Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - 11

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lunga soltanto una lega, e larga un quarto, così il nembo delle palle e
delle bombe vi era molto fitto, e nissun luogo vi era, se si eccettuano
le casematte, e le sotterranee volte, dove l'uomo potesse contro
l'impeto loro sicuramente ricoverarsi. Nè il governatore Elliot se ne
stava neghittoso ad osservare; che anzi rendeva fuoco per fuoco, furia
per furia sì fattamente, chè pareva la roccia tutto all'intorno gettasse
fiamme e fumo, e tutta intiera in tuoni e folgori si disfacesse. Stavano
sulle due vicine coste dell'Africa e dell'Europa maravigliate, e
spaventate le genti, che colà erano a bella posta concorse ad osservare.
Ma quei, ch'erano dentro, eccettuati i soldati, che si erano posti a'
luoghi sicuri per difender la piazza, ed offendere il nemico, andavano
esposti ad ogni sorta di più compassionevoli accidenti. Grand'era il
terror loro; ma più grande ancora il danno. Le membra dei morti e dei
moribondi sparse al suolo qua e là; le donne coi fanciulli in braccio
andando chiedendo quella mercè, che trovare non potevano. Ne fur viste
delle schiacciate in un coi figliuoletti, e sformate ad un tratto, e
lacerate in mille pezzi dalle scoppianti bombe. Le infulminate si
aggavignavano colle tremanti mani alle schiegge, e balze dei petroni per
cercar asilo ne' luoghi più selvaggi e più rimoti. Alcune fra le
principali furon lasciate entrar nelle casematte, dove si recarono a
gran ventura il potere in mezzo al tanfo delle stanze, al trambusto
delle soldatesche, ai gemiti dei feriti e dei moribondi da quella
crudele morte scampare, che al di fuori minacciava la incredibile furia
degl'istromenti da guerra. La città, che è posta sulla falda della
roccia a riva il mare di verso occidente, ne fu distrutta da capo a
fondo. Al che non poco contribuirono le piatte spagnuole, che di
nottetempo velocemente sguizzavano tra le navi inglesi, e compita
l'opera loro si ritiravano la mattina, giovandosi del vento, che per
l'ordinario si mette a quell'ora, nel porto di Algesiras. Queste piatte
parimente ebbero sfragellati coi tiri loro molti di coloro, i quali sui
vicini fianchi della roccia ritiratisi, erano scampati al furor delle
artiglierie del campo di San Rocco. Lo scaricar continuo durò con eguale
frequenza meglio, che tre settimane; poscia si rallentò, vedendo gli
Spagnuoli, che riusciva poco altro, che un romor vano; e non volendo
dall'altra parte Elliot far tanta jattura di munizioni in una battaglia
di poco frutto. Sparava egli bene di quando in quando per mostrare,
ch'era vivo; ma la maggior parte del tempo se ne stava inoperoso a
rimirare l'inutile furia degli Spagnuoli. Consumarono eglino in questa
spessa batteria meglio di cento migliaia di libbre di polvere, avendo
tratto settantacinquemila cannonate, e venticinquemila bombe. Nonostante
la strettezza del luogo, e la maravigliosa spessezza dei tiri morirono
de' soldati della guernigione assai pochi, e da dugento cinquanta furono
feriti. Gli abitatori della città privi delle case, avendo sempre
presente nell'immaginazione loro la miserabilità del passato caso, e
temendo dei futuri, desiderarono di andarsene. Al che Elliot, dopo
d'avergli con ogni maniera di più umano conforto racconsolati,
facilmente ebbe consentito. La maggior parte s'imbarcarono a bordo della
flotta, che aveva vettovagliato la piazza. Partì poscia la flotta
