Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 01

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STORIA DELLA GUERRA
DELLA INDEPENDENZA
DEGLI
STATI UNITI DI AMERICA

SCRITTA DA
CARLO BOTTA

VOLUME QUARTO

MILANO
PER ANTONIO FONTANA
M.DCCC.XXVII


STORIA DELLA GUERRA AMERICANA


LIBRO DUODECIMO

[1780]
Io m'apparecchio a scrivere una ostinata guerra, la quale variata in
numerosi affronti, e spesse battaglie dimostrò forse più, che in
un'altra qualsivoglia, quanto siano incerte le operazioni dell'armi, ed
instabili i favori della fortuna; e quanto tenaci siano le umane menti
nel proseguire ciò, che posto hanno in cima dei desiderj loro. Le
vittorie partorirono frequentemente i frutti delle rotte, e le rotte
quei delle vittorie; i vincitori diventarono spesso vinti, i vinti
vincitori. In piccoli fatti mostrossi una gran virtù, e dall'opera di
poche genti, secondochè queste o quelle ebbero prospero, od infelice
successo, altrettanto, o più in ultimo si ottenne, che ricavato si sia
le più volte dalle grossissime battaglie combattute ne' campi europei da
valorose e potentissime nazioni. Nè si cessò dall'aspra contesa nelle
Caroline, se non quando già s'incamminavano le cose a quel fatale caso,
che del tutto afflisse le britanniche armi sul continente americano.
Erasi, come nel precedente libro si è da noi raccontato, partito dalla
Nuova-Jork il generale Clinton per recarsi all'impresa delle Caroline,
nelle quali si proponeva principalmente d'insignorirsi della città di
Charlestown; avuta la quale si sperava, tutta la provincia avesse ad
inclinare subito il collo all'obbedienza del Re. Conduceva seco da sette
in ottomila soldati tra Inglesi, Essiani e leali, tra i quali una buona
squadra di cavalli, gente molto necessaria all'esercizio della guerra in
quelle province agili e piane. Aveva anche posto sulle navi una quantità
grandissima di munizioni sì da guerra che da bocca. Viaggiavano gli
Inglesi pieni di ardimento, e confidentissimi della vittoria. Dapprima
furono assai favorevoli i venti, e propizio il mare. Ma messisi poscia
gli orribili temporali, ne fu l'intiera flotta dispersa, e grandemente
danneggiata. Alcune navi pervennero sul finir di gennaio a Tibee nella
Giorgia; altre furono intraprese dagli Americani; un'annonaria
infortunò, e si ruppe con perdita di tutte le munizioni che portava; i
cavalli, sì quei che servivano al traino delle artiglierie, come quei
delle compagnie, la maggior parte perirono. Tutti questi danni, che
stati sarebbero gravi in ogni tempo, riuscirono in quell'occorrenze
gravissimi, e quasi irreparabili. Ritardaron poi anche sì fattamente
l'impresa di Charlestown, che ebbero gli Americani tempo ad apparecchiar
le difese. Finalmente si raccozzaron tutti nella Giorgia. Le genti
vincitrici di Savanna ricevettero con molte dimostrazioni d'allegrezza
quelle di Clinton, le une e le altre molto efficacemente adoperandosi
per ristorar i danni sofferti nel tragitto. Quando furon di bel nuovo in
punto, il che fu al dieci febbraio, partirono sulle navi da carico,
accompagnate anco da quelle da guerra, ed avuti i venti prosperi
arrivarono speditamente nelle bocche del Nort-Edisto, fiume, che mette
in mare poco lungi dall'Isola di San Giovanni sulle coste caroliniane.
