Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 1 - 23

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al fondo; ed esso, venutomi presso, mi diede uno spintone, per gettarmi
giù; ma, grazie al Signore, non caddi, e fuggendo, esso Osio mi corse
dietro, mi afferrò per un braccio, mi trascinò al detto pozzo e mi vi
precipitò. Nella caduta diedi sulli sassi alla parte sinistra e rimasi
talmente offesa che mi trovo in malo modo: dopo che fui abbasso, sentii
che fu gettato giù un sasso, dal quale restai colta nel ginocchio
destro, che v'è rottura; ed al cadere di quel sasso e al romore che
fece m'accorsi ch'era grosso, ma nol vidi; e stetti in detto pozzo, che
è molto fondo e non ha acqua, ma pietre ed ossi, tutto il rimanente di
quella notte, tutto il giorno seguente sin a mezza mattina di ieri,
che, gridando aiuto, fui sentita dagli uomini di quella terra [Velate],
che mi cavarono..... Mentre stetti nel detto pozzo io gridava solamente
venuto il giorno, e non la notte, temendo che di notte venisse l'Osio
e mi rovesciasse altri sassi per ammazzarmi, caso mi avesse conosciuta
anco viva; e perciò io teneva la testa a riparo di certe pietre
grosse ch'erano sporgenti in quel fondo, che è largo». Fu anch'essa
trasportata nel monastero di Sant'Orsola a Monza, ed ebbe comune la
sorte con suor Candida e suor Silvia, amiche esse pure e complici
della Signora. Tutte e tre, il 26 luglio 1609, vennero «fatte murare
separatamente dentro ad un carcere per ciascheduna, in perpetuo, per
pena, con altre penitenze salutari». (Ed.)
[205] Scrive il Ripamonti: «Et mulierum quidem violatarum hic exitus
fuit: quarum priores duo, in ipso fervore poenitentiae, iam extinctae
erant; sanctior haec scribentibus ista nobis adhuc superstes, curvae
proceritatis anus, torrida, macilenta, veneranda, quam pulchram et
impudicam aliquando esse potuisse vix fides». (Ed.)
[206] Venne condannato «in penam furcharum et bonorum confiscatione
versus Regiam Ducalem Cameram Mediolani et perpetuo bannitus a toto
Mediolani dominio, ita et taliter quod si dictus Osius pervenerit in
fortiis iustitiae, quod ducatur super curru ante monasterium Sanctae
Margaritae oppidi Modoetiae, ubi manus potentior ille abscindatur, mox
ad locum iustitiae, in dicto loco, super curru conducatur, et interea
forcipibus candentibus vellicetur, postea furcis suspendatur, ita quod
moriatur, et ejus cadaver in frusta scindatur quae deinde appendatur in
locis commissorum delictorum extra tamen dictum oppidum». La sua casa
venne spianata da' fondamenti e vi fu fatta una piazza, rizzandovi nel
mezzo una colonna di marmo con sopra una iscrizione infamante. (Ed.)
[207] Per testimonianza d'un contemporaneo, a Gio. Paolo «nel bando gli
fu tagliata la testa, la quale portata a Milano, il messo s'incontrò
con l'Ecc.ᵐᵒ Sig. Conte di Fuentes, Governatore, il quale, avvisato,
smontò di carrozza, la fece gettare in terra, e gli pose sopra un piede
in detestazione della sua pessima vita». Cfr. T. BERNARDINO BURUCCO,
_Fragmenti memorabili_ mss. nell'Archivio Capitolare di Monza. (Ed.)
[208] Come eran sicuri codesti galantuomini che quella giovane era
proprio Lucia? [Postilla del Visconti].
[209] Troppi e poi troppissimi _orrendi_. [Postilla del Visconti].
[210] Mi pare che questo bravo potrebbe aver veduta Lucia ed essere
stato mandato a fine che gli altri non la pigliassero in scambio.
Indicare questa circostanza o qui o altrove. [Postilla del Visconti].
[211] È troppo combattere colla fame: lascerei fuori i possidenti
agiati. [Postilla del Visconti].
[212] Qui termina il capitolo IX e incomincia il X. (Ed.)
[213] Togliere l'equivoco della parola _preghiera_. [Nota del Visconti].
[214] Ti rammemoro del cangiamento che hai profilato fare al carattere
del Conte. Vedrai se convenga farne cenno fin dal momento in cui Don
Rodrigo si porta da lui: oppure quando e come. [Postilla del Visconti].
[215] Perchè non fare a questa vecchia un boccone di cena? Ti costerà
meno carta che non all'oste per scrivere il conto. [Postilla del
Visconti].