medesima alla volta dell'Inghilterra. Ma prima, ch'ella vi arrivasse, la
fortuna propizia ai Francesi, fe' ai nemici loro pruovar un sinistro, il
quale causò gran danno alle cose loro, e fu una giusta pena delle rapine
di Sant'Eustachio. Si aveva avuto in Francia il tempestivo avviso, che
una numerosa conserva di navi cariche delle ricche spoglie di
quell'isola n'era partita verso il finir del mese di marzo per recarsi
nei porti d'Inghilterra. Si seppe ancora, che a questa conserva teneva
dietro un'altra non meno preziosa pei proventi, ch'ella portava
dell'isola Giamaica. Scortava la prima l'Hotham con quattro vascelli da
guerra. Il momento era molto propizio ai Francesi, trovandosi a quei dì
la grande armata britannica occupata nell'impresa di Gibilterra. Non si
lasciarono i ministri di Francia fuggir dalle mani una sì favorevole
occasione; che anzi con grandissima diligenza avevano fatto lavorare nel
porto di Brest per metter in punto una flotta, perchè potesse correre
sopra le conserve inglesi. La cosa ebbe effetto. In men che non si
potrebbe credere furono allestite otto navi d'alto bordo, molto destre
veleggiatrici. Ne fu dato il governo al conte de Lamotte-Piquet. Uscì
egli dal porto il giorno 25 aprile, e dato di cozzo nella conserva di
Sant'Eustachio, tutta la sperperò. Ventidue bastimenti predò; due altri
vennero in mano dei corsari. Alcuni pochi colle navi di guerra, che
convogliati gli avevano, si ricoverarono nei porti dell'occidentale
Irlanda. I mercatanti inglesi, che avevano assicurati i navilj,
perdettero per questo caso da settecentomila lire di sterlini. Non tardò
l'ammiraglio Darby durante il suo viaggio ad aver notizia della cosa; e
tosto si metteva all'ordine per intraprendere Lamotte-Piquet, primachè
si fosse recato in salvo nei porti di Francia. Ma l'ammiraglio francese,
che teneva gli occhi aperti, avuta sì prospera vittoria, ed avvertito
dell'avvicinarsi di Darby, lasciata andare a suo viaggio la conserva
della Giamaica, si cansò tosto, e felicemente apportò in Brest. Le
feste, che si fecero in Francia per questa cattura non furon poche; e
molte, ed assai meritate lodi furono date agli autori della fazione del
pari opportunamente disegnata, che velocemente, e prudentemente
eseguita. L'armata di Darby e la conserva della Giamaica arrivarono con
prospera fortuna nei porti della Gran-Brettagna.
In questo mezzo le due flotte di Johnstone e di Suffren veleggiavano
alla volta del capo di Buona Speranza; e non che l'uno non sapesse
dell'altro, erano per lo contrario i due nemici capitani ottimamente
informati della partenza, del cammino e dei disegni dell'avversario.
Andavano perciò entrambi a gara per arrivar i primi al destinato luogo.
Ma l'Inglese era stato obbligato, per rinfrescarsi, di far porto nella
cala di Praya posta nell'Isola di San Jago, la principale di quelle,
che, raccolte come in un gruppo, si chiamano del capo Verde, ed
appartenevano alla Corona di Portogallo. Quivi attendeva a far acqua, a
procacciar bestiami, a fornirsi di camangiari, ed altri servigj fare
necessarj al lungo viaggio, ch'era in punto d'intraprendere. Molti
uomini delle compagnie navali si trovavano a terra. Ne ebbe Suffren
tostano avviso, e senza metter tempo in mezzo s'incamminava a golfo
lanciato verso il porto di Praya. Aveva ferma speranza di arrivarvi
improvviso, e di sorprendere gl'Inglesi trasandati, e non avvisantisi.