Esplorati i luoghi, e superato lo scanno, sbarcarono, distendendosi
dentro l'isola sopraddetta, e quella di San Jacopo più vicina a
Charlestown. Già le prime scolte toccavano le rive del fiume Ashley, il
quale bagna le mura di questa città. Occupavano parimente il Wappoo-cut,
pel quale i battelli e le galere dovevan passare per trasportare poscia
i soldati dalla destra sponda dell'Ashley sulla sinistra, sulla quale è
posto Charlestown. Ma gl'indugi causati dalla passata fortuna di mare,
pei quali avevano i Caroliniani avuto tempo di munire la città con nuove
fortificazioni e più grossi presidj, avevano indotto Clinton a vieppiù
soprastare all'oppugnazione, ed a mandar ordine intanto al generale
Prevost a Savanna, gl'inviasse de' suoi dodici centinaia di soldati,
incluso quel maggiore numero di cavalli che potesse. Aveva anche scritto
a Knyphausen, il quale, partito Clinton, era rimasto al governo dei
presidj della Nuova-Jork, spedisse tostamente all'oste presso
Charlestown rinforzi di genti e di munizioni. Venne infatti pochi giorni
dopo a congiungersi con Clinton il generale Patterson mandatovi da
Prevost colle richieste genti, dopo d'aver superato non senza molta
fatica e pericolo gl'impedimenti de' sfondati cammini, dei fiumi
ingrossati, e del nemico, che, leggiero e sparso, lo aveva con ispesse
scaramucce col sinistro fianco noiato da Savanna sin molto addentro
nella Carolina. Stava intanto Clinton affortificandosi sulle rive
dell'Ashley, e su quelle delle vicine fiumane, e bracci di mare per
mantener libere le vie a poter comunicare col suo navilio. In questo
mezzo il colonnello Tarleton, del quale sarà fatta frequente menzione in
queste storie, non meno arrisicato, ch'esperto condottiere di
cavalleggieri, recatosi nell'Isola di Porto-Reale, situata sulle coste
della Carolina più verso la Giorgia, assai fertile e ricca, attendeva
con procacci fatti, per danaro dagli amici, per forza dai nemici, di
nuovi cavalli a ristorar la perdita di quelli, che morti erano durante
l'infelice tragitto. Nel che se non ottenne tutto quello che desiderava,
ebbe però più assai di quanto egli sperava. Così in sul finir di marzo
ogni cosa era in pronto per cominciar l'assedio di Charlestown, dalla
quale città l'esercito britannico era separato soltanto dalle acque del
fiume Ashley.
Dall'altro canto non erano stati oziosi gli Americani nel fare tutti
quei provvedimenti sì civili che militari, che più creduti avevano
necessarj ad una gagliarda difesa, quantunque in questo quegli effetti
non ottenessero che avrebbero desiderato, e che la gravità del caso
richiedeva. I biglietti di credito nella Carolina Meridionale avevano
tanto perduto di riputazione, che con essi assai difficilmente si
potevano fare i procacci necessarj agli usi della guerra. Nè meno si
travagliava per la carestia dei soldati. Le milizie dopo l'ardue fazioni
della Giorgia nel passato inverno, tratte dal desiderio del riposo,
s'erano, disbandandosi, alle case loro ritornate. Il timore del vaiuolo,
che sapevano serpeggiare in Charlestown, le impediva ancora di recarsi
al soccorso della città capitale. I reggimenti poi degli stanziali
appartenenti alla provincia, ch'erano sei, si trovavano talmente
assottigliati dalla frequenza de' disertori, dalle malattie, dalle
battaglie, dal finir delle ferme, che tutti insieme non arrivavano ad un
migliaio di soldati. Non pochi parimente dei Caroliniani si erano
ridotti a giovarsi dei perdoni presso Prevost a Savanna, parte per
fedeltà verso il Re, e parte per preservare le robe loro dal sacco.