[216] Andiamo allegri con quest'_orrendo_. [Postilla del Visconti].
[217] Periodo che diviene imbrogliato. Sarà facile rimediarvi.
[Postilla del Visconti].
[218] Il Manzoni scrisse in margine: «che quella mattina doveva
trovarsi ad una chiesa (che nominò, ed era alla metà della via,
distante circa due miglia dal castello)». (Ed.)
[219] Segue, cancellato: «Voglio vedere se ha ancora quegli occhj che
hanno fatto abbassare i miei... cospetto... cinquant'anni sono. Era uno
strano giovanetto! E ora che sarà diventato?» (Ed.)
[220] Segue, cancellato: «L'occhiata, che aveva fatta tanta impressione
e lasciato un così profondo marchio di rimembranza nella niente del
Conte, era stata data nella occasione che ricorderemo brevemente.
Federigo Borromeo, giovanetto allora di 15 anni, si trovava nella
chiesa di S. Giovanni in Conca nel giorno solenne di quel santo; e,
invitato poscia dai frati, s'era posto a sedere nel presbitero e quivi
assisteva pensoso e riverente al rito che si celebrava. Quando una
brigata di giovanotti, di adolescenti, delle principali famiglie della
città, entrata a turba nella chiesa per curiosità, e visto in quel
luogo il giovane Federigo, che sempre con l'esempio e talvolta con
le parole gli faceva vergognare del loro vivere superbo, scioperato,
molle e violento, s'accordarono di fargli fare una trista figura, di
vendicarsi e di divertirsi un momento a sue spese. Rotta la folla,
s'avvicinarono all'altare, e appostatisi in faccia a Federigo, si
diedero a fare i più strani e beffardi atti del mondo, storcer le
bocche, torcere il collo come chi irride un ipocrita, cacciare un
palmo di lingua, sghignazzare. Il Conte, che fu poi del Sagrato, era
tra essi, anzi queglino erano con lui, perchè egli non era mai stato
secondo in nessun luogo e in nessun fatto. Federigo, contristato e
mosso a pietà ed a sdegno nello stesso tempo, ma non confuso, girò su
quella turba un'occhiata, che esprimeva tutti questi affetti con una
gravità tranquilla, ma più potente dell'impeto indisciplinato di quei
provocatori: quindi piegate le ginocchia davanti all'altare, pregò per
essi, i quali partirono col miserabile contegno di chi è stato vinto in
una impresa in cui il vincere stesso sarebbe vergognoso». Il Manzoni fu
consigliato a toglier via questo aneddoto dal Visconti, che vi scrisse
in margine: «Se quest'occhiata e la storiella di S. Giovanni in Conca
sono invenzioni, le cancellerei addirittura, come indegne, per dirla in
breve, di Walter Scott. Ancor che sia storia, scancella, per amor di
Dio: è proprio una bazzecola». (Ed.)
[221] Qui ha termine il capitolo X. (Ed.)
[222] Questo brano è tratto dal capitolo X e ultimo del tomo II. (Ed.)
[223] Mi spiace, non saprei dire bene il perchè: mi pare una profezia
d'autore: è un caso strano che il Cardinale azzeccasse con una parola,
detta a caso, in un miracolo vicino. Non sarebbe meglio star più sulle
generali, e fargli rispondere, ed anche di dare occasione di operare
qualche bene e di stornare qualche male? [Postilla del Visconti.]
[224] Poichè vedo che sei andato cincischiando, mi permetto una
cincischiata anch'io: a quella bellezza, smarrita già da più anni, una
bellezza senile, la quale spiccava ancor più nella semplicità maestosa
della porpora, che, nuda d'ornamenti ambiziosi, tutto ravvolgeva il
vecchio. [Postilla del Visconti].
[225] E basta; lascerei l'altro inciso, per la ragione detta poc'anzi,
e perchè è troppo precisare. [Postilla del Visconti].
[226] _da spiritato_ è troppo. [Postilla del Visconti].
[227] Se fossi io——e non avrei saputo fare il resto——troncherei il
dialogo alle parole: _con una faccia convulsa_: ma mi rimetto al
parere di chi sa meglio di me che sia convertire ed essere convertito.