Già iva radendo inosservato marina marina una lingua di terra, che da
levante abbraccia il porto, e si avvicinava alla bocca di questo. Ma la
nave inglese l'Iside, che più vicina era alla bocca medesima, discoprì
in quel momento al di là della lingua di terra le cime degli alberi di
alcune navi, che dapprima diedero sospetto. Poscia dal modo, con cui
erano governate, si conobbe, ch'erano francesi; diè l'Iside il segno. Si
rivocavano i marinari dalla spiaggia; si sgomberavano le corsìe, si
apparecchiavano alla battaglia. Girata intanto la punta, compariva, qual
era, la flotta francese alla bocca del porto, e dal detto al fatto l'una
coll'altra si mescolarono. Avevano gl'Inglesi un vascello da
settantaquattro, tre altri minori, con tre fregate, e molti legni
mercantili dell'India armati in guerra; ma erano sconcertati, e fuori di
sesto, nè arringati per ricever la carica del nemico. I Francesi ne
avevano due di settantaquattro, e tre di sessantaquattro. Cominciarono
questi col tirare di buone fiancate all'Iside, che si trovò la prima;
poscia ordinatisi in un puntone, si spinsero avanti dentro del porto,
passando tra mezzo le navi inglesi e sparando furiosamente; e nel
medesimo tempo da poggia, e da orza. L'Annibale, ch'era la testa,
guidato dal cavaliere di Tremignon, posciachè si fu inoltrato dentro,
quanto più potè, con mirabile intrepidità operando, imperciocchè le navi
inglesi traevano gagliardamente dai due lati, gettò l'ancora. Seguitollo
in secondo luogo l'Eroe guidato dallo stesso Suffren, poscia nel terzo,
come dietroguardo, l'Artesiano governato dal cavaliere di Cardaillac. I
due rimanenti poco si poterono avvicinare, e trovandosi a sottovento si
allargarono, fatti i primi tiri, nell'alto mare. Due navi inglesi
l'Iside, ed il Romney poco si potevano giovare, la prima per essere
stata gravemente dai vascelli francesi nel loro passare danneggiata, la
seconda per essersi trovata posta troppo indentro nel fondo del porto.
Così combattevano dai due lati tre navi di alto bordo contro tre
somiglianti, scaricando i Francesi in un tempo, per trovarsi in mezzo,
dalle due bande, gl'Inglesi da una sola. Ma le fregate inglesi, ed i
vascelli armati della Compagnia dell'Indie, riavutisi, vennero a parte
del combattimento, e fortemente secondarono le più grosse. Durò la
battaglia lo spazio di un'ora e mezzo, quando finalmente l'Artesiano,
morto il suo capitano, e non potendo più resistere a sì duro bersaglio,
tagliato il cavo, si allontanò. Allora Suffren privato del retroguardo,
e fieramente percosso anch'esso dai due lati diè medesimamente indietro
colla sua nave l'Eroe, e ne venne fuori del porto. Da questa ritirata
delle due navi l'Eroe e l'Artesiano ne nacque, che l'Annibale restò solo
esposto ai colpi di tutti i vascelli nemici. Ne ricevette un danno
grandissimo; perdè tutti gli alberi, prima il trinchetto, poscia il
maestro, e finalmente l'artimone. Tuttavia con incredibile sforzo
operando si condusse sino alla bocca del porto, dove, preso a rimorchio
dalla nave la Sfinge, e riparati meglio, che si potè, gli alberi, andò a
ricongiungersi colla restante armata. Avrebbero voluto gl'Inglesi
seguitare i Francesi, e rinfrescar la battaglia. Ma i venti, le
correnti, l'ora tarda, ed i gravi danni pruovati dall'Iside
glien'impedirono. Questo fu il combattimento di Praya, il quale si passò
con poca riputazione dell'uno e dell'altro capitano. Errò l'Inglese
nell'essersi tenuto a sì mala guardia in una cala aperta ed indifesa,
quando sapeva pure, che il nemico andava aggirandosi nelle medesime
acque. Nè vale il dire, che forse credette, che la neutralità del luogo
l'avrebbe preservato. Perciocchè egli stesso affermò, che i Francesi,
quando viene loro il destro, non son soliti a portar rispetto a queste
neutralità. La qual cosa, se è vera, non si vede, con qual ragione
possano gl'Inglesi ai nemici loro rimproverarla. Errò ancora per aver
