Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 07
l'uffiziale, che era preposto alle scolte, temendo di nuocere ad Arnold,
se si discoprisse tosto, qual egli era, e non curando il pericolo, che
correva vicinissimo di essere immediatamente, come spia, posto a morte,
quando si risapesse, aver egli dissimulato il proprio nome, continuava
ad affermare, esser desso Anderson. L'Americano non sapeva, che farsi, e
si andava peritando, non potendo credere, che colui, il quale aveva
sparso tante volte il suo sangue a beneficio della patria la avesse ora
voluta tradire. Queste dubitazioni, le negazioni d'André, il ritrovarsi
Washington ed Arnold medesimo lontani dal campo furono causa, che
quest'ultimo ebbe comodità, avendo udito prontamente l'arrestamento
d'André, di scansarsi, e di guadagnar l'Avoltoio. Divulgatasi la cosa,
si riempirono i popoli d'insolito stupore al tradimento di un uomo, nel
quale tanta confidenza, e sì lunga avevano posto, al vicino pericolo,
che corso avevano, ed al fortunevole caso, che ne gli aveva preservati.
Dio, dicevano, non permettere, periscano gli uomini valorosi;
l'assistenza di lui nella presente occasione stata essere evidente;
gradire esso, e proteggere la causa dell'America. Tutti abbominavano
Arnold, tutti encomiavano gli arrestatori d'André. In questo arrivò
Washington al campo, ritornando dal Connecticut. Prima di ogni cosa
sospettando, che vi potesse esser più marcio e più complici, nè sapendo
quali, pensava a' rimedj e pigliava quelle risoluzioni, che credeva
valevoli a render vani gli sforzi loro. Temeva altresì, che l'esempio
fosse pernizioso, e che in quei medesimi, ch'erano estrani al disegno,
nascesse il desiderio di cose nuove. Imperciocchè, rotto una volta il
guado, per l'ordinario vi s'affolla la gente per passare, e gli uomini a
guisa delle pecore più volentieri vanno, dove vedono andar gli altri,
che dove si dovrebbe andare. Di ciò stava egli tanto più in apprensione,
che i suoi soldati erano pagati tardi, ed a spilluzzico, e mancavano di
molte cose non solo al guerreggiare, ma anche al vivere necessarie. Ma
le cautele furono superflue. Nissuno dondelò; nè si scoperse da alcun
canto, che la mala influenza avesse altri contaminato oltre l'Arnold.
André, quando pel progresso del tempo potè presumere, che Arnold fosse
giunto in salvo, palesò il suo nome, e grado. Era più che della sua
salute sollecito di provare, ch'ei non era nè impostore, nè spia,
allegando, che quelle cose, che tale lo potevano far credere agli occhi
degli uomini, non erano suo fatto. Affermava, che l'intento suo era
stato solamente di venirsi ad abboccare in una Terra neutrale con quella
persona, che gli era stata dal suo generale indicata; ma che quindi era
stato aggirato, e tratto dentro gli alloggiamenti americani. Da quel
momento in poi nulla potersegli imputare, poichè si trovava in potestade
altrui. Washington intanto creò una Corte militare della quale furono
eletti membri, oltre molti uffiziali americani dei primi, il marchese de
La-Fayette, ed il barone di Steuben. Mandò egli al cospetto loro
l'André, perchè esaminata, e considerata bene la cosa, definissero, di
che qualità fosse il caso, e qual fosse il castigo, che convenisse dare
al colpevole. Comparì l'Inglese al cospetto della Corte, nè insolente,
nè avvilito. La sua ancor verde età, l'eleganza della persona, le
maniere piene di cortesia piegavano i cuori di tutti i circostanti in
suo favore. In quel tanto essendo Arnold arrivato a bordo dell'Avoltoio,
scrisse tosto una lettera a Washington. Sì gloriava in essa, che
l'amore, che fin dal bel principio della querela aveva portato alla sua
patria, quello stesso l'aveva ora a questo passo condotto, checchè di
ciò pensar potessero gli uomini sì spesso ingiusti estimatori delle
azioni altrui. Continuava dicendo, che nulla pregava per sè, già troppo
avendo sperimentato l'ingratitudine della sua patria, ma sì pregava
bene, e scongiurava il capitano generale, fosse contento preservar la
donna sua dagli insulti della gente irritata; mandassela a Filadelfia in
mezzo agli amici di lei, o permettesse, andasse a raggiungerlo alla
Nuova-Jork. Dopo questa venne una lettera del colonnello Robinson, data
pure a bordo dell'Avoltoio. Chiedeva instantemente, fossegli renduto
l'André, affermando, esser questo andato a riva per una bisogna
pubblica, e sotto la tutela di un tamburino, chiamatovi dall'Arnold, e
mandatovi dal suo generale; che per ritornasene alla Nuova-Jork aveva
avuto licenza, e passaporti dal generale americano; che tutto quello,
che aveva operato l'André, dopo ch'era venuto in mezzo agli
alloggiamenti americani, e specialmente l'aver cambialo l'abito ed il
nome era stato fatto per volontà di Arnold. Concludeva, che il ritenerlo
più oltre era una violazione della santità dei tamburini, ed una cosa
contraria agli usi della guerra, da tutte le nazioni riconosciuti e
praticati. Scrisse poco poi lo stesso Clinton, richiedendo colle
medesime instanze e ragioni l'André. In questa di Clinton era stata
inclusa una lettera d'Arnold scritta in termini assai vivi, colla quale
affermava, ch'egli nel grado suo di generale americano aveva il diritto
di concedere ad André la solita protezione dei tamburini, perchè senza
pericolo potesse venire ad abboccarsi seco lui, e che per rimandarnelo
stava in sua facoltà di seguir quei modi, che più convenevoli aveva
creduti. Ma André minor pensiero si dava della sua salute, che gli amici
suoi dall'altra parte si avessero. Abborrendo ogni bugia e sotterfugio,
volendo, giacchè si trovava dai fati inesorabili condotto all'ultimo
confine della sua vita, questa almeno terminare pura e chiara, e
senz'alcuna nota d'infamia, candidamente confessò, non esser venuto a
niun modo sotto la protezione di un tamburino, aggiungendo, che se in
tal modo venuto fosse, colla medesima accompagnatura se ne sarebbe
ritornato. Guardavasi dall'incolpar chicchessia; di sè stesso parlò con
mirabile ingenuità; confessò più di quello, di che fosse interrogato.
Ognuno ammirava tanta generosità e tanta costanza. Tutti con lagrime
dolorose compassionavano l'infelice giovane. Avrebbero desiderato
salvarlo, ma troppo era la cosa chiara. La Corte, fondandosi sulle sue
confessioni, sentenziò, essere André, e dovere considerarsi come una
spia, e come tale dover essere posto a morte. Notificò Washington a
Clinton, rispondendo alle lettere di lui, la sentenza. Narrò tutte le
circostanze del fatto, e notò, che sebbene queste tali fossero, che,
costituitone André nel grado di spia, sarebberne stati giustificati
contro di lui i più sommarj procedimenti, tuttavia si aveva voluto
operare più consigliatamente, facendo esaminar la cosa da un maestrato
espresso, e che il giudicato suo era stato quello, che gl'inviava. Ma
Clinton, al quale oltre ogni dire doleva il destino d'André, ch'era
l'occhio e l'anima sua, non era uomo da ristarsi, per iscamparlo, alle
già fatte dimostrazioni. Scrisse pertanto un'altra lettera a Washington,
pregandolo giacchè, come diceva, i giudici non erano stati bene
informati del fatto, fosse contento, si facesse un abboccamento a questo
fine tra quelle persone, che dalle due parti si deputerebbero. Consentì
Washington, e si abboccarono a Dobbs'-ferry il generale Robertson dalla
parte inglese, e Greene dall'americana. Molto instò il primo per
provare, che André non era spia, allegando i soliti argomenti dei
tamburini, e del suo operar costretto, quando egli era in potestà
d'Arnold. Ma accorgendosi di non far frutto, saltò a toccar
dell'umanità, della necessità di mitigare con generosi consiglj la
crudeltà della guerra, della clemenza di Clinton, che mai non aveva
fatto porre a morte alcuno di coloro, che le leggi della guerra violato
avevano; che André molto era caro al capitano generale, e che se a lui
fosse conceduto di ricondurlo seco alla Nuova-Jork, ogni qualunque
persona colpevole, che in mano degl'Inglesi si trovasse, della quale gli
Americani si richiamassero, sarebbe incontanente posta in libertà. Pregò
ancora, si sospendesse, e si rimettesse la cosa nell'arbitrio di due
soldati pratichi degli usi della guerra, e delle nazioni, proponendo i
generali Knyphausen, e Rochambeau, e che ciò, ch'essi opinassero, quello
si facesse. Presentò infine una lettera d'Arnold indiritta a Washington,
colla quale si era studiato d'incolpare in tutto sè, e di scolpar André.