Perocchè gl'Inglesi, senza rispetto alcuno, depredavano e devastavano le
proprietà di coloro, i quali continuavano a militare sotto le insegne
del congresso. La vittoria poi di Savanna aveva indotto negli animi un
grande terrore dell'armi inglesi; e molti ripugnavano all'andarsi a
serrare dentro le mura di una città, che poco credevano poter resistere
agli assalti di un nemico sì valoroso. E se deboli erano per la
necessità delle cose i preparamenti dei Caroliniani meridionali, erano
poco più gagliardi quei del congresso. Aveva questi avuto tempestivo
avviso del disegno degl'Inglesi, e vedendo rannuvolar nella Carolina
avrebbe voluto soccorrerle. Ma dall'un de' lati la debolezza
dell'esercito washingtoniano, che era stato assai diradato dal finir
delle ferme, dall'altro la grossezza dei presidj lasciati da Clinton
nella Nuova-Jork erano causa, che da quello non si potesse un molto
efficace aiuto inviare a Charlestown. Ma per altro per confortare colle
parole, giacchè non poteva coi fatti, ovvero perchè avesse credenza, che
i popoli si sarebbero risentiti al vicino pericolo della Carolina ed
accostati alle insegne, iva il congresso scrivendo a quei che
governavano le faccende in questa provincia, stessero forti, perciocchè
avrebbe mandato loro un soccorso di novemila soldati. Ma il fatto fu che
non ne potè mandare, che quindici centinaia, soldati stanziali però
della Carolina Settentrionale e della Virginia. Mandò inoltre due
fregate, una corvetta, ed alcune altre navi minori, per contrastare, se
possibil fosse, il passo verso la città per la via del mare. Aveva anche
esortato i Caroliniani, armassero gli schiavi. La qual cosa non ebbe
effetto, sia perchè a ciò ripugnavano essi universalmente, sia perchè
non si avevano in pronto sufficienti armi a por loro in mano. Nonostante
questa freddezza dei popoli, i maestrati di Charlestown, confortati anco
dalla presenza e dalle parole del generale Lincoln, il quale governava
tutte le faccende appartenenti alla guerra, fatta sopra di ciò una
consulta, con unito consenso deliberarono di voler difendere sino
all'ultimo la città. Nè contenti a questo, sapendo benissimo, quanto
nelle cose della guerra, e nei casi massimamente più gravi, vaglia
l'unità dei consiglj, diedero la potestà dittatoria a Giovanni Rutledge,
loro governatore, dandogli facoltà di fare tutto ciò, che necessario
credesse alla salute della repubblica; solo non gli diedero autorità
sopra il sangue, e vollero che non potesse tor la vita ad un cittadino
senza un legale giudizio. Avuta una tanta autorità, chiamò Rutledge a
campo le milizie; ma pochi accorrevano. Mandò poscia fuori un bando, col
quale comandò a tutte le squadre regolari di milizie, a tutti gli
abitanti, ed a tutti coloro i quali qualche proprietà avessero nella
città, dovessero sotto le insegne porsi, e venir a congiungersi col
presidio. Se non obbedissero, fossero i beni loro posti al fisco. A
questo aspro comandamento alcuni si mossero, comunque a gran pezza tanti
armati non si ottenessero, quanti si sarebbero desiderati, tanta era la
freddezza dei popoli; perciocchè erano sbigottiti, e volevano star a
vedere, che sesto piglierebbero le cose, e brevemente tutto il presidio
di una sì gran città poco passava i cinquemila uomini, inclusi gli
stanziali, le milizie ed i marinari. Dei primi, i quali erano il membro
più grande della difesa, se ne annoveravano da circa due migliaia.
Lavoravasi intanto con incessabile fatica alle fortificazioni.
Consistevano le difese della città dalla parte di terra, da quel lato
che si distende dietro di quella dal fiume Ashley a quello, che chiamano
Cooper, in una tela di bastioni, di trincee e di batterie, ove si
annoveravano ottanta grossi cannoni, e parecchie bombarde. Le opere
esteriori, che fronteggiavano l'aperta campagna, erano da due fianchi
protette da paludi, le quali nate dall'una parte e dall'altra dai due
fiumi si distendevano all'indentro verso il miluogo posto tra i
medesimi. Per serrare poi il passo di mezzo, le due paludi erano state
congiunte da un canale artefatto, che correva dall'una all'altra. In
mezzo allo spazio compreso tra queste opere esteriori e le trincee
avevano gli Americani fatto due forti palafitte coll'aver ficcato dentro
in terra grossi alberi di modo, che i rami colle punte loro fossero
volti all'infuori. Tra le due palafitte avevano scavato un fosso molto
affondo con entrovi l'acqua. Tra lo steccato interiore e le trincee
avevano per maggior sicurezza fatte certe buche qua e là da trappolarvi
dentro gli assalitori, se fin là fossero penetrati. Le trincee poi ed i