lasciato sbarcar a terra tanto numero de' suoi; per aver locato le navi
più piccole alla bocca del porto, e per aversi lasciato fuggire dalle
mani il vascello l'Annibale sì malconcio. Errò da un altro canto Suffren
per aver voluto combattere in sull'ancore; imperciocchè per quanto si
può argomentare delle probabili cose se, come prima fu arrivato, e senza
perder tempo a gettar l'ancore, fosse ito all'abbordo, od almeno avesse
combattuto a vela, avrebbe una compiuta vittoria riportato del nemico
sorpreso, e non apparecchiato alla battaglia. Riparati tostamente i
danni, l'armata inglese seguitò la francese; ma trovatala attelata in
ordine di battaglia, si astenne dal venirne al cimento. Sopraggiunta poi
la notte, le due armate l'una dall'altra si scostarono. Ritornò
l'inglese nel porto di Praya. La francese veleggiando tuttavia
vers'ostro, e rimorchiando l'Annibale, si condusse in quel porto del
capo di Buona Speranza, che chiamano _falsa baia_. Là andarono tosto a
raggiungerla le sue conserve, le quali, per irne ad assaltar gl'Inglesi
nel porto di Praya, aveva lasciate nell'alto mare sotto il convoglio
della corvetta La Fortuna. In cotal modo fu guasto il disegno, che
gl'Inglesi avevano fatto sopra il capo di Buona Speranza. Ma non potendo
essi conquistare, vennero in sul corseggiare. Ebbe Johnstone avviso da'
suoi speculatori, che si trovavano nella cala di Saldana, vicino al capo
medesimo, parecchie navi della Compagnia olandesi dell'Indie di
ricchissimo carico. S'incamminò a quella volta per predarle. Arrivato
sulle coste dell'Africa, piaggiando egli stesso come piloto, acciocchè
le sue navi non fortunassero nei vicini scogli, camminando, velocemente
la notte, nascondendosi il giorno, tanto fece, che arrivò
improvvisamente sopra la cala, e predò cinque di quelle navi più ricche
e più grosse. Le rimanenti arsero. Ottenuta questa cosa, la quale fu
causa, che la spedizione sua non sia stata del tutto intrapresa a
credenza, avviò una parte della flotta col generale Meadows alla volta
dell'Indie. Egli poi col Romney, le fregate, e le ricche spoglie se ne
tornò in Inghilterra. Suffren dal canto suo, assicurato con buon
presidio il Capo, rivolse anch'egli le prue verso le orientali Indie.
Così la guerra, che già infuriava in Europa, in Africa ed in America
stava per rinfrescarsi più feroce, che prima, sulle lontane rive del
Gange.
Ritornando ora alle cose che si facevano sotto le mura di Gibilterra,
alla furiosa batteria data loro succedette una quasi totale calma. Solo
quelle piatte trapellando nottetempo molto noiavano la guernigione. Per
la qual cosa il governatore per liberarsi ad un buon tratto da quella
rangola, piantati alcuni cannoni di lunghissima gittata, che a
quest'uopo stesso gli erano stati portati d'Inghilterra, e rizzate certe
grosse bombarde nell'esteriori batterie, arrivava con palle e con bombe
ad infestar il campo di San Rocco; e tutte le volte, che arrivavano le
piatte, ed ei traeva furiosamente dentro gli alloggiamenti spagnuoli.
Accortosi perciò Mendoza, che Elliot ciò faceva solamente per
rappresaglia degli assalti delle piatte, fu costretto di comandare ai
capitani di queste cessassero dagl'insulti loro, e se ne stessero
quietamente nel porto di Algesiras. Solo stessero vigilanti al non
lasciar entrar vettovaglie nella piazza. Erano intanto gli Spagnuoli
indefessi nell'avanzar i lavori delle trincee, e già si erano condotti
assai vicini alle falde della rocca, dimodochè la circonvallazione si
distendeva da destra a sinistra per tutta la larghezza dell'istmo, che
quella rocca medesima congiunge colla terra-ferma di Spagna. Avevano poi
sulla stanca scavato il cunicolo di comunicazione tra l'esterior
circonvallazione e gli alloggiamenti. Elliot, che se ne stava sicuro
sulla cima della rupe, non volendo spendere le sue munizioni invano, gli
aveva lasciati fare. Ma quando le opere loro furon condotte a fine,
allora deliberò di guastarle, col fare loro addosso una incamiciata.