Concluse minacciando, che, se la sentenza recata contro André fosse
posta ad effetto, si sarebbero fatte orribili rappresaglie; e che in
ispecialità quei traditori della Carolina, ai quali Clinton, mercè sua,
aveva fin'allora perdonato la vita, ne sarebbero tratti immediatamente a
morte. L'interposizione di Arnold non poteva non nuocere all'André; e
quando gli Americani avessero voluto piegarsi alla clemenza, la lettera
sua ne gli avrebbe stornati. Si terminò l'abboccamento senza effetto.
André intanto s'andava apparecchiando alla morte. Dimostrò egli contro
di questa non quel disprezzo, che spesso è simulazione o bestialità, nè
quella debolezza, che propria è degli uomini effeminati, o rei, ma
sibbene quella costanza, che s'appartiene agli uomini virtuosi e forti.
Gli pesava il morire; ma molto più gl'incresceva il modo della morte.
Avrebbe desiderato di morire, come i soldati sogliono, passando per
l'armi, non come le spie, ed i malandrini sulle forche. Questo abborriva
grandissimamente. Ne addimandò alla Corte. Non gli fu risposto;
perciocchè concedere la domanda non volevano, negarla espressamente
stimarono crudeltà. Ma due altre cose molto l'animo del giovane
tormentavano, e quest'erano, che la madre sua, e le tre sorelle, che
sole aveva al mondo, e ch'egli piamente amava, e colle sue paghe
sosteneva, fossero, morto lui, ridotte a miseria; l'altra, che gli
uomini potessero credere, che gli ordini di Clinton quelli stati
fossero, che lo avessero obbligato a far quei passi, i quali lo avevano
nella presente condizione condotto. Temeva perciò, venisse la sua morte
a quell'uomo imputata, ch'egli sommamente amava, e venerava. Gli fu
concesso, ne scrivesse a Clinton; il che fece, molto a lui l'infelice
madre, e le sorelle raccomandando, e testimoniando, che gli accidenti
dell'esser venuto dentro le poste del nemico, e dell'essersi travestito
erano stati cose contrarie, siccome alle sue intenzioni, così ancora
agli ordini di Clinton. Il dì due d'ottobre fu il giorno dai cieli
destinato per termine alla vita di André. Condotto al patibolo disse,
_così debbo io morire?_ Gli fu risposto non essersi potuto fare
altrimenti. Ne dimostrò grave dolore. Infine, fatte le sue preghiere,
pronunziò queste, che furono per lui le ultime parole: _Siate testimoni
voi, che io muojo, come un bravo uomo dee morire_. Così fu tratto a
giusta, ma indegna morte un dabben giovine meritevole in tutto di
miglior destino. La mestizia fu grande tra gli amici, e tra i nemici.
Arnold si rodeva, seppure quell'anima contaminata era capace di rimorso.
Gl'Inglesi stessi il detestavano e pel suo tradimento, e per essere
stato cagione della morte d'André. Ciò nondimeno, siccome nelle cose di
Stato soglionsi adoperare così gl'istromenti più vili, come i più
generosi; e che in esse il fine, non i mezzi si guardano, fu Arnold
creato Brigadier generale negli eserciti britannici. Sperava Clinton,
che il nome di quello, e la dependenza avrebbero indotto molti fra gli
Americani a correre a porsi sotto le insegne del Re. Ma Arnold conosceva
benissimo, che poichè aveva abbandonato i suoi, gli era mestiero
mostrarsi vivo in favor degl'Inglesi. E siccome gli uomini anche più
malvagi vogliono serbar tuttavia la sembianza della virtù, così mandò un
cartello, col quale, sperando di velare con questo artifizio l'infamia
sua, iva aggirandosi, dicendo, che da principio aveva pigliate le armi
in mano, perciocchè credeva, fossero offesi i diritti della sua patria;
che anche aveva accomodato l'animo alla dichiarazione dell'independenza,
quantunque la credesse intempestiva; ma che quando la Gran-Brettagna,
come buona ed amorevole madre, aveva loro aperte le braccia, ed ebbe
offerti giusti ed onorevoli accordi, il rifiuto di questi, e di più la
lega colla Francia avevano intieramente cambiato la natura della
querela, e fatto, che quello, che era giusto ed onorevole, diventato
fosse ingiusto e vituperoso. D'allora in poi, affermava, esser diventato
desideroso di ritornare nell'antica fede coll'Inghilterra. Censurò il
congresso, e con aspre parole rammentò la tirannide e l'avarizia sua,
condannò la lega colla Francia, lamentando, che i più gravi interessi
della patria fossero dati in preda ad un superbo e perfido nemico;
definì la Francia troppo debole per istabilir l'independenza; chiamolla
nemica della fede protestante; accusolla di fraude nel voler mostrarsi
affezionata alle libertà del genere umano, mentre i suoi proprj
figliuoli teneva in vassallaggio e schiavitù. Concluse con dire, aver
tanto indugiato ad operare a norma delle sue nuove opinioni, perchè
aveva desiderato di far qualche gran fatto in benefizio, e riscatto
della sua patria, e per evitare, per quanto possibil fosse, lo
spargimento dell'uman sangue. Questo cartello indirizzò generalmente a'
suoi concittadini. Un altro ne pubblicò pochi giorni dopo, intitolato
agli uffiziali e soldati dell'esercito americano. Gli esortava a venirsi
a porre sotto le insegne del Re, offerendo e gradi e caposoldi.
Gloriavasi di voler condurre una scelta banda d'Americani alla pace,
alla libertà, alla sicurezza; strappar la patria dalle mani della
Francia, e di coloro che condotta l'avevano vicina al precipizio.