Si può anche cominciare la lacuna al luogo segnato. Mi pare poi che
qui converrebbe accennare il passo del Ripamonti, perchè il miracolo
venga giustificato dalla storia. Dire, per esempio, che il Ripamonti
fa menzione d'un altro colloquio, con il quale codesto Conte fu
tutt'altr'uomo, ma non lo riferisce; che l'anonimo tuo deve aver
riportata questa prima conferenza ove l'animo del terribile capo de'
banditi fu tocco dalla grazia, e dopo il quale solo restava quel
trambusto d'idee e di confusi sentimenti, che non poteva a meno di
aver luogo per alcune ore; che è un peccato che dopo le ultime parole
trascritte ci sia una lacuna d'alcune pagine, segno che quella prima
conferenza non fu breve; che è uno scarso compenso il trovare almeno
nelle prime parole del manoscritto, dopo la lacuna, una pennellata
della selvaggia ed avventata natura del Conte, non dissimile in questo
da molti energici fra' suoi contemporanei. La faccia del Conte, segue
dunque a leggersi nel manoscritto nostro, ecc.——Ommetterei, per altro,
l'idea incidente _che dall'infanzia non conosceva le lagrime_, perchè
contraddice allo stato d'ondeggiamenti e rimorsi abituali che hai
progettato di supporre in lui. Il resto è una galoppata di un cavallo
arabo. [Postilla del Visconti].
[228] Per non cadere in contraddizione coi discorsi supposti nella
lacuna, puoi dire facilmente: parlate, parlate di nuovo, ora che siete
con me. Io non so fare l'ascetico, ecc. [Postilla del Visconti].
[229] Si tratta di Don Abbondio. Intorno a questa stupenda creazione
manzoniana è notevole quello che scrive l'abate Antonio Stoppani:
«Chi crederebbe, per esempio, che don Abbondio è un personaggio non
immaginario, ma vero? Io potrei declinarvi il nome e il cognome; ma
_parce sepultis_! Egli era naturalmente un curato, con cui usava spesso
Manzoni nella sua giovinezza. Lo conobbi anch'io, ma troppo poco per
potervi assicurare, da mia parte, che egli era un don Abbondio in carne
ed ossa. Sentite però un piccolo aneddoto che riguarda quell'uomo,
e che il Manzoni nella sua più tarda età raccontava come cosa che
gli aveva fatto una grande impressione. Siamo proprio ai tempi della
prima giovinezza del grande poeta. Giuseppe II, che aveva messo le
mani dappertutto e cacciatele fino al fondo nelle cose di sagristia,
fondò a Pavia un seminario teologico detto Seminario maggiore, celebre
soprattutto per i dissensi che ne nacquero tra la scuola tamburiniana
e le curie, principalmente la curia romana. Alcuni de' più distinti
studenti di teologia delle diocesi lombarde venivano scelti per compire
i loro studi in quel Seminario, e obbligati a frequentare le scuole
dell'Università. Quando poi si presentavano alle rispettive curie per
essere ammessi agli ordini sacri, dovevano sostenere un esame, come
si fa anche adesso, ma che allora era diretto principalmente dalle
curie ad assicurarsi che i candidati non erano infetti da dottrine
ritenute ereticali. Come il nostro don Abbondio (daremo questo nome
al nostro innominato) fosse tra i prescelti, non ve lo saprei dire.
Forse era altrettanto distinto d'ingegno, quanto bislacco di volontà.
Il fatto è che don Abbondio andò a compire gli studi nel Seminario
maggiore, e presentossi, a suo tempo, per ricevere gli ordini alla
curia milanese.——Quando mi presentai all'esame——così narrava al
giovinetto Alessandro——l'esaminatore mi domandò se i parroci erano
d'istituzione umana o divina. Io sapeva benissimo che loro volevano
si rispondesse che erano di istituzione umana, e, furbo, risposi
tosto: d'istituzione umana... d'istituzione umana!——Il giovinetto,
benchè colpito profondamente dal vedere un curato che in una cosa di
religione faceva dipendere il sì o il no da riguardi affatto umani, e,
se occorreva, affrontava gli ordini con una menzogna; ebbe l'ingenuità
di domandargli, se quanto aveva risposto nell'esame corrispondeva
veramente alle sue convinzioni.——Oh giusto!——soggiunse don Abbondio:——a
me avevano insegnato ben diversamente a Pavia; ma se avessi risposto
come la pensava io, non mi lasciavano dir messa.——Il Manzoni volle
arrischiare qualche osservazione; ma il curato tagliò corto con questa
sentenza:——Quando i superiori domandano, bisogna saper rispondere a
seconda del come la pensano loro.——Non vi pare che in questa sentenza
ci sia un intero programma di saper vivere, di saper navigare, come
si dice? che vi sia insomma scolpito vivo vivo il don Abbondio de'
_Promessi Sposi_? Mettetelo in faccia ai bravi, sotto le minaccie di
don Rodrigo; poi sappiatemi dire se il Manzoni ha studiato sul vero fin
da quando era giovinetto». Cfr. STOPPANI A. _I primi anni di Alessandro
Manzoni, spigolature_, Milano, tip. Bernardoni, 1874; pp. 143-148.