Saltò fuori alle tre della mattina del giorno 27 di novembre con tre
schiere di valenti soldati tutte governate dal generale Ross. Le
accompagnavano un buon numero di palajuoli, e marrajuoli, e d'artiglieri
con fuochi lavorati. Procedettero con grandissim'ordine e silenzio.
Sopraggiunsero improvvisi. Dato dentro mettevano prestamente in fuga le
guardie, e si facevano padroni della prima parata. Tutto scombuiarono.
Gli artiglieri, appiccato il fuoco, tutto quello, che accendibil'era,
arsero; ruppero i carretti dei cannoni, ed i mortaj, e quelli con
incredibile celerità chiodarono. I guastatori volsero sossopra le
piazzuole delle artiglierie; rovinarono le traverse; i parapetti
uguagliarono al suolo. I magazzini arsero l'uno dopo l'altro nel general
incendio; e quella magnifica opera, che tanta fatica, tempo e spesa
costato aveva, fu nello spazio di una mezz'ora distrutta. Gli Spagnuoli,
o sopraffatti dall'improvviso caso, o credendo i nemici più grossi di
quello, ch'erano, non si ardirono uscir dal campo loro per ributtargli.
Solo trassero continuamente, sebbene con niuno effetto, a palla ed a
scaglia. Gl'Inglesi compiuta la bisogna, ritornarono sani e salvi ad
incastellarsi.
In Europa intanto covava un disegno, il quale doveva, se fosse stato
condotto a fine, grandemente affliggere la potenza britannica nel mare
mediterraneo. Restavano gli Spagnuoli molto male soddisfatti della
Francia, siccome quella, che pensato avesse sin allora solamente ai
proprj suoi interessi, e non a quei dei suoi alleati. Si dolevano
aspramente, ch'ella non avesse aiutato le imprese della Giamaica e di
Gibilterra, come se non vedesse volentieri crescere nei mari di America,
e nelle terre d'Europa il nome spagnuolo. L'aver gl'Inglesi così
sicuramente vettovagliato quest'ultima Terra, senza che i Francesi
nissun motivo di sorta alcuna fatto avessero per impedirlo, ed il poco
frutto fatto contro le mura di quella dall'ultima e sì feroce batteria
data loro con sì estremo sforzo, avevano questi mali umori vieppiù
accresciuti, e fattigli diventar aperte scontentezze. Mormoravano
universalmente i popoli della Spagna, e dicevano della Corte di quelle
cose, che sarebbe stato meglio tacere. Affermavano, che questa non per
interesse dei popoli spagnuoli, ma solo per secondare, e per far le
spalle ai disegni dell'avara ed ambiziosa Francia, aveva quella guerra
intrapresa. La chiamavano una guerra di Corte e di famiglia. Stimolata
la Francia dall'importunità di questi discorsi, e considerato, che
l'abbassar, in qualunque modo si fosse, la potenza britannica, era un
accrescere la sua, si risolvette a voler efficacemente cooperar a
qualche impresa, che di breve ridondasse in utile e benefizio speciale
della Spagna. E siccome quella della Giamaica non si poteva sì tosto
tentare, perchè sarebbe stato richiesto assai tempo ai necessarj
preparamenti, e quella di Gibilterra era troppo dura a poterla compir
prestamente, così si voltarono i pensieri ad un'altra, la quale tanto
più riuscibile pareva, quanto che gl'Inglesi non se l'aspettavano.