Affermava, essere l'America preda all'avarizia, scherno al nemico, pietà
agli amici; avere invece della libertà l'oppressione; spogliarvisi le
proprietà, incarcerarvisi le persone, sforzarvisi la gioventù alle
battaglie, inondarvi il sangue. Che altro è ora l'America, sclamava, se
non se una terra di vedove, di orfani, di mendichi? Se l'Inghilterra
cessasse gli sforzi suoi per liberarla, qual sicurezza rimanerle a
potere quella religione godersi, per la quale gli antichi padri
affrontarono l'oceano, il cielo, i deserti? Non essersi testè veduto
l'abbietto e scellerato congresso assistere alla messa, e partecipare
nei riti di una chiesa, contro l'anticristiana corruzione, della quale i
pii maggiori renduto avrebbero col proprio sangue testimonianza? Questi
furono i manifesti del traditore, che riuscirono altrettanto più
inutili, quant'erano più smodati. Ma gli scrittori dalla parte
dell'America non istettero all'incontro a badare; chè anzi con molte
parole e ragioni alle sue contrarie gagliardamente il ributtarono. Tra
le altre cose argomentarono, nissuno più dell'Arnold essere stato, anche
dopo il rifiuto degli accordi, divoto e ligio servitor dei Francesi;
nissuno più di lui esser andato loro a' versi; esso avere invitato il
ministro Gerard in sul suo primo arrivo a Filadelfia ad abitar le sue
case; esso avergli fatto le spese molto sontuosamente, e di balli, di
feste, di conviti essersene avuto buona ragione; esso stato essere
moiniere di Silas Deane, lancia dei Francesi; esso coi consoli ed altri
maestrati francesi avere più di ogni altro avuto dimestichezza e
familiarità, dimodochè quelli siansi creduti aver in Arnold trovato il
miglior amico, che si avessero. Ma così andar la cosa, gli ambiziosi far
le viste di servile servitù, e poscia di animo elevato secondo i casi,
non vergognandosi di accusare in altrui i proprj vizj loro. Così, se
Arnold aveva conficcato, gli altri ribadirono. Credette il congresso,
fosse cosa indegna di sè il fare alcun motivo della tradigione, e dei
manifesti d'Arnold. Solo per dimostrare in qual grado ei tenesse l'opera
egregia, e degna d'onore di Giovanni Paulding, Davide Williams, ed
Isacco Wanwert, che furono gli arrestatori d'André, fece loro con
pubblico ed orrevole partito una onesta provvisione di dugento dollari
senz'alcuna ritenzione, o stanziamento per ciascuno anno, durante la
loro vita, deliberare e pagare. Decretò ancora, si gittasse, e
rimettesse loro una medaglia d'argento col motto _fedeltà_ da una parte,
e dall'altra quest'altro, _vincit amor patriae_. Il consigliò esecutivo
di Pensilvania mandò un bando, col quale citò Benedetto Arnold in
compagnia di alcuni altri vili uomini a comparire innanzi i tribunali
per render ragione dei tradimenti loro, ed in difetto gli chiariva
soggetti a tutte le pene solite a darsi a coloro, che venderono la
patria, e vollero porla al giogo de' tiranni. Furon questi i soli atti,
pei quali i pubblici maestrati dell'America avvertirono al tradimento
d'Arnold.
Avendo noi raccontato qual fine abbia avuto la trama ordita alla
Nuova-Jork, l'ordine della storia, che intrapreso abbiamo, richiede, che
descriviamo ora i successi, ch'ebbero nelle due Caroline le armi
britanniche. Era la stagione pervenuta verso la metà di settembre,
quando i capitani del Re, apparecchiato avendo le munizioni, le genti,
ed ogni altra cosa necessaria, si risolvettero a voler muovere le armi,
e quelle imprese compire, che già da molto tempo disegnate avevano, e
che dovevano essere il più importante frutto della vittoria di Cambden.
Stimavano che come avessero volto il viso verso la Carolina
Settentrionale, subito al romore l'esercito americano se n'avesse a
partire; e nella mente loro già non solo si promettevano la conquista di
questa provincia, ma ancora quella della Virginia. Speravano, che
allorquando a quella delle due Caroline, della Giorgia e della
Nuova-Jork si fosse aggiunta la possessione della Virginia tanto ricca,
e tanto possente, gli Americani non potendo più nutrir una tanta guerra,
avrebbero piegato l'animo a far il volere della Gran-Brettagna. Non
dubitavano punto, che le cose degli Americani avessero a declinare, ed
ire del tutto in fascio. A questi fini dovevano nel medesimo tempo
cooperare Cornwallis colle genti che aveva, correndo dalla meridionale
nella settentrionale Carolina, e Clinton con quelle della Nuova-Jork,
mandandone una parte ad assaltare i luoghi bassi della Virginia; e
conquistati questi, e passato il fiume Roanoke, congiungersi colle prime
sui confini della Carolina e della Virginia. Per la qual cosa Clinton,
mandato tre migliaia di soldati sotto la condotta del generale Leslie
sulle rive del Chesapeake, i quali sbarcati a Portsmouth ed in altre
vicine Terre pigliarono possessione del paese, ardendo e guastando le
provvisioni, principalmente di tabacco, ch'erano copiosissime.
S'impadronirono di molte navi onerarie. Quivi dovevano aspettar le
novelle dell'avvicinarsi di Cornwallis, le quali avute, sarebbero
marciati per accozzarsi con esso lui sulle rive del Roanoke. Ma siccome
la distanza era grande, e che gli accidenti fortuiti della guerra
avrebbero per avventura potuto impedir la congiunzione dei due eserciti,
così Clinton aveva commesso a Leslie, obbedisse agli ordini di
Cornwallis; e ciò a fine, che questi potesse all'uopo far venire, quando
la congiunzione medesima per la strada di terra fosse impossibile, una
parte di quelle genti a trovarlo per la via del mare fin nelle Caroline.
Da un'altra parte s'era mosso Cornwallis da Cambden, incamminandosi alla
volta di Charlottes-town, città posta nella Carolina Settentrionale. Per
altro per tenere in fede la meridionale, e non perder l'ansa da potervi
all'uopo ritornare, lasciò dietro di sè, oltre un grosso presidio in
Charlestown, altri più piccoli, ma sufficienti sulle frontiere, uno in
Augusta sotto i comandamenti del colonnello Brown, un altro a Ninety-six
governato dal colonnello Cruger, ed un terzo più gagliardo a Cambden
sotto la condotta del colonnello Turnbull. Marciò egli col grosso delle
sue genti, e pochi cavalli per la via di Hanging-Rock verso Catawba,
mentre Tarleton col rimanente della cavalleria, varcato il Wateree,
saliva per la oriental riva del fiume. L'una e l'altra schiera dovevano
ricongiungersi a far capo grosso a Charlottes-town. Vi arrivarono
infatti sul finir di settembre, e s'insignorirono della Terra. Ma non
penarono gran fatto gl'Inglesi ad accorgersi, che avevano alle mani una
impresa molto più dura di quello che avessero creduto. La contrada
all'intorno di Charlottes-town era sterile, e per le strade strette ed
intricate assai difficile, gli abitatori non solo nemichevoli, ma ancora
vigilantissimi ed attivissimi nell'assaltar le scolte, nel mozzar le
vie, nell'arrestar i messi, nell'opprimere gli sbrancati, nel por le
mani addosso alle munizioni, che da Cambden si avviavano a
Charlottes-town. Quindi non potevano i regj nè uscire alla campagna, nè
foraggiare, se non grossi, nè avere lingua di quelle cose che accadevano
nei contorni. Oltre di questo Sumpter, il quale aveva rizzato una
bandiera di ventura per far guerra, dove gli venisse meglio, iva aliando
con un grosso di genti arrisicatissime intorno gli estremi confini delle
due Caroline. Un'altra testa di valenti stracorridori si era raccozzata
sotto la condotta del colonnello Marion. Oltre di questo dava non poca
noia il sapere, che il colonnello Clarke aveva raggranellato una grossa
banda di montanari, abitatori delle parti superiori delle Caroline,
uomini armigeri, duri alla guerra, coraggiosissimi. E sebbene si fosse
inteso, che un assalto, ch'egli aveva dato ad Augusta, per la valorosa
difesa fattavi entro da Brown, avesse infelice fine avuto, tuttavia,
serbati raccolti i suoi, teneva il campo, ed andava volteggiandosi verso
le montagne, pronto od a congiungersi con Sumpter, od almeno, se la
squadra di Fergusson ciò gl'impedisse, ad aspettar più altri montanari,
che correvano a trovarlo. Così i reali si trovavano attorniati da ogni
banda da nugoli di repubblicani; e, posti in mezzo ad un paese tutto
nimichevole all'intorno, avevano meglio la sembianza di assediati, che
di assalitori. A tante angustie sopraggiunse per arrota un caso, che gli
obbligò tosto a pensar ai fatti loro. Era il colonnello Fergusson,
siccome sopra si è detto, stato mandato da Cornwallis sulle frontiere
della Carolina Settentrionale per ivi dar animo, e raccorre i leali.