Ne svelerò il nome: era don Alessandro Bolis, curato di Germanedo,
piccolo paesello in vicinanza del Caleotto, la villa avita del Manzoni.
[230] E basta così, mi pare anche dopo che ho saputo la tua intenzione
di fare un ritratto. Attaccherei alle parole: _Se ogni uomo... utopisti
più confidenti_, ecc. [Postilla del Visconti].
[231] 1 Prete Serafino Morazzone o Morazone non è un essere
immaginario: ha vissuto e fu amico del Manzoni, tra le cui carte ho
trovato questa letterina che ricevette da lui: «Ill.ᵐᵒ Signore,
Francesco Polvara di Pescarenico, sapendo il buono affetto che V.ᵃ
S.ᵃ Ill.ᵐᵃ ha per me, desidera che faccia buon ufficio presso di
Lei acciò gli rilascia o tutto o in parte ciò che gli deve per certa
compra fatta colla felice memoria del di Lei padre. Ascoltate le di
lui ragioni su questo, mi dice che la compra è stata fuor di modo
alterata; ma, aggiungendo io che bisognava avvertire nel far la compra,
mi dice che abbisogna adesso di carità, non potendo pagare per varii
infortunii, e dicendo che tocca alla sigurtà; e dicendogli io che
tocca agli eredi, mi disse che son sei figli pupilli. A questi vorrei
giovare: _Pupilo tu eris adjutor_. Ma non vorrei neppure il danno di
V.ᵃ S.ᵃ Ill.ᵐᵃ che però la prego ad informarsi se veramente la
compra è stata fuor di modo alterata, come esso dice e fare quello
che il Sig.ͬ Iddio le ispira. La prego de' miei ossequiosi saluti
al Sig.ͬ Canonico [_Luigi Tosi_], alla Sig.ᵃ di Lei Madre, alla di
Lei Sig.ᵃ Moglie ed alla Sig.ᵃ Ospite, e raccomandandomi alle loro
orazioni mi dico con ogni rispetto e stima di V.ᵃ Sig.ᵃ Ill.ᵐᵃ
affezionatissima per servirla Prete SERAFINO MORAZONE curato di
Chiuso». Non ha data, ma è anteriore al 1818, nel qual anno, l'11 di
novembre, per contratto rogato dal notaio Innocenzo Valsecchi, il
Manzoni vendette la sua villa del Caleotto ed i beni che possedeva
ne' Comuni di Lecco, Castello ed Acquate per la somma di lire
centocinquemila italiane.
[232] Lascerei i paternostri del curato. Era padrone di casa ed è
impossibile che non avesse da esercitare allora l'ospitalità della
parola; circostanza utile a dirsi, ma da non escludersi implicitamente.
[Postilla del Visconti].
[233] _di tutto questo guazzabuglio?_ Capisco, _ma ce que vous pensez
vaut mieux que ce que vous avez dit_. [Postilla del Visconti].
[234] Questo brano è tratto dal capitolo II del tomo III. (Ed.)
[235] Lascerei come inutile questo periodetto, o almeno l'avvertenza
che il curato amava rispondere con testi di Scrittura. [Postilla del
Visconti].
[236] Qui termina il capitolo II del tomo III. (Ed.)
[237] La fatica di viaggiare lontano tre miglia è troppo poca rosa per
farne conto. [Postilla del Visconti].
[238] La rabbia di Scilla e i sassi de' Ciclopi fanno un'ironia che
mi pare fuor di luogo, perchè il resto è affare serio. [Postilla del
Visconti].
[239] Direi sacrilega sconoscenza. [Postilla del Visconti].
[240] Direi cavalcatura. [Postilla del Visconti].
[241] Cercò di Tommaso e gli disse. L'avvertenza sul bel sesso ha
un non so come del meschino: cercare di Tommaso va bene e indica
delicatamente ciò che espresso mi pare che non faccia buon effetto:
molto più perchè è una replica di ciò che dici benissimo sul modo con
cui il Cardinale dava udienza alle donne. [Postilla del Visconti].
[242] Decrepita è troppo: direi un'idea più temperata con qualche altro
termine. [Postilla del Visconti].
[243] Segue, cancellato: «si fermò ad un villaggio vicino». (Ed.)
[244] Questo brano è il principio del capitolo III del tomo III. (Ed.)


NOTE DEL TRASCRITTORE
-Corretti gli ovvii errori di stampa e di punteggiatura.
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