Questa fu la conquista dell'isola Minorca. Oltre i motivi finora
raccontati, che facevano di modo, che la Francia molto questa fazione
desiderasse, era essa ancora grandemente grata agli Spagnuoli. Ella è
l'isola Minorca in sì opportuno sito posta per corseggiare, che molti
arditissimi corsari, i quali colà si riparavano, tenevano infestati
tutti i mari, e disturbata la navigazione, ed i commerci sì di Spagna
che di Francia, coll'intraprendere le navi di queste due nazioni, come
ancora le neutrali, che con quelle andavano trafficando. Oltre di che
ella era quasi come una depositerìa, dove gli Inglesi ammassavano le
munizioni, sì da guerra che da bocca, le quali traevano dalle vicine
coste dell'Africa, e poscia o le navi loro ne fornivano, o trafugavano
dentro Gibilterra. La facilità dell'impresa era anche un possente
incentivo al tentarla. Imperciocchè nonostante, che la rocca di San
Filippo, ch'è il principale propugnacolo dell'isola, fosse di sito e di
mura assai forte, la qualità del presidio non corrispondeva nè alla
fortezza, nè alla importanza del luogo. Eranvi dentro solamente quattro
reggimenti, due inglesi, due annoveriani, che sommavano a poco più di
due migliaia di soldati; e quantunque l'aria ivi sia salubre, e gli
erbaggi copiosi, erano quelli malsani ed infetti di scorbuto.
Governavano tutto il presidio i generali Murray e Draper. Fatta la
risoluzione, i confederati francesi e spagnuoli si accordavano di modo,
che il conte di Guichen sul finir del mese di giugno partì da Brest con
un'armata di diciotto vascelli di alto bordo de' più grossi, ed andò a
congiungersi nel porto di Cadice colla spagnuola, che l'aspettava. Aveva
con lui i Signori de Beaussett e de Lamotte-Piquet, l'uno e l'altro
uffiziali di molta rinomea. L'armata spagnuola, la quale era governata
da don Luigi di Cordova, come capitano generale, e dai due
sotto-ammiragli Don Gastone e Don Vincenzo Droz, arrivava a trenta
vascelli grossi. Si era poi ivi fatto una massa di diecimila Spagnuoli,
ottima gente, i quali senza indugio alcuno si posero sulle navi.
Salparono il giorno 22 di luglio, ed arrivati sopra Minorca, senza
ostacolo alcuno incontrare, sbarcarono nella cala di Moschito il dì 20
d'agosto. Recaron tosto in lor potere tutta l'isola, inclusavi la città
di Maone, che ne è la capitale. I difensori, essendo così deboli,
avevano tutti questi posti abbandonato, e s'erano dentro di San Filippo
incastellati. Poco poscia arrivarono da Tolone quattro reggimenti
francesi sotto la condotta del barone di Falkenhayen. Avevano i due Re
confederati dato il governo di tutta l'impresa al duca di Crillon,
giovane nato di chiarissimo sangue, desiderosissimo della gloria, e
delle cose della guerra molto intendente. Si era egli condotto agli
stipendj della Spagna, ed essendo Francese fu creduto personaggio
acconcio alla comune impresa. Ma l'assedio di San Filippo era una cosa
assai difficile a pigliarsi a fare. È la Fortezza tagliata nel vivo
sasso, e tutta ben minata. Lo stesso sdrucciolo, e la strada coperta
scavati dentro nel sasso medesimo sono assicurati con mine, contramine,
palificate, e munitissimi tutt'all'intorno sopra la corona del fosso di
artiglierie. Attorno il fosso, che è profondo venti piedi, gira una
galleria sotterranea, e merlata, sicuro asilo ai difenditori. Traverso
segrete e scannafossi danno l'adito dalle opere esteriori al castello.