Erano questi venuti a congiungersi con lui in buon numero; ma la maggior
parte uomini ribaldi e rubatori, i quali avendo creato per Capo del loro
furore Fergusson ogni cosa mandavano a sacco ed a sangue, ovunque
passavano. A tante enormità bastanti a riscaldare ogni freddo spirito
alla vendetta fieramente si crucciarono i vicini montanari, e calavano a
stormo dalle montagne, quelle armi carpando, che la elezione, il caso,
od il furore paravano loro davanti. Tutti dicevano di voler ire a dar la
caccia a quel bestione di Fergusson, fargli pagar cari i latrocinj ed il
sangue; si mettevan l'un l'altro alle coltella; presi a furia i primi
uffiziali di milizia, che incontrarono, questi crearono a loro Capi.
Ciascuno portava un'arme, uno zaino, una coperta. Corcavansi sopra la
nuda terra, sotto lo stellato cielo; all'acqua dei rivi si dissetavano;
sfamavansi col bestiame che si facevan trottar dietro, o colle
selvaggine, che ammazzavano in mezzo alle profonde foreste. Gli
guidavano i colonnelli Campbell, Cleveland, Selby, Seveer, William,
Brandy e Lacy. Cercavano per ogni dove, a tutti domandavano di
Fergusson. Giuravano ad ogni passo di volerlo esterminare. Finalmente il
trovarono. Ma Fergusson era un uomo così fatto, che non temeva nè essi
nè altri. Stava egli accampato sopra un poggio selvoso, e cavaliere alla
campagna, la cui base è di figura circolare. Lo chiamano Kingsmountain,
o sia montagna del Re. Aveva posto al di sotto sulla via principale alla
scesa una guardia. Arrivati vicini i montanari tosto la fugavano; poscia
partiti in varie colonne, attorniato il monte, salivano arditissimamente
all'assalto. Traevano gli uni di dietro gli alberi, gli altri di dietro
le petraie, molti ancora scopertamente. Si difendeva aspramente
Fergusson. I primi ad arrivare in sul poggio furono quei guidati dal
Cleveland. Gl'Inglesi si avventavan loro contro colle baionette, e gli
risospingevano. In questo mentre arrivava Shelby co' suoi, e si sforzava
di entrar negli alloggiamenti nemici; ma Fergusson rivoltatosigli contro
colle baionette lo ributtava. Non aveva egli sì tosto avuto la vittoria
contro Shelby, che arrivava a furia sulla cima Campbell, e tuttavia
l'Inglese mostravagli il viso, e pure colle baionette lo cacciava. Ma
invano si spendeva tanto valore contro gli assalti di un nemico
arrabbiato. Quando Fergusson era alle mani cogli uni, e gli faceva
piegare, gli altri, che stat'erano cacciati, ritornavano a caricarlo.
Fe' egli tuttociò, che uomo esperto e franco può fare nelle difficili
battaglie per isbrigarsi. Ma già inclinava la vittoria a favor dei
repubblicani, i quali inondavano il poggio. Non volendo il capitano
inglese arrendersi, tuttavia combattendo fu morto. Il suo successore,
chiesti i quartieri, gli ottenne. Fu fatto in questa zuffa gran sangue;
poichè ebbero i reali tra morti, feriti e prigionieri meglio di undeci
centinaia di soldati, luttuosa e gravissima perdita in quelle
occorrenze. Tutte le armi e munizioni fecer più chiaro il trionfo dei
vincitori. Fecero questi a buona guerra cogl'Inglesi; ma i leali
bistrattarono, alcuni anche crudelmente impiccarono. Dissero, per
rappresaglia di quei repubblicani, che stat'erano tratti al medesimo
supplizio dai reali a Cambden, Ninety-six ed Augusta. Allegarono ancora,
essere stati quelli colpevoli di delitti meritevoli di morte secondo le
leggi del paese. Così al furor della guerra veniva a congiungersi, come
se esso non fosse non che bastante, troppo, la rabbia cittadina. I
montanari, avuta la vittoria, alle case loro se ne tornarono. La rotta
di Kingsmountain indebolì molto le cose del Re nelle Caroline, e diè
molto a pensare a Cornwallis. Oltre lo sbigottimento dei leali, che ne
seguì, i quali d'allora in poi si rimasero dal venirlo a trovare, era
egli con un esercito debole in mezzo ad un paese nemico, ad una contrada
sterile, ad una difficoltà grandissima di pigliar lingua. Prevedeva
benissimo, che l'andar avanti era un accrescere la angustie, in cui già
si trovava. Per la qual cosa, veduto di non poter più per allora
conquistar la Carolina Settentrionale, nella quale i repubblicani
avevano in copia e avvisi di spie, e comodità di ricetti, si risolvette
a difendere almeno, e guarentire la meridionale, sino a tanto che avesse
ricevuto nuovi aiuti. Quindi è, che, lasciato Charlestown, e ripassata
la Catawba, andò a porsi a Winnesborough, Terra posta in luogo, donde si
poteva consuonare coi posti di Cambden e di Ninety-six, e che per la
feracità del suolo offeriva più grassi alloggiamenti. Nel medesimo tempo
inviò ordini a Leslie nella Virginia, imbarcasse immediatamente le sue
genti, e toccato prima Wilmington, se ne venisse poscia, e rattamente, a
Charlestown.
La ritirata delle genti del Re da Charlottes-town a Winnesborough, e la
rotta di Kingsmountain diedero molto ardire ai repubblicani, i quali
correvano a porsi sotto le insegne dei loro arditissimi capitani, tra i
quali tenevano il primo luogo Sumpter e Marion. Questo infestava le
contrade basse, quello le superiori. Ora Cambden, ora Ninety-six erano
minacciati, ed i reali non potevano, nè buscare, nè foraggiare, nè
legnare, nè alcun'altra fazione fare senza correre gran pericolo di
essere oppressi. Per liberarsi da quella rangola, Tarleton si metteva in
sulle mosse contro Marion; ma questi, che intendeva soltanto di
bezzicare trascorrendo, e non di combattere le campali battaglie,
spacciatamente si ritirava. L'Inglese lo perseguitava. Ma gli
sopravvennero ordini da Cornwallis, acciò si recasse contro Sumpter, che
minacciava di venir sopra a Ninety-six, e già aveva rotto, o preso sulle
rive del fiume Broad il maggiore Wemis, e fatti molti prigionieri, fanti
e cavalli. Tarleton con incredibile celerità camminando arrivò
all'incontro di Sumpter, il quale si era accampato sulla destra riva del
fiume Tigre in un luogo detto Blackstocks. Erano gli alloggiamenti
americani fortissimi, avendo un rivo, case, e palificate da fronte,
montagne inaccessibili, o luoghi erti e difficili dai due lati. Tarleton
sospinto dal suo ardore, e temendo che Sumpter, varcato il Tigre, non
gli fuggisse dalle mani, lasciati i fanti leggieri, e quei della sua
legione indietro, si era fatto avanti cogli uomini d'arme, e con una
parte delle fanterie. Si attaccò una feroce zuffa, nella quale l'una
parte e l'altra mostrarono un grandissimo valore. Un reggimento
britannico fu sì malconcio, che disordinato si tirò indietro. Tarleton
se si discoprisse tosto, qual egli era, e non curando il pericolo, che
correva vicinissimo di essere immediatamente, come spia, posto a morte,
quando si risapesse, aver egli dissimulato il proprio nome, continuava
ad affermare, esser desso Anderson. L'Americano non sapeva, che farsi, e
si andava peritando, non potendo credere, che colui, il quale aveva
sparso tante volte il suo sangue a beneficio della patria la avesse ora
voluta tradire. Queste dubitazioni, le negazioni d'André, il ritrovarsi
Washington ed Arnold medesimo lontani dal campo furono causa, che
quest'ultimo ebbe comodità, avendo udito prontamente l'arrestamento
d'André, di scansarsi, e di guadagnar l'Avoltoio. Divulgatasi la cosa,
si riempirono i popoli d'insolito stupore al tradimento di un uomo, nel
quale tanta confidenza, e sì lunga avevano posto, al vicino pericolo,
che corso avevano, ed al fortunevole caso, che ne gli aveva preservati.