ripari fattivi erano da fianco, cioè a riva i due fiumi da ambe le parti
fortissimi, e sì fattamente costrutti, che le artiglierie loro tiravano
rasente terra, e spazzavano la campagna. Ma le trincee nel mezzo essendo
più deboli, si praticò in questo luogo un puntone ammattonato, il quale
a guisa di rivellino fortificasse l'entrata della Terra, e la porta
principale di lei coprisse. Quest'erano le fortificazioni, che
stendendosi a traverso del promontorio dietro la città da un fiume
all'altro, la difendevano dalla parte di terra. Ma sui due lati,
dov'ella è bagnata dalle acque dei fiumi, avevano piantato spesse e
grosse artiglierie su certi ripari fatti con molta diligenza, e
costrutti, perchè meglio resistessero ai colpi delle artiglierie, con
terra frammescolata al legno di palmetto. I luoghi poi, dove si sarebbe
potuto sbarcare, avevano accuratamente fortificati con grosse
palificate. Oltreacciò, e per cooperare con quella difesa, che dalle
batterie di terra si sarebbe fatta, e per impedir alle navi inglesi il
passo dentro del porto, apparecchiato avevano una nave, che portava 44
cannoni, sette fregate loro proprie, una fregata francese di 36 cannoni
con altri legni minori, principalmente galee. Tutto questo barchereccio
da principio con ottimo consiglio avevano fermato nello stretto passo,
che si trova tra l'Isola di Sullivan ed il Middle-ground; nella quale
positura se avessero continuato a starsene, avrebbero potuto grandemente
danneggiare la flotta inglese nel suo approssimarsi al Forte Moultrie,
posto su quell'isola, e tanto celebrato per la valorosa difesa fatta
contro gli Inglesi nel 1776. Ma quando l'ammiraglio Arbuthnot si
avvicinò colle sue navi allo scanno, abbandonato quel luogo, ed alle
proprie forze il Forte Moultrie, si avvicinarono vieppiù alla città, ed
andarono a porsi di traverso a quel canale, che non è altro che il fiume
Cooper, e scorre tra il sinistro lato della città, ed un renaio assai
basso, che chiamano Shutte's-folly. Ivi furono le fregate affondate in
un con altri legni mercantili, e sopra di esse con gomene, catene e
barre fu fatta come una barricata, che si stendeva da una riva
all'altra; e per assicurarla vieppiù v'intralciaron dentro gli alberi
delle navi affondate. Così non rimase agl'Inglesi altro impedimento
all'entrar nel porto, ed a venir sopra alla città per cooperar colle
genti di terra fuori di quello del Forte Moultrie. In cotal modo i
Caroliniani con grand'animo si apparecchiarono contro gli assalti
inglesi, stando anche in isperanza degli aiuti delle vicine province
della Carolina Settentrionale, e della Virginia. Lincoln, e Rutledge
grandissima lode meritarono per lo zelo e per l'industria singolari, coi
quali si adoperarono nel confortar i popoli, e fortificar la città. Gli
ingegneri francesi De-Laumoy, e De-Cambray con molt'arte gli
secondarono. Furono gli stanziali posti a difendere le trincee, dov'era
maggiore il pericolo, le milizie i lati a riva il fiume.
Appena avuto assetto tutte queste cose, il dì 29 di marzo Clinton,
lasciate le guardie a Wappoo-cut, dov'erano i magazzini, varcava colle
altre genti, senza ostacolo veruno incontrare, il fiume Ashley a dodici
miglia distante sopra Charlestown. E subito posto piede in terra mandò i
soldati armati alla leggiera sì fanti che cavalli, ad occupar la strada
maestra ed a correre il paese sino a gittata dei cannoni della città.
Seguitò poscia tutto l'esercito, e pigliò gli alloggiamenti a traverso
l'istmo dietro la città ad un miglio e mezzo distante. In tal modo fu
del tutto infrachiusa la via di terra al presidio; ed essendo gl'Inglesi
padroni delle rive dell'Ashley, gli rimaneva solo aperta a poter ottener
rinfrescamento di vettovaglia e di genti quella a sinistra a traverso il
fiume Cooper. Non tardarono i regj a trasportar al campo loro, prestando
in ciò un'opera eccellente co' suoi battelli e galere il Capitano
Elphinstone, le grosse artiglierie, le bagaglie e le munizioni sì da
guerra che da bocca. La notte del primo aprile incominciarono a lavorare
alle trincee, e nel termine di una settimana, avendo gli assediati
tratto con poco frutto, già erano i cannoni posti sulle batterie e
pronti a batter la piazza.
Nel medesimo tempo l'ammiraglio Arbuthnot si era messo in punto per
passare lo scanno, a fine di entrare nel porto di Charlestown. Le
fregate, siccome più leggieri, trapassarono senza difficoltà alcuna. Ma
a volere che le navi più grosse varcassero, fu mestiero alleggerirle col
tor via le artiglierie, le munizioni e per fino l'acqua che portavano.