In esse, che sono fatte a mò di laberinto, sono scavati pozzi profondi
con coperchj muovevoli, e qua e là feritoje da ogni lato. Il castello
circondato anch'esso da un cammino coperto fortificato con contramine
non solo è difeso da controscarpe e mezze lune, ma di più da un muro
sessanta piedi alto, e da un fosso trentasei piedi fondo. Il mastio poi,
ch'è una torre quadrata fiancheggiata da quattr'orecchioni, ha le mura
alte ottanta piedi, ed un fosso profondo quaranta, scavato nel macigno.
Aveva anch'esso ed il suo corridoio, e le stanze pei soldati. Nel
miluogo havvi una spianata, perchè la guernigione vi possa fare gli suoi
armeggiamenti. Intorno alla medesima sono costrutti i quartieri pei
soldati, ed i magazzini per le munizioni, gli uni, e gli altri a botta
di bomba, e tutti nella durissima roccia scavati. Gl'Inglesi finalmente
per assicurarsi vieppiù avevano rovinata, ed uguagliata al suolo la
vicina città di San Filippo. Si avvicinarono cautamente i confederati a
questa cittadella, siccom'ella in sito alto locata torreggia, e domina
tutto il paese all'intorno, così non iscavando, ma piuttosto
trasportando ed innalzando terra le loro trincee formavano. Elevarono un
grosso ciglione murato lungo dugento piedi, alto cinque, e grosso sei.
Questa difficile opera fu tratta a fine, senza che gli assedianti
ricevessero alcun danno, non osando Murray saltar fuori, o perchè troppo
si diffidasse della debolezza del presidio, o perchè troppo confidasse
nella fortezza del luogo. Solo ebbe gittato bombe e palle, che non
fecero effetto di sorta alcuna. Infine, essendo la parata compita,
scopri Crillon le batterie, e con cento undici cannoni, che buttavano
ciascuno ventiquattro libbre di palla, e con trentatre bombarde, che
aprivano tredici pollici di diametro, fulminava la piazza.
Mentre queste cose si facevano sotto le mura San Filippo, l'armata de
confederati, nella quale si trovavano pressochè cinquanta navi delle più
grosse, guidata dal conte di Guichen, si era rivolta alle rive
dell'Inghilterra. Era l'intento dell'ammiraglio francese di andare
all'incontro dell'armata inglese, e di assaltarla, essendo venuto in
grandissima speranza della vittoria, imperciocchè non fosse essa a gran
pezza pel molto minor numero delle navi abile a resistere a tanto
apparato. Disegnava altresì con questa mossa d'impedir gli aiuti, che
dall'Inghilterra si sarebbero potuti mandare a Minorca. Sperava
finalmente di poter intrachiudere la via, e por le mani addosso alle
conserve, che partite dall'Indie, ad ora ad ora si attendevano nei porti
della Gran-Brettagna, siccome pure a quella, che, raccozzatasi nel porto
di Cork in Irlanda, era in procinto di partirne per alle orientali ed
occidentali Indie. Nè stava senza aspettazione che l'inopinata
apparizione di una sì possente armata sulle coste di quel Regno non
fosse per farvi nascere dentro qualche buona occasione di fare un
onorato fatto in servigio della lega. Arrivato arringava la sua flotta
alla bocche dello stretto distendendola dal capo Ognissanti sino
all'Isola di Scilly. Era allora l'ammiraglio Darby con ventuno vascelli
d'alto bordo in mare ed in via per andar all'incontro delle conserve.
Ebbe gran ventura nell'essere informato per mezzo di un bastimento
neutrale dell'avvicinarsi dei confederati così grossi; senza del che si
sarebbe trovato alla non pensata impacciato nell'armata loro, e quello,
che succeduto ne sarebbe, nissun nol vede. Avuto l'avviso, si ritirò
tosto dentro la cala di Torbay. Venivano spacciatamente a congiungersi
con esso lui altri vascelli di prima portata, finchè ne ebbe da trenta.