Dio, dicevano, non permettere, periscano gli uomini valorosi;
l'assistenza di lui nella presente occasione stata essere evidente;
gradire esso, e proteggere la causa dell'America. Tutti abbominavano
Arnold, tutti encomiavano gli arrestatori d'André. In questo arrivò
Washington al campo, ritornando dal Connecticut. Prima di ogni cosa
sospettando, che vi potesse esser più marcio e più complici, nè sapendo
quali, pensava a' rimedj e pigliava quelle risoluzioni, che credeva
valevoli a render vani gli sforzi loro. Temeva altresì, che l'esempio
fosse pernizioso, e che in quei medesimi, ch'erano estrani al disegno,
nascesse il desiderio di cose nuove. Imperciocchè, rotto una volta il
guado, per l'ordinario vi s'affolla la gente per passare, e gli uomini a
guisa delle pecore più volentieri vanno, dove vedono andar gli altri,
che dove si dovrebbe andare. Di ciò stava egli tanto più in apprensione,
che i suoi soldati erano pagati tardi, ed a spilluzzico, e mancavano di
molte cose non solo al guerreggiare, ma anche al vivere necessarie. Ma
le cautele furono superflue. Nissuno dondelò; nè si scoperse da alcun
canto, che la mala influenza avesse altri contaminato oltre l'Arnold.
André, quando pel progresso del tempo potè presumere, che Arnold fosse
giunto in salvo, palesò il suo nome, e grado. Era più che della sua
salute sollecito di provare, ch'ei non era nè impostore, nè spia,
allegando, che quelle cose, che tale lo potevano far credere agli occhi
degli uomini, non erano suo fatto. Affermava, che l'intento suo era
stato solamente di venirsi ad abboccare in una Terra neutrale con quella
persona, che gli era stata dal suo generale indicata; ma che quindi era
stato aggirato, e tratto dentro gli alloggiamenti americani. Da quel
momento in poi nulla potersegli imputare, poichè si trovava in potestade
altrui. Washington intanto creò una Corte militare della quale furono
eletti membri, oltre molti uffiziali americani dei primi, il marchese de
La-Fayette, ed il barone di Steuben. Mandò egli al cospetto loro
l'André, perchè esaminata, e considerata bene la cosa, definissero, di
che qualità fosse il caso, e qual fosse il castigo, che convenisse dare
al colpevole. Comparì l'Inglese al cospetto della Corte, nè insolente,
nè avvilito. La sua ancor verde età, l'eleganza della persona, le
maniere piene di cortesia piegavano i cuori di tutti i circostanti in
suo favore. In quel tanto essendo Arnold arrivato a bordo dell'Avoltoio,
scrisse tosto una lettera a Washington. Sì gloriava in essa, che
l'amore, che fin dal bel principio della querela aveva portato alla sua
patria, quello stesso l'aveva ora a questo passo condotto, checchè di
ciò pensar potessero gli uomini sì spesso ingiusti estimatori delle
azioni altrui. Continuava dicendo, che nulla pregava per sè, già troppo
avendo sperimentato l'ingratitudine della sua patria, ma sì pregava
bene, e scongiurava il capitano generale, fosse contento preservar la
donna sua dagli insulti della gente irritata; mandassela a Filadelfia in
mezzo agli amici di lei, o permettesse, andasse a raggiungerlo alla
Nuova-Jork. Dopo questa venne una lettera del colonnello Robinson, data
pure a bordo dell'Avoltoio. Chiedeva instantemente, fossegli renduto
l'André, affermando, esser questo andato a riva per una bisogna
pubblica, e sotto la tutela di un tamburino, chiamatovi dall'Arnold, e
mandatovi dal suo generale; che per ritornasene alla Nuova-Jork aveva
avuto licenza, e passaporti dal generale americano; che tutto quello,
che aveva operato l'André, dopo ch'era venuto in mezzo agli
alloggiamenti americani, e specialmente l'aver cambialo l'abito ed il
nome era stato fatto per volontà di Arnold. Concludeva, che il ritenerlo
più oltre era una violazione della santità dei tamburini, ed una cosa
contraria agli usi della guerra, da tutte le nazioni riconosciuti e
praticati. Scrisse poco poi lo stesso Clinton, richiedendo colle
medesime instanze e ragioni l'André. In questa di Clinton era stata
inclusa una lettera d'Arnold scritta in termini assai vivi, colla quale
affermava, ch'egli nel grado suo di generale americano aveva il diritto
di concedere ad André la solita protezione dei tamburini, perchè senza
pericolo potesse venire ad abboccarsi seco lui, e che per rimandarnelo
stava in sua facoltà di seguir quei modi, che più convenevoli aveva
creduti. Ma André minor pensiero si dava della sua salute, che gli amici
suoi dall'altra parte si avessero. Abborrendo ogni bugia e sotterfugio,
volendo, giacchè si trovava dai fati inesorabili condotto all'ultimo
confine della sua vita, questa almeno terminare pura e chiara, e
senz'alcuna nota d'infamia, candidamente confessò, non esser venuto a
niun modo sotto la protezione di un tamburino, aggiungendo, che se in
tal modo venuto fosse, colla medesima accompagnatura se ne sarebbe
ritornato. Guardavasi dall'incolpar chicchessia; di sè stesso parlò con
mirabile ingenuità; confessò più di quello, di che fosse interrogato.
Ognuno ammirava tanta generosità e tanta costanza. Tutti con lagrime
dolorose compassionavano l'infelice giovane. Avrebbero desiderato
salvarlo, ma troppo era la cosa chiara. La Corte, fondandosi sulle sue
confessioni, sentenziò, essere André, e dovere considerarsi come una
spia, e come tale dover essere posto a morte. Notificò Washington a
Clinton, rispondendo alle lettere di lui, la sentenza. Narrò tutte le
circostanze del fatto, e notò, che sebbene queste tali fossero, che,
costituitone André nel grado di spia, sarebberne stati giustificati
contro di lui i più sommarj procedimenti, tuttavia si aveva voluto
operare più consigliatamente, facendo esaminar la cosa da un maestrato
espresso, e che il giudicato suo era stato quello, che gl'inviava. Ma
Clinton, al quale oltre ogni dire doleva il destino d'André, ch'era
l'occhio e l'anima sua, non era uomo da ristarsi, per iscamparlo, alle
già fatte dimostrazioni. Scrisse pertanto un'altra lettera a Washington,
pregandolo giacchè, come diceva, i giudici non erano stati bene
informati del fatto, fosse contento, si facesse un abboccamento a questo
fine tra quelle persone, che dalle due parti si deputerebbero. Consentì
Washington, e si abboccarono a Dobbs'-ferry il generale Robertson dalla
parte inglese, e Greene dall'americana. Molto instò il primo per
provare, che André non era spia, allegando i soliti argomenti dei
tamburini, e del suo operar costretto, quando egli era in potestà
d'Arnold. Ma accorgendosi di non far frutto, saltò a toccar
dell'umanità, della necessità di mitigare con generosi consiglj la
crudeltà della guerra, della clemenza di Clinton, che mai non aveva
fatto porre a morte alcuno di coloro, che le leggi della guerra violato
avevano; che André molto era caro al capitano generale, e che se a lui
fosse conceduto di ricondurlo seco alla Nuova-Jork, ogni qualunque
persona colpevole, che in mano degl'Inglesi si trovasse, della quale gli
Americani si richiamassero, sarebbe incontanente posta in libertà. Pregò
ancora, si sospendesse, e si rimettesse la cosa nell'arbitrio di due
soldati pratichi degli usi della guerra, e delle nazioni, proponendo i
generali Knyphausen, e Rochambeau, e che ciò, ch'essi opinassero, quello
si facesse. Presentò infine una lettera d'Arnold indiritta a Washington,
colla quale si era studiato d'incolpare in tutto sè, e di scolpar André.