Ebbe luogo il passaggio il dì 20 di marzo. Arbuthnot gettò l'ancora a
Five-Fathom-Hole. Rimaneva a superarsi, perchè la sua armata potesse
avvicinarsi a Charlestown e cooperare colle genti di terra, l'ostacolo
del Forte Moultrie, alla guardia del quale era posto il colonnello
Pinckney con un sufficiente presidio. L'ammiraglio inglese pigliando la
opportunità di un vento da ostro, e della crescente, levate le ancore il
dì nove aprile, e camminando a piene vele, passò oltre facilmente, ed
andò a fermarsi a tiro di cannone dalla città presso l'isola di San
Jacopo. Non aveva tralasciato Pinckney di sparar le sue artiglierie nel
momento in cui gl'Inglesi passavano; ma tanta fu la celerità loro, che
ne ricevettero poco danno. I morti ed i feriti non arrivarono a trenta.
Solo una nave da carico fu abbandonata ed arsa.
In questo stato di cose, essendo le batterie pronte a fulminare la
piazza, e questa cinta quasi da ogni banda, Clinton e Arbuthnot
ricercarono la città a Lincoln. Lo ammonirono con parole gravi delle
calamità, che, se stesse ostinato, soprastavano alla città, dei
terribili effetti di un assalto dato prosperamente, e che quella era la
sola favorevole occasione, che gli si appresenterebbe per salvar la vita
e la proprietà dei cittadini. Rispose animosamente l'Americano, volersi
difendere. Avuta questa risposta, diedero tosto gl'Inglesi mano al
trarre. Gli Americani dalle mura a più possa gli rimboccavano.
Prevalevano gli assedianti, avendo più artiglierie, e massimamente
bombarde, che facevano gran danno. Intanto i palaiuoli e maraiuoli,
governati dal Montcrieffe, quegli stesso, che si era acquistato tanta
lode nella difesa di Savanna, lavorando gagliardamente alle trincee, si
facevano avanti. Già la seconda circonvallazione era condotta a
compimento, e le batterie piantatevi. Ogni cosa prometteva una vicina
vittoria agli Inglesi. Ma gli Americani avevano fatto una massa nelle
parti superiori del fiume Cooper in un luogo detto Monk's-corner. Erano
sotto la condotta del generale Huger. Potevano di là noiare gli
assedianti alle spalle, rinfrescar di genti e di munizioni il presidio
di Charlestown, e nell'estremo caso fargli ala al votar la città, ed al
ritirarsi a luoghi sicuri nella campagna. Questa testa poi di genti, che
tenevano il campo, avrebbe potuto servir d'incentivo e di nodo ad altre,
che ad esse sarebbero venute ad accozzarsi. Già ricevuto avevano dalla
settentrionale Carolina molto carreggio, armi, munizioni e bagaglie.
Considerate tutte queste cose, Clinton si deliberò ad andargli a
combattere primachè vieppiù s'ingrossassero. Mandò a questa bisogna con
quattordici centinaia di soldati il colonnello Webster, acciocchè e quel
nido di repubblicani sperperasse, e troncasse loro le vie per a
Charlestown dalla parte del Cooper. Lo accompagnavano Tarleton e
Fergusson, l'uno e l'altro molto arrischievoli condottieri di corridori.
Avevano gli Americani posti gli alloggiamenti principali sulla sinistra
riva di quel fiume, ed essendo padroni del ponte avevano anche mandato
sulla destra tutta la cavalleria, colla quale grandemente prevalevano.
Il luogo era forte, non essendovi adito al ponte, se non per un dicco,
che scorreva a traverso di luoghi acquidosi e maremmani. Ma stavano a
mala guardia, non avendo locato scolte all'intorno, nè fatto correre la
contrada dai cavalleggieri. Inoltre l'ordinanza loro era da condannarsi,
avendo posti i cavalli avanti ed i fanti dietro. Arrivarono gl'Inglesi
improvvisi alle tre della notte. Fatto un gagliardo impeto smagliarono e
ruppero tosto l'inimico. Chi non fuggì, fu morto. Il generale Huger, ed
i colonnelli Washington e Jamieson cacciatisi nelle vicine paludi, col
favore delle tenebre scamparono. Quattrocento cavalli, assai preziosa
preda, vennero in poter dei vincitori con molti carri carichi di armi,
d'abiti e di munizioni. I reali s'impadronirono del ponte. Poco poscia
assicurarono a sè stessi un altro passo inferiore, ed inondarono il
paese posto sulla sinistra del fiume, e principalmente il distretto di
San Tommaso. In cotal modo fu intrachiusa la sola via, che rimasta era
agli assediati a poter comunicare colla contrada, e la città si trovò
intieramente, e da ogni banda investita. La guernigione, siccome non
troppo gagliarda, non fe' nissun motivo per impedire queste fazioni.
