmente perchè la presente condizione degli Americani molto
pareva conforme a quella, in cui gli Olandesi stessi si erano ritrovati
ai tempi delle guerre loro contro la Spagna. Quindi è, che coloro, i
quali seguitavano in Olanda le parti francesi ed avevano, e ogni dì
acquistavano, maggior seguito di quelli che parteggiavano per
l'Inghilterra. I più pertinaci fra questi ultimi, sebbene per la
ricordanza dell'antica amicizia, per le opinioni loro intorno alle cose
commerciali, per l'odio che portavano alla Francia, e pei mali che
temevano, fosse questa in grado di far loro nell'avvenire, nell'amicizia
inglese persistessero, tuttavia molto detestavano i consiglj presi
contro l'America dai ministri britannici, e ciò facevano per l'appunto,
e massimamente perchè prevedevano, che essi consiglj avrebbero
finalmente quella buon'armonia rotto, ch'eglino avrebbero voluto
conservare, e fatto del tutto traboccar la Olanda alle parti di Francia.
Aggiungevasi a questo, che siccome vi si stava generalmente molto in
gelosia contro la potenza dello Statholder, congiunto di sangue col re
Giorgio, e temendosi, che questi lo volesse favorire, e fargli le spalle
nelle sue usurpazioni, o disegnate invero, o soltanto credute, o volute
farsi credere che si fossero, così vivevano le genti in molto sospetto
intorno le intenzioni dell'Inghilterra. Temevano, ch'ella non volesse
fare a tempo accomodato, e per mezzo dello Statholder a sè medesimi
quello, che allora voleva fare all'America. Queste cose si dicevano
apertamente, e con vivi colori si dipingevano dai gallizzanti. Per la
qual cosa salivano essi in maggior riputazione, mentre l'autorità degli
avversarj diminuiva giornalmente. Tra le città e le province, che si
mostravano parziali per la Francia, tenevano il primo luogo e per la
ricchezza, e per la potenza loro quelle di Amsterdam e dell'Olanda. Per
la qual disposizione d'animi mantenere viva, e per tirare anche altre
città e province nella medesima sentenza, aveva la Francia, avvisandosi
benissimo, quanto sia potente nei cuori umani, e massimamente in coloro,
che fanno professione del mercanteggiare, l'amor del guadagno, molto
accortamente ordinato, ch'ella farebbe pigliare in sui mari tutte le
navi olandesi, le quali facessero il commercio colla Gran-Brettagna,
solo eccettuando quelle delle città di Amsterdam e di Harlem. Dalla
quale deliberazione ne era nato, che parecchie altre città principali,
tra le quali Rotterdam e Dort, si erano per godere il medesimo
privilegio alle parti francesi accostate. Tutte queste cose erano state
causa, che si era appiccata, già erano due anni, una pratica in
Aquisgrana tra Giovanni Neuville, il quale operava in nome, e per
l'autorità di un Van-Berkel personaggio, siccome affezionatissimo ai
Francesi, così nimicissimo agl'Inglesi, e Capo del governo della città
di Amsterdam, e Guglielmo Lee commissario per parte del congresso.
Questi due agenti dopo molte consulte fermarono un trattato d'amicizia e
di commercio fra quella città, e gli Stati Uniti d'America. Questo
trattato non era in nome, che casuale, intendendosi, che dovesse solo
avere il suo effetto, allorquando l'independenza degli Stati Uniti fosse
dalla Gran-Brettagna riconosciuta. Ma infatto si riconoscevano questi
come franchi ed independenti, poichè come se tali fossero si negoziava e
si accordava con essi. Non era invero il trattato stato fatto con altri,
che colla città d'Amsterdam. Ma si sperava, che la prepotenza, ch'ella
aveva nella provincia d'Olanda, avrebbe tirato a parte della cosa tutta
questa provincia, e che quella prepotenza stessa della provincia avrebbe
fatto nel medesimo disegno inclinare anche tutte l'altre. Queste
pratiche furono con tanta gelosia tenute segrete, che nulla se ne
riseppe in Inghilterra. Ma il congresso, il quale ardeva di desiderio,
che quello, che si era segretamente stipulato, si recasse apertamente in
effetto, creò plenipotenziario a questo fine presso gli Stati Generali
Laurens, quello stesso, che stato era presidente. Questo partito con
tanto più pronto volere aveva abbracciato, in quanto che si era persuaso
quello ch'era vero, cioè, che per gli acciacchi ed insolenze usate
dagl'Inglesi alle navi mercantili olandesi nel commercio loro coi porti
francesi, si fossero in tutta la Olanda gravemente alterati gli animi; e
che massimamente a grandissimo sdegno vi si fossero concitati per la
presura fatta delle navi accompagnate dal conte Byland. Questi mali
umori poi, e queste nuove ferite invece di sedare e di ammorbidare,
aveva viemmaggiormente mossi, e fatte inciprignire Jorke, ambasciadore
pel Re della Gran-Brettagna all'Aia con un memoriale pieno di alterigia
da lui porto al governo, il quale fu giudicato non dicevole alla dignità