Concluse minacciando, che, se la sentenza recata contro André fosse
posta ad effetto, si sarebbero fatte orribili rappresaglie; e che in
ispecialità quei traditori della Carolina, ai quali Clinton, mercè sua,
aveva fin'allora perdonato la vita, ne sarebbero tratti immediatamente a
morte. L'interposizione di Arnold non poteva non nuocere all'André; e
quando gli Americani avessero voluto piegarsi alla clemenza, la lettera
sua ne gli avrebbe stornati. Si terminò l'abboccamento senza effetto.
André intanto s'andava apparecchiando alla morte. Dimostrò egli contro
di questa non quel disprezzo, che spesso è simulazione o bestialità, nè
quella debolezza, che propria è degli uomini effeminati, o rei, ma
sibbene quella costanza, che s'appartiene agli uomini virtuosi e forti.
Gli pesava il morire; ma molto più gl'incresceva il modo della morte.
Avrebbe desiderato di morire, come i soldati sogliono, passando per
l'armi, non come le spie, ed i malandrini sulle forche. Questo abborriva
grandissimamente. Ne addimandò alla Corte. Non gli fu risposto;
perciocchè concedere la domanda non volevano, negarla espressamente
stimarono crudeltà. Ma due altre cose molto l'animo del giovane
tormentavano, e quest'erano, che la madre sua, e le tre sorelle, che
sole aveva al mondo, e ch'egli piamente amava, e colle sue paghe
sosteneva, fossero, morto lui, ridotte a miseria; l'altra, che gli
uomini potessero credere, che gli ordini di Clinton quelli stati
fossero, che lo avessero obbligato a far quei passi, i quali lo avevano
nella presente condizione condotto. Temeva perciò, venisse la sua morte
a quell'uomo imputata, ch'egli sommamente amava, e venerava. Gli fu
concesso, ne scrivesse a Clinton; il che fece, molto a lui l'infelice
madre, e le sorelle raccomandando, e testimoniando, che gli accidenti
dell'esser venuto dentro le poste del nemico, e dell'essersi travestito
erano stati cose contrarie, siccome alle sue intenzioni, così ancora
agli ordini di Clinton. Il dì due d'ottobre fu il giorno dai cieli
destinato per termine alla vita di André. Condotto al patibolo disse,
_così debbo io morire?_ Gli fu risposto non essersi potuto fare
altrimenti. Ne dimostrò grave dolore. Infine, fatte le sue preghiere,
pronunziò queste, che furono per lui le ultime parole: _Siate testimoni
voi, che io muojo, come un bravo uomo dee morire_. Così fu tratto a
giusta, ma indegna morte un dabben giovine meritevole in tutto di
miglior destino. La mestizia fu grande tra gli amici, e tra i nemici.
Arnold si rodeva, seppure quell'anima contaminata era capace di rimorso.
Gl'Inglesi stessi il detestavano e pel suo tradimento, e per essere
stato cagione della morte d'André. Ciò nondimeno, siccome nelle cose di
Stato soglionsi adoperare così gl'istromenti più vili, come i più
generosi; e che in esse il fine, non i mezzi si guardano, fu Arnold
creato Brigadier generale negli eserciti britannici. Sperava Clinton,
che il nome di quello, e la dependenza avrebbero indotto molti fra gli
Americani a correre a porsi sotto le insegne del Re. Ma Arnold conosceva
benissimo, che poichè aveva abbandonato i suoi, gli era mestiero
mostrarsi vivo in favor degl'Inglesi. E siccome gli uomini anche più
malvagi vogliono serbar tuttavia la sembianza della virtù, così mandò un
cartello, col quale, sperando di velare con questo artifizio l'infamia
sua, iva aggirandosi, dicendo, che da principio aveva pigliate le armi
in mano, perciocchè credeva, fossero offesi i diritti della sua patria;
che anche aveva accomodato l'animo alla dichiarazione dell'independenza,
quantunque la credesse intempestiva; ma che quando la Gran-Brettagna,
come buona ed amorevole madre, aveva loro aperte le braccia, ed ebbe
offerti giusti ed onorevoli accordi, il rifiuto di questi, e di più la
lega colla Francia avevano intieramente cambiato la natura della
querela, e fatto, che quello, che era giusto ed onorevole, diventato
fosse ingiusto e vituperoso. D'allora in poi, affermava, esser diventato
desideroso di ritornare nell'antica fede coll'Inghilterra. Censurò il
congresso, e con aspre parole rammentò la tirannide e l'avarizia sua,
condannò la lega colla Francia, lamentando, che i più gravi interessi
della patria fossero dati in preda ad un superbo e perfido nemico;
definì la Francia troppo debole per istabilir l'independenza; chiamolla
nemica della fede protestante; accusolla di fraude nel voler mostrarsi
affezionata alle libertà del genere umano, mentre i suoi proprj
figliuoli teneva in vassallaggio e schiavitù. Concluse con dire, aver
tanto indugiato ad operare a norma delle sue nuove opinioni, perchè
aveva desiderato di far qualche gran fatto in benefizio, e riscatto
della sua patria, e per evitare, per quanto possibil fosse, lo
spargimento dell'uman sangue. Questo cartello indirizzò generalmente a'
suoi concittadini. Un altro ne pubblicò pochi giorni dopo, intitolato
agli uffiziali e soldati dell'esercito americano. Gli esortava a venirsi
a porre sotto le insegne del Re, offerendo e gradi e caposoldi.
Gloriavasi di voler condurre una scelta banda d'Americani alla pace,
alla libertà, alla sicurezza; strappar la patria dalle mani della
Francia, e di coloro che condotta l'avevano vicina al precipizio.