Solo si attentarono ad affortificarsi su di una punta della sinistra
riva del fiume, che chiamano la punta di Lamprey. Ma, ingrossatisi
gl'Inglesi per nuovi rinforzi mandati da Clinton sulla riva medesima, ed
arrivato il conte di Cornwallis a pigliare il governo di tutte queste
genti, gli Americani quel nuovo posto abbandonarono tostamente.
Foraggiavano gl'Inglesi alla libera, impedivano le adunate delle
milizie, ed i soccorsi alla città. Pochi giorni dopo Tarleton recatosi
con incredibile celerità sulle rive del fiume Santee, sopraffece, e
mandò in rotta un'altra presa di cavalieri repubblicani, ivi raccoltisi
sotto la guida del colonnello Buford. Armi, cavalli, e munizioni, tutto
venne in balìa dei vincitori. Nè a queste cose si arrestò l'avversa
fortuna dei repubblicani. Venuto l'ammiraglio Arbuthnot sopra l'Isola
Sullivan, vi sbarcò una mano di marinari, uomini valentissimi.
Incominciò a stringere il Forte Moultrie, ed avuto diligente contezza
delle mura e del presidio, si apparecchiava a dargli l'assalto dalla
parte di ponente e di maestro, dov'erano più deboli le difese. Quei di
dentro, perduta ogni speranza di soccorso, essendo gl'Inglesi padroni
del mare, ed essi troppo deboli a poter resistere, si arrenderono il dì
sette di maggio. Così il forte Moultrie, che, allora faceva quattro
anni, aveva sgarato con grandissimo danno tutte le forze dell'ammiraglio
Hyde-Parker, ora, rivoltatasi la fortuna della guerra, venne di queto in
poter dei reali.
Intanto fattisi avanti cogli approcci avevano questi condotto a termine
la terza circonvallazione molto, vicina al canale da noi
sopraddescritto, e tanto lavorarono colle zappe, che pervenuti a destra
nella palude, dalla quale l'acqua era derivata, e, svoltala, la
seccarono. Alzarono poi poco stante le batterie su quest'ultima
circonvallazione, e compirono le traverse e gli altri cunicoli di
comunicazione. Cinta in tal modo d'ogni intorno la piazza, e gli
assedianti in atto di piovervi dentro le palle e le bombe, intimava
Clinton la resa a Lincoln. Si appiccava una pratica d'accordo; ma
pretendendo l'Americano, che non solo le milizie ed i cittadini fossero
franchi e liberi delle loro persone, ma ancora che le proprietà loro
vendere e trasportare, ove meglio piacesse loro, potessero, le quali
condizioni ricusava l'Inglese di concedere, volendo, che si arrendessero
tutti a prigionieri di guerra, ed in rispetto alle proprietà a
null'altro volendo consentire, se non se che le soldatesche nolle
avrebbero manomesse, si ruppe tosto la pratica, e si ricominciarono le
ostilità. Le palle intronavano le mura; le bombe e le carcasse, che si
crollavano in grandissima copia dentro la città, rovinavano ed
accendevano gli edifizj; ed i tiratori essiani in ciò molto destri,
cogli archibusi rigati imberciavano tutti coloro, che alle cannoniere,
od altrove si affacciavano. Niuna cosa rimaneva a quei di dentro libera
e sicura. Tutto annunziava appropinquarsi la necessità della dedizione.