di una nazione franca ed independente. Ma la fortuna, la quale così
spesso si fa giuoco dei miseri mortali, volle far di modo, che questi
maneggi venissero per un impensato accidente a notizia dei ministri
inglesi, prima che avessero potuto avere il loro compimento. Non così
tosto erasi Laurens dipartito da Filadelfia, che, incontrata la nave,
che lo portava, sulle coste di Terranuova dalla fregata inglese la
Vestale, e presa, fu egli fatto prigione. Aveva bene subito, accortosi
del pericolo, fatto getto di tutte le sue scritture pubbliche, ma per la
celerità e la destrezza di un marino inglese furon tratte dall'acqua, ed
a salvamento condotte, prima che si sfacessero. Fu Laurens condotto a
Londra, e confinato, come reo di Stato, in fondo della Torre. Tra le
scritture intraprese, i ministri britannici ebbero fra le mani quel
trattato, di cui abbiamo favellato, e parecchie lettere tutte
risguardanti la pratica di Aquisgrana. Tosto Jorke ne levò all'Aia un
grandissimo romore. Richiese in nome del suo Re gli Stati Generali, non
solo facessero disdetta del procedere del pensionario Van-Berkel, ma
ancora ristorassero prontamente la offesa, e quello, ed i suoi complici
traessero a condegno castigo, come perturbatori della pubblica pace, e
violatori dei diritti delle nazioni. E siccome gli Stati Generali si
peritavano alla risposta, così egli faceva nuove e caldissime istanze,
perchè si risolvessero. Ma quelli, che non si volevano affrettare, e che
andavano molto renitenti allo scoprirsi, sia perchè erano pei loro
ordini pubblici di necessità molto tardi al deliberare, sia perchè
avrebbero voluto raccorre prima a luoghi sicuri le ricchezze loro,
ch'erano o portate dalle navi sui mari, od ammassate per la securità
della pace nelle proprie isole quasi senza niuna difesa, risposero, che
avrebbero considerato. Da un altro canto i ministri britannici, che
avevano fretta, perciocchè ardevano di desiderio di por la mano addosso
a quelle ricchezze, intendendo anco, che gli Olandesi non avessero tempo
di fare i necessarj apparecchiamenti di guerra, fecero le viste di non
esser contenti a quella risposta, e rivocarono incontanente
l'ambasciador loro dall'Aia. Seguirono poco dopo da ambe le parti i
soliti manifesti. Così portò la condizione de' tempi, che finalmente
fossero interrotti gli uffizj di benevolenza tra due nazioni da lungo
tempo congiunte in amicizia, e che avevano molti e grandi interessi
comuni. La quale guerra altrettanto fu più grave all'Inghilterra, in
quanto ch'era l'Olanda un nemico vicino, e molto perito sulle navali
armi. Ma da una parte l'orgoglio, forse necessario ad uno Stato
possente, e la gola dell'arraffare sempre condannabile, e non mai
saziata, dall'altra le discordie intestine, e la debolezza delle armi
terrestri, ch'erano causa, che più si temesse dei vicini di terra-ferma,
di quello, che sarebbe stato richiesto all'independenza, fecero di modo,
che fu rotta un'antica amicizia, e nacque una guerra che tutti gli
uomini prudenti, i quali s'intendevano dello Stato, condannarono ed
apertamente biasimarono.
Ripigliando ora, ove lasciammo, delle cose, che giravano sulla
terra-ferma d'America, egli è da sapersi, che dopo la presa di
Charlestown, e la invasione nella meridionale Carolina un grande e
maraviglioso cambiamento si era fatto negli animi di quei popoli; e che
vi nacque la salute da quegli stessi casi, che parevano una instante
rovina pronosticare. Tanto è vero quello, che i nostri maggiori vollero
significare con quel proverbio loro, _gran pesto fa buon cesto_; il che
altro non vuole significare, se non se che lo sprone dell'avversità fa
fare agli uomini in utile loro di quelle cose, che gli allettamenti
della prospera fortuna non possono. Imperciocchè le disgrazie della
Carolina non che sbattuto avessero gli Americani, parve per lo
contrario, che nelle menti loro maggior ostinazione, e nei cuori maggior
coraggio infondessero. Venne meno in essi quella tiepidezza, alla quale
nei precedenti anni erano stati soggetti, e che di tanto danno era stata
cagione alla Repubblica, e di tanto dolore ai Capi di essa. Ognuno
s'incendeva di nuovo ardore per soccorrere alla patria. Tutti
s'inanimavano a sviscerarsi intieramente ai servigj della repubblica.
Avresti detto, esser tornati i primi tempi della rivoluzione, quando sì
grandi erano il consenso e l'ardore degli uomini in questa impresa loro
contro l'Inghilterra. Molti scordarono gl'interessi privati per non
pensare, che a quei del pubblico; e tutti andavano dicendo, doversi
cacciare il crudelissimo nemico da quelle fertili terre; doversi
soccorrere ai fratelli del mezzodì; doversi quelli avanzi di satelliti
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