Affermava, essere l'America preda all'avarizia, scherno al nemico, pietà
agli amici; avere invece della libertà l'oppressione; spogliarvisi le
proprietà, incarcerarvisi le persone, sforzarvisi la gioventù alle
battaglie, inondarvi il sangue. Che altro è ora l'America, sclamava, se
non se una terra di vedove, di orfani, di mendichi? Se l'Inghilterra
cessasse gli sforzi suoi per liberarla, qual sicurezza rimanerle a
potere quella religione godersi, per la quale gli antichi padri
affrontarono l'oceano, il cielo, i deserti? Non essersi testè veduto
l'abbietto e scellerato congresso assistere alla messa, e partecipare
nei riti di una chiesa, contro l'anticristiana corruzione, della quale i
pii maggiori renduto avrebbero col proprio sangue testimonianza? Questi
furono i manifesti del traditore, che riuscirono altrettanto più
inutili, quant'erano più smodati. Ma gli scrittori dalla parte
dell'America non istettero all'incontro a badare; chè anzi con molte
parole e ragioni alle sue contrarie gagliardamente il ributtarono. Tra
le altre cose argomentarono, nissuno più dell'Arnold essere stato, anche
dopo il rifiuto degli accordi, divoto e ligio servitor dei Francesi;
nissuno più di lui esser andato loro a' versi; esso avere invitato il
ministro Gerard in sul suo primo arrivo a Filadelfia ad abitar le sue
case; esso avergli fatto le spese molto sontuosamente, e di balli, di
feste, di conviti essersene avuto buona ragione; esso stato essere
moiniere di Silas Deane, lancia dei Francesi; esso coi consoli ed altri
maestrati francesi avere più di ogni altro avuto dimestichezza e
familiarità, dimodochè quelli siansi creduti aver in Arnold trovato il
miglior amico, che si avessero. Ma così andar la cosa, gli ambiziosi far
le viste di servile servitù, e poscia di animo elevato secondo i casi,
non vergognandosi di accusare in altrui i proprj vizj loro. Così, se
Arnold aveva conficcato, gli altri ribadirono. Credette il congresso,
fosse cosa indegna di sè il fare alcun motivo della tradigione, e dei
manifesti d'Arnold. Solo per dimostrare in qual grado ei tenesse l'opera
egregia, e degna d'onore di Giovanni Paulding, Davide Williams, ed
Isacco Wanwert, che furono gli arrestatori d'André, fece loro con
pubblico ed orrevole partito una onesta provvisione di dugento dollari
senz'alcuna ritenzione, o stanziamento per ciascuno anno, durante la
loro vita, deliberare e pagare. Decretò ancora, si gittasse, e
rimettesse loro una medaglia d'argento col motto _fedeltà_ da una parte,
e dall'altra quest'altro, _vincit amor patriae_. Il consigliò esecutivo
di Pensilvania mandò un bando, col quale citò Benedetto Arnold in
compagnia di alcuni altri vili uomini a comparire innanzi i tribunali
per render ragione dei tradimenti loro, ed in difetto gli chiariva
soggetti a tutte le pene solite a darsi a coloro, che venderono la
patria, e vollero porla al giogo de' tiranni. Furon questi i soli atti,
pei quali i pubblici maestrati dell'America avvertirono al tradimento
d'Arnold.
Avendo noi raccontato qual fine abbia avuto la trama ordita alla
Nuova-Jork, l'ordine della storia, che intrapreso abbiamo, richiede, che
descriviamo ora i successi, ch'ebbero nelle due Caroline le armi
britanniche. Era la stagione pervenuta verso la metà di settembre,
quando i capitani del Re, apparecchiato avendo le munizioni, le genti,
ed ogni altra cosa necessaria, si risolvettero a voler muovere le armi,
e quelle imprese compire, che già da molto tempo disegnate avevano, e
che dovevano essere il più importante frutto della vittoria di Cambden.
Stimavano che come avessero volto il viso verso la Carolina
Settentrionale, subito al romore l'esercito americano se n'avesse a
partire; e nella mente loro già non solo si promettevano la conquista di
questa provincia, ma ancora quella della Virginia. Speravano, che
allorquando a quella delle due Caroline, della Giorgia e della
Nuova-Jork si fosse aggiunta la possessione della Virginia tanto ricca,
e tanto possente, gli Americani non potendo più nutrir una tanta guerra,
avrebbero piegato l'animo a far il volere della Gran-Brettagna. Non
dubitavano punto, che le cose degli Americani avessero a declinare, ed
ire del tutto in fascio. A questi fini dovevano nel medesimo tempo
cooperare Cornwallis colle genti che aveva, correndo dalla meridionale
nella settentrionale Carolina, e Clinton con quelle della Nuova-Jork,
mandandone una parte ad assaltare i luoghi bassi della Virginia; e
conquistati questi, e passato il fiume Roanoke, congiungersi colle prime
sui confini della Carolina e della Virginia. Per la qual cosa Clinton,
mandato tre migliaia di soldati sotto la condotta del generale Leslie
sulle rive del Chesapeake, i quali sbarcati a Portsmouth ed in altre
vicine Terre pigliarono possessione del paese, ardendo e guastando le
provvisioni, principalmente di tabacco, ch'erano copiosissime.
S'impadronirono di molte navi onerarie. Quivi dovevano aspettar le
novelle dell'avvicinarsi di Cornwallis, le quali avute, sarebbero
marciati per accozzarsi con esso lui sulle rive del Roanoke. Ma siccome
la distanza era grande, e che gli accidenti fortuiti della guerra
avrebbero per avventura potuto impedir la congiunzione dei due eserciti,
così Clinton aveva commesso a Leslie, obbedisse agli ordini di
Cornwallis; e ciò a fine, che questi potesse all'uopo far venire, quando
la congiunzione medesima per la strada di terra fosse impossibile, una
parte di quelle genti a trovarlo per la via del mare fin nelle Caroline.
Da un'altra parte s'era mosso Cornwallis da Cambden, incamminandosi alla
volta di Charlottes-town, città posta nella Carolina Settentrionale. Per
altro per tenere in fede la meridionale, e non perder l'ansa da potervi
all'uopo ritornare, lasciò dietro di sè, oltre un grosso presidio in
Charlestown, altri più piccoli, ma sufficienti sulle frontiere, uno in
Augusta sotto i comandamenti del colonnello Brown, un altro a Ninety-six
governato dal colonnello Cruger, ed un terzo più gagliardo a Cambden
sotto la condotta del colonnello Turnbull. Marciò egli col grosso delle
sue genti, e pochi cavalli per la via di Hanging-Rock verso Catawba,
mentre Tarleton col rimanente della cavalleria, varcato il Wateree,
saliva per la oriental riva del fiume. L'una e l'altra schiera dovevano
ricongiungersi a far capo grosso a Charlottes-town. Vi arrivarono
infatti sul finir di settembre, e s'insignorirono della Terra. Ma non
penarono gran fatto gl'Inglesi ad accorgersi, che avevano alle mani una
impresa molto più dura di quello che avessero creduto. La contrada
all'intorno di Charlottes-town era sterile, e per le strade strette ed
intricate assai difficile, gli abitatori non solo nemichevoli, ma ancora
vigilantissimi ed attivissimi nell'assaltar le scolte, nel mozzar le
vie, nell'arrestar i messi, nell'opprimere gli sbrancati, nel por le
mani addosso alle munizioni, che da Cambden si avviavano a
Charlottes-town. Quindi non potevano i regj nè uscire alla campagna, nè
foraggiare, se non grossi, nè avere lingua di quelle cose che accadevano
nei contorni. Oltre di questo Sumpter, il quale aveva rizzato una
bandiera di ventura per far guerra, dove gli venisse meglio, iva aliando
con un grosso di genti arrisicatissime intorno gli estremi confini delle
due Caroline. Un'altra testa di valenti stracorridori si era raccozzata
sotto la condotta del colonnello Marion. Oltre di questo dava non poca
noia il sapere, che il colonnello Clarke aveva raggranellato una grossa
banda di montanari, abitatori delle parti superiori delle Caroline,
uomini armigeri, duri alla guerra, coraggiosissimi. E sebbene si fosse
inteso, che un assalto, ch'egli aveva dato ad Augusta, per la valorosa
difesa fattavi entro da Brown, avesse infelice fine avuto, tuttavia,
serbati raccolti i suoi, teneva il campo, ed andava volteggiandosi verso
le montagne, pronto od a congiungersi con Sumpter, od almeno, se la
squadra di Fergusson ciò gl'impedisse, ad aspettar più altri montanari,
che correvano a trovarlo. Così i reali si trovavano attorniati da ogni
banda da nugoli di repubblicani; e, posti in mezzo ad un paese tutto
nimichevole all'intorno, avevano meglio la sembianza di assediati, che
di assalitori. A tante angustie sopraggiunse per arrota un caso, che gli
obbligò tosto a pensar ai fatti loro. Era il colonnello Fergusson,
siccome sopra si è detto, stato mandato da Cornwallis sulle frontiere
della Carolina Settentrionale per ivi dar animo, e raccorre i leali.