Gli ordinava entro la cala medesima, la quale è aperta, e poco
difendevole, a mò di crescente luna, per poter più agevolmente ributtar
il nemico, se questi lo volesse assaltare. Ma il pericolo era tuttavia
grande. Temevasi della flotta, temevasi delle città marittime,
principalmente di Cork, Terra indifesa, e piena di magazzini zeppi di
munizioni di ogni sorta. Erano in tutta l'Inghilterra gli animi
sollevatissimi. Compariva a gonfie vele l'armata alleata in cospetto di
Torbay. Convocò Guichen incontanente una Dieta militare, per aver il
parere dei Capi intorno a quello, che fosse a fare. Voleva egli, che si
desse dentro, e si assaltasse l'armata britannica. Discorreva, esser
questa quasi come presa dentro una rete; l'occasione aver corta vita, e
non mai, trasandata questa, potersi un'altra più propizia sperare per
ispogliar del tutto la Gran-Brettagna dell'imperio del mare. Ricordava,
con quanta infamia essa occasione si perderebbe, e quanto pungenti
stimoli di penitenza seguiterebbero, chi non l'abbracciasse. Essere il
nemico impacciato, aversi buona quantità di brulotti, l'effetto dei
quali in quell'ordinanza fitta ed immobile delle navi di Darby stato
sarebbe inevitabile; dimostrassero con un nobile ardire agli alleati,
quali, e quanti essi fossero. Don Vincenzo Droz non solo sosteneva la
opinione del capitano generale, ma di più si offeriva pronto a guidar la
testa, e ad attaccar la zuffa il primo. Ma il signor di Beausset, uomo
nelle cose navali di grandissima riputazione, manteneva la contraria
sentenza. Argomentava, che l'assaltar il nemico in quel luogo era lo
stesso, che privarsi del vantaggio, che si aveva grandissimo, del
maggior numero delle navi; che non si sarebbe potuto andare alla
battaglia coll'ordinanza spiegata, ma sibbene per puntone, ed una nave
dopo l'altra; la qual cosa avrebbe fatto abilità ai nemici, i quali
avrebbero tratto a mira ferma rasentando l'acque, e con palle
incrocicchiantisi da destra e da sinistra, di fracassar le navi già fin
prima, che giugnessero ai posti, che sarebbero lor destinati.
Concludeva, che siccome la risoluzione di assaltare il nemico in quel
luogo non si poteva a patto nissuno giustificare, così credeva, che più
riuscibile partito, e se non di eguale, certo di grande importanza,
fosse il por l'animo ad intraprendere la conserva, che poco lontana
esser doveva, dell'Indie occidentali. Si accostarono all'opinione di
Beausset Don Luigi, e tutti gli altri uffiziali spagnuoli, trattone Don
Vincenzo. Prevalse perciò l'opinione di costoro, e l'impresa fu posta da
l'un de' lati. Ma se i confederati non vollero, o non seppero quella
occasione usare, che la fortuna aveva loro apparecchiato, così ella
guastò loro poscia quel disegno, che in luogo del primo abbracciato
avevano. Incominciarono le malattie ad incrudelire a bordo delle navi,
massime delle spagnuole, e le burrasche, che seguirono poco dopo,
obbligarono i due ammiragli a pensare alla salute loro. Onde avvenne,
che Guichen co' suoi si ritirò a Brest, e Don Luigi a Cadice. Entrarono
sicuramente le conserve nei porti d'Inghilterra. Così questa seconda
apparizione dei confederati sulle coste inglesi riuscì altrettanto vana,
quanto la prima; ma però i soccorsi verso Minorca ne furono impediti.
Ma se le cose tra gl'Inglesi, i Francesi, e gli Spagnuoli passarono nei
mari d'Europa senza molto spargimento di sangue, e pressochè tutte in
mostramenti, se non del tutto inutili, certo poco fruttuosi, si
attaccarono però gl'Inglesi e gli Olandesi con tanto furore, e con sì
gran valore combatterono gli uni contro gli altri, che parvero
rinnovarsi quelle ostinatissime battaglie, per le quali sì grandemente
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