Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 1 - 21

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da non conoscere la preziosità degli oggetti che posseggono, nè di
saper usare dei farmachi eroici, di cui tengono sepolto il tesoro,
sibbene perchè nessuno era, nessuno è, nella persuasione che si
potesse o convenisse pubblicare quel processo; e per soprappiù quella
stessa _volontà generosa e fidente_, di cui la S. V. fa menzione,
aveva dato al sottoscritto fin da quando fu nominato Archivista le
più precise e severe prescrizioni allo scopo che nessuno il leggesse
od il vedesse, non solo, ma nè tampoco trapelasse il posto ov'era
conservato. Come poi questa _volontà generosa e fidente_, sì severa
su di un tal punto con tutti gli altri, per Lei sia stata all'opposto
facile tanto e indulgente da _comandare_ che le fosse consegnato per
dieci giorni, anzi da permettergliene perfino la pubblicazione, io non
debbo investigarlo, ma, comunque sia, ciò non vale a distruggere la
realtà delle cose suesposte. Qual sorta poi d'importanza, qual senso
Ella pretenda attribuire all'aver io fatto legare in un volume il
processo in discorso innanzi di eseguire l'ordine che m'imponeva di
consegnarglielo, confesso di non saperlo capire; poichè però vedo che
Ella ha voluto nella sua Prefazione accennare anche a questa inezia,
io debbo ritenere che la V. S. non l'abbia fatto oziosamente. Giovami
quindi di richiamare la cosa alla perfetta sua semplicità. Finchè il
processo della Signora di Monza doveva restare nascosto a tutti, si
poteva aspettare il compimento dell'intrapreso generale riordinamento
e classificazione degli atti d'Archivio, per farlo poi mettere in
assetto col rimanente; venuta invece l'occasione di doverlo affidare
ad una terza persona e lasciarlo sortire dall'Archivio, diventava
indispensabile farlo legare in volume ad ovviare la troppo facile
lacerazione di quei logori fogli e la dispersione degli autografi e
pezze volanti che vi erano incluse. Del resto, appunto perchè Ella
aveva dovuto accorgersi che insistendo per avere il processo e per
essere abilitato a stamparlo aveva fatto cosa spiacevole a molti,
di ben diverso parere del suo, si sarebbe sperato ch'Ella, riuscito
essendo nell'intento, avesse almeno la delicatezza di schivare tutte
quelle espressioni che potevano offendere coloro che lo vedevano a
proprio malcosto venuto in luce».
Ebbe questa risposta dal Dandolo: «Pregiato mio Signore, Veramente
la sua lettera d'oggi stesso (della quale Le piacque farmi firmare
dall'usciere latore la ricevuta, quasichè non avesse a parermi
soverchio d'averla ricevuta senza l'aggiunta della controsegnata
dichiarazione) si assume darmi più di una lezione di delicatezza:
dubito forte s'Ella avesse titolo di infliggermele; certo io l'ho di
risponderle e di ricambiargliele. Ella mi riprende d'aver parlato di
tarlato scaffale e di fascicoli polverosi, mentre, valga il vero, lo
scaffale era nuovo e i fascicoli vestivano camicia recente: quando io
scrissi così, mi fu sventura porre la mente piuttosto al passato di
quell'Archivio che al presente; nè mi diedi cura in affare sì da poco
di attenermi scrupolosamente alla verità, dal momento che l'Archivio
non doveva essere nominato e il pubblico era destinato a rimanersi
all'oscuro dell'archivista a cui quelle malaugurate parole sarebbon
parute riferirsi: è da credere che mi seducesse l'effetto pittorico
della frase; ed Ella deve abituarsi così ad essere indulgente in fatto
di frasi ai letterati, ove si tratti d'inezie, come a ricordarsi
manco di sè quando altri per una perdonabile sbadataggine mostrò
di non ricordarsene. Ella, che ad ogni mia parola attribuisce una
gravità, a cui son ben lontano dall'aspirare, non sa bene a qual fine
io accennassi l'avvenuta compenetrazione de' fascicoli in volume,
e s'inquieta a investigarlo, quasi anche in ciò si celi insidia ed
offesa; mi è caro tranquillarla su questo particolare: accennai del
volume per poter dire delle pagine e citarle numerizzate. Se una
volontà, ripeterò, generosa e fidente posemi in grado di leggere,
studiare, trasuntare e pubblicare il processo della Signora di Monza,
tal volontà giace troppo al di sopra della di Lei disapprovazione,
perchè io non abbia a starmene contento della fiducia dimostratami
e tranquillo dell'uso che ne feci, nonostante le riprensioni di
cui Ella mi fa segno; mostrando con questo di non essersi formati
retti giudizj di ciò che siamo ambidue. Ella è per certo uno zelante
archivista; ma spingere lo zelo, o dirò meglio l'amore dei proprj modi
di giudicare, sino alla incriminazione sottintesa del suo Superiore,
che mi diè quelle carte, ed esplicita di me, che ne usai, questo, con
sua buona pace, è togliersi troppo alla modestia delle attribuzioni
che le competono. Quanto a me, sono scrittore abbastanza noto e da
molto tempo per la sua devozione alle idee cattoliche, alla cui difesa
elettivamente e coraggiosamente mi consacrai; reputai opportuno
circoscrivere, precisare un fatto famoso, cui l'indefinito aveva fin
qui indefinitamente ampliato; e lo corredai di commenti che ne avessero
a mitigare e, se mi riusciva, a distruggere i mal influssi che già
esercitò a notizia di tutti. Quest'aperta e non impugnabile intenzione
mia avrebbe dovuto procacciarmi da un degno ecclesiastico, qual Ella
è, benevolenza e non antipatia. Le lezioni, in generale, son buone a
riceversi dagli anziani, dagli autorizzati a darle. Assai più giovane
di me e senza titolo a costituirmisi ammonitore e riprensore, la prego
di credere che non mi tengo così basso nella mia propria opinione e
nella altrui da far buon viso ad un foglio del tenore del suo».