Erano questi venuti a congiungersi con lui in buon numero; ma la maggior
parte uomini ribaldi e rubatori, i quali avendo creato per Capo del loro
furore Fergusson ogni cosa mandavano a sacco ed a sangue, ovunque
passavano. A tante enormità bastanti a riscaldare ogni freddo spirito
alla vendetta fieramente si crucciarono i vicini montanari, e calavano a
stormo dalle montagne, quelle armi carpando, che la elezione, il caso,
od il furore paravano loro davanti. Tutti dicevano di voler ire a dar la
caccia a quel bestione di Fergusson, fargli pagar cari i latrocinj ed il
sangue; si mettevan l'un l'altro alle coltella; presi a furia i primi
uffiziali di milizia, che incontrarono, questi crearono a loro Capi.
Ciascuno portava un'arme, uno zaino, una coperta. Corcavansi sopra la
nuda terra, sotto lo stellato cielo; all'acqua dei rivi si dissetavano;
sfamavansi col bestiame che si facevan trottar dietro, o colle
selvaggine, che ammazzavano in mezzo alle profonde foreste. Gli
guidavano i colonnelli Campbell, Cleveland, Selby, Seveer, William,
Brandy e Lacy. Cercavano per ogni dove, a tutti domandavano di
Fergusson. Giuravano ad ogni passo di volerlo esterminare. Finalmente il
trovarono. Ma Fergusson era un uomo così fatto, che non temeva nè essi
nè altri. Stava egli accampato sopra un poggio selvoso, e cavaliere alla
campagna, la cui base è di figura circolare. Lo chiamano Kingsmountain,
o sia montagna del Re. Aveva posto al di sotto sulla via principale alla
scesa una guardia. Arrivati vicini i montanari tosto la fugavano; poscia
partiti in varie colonne, attorniato il monte, salivano arditissimamente
all'assalto. Traevano gli uni di dietro gli alberi, gli altri di dietro
le petraie, molti ancora scopertamente. Si difendeva aspramente
Fergusson. I primi ad arrivare in sul poggio furono quei guidati dal
Cleveland. Gl'Inglesi si avventavan loro contro colle baionette, e gli
risospingevano. In questo mentre arrivava Shelby co' suoi, e si sforzava
di entrar negli alloggiamenti nemici; ma Fergusson rivoltatosigli contro
colle baionette lo ributtava. Non aveva egli sì tosto avuto la vittoria
contro Shelby, che arrivava a furia sulla cima Campbell, e tuttavia
l'Inglese mostravagli il viso, e pure colle baionette lo cacciava. Ma
invano si spendeva tanto valore contro gli assalti di un nemico
arrabbiato. Quando Fergusson era alle mani cogli uni, e gli faceva
piegare, gli altri, che stat'erano cacciati, ritornavano a caricarlo.
Fe' egli tuttociò, che uomo esperto e franco può fare nelle difficili
battaglie per isbrigarsi. Ma già inclinava la vittoria a favor dei
repubblicani, i quali inondavano il poggio. Non volendo il capitano
inglese arrendersi, tuttavia combattendo fu morto. Il suo successore,
chiesti i quartieri, gli ottenne. Fu fatto in questa zuffa gran sangue;
poichè ebbero i reali tra morti, feriti e prigionieri meglio di undeci
centinaia di soldati, luttuosa e gravissima perdita in quelle
occorrenze. Tutte le armi e munizioni fecer più chiaro il trionfo dei
vincitori. Fecero questi a buona guerra cogl'Inglesi; ma i leali
bistrattarono, alcuni anche crudelmente impiccarono. Dissero, per
rappresaglia di quei repubblicani, che stat'erano tratti al medesimo
supplizio dai reali a Cambden, Ninety-six ed Augusta. Allegarono ancora,
essere stati quelli colpevoli di delitti meritevoli di morte secondo le
leggi del paese. Così al furor della guerra veniva a congiungersi, come
se esso non fosse non che bastante, troppo, la rabbia cittadina. I
montanari, avuta la vittoria, alle case loro se ne tornarono. La rotta
di Kingsmountain indebolì molto le cose del Re nelle Caroline, e diè
molto a pensare a Cornwallis. Oltre lo sbigottimento dei leali, che ne
seguì, i quali d'allora in poi si rimasero dal venirlo a trovare, era
egli con un esercito debole in mezzo ad un paese nemico, ad una contrada
sterile, ad una difficoltà grandissima di pigliar lingua. Prevedeva
benissimo, che l'andar avanti era un accrescere la angustie, in cui già
si trovava. Per la qual cosa, veduto di non poter più per allora
conquistar la Carolina Settentrionale, nella quale i repubblicani
avevano in copia e avvisi di spie, e comodità di ricetti, si risolvette
a difendere almeno, e guarentire la meridionale, sino a tanto che avesse
ricevuto nuovi aiuti. Quindi è, che, lasciato Charlestown, e ripassata
la Catawba, andò a porsi a Winnesborough, Terra posta in luogo, donde si
poteva consuonare coi posti di Cambden e di Ninety-six, e che per la
feracità del suolo offeriva più grassi alloggiamenti. Nel medesimo tempo
inviò ordini a Leslie nella Virginia, imbarcasse immediatamente le sue
genti, e toccato prima Wilmington, se ne venisse poscia, e rattamente, a
Charlestown.
La ritirata delle genti del Re da Charlottes-town a Winnesborough, e la
rotta di Kingsmountain diedero molto ardire ai repubblicani, i quali
correvano a porsi sotto le insegne dei loro arditissimi capitani, tra i
quali tenevano il primo luogo Sumpter e Marion. Questo infestava le
contrade basse, quello le superiori. Ora Cambden, ora Ninety-six erano
minacciati, ed i reali non potevano, nè buscare, nè foraggiare, nè
legnare, nè alcun'altra fazione fare senza correre gran pericolo di
essere oppressi. Per liberarsi da quella rangola, Tarleton si metteva in
sulle mosse contro Marion; ma questi, che intendeva soltanto di
bezzicare trascorrendo, e non di combattere le campali battaglie,
spacciatamente si ritirava. L'Inglese lo perseguitava. Ma gli
sopravvennero ordini da Cornwallis, acciò si recasse contro Sumpter, che
minacciava di venir sopra a Ninety-six, e già aveva rotto, o preso sulle
rive del fiume Broad il maggiore Wemis, e fatti molti prigionieri, fanti
e cavalli. Tarleton con incredibile celerità camminando arrivò
all'incontro di Sumpter, il quale si era accampato sulla destra riva del
fiume Tigre in un luogo detto Blackstocks. Erano gli alloggiamenti
americani fortissimi, avendo un rivo, case, e palificate da fronte,
montagne inaccessibili, o luoghi erti e difficili dai due lati. Tarleton
sospinto dal suo ardore, e temendo che Sumpter, varcato il Tigre, non
gli fuggisse dalle mani, lasciati i fanti leggieri, e quei della sua
legione indietro, si era fatto avanti cogli uomini d'arme, e con una
parte delle fanterie. Si attaccò una feroce zuffa, nella quale l'una
parte e l'altra mostrarono un grandissimo valore. Un reggimento
britannico fu sì malconcio, che disordinato si tirò indietro. Tarleton
- Parts
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 01
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 02
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 03
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 04
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 05
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 06
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 07
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 08
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 09
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 10
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 11
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 12
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 13
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 14
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 15
- Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 16
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