Già si rallentavano i tiri degli assediati, imboccate le artiglierie
loro, fracassati i carretti, morti gli artiglieri, e gl'Inglesi spintisi
avanti colle zappe avevano sboccato nel fosso a pochi passi distante
dalle mura. Minacciavano di assalto la misera città. Già dentro appariva
principio di discordia civile, perciocchè i cittadini, parte timidi,
parte leali, incominciavano a romoreggiare. Pregavano, scongiuravano
Lincoln, non volesse vedere l'estremo sterminio di quella diletta stanza
loro, di quella sì ricca e sì nobile città. Si arrendesse, accettasse le
condizioni. Già mancare la panatica; gl'ingegneri aver dichiarato, non
potersi sostenere l'assalto; nissuno spiraglio di salute discoprirsi da
nissuna banda. In così terribile congiuntura, deposta la natural sua
durezza, piegò Lincoln finalmente l'animo all'arrendersi, ed ai dodici
del mese di maggio si fermò la capitolazione. Uscissero i soldati del
presidio con alcuni degli onori della guerra, e giunti al luogo,
tramezzo le mura ed il canale, ivi deponessero le armi; le casse non
battessero; le insegne fossero piegate; ritenessero gli stanziali ed i
marinari le bagaglie loro, e rimanessero prigionieri di guerra sino agli
scambj; le cerne se ne tornassero alle case loro, dando la fede di non
portar le armi contro le genti regie; la quale sintantochè serbassero,
non potessero venir molestate nè nella roba nè nelle persone; i
cittadini parimente di qualunque ordine si riputassero sulla fede loro
prigionieri di guerra; le proprietà loro conservassero colle medesime
condizioni, che le cerne; gli uffiziali ritenessero i loro servi, le
armi e le bagaglie non isvaligiate; avesse Lincoln facoltà d'inviare una
nave a posta con ispacci a Filadelfia. In cotal modo dopo un assedio di
quaranta giorni venne la città capitale della Carolina Meridionale in
mano dei reali. Sette generali, dieci reggimenti di stanziali, ma però
molto diradati, e tre battaglioni di artiglieria diventati prigionieri
fecero conspicua la vittoria degl'Inglesi. Il numero dei prigioni,
incluse le milizie ed i marinari, tanto americani che francesi,
arrivarono a meglio di seimila persone. Quattrocento bocche da fuoco di
diversa sorta e grandezza caddero in poter dei vincitori con una
quantità non ordinaria di polvere, di palle, di bombe e di scaglia. Tre
grosse fregate americane, ed una francese con altri legni di minor
grandezza accrebbero l'importanza della vittoria. La perdita dei morti e
dei feriti fu di poco momento da ambe le parti. I Caroliniani agramente
si dolsero dei loro vicini massimamente dei Virginiani, perchè non
avessero porto loro quegli aiuti, che avrebbero potuto. Fu Lincoln
molto, e molto diversamente ripreso del modo, col quale ei governò tutta
questa fazione. Lo biasimarono alcuni dell'essersi rinchiuso dentro le
mura di una Terra grande e male riparabile, invece di osteggiare alla
campagna. Affermarono, che se questo secondo partito seguitato avesse,
avrebbe potuto conservare alla lega un esercito notabile, e le più
fertili terre della provincia. Mantennero, che sarebbe stato meglio con
agguati, con iscappate, con aggirate, con opportuni assalti stancare, e
consumar l'inimico; poco esser difendevoli le mura di Charlestown; le
genti poche a tanto circuito; diverso modo da questo, e con molta
utilità della patria aver tenuto Washington, quando antepose alla
perdita dell'esercito quella dell'Isola della Nuova-Jork, e della città
stessa di Filadelfia. Delle quali cose si può credere, che certamente
sarebbe stato miglior consiglio, temporeggiando in sulle difese,
straccar l'inimico sulla campagna. Ma della contraria deliberazione di
Lincoln non egli dee venir accagionato, ma sibbene il congresso e gli
Stati provinciali vicini, i quali nell'approssimarsi del pericolo quegli
aiuti promisero, che poi non mandarono. Altri lo condannarono per non
aver votato la città, quando tuttora erano aperte le vie sulla sinistra
sponda del Cooper. Della quale risoluzione fu causa, prima questa stessa
speranza degli aiuti; poscia, quando dopo la vittoria di Monk's-corner
gl'Inglesi avevano inondato le terre poste tra il Cooper e la Santee, il
timore di esser sopraffatto da forze superiori, massimamente cavalli, e
la ripugnanza al lasciare la città a discrezione in mano del nemico.
Avuta Clinton la possessione della città capitale della Carolina, vi si
assicurava dentro con buoni ordini civili e militari, e, assettata
questa, volgeva l'animo a racconciar la provincia, nella quale già ogni
cosa piegava a divozione dell'esercito vincitore.
Divisava egli, e mandava ad effetto tre spedizioni; perciocchè non
voleva nè lasciar freddare i suoi, nè respirar il nemico; l'una verso il
fiume Savanna nella Giorgia, l'altra a Ninetysix al di là del fiume
Saluda, queste due per far levar in capo i leali molto abbondanti in
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