Una petulanza così sguaiata mosse a sdegno quella stessa _volontà
generosa e fidente_ che aveva, contro il parere del Sala, accordato
al Dandolo il permesso di pubblicare il processo, vale a dire il
Provicario Caccia, che, presa la penna, scrisse a difesa del malmenato
archivista: «Il Dandolo alla lettera del sig. Sala ha dato un senso che
non è il suo ed ha trasportato la questione in un campo ben diverso da
quello in cui doveva di propria natura restringersi. La lettera del
Sala aveva tutte le formalità d'una lettera d'ufficio e quindi anche
quella della ricevuta sul libro di consegna. Il Sala non aveva scritto
quella lettera senza aver prima consultato il Provicario, non l'aveva
spedita senza prima avergliela letta; tolta quindi ogni intenzione
di incriminare il Superiore. Il Sala non parla nemmeno del libro del
Dandolo, parla solo della prefazione; tolta quindi anche l'intenzione
di riprendere l'autore dell'uso che gli era stato concesso di fare
del manoscritto in discorso. Se il Sala accenna che nessuno è nella
Curia persuaso che quel libro si potesse o convenisse pubblicarlo, lo
fa solo per dare il motivo della dimenticanza in cui parve al Dandolo
che fosse tenuto quel processo. Se confessa d'essere stato di diverso
parere del Dandolo e del Superiore, lo fa perchè avendo d'altronde
piegato alla _espressa volontà_ del Superiore medesimo, trovava in ciò
di avere un titolo di più ai riguardi del Dandolo. Del resto, della
concessione Superiore il Sala protesta nella di lui lettera che _non
deve investigarne le ragioni_. Il Sala si era prefisso unicamente
di far capire al sig. Dandolo che la superiore concessione gli dava
bensì il diritto di usare del manoscritto per il bene, non quello di
intaccare l'onore dell'Ufficio dal quale fu per lui levato. Il Dandolo
più che all'infelice passata condizione dell'Archivio Arcivescovile
poteva più facilmente e poteva più volentieri por mente al bell'ordine
che di presente vi s'introduce. Appunto perchè agli occhi del Dandolo
il Sala non ha altro merito in fuori di quello di essere uno zelante
archivista, perchè togliergli anche questo poco merito con una men
vera allusione? Quando si han da dire parole che ponno dispiacere, non
è buona scusa la bellezza della frase o la poca riflessione. Un buon
cattolico non scrive lettere così umilianti ad un sacerdote, come il
Dandolo ha fatto. Il Sala ha usato del proprio diritto; assalito, si
è difeso; e chi scrive parole che toccano una terza persona si mette
nella posizione di dover permettere che vi si risponda. Il Dandolo è
tanto più ingiusto col Sala, in quanto il Sala quando, pregato dal
Dandolo stesso, espose al Superiore il proprio sentimento circa la
chiesta pubblicazione del Processo, parlò del Dandolo con profusione di
stima per le sue buone intenzioni e per le sue cattoliche idee».
Di tutte queste lettere, che sono inedite, se ne trovano le copie tra
le carte del Manzoni, il quale tenne dietro alla controversia con vivo
interesse.
[91] _Virginie de Leyva ou intérieur d'un convent de femmes en Italie
au commencement du dix-septième siècle d'après les documents originaux,
par_ PHILARÈTE CHASLES, _professeur au Collége de France, Conservateur
à la Bibliothèque Mazarine. Seconde édition, ornée du portrait
authentique de Virginie de Leyva, d'après Daniel Crespi_, Paris,
Poulet-Malassis, libraire-éditeur; 1862; in-12. di pp. XII-204.
[92] _La Signora di Monza_ (_Sœur Virginie-Marie de Leyva_) _et
son procès_, 1595-1609, _par_ A. RENZI, _membre et administrateur
de l'Institut historique de France, etc._ Paris, E. Dentu,
éditeur-libraire de la Societé des gens de lettres, 1862; in-8. di pp.
viii-192, colla «Effig. della Penit. Ravved. Suor Virginia Maria Leyva»
dipinta da Daniele Crespi.
[93] A. VERONA, _Virginia de Leyva (la Monaca di Monza) e i conventi
in Italia nel secolo XVII, annotazioni storico-critiche, a proposito
dell'opera_: «Virginia de Leyva ossia l'interno di un monastero in
Italia sul principio del secolo XVII, dai documenti originali, per
Filarete Chasles»; nella _Rivista contemporanea_, di Torino, ann. IX,
vol. XXVI, fasc. 95, ottobre 1861; pp. 124-129.
[94] _La Perseveranza_, di Milano, n.º 28, 8 aprile 1875.
[95] Quando il Cantù scrisse il commento al Romanzo frequentava la casa
del Manzoni; e che egli, come afferma lo STAMPA [I, 65], «abbia tolto
dalle confidenziali conversazioni tenute col Manzoni la sostanza del
commento non solo, ma le indicazioni per le necessarie ricerche onde
compirlo, è una verità». Nella prima edizione, riguardo alla Signora,
altro non fece che tradurre il passo del Ripamonti in cui si raccontano
i casi di lei; riprodusse il passo anche nelle successive edizioni,
ma notando: «tanto e nulla più sapeva di quella infelice Alessandro
Manzoni allorquando la scelse per uno de' suoi personaggi... Il suo
seduttore Manzoni lo chiamò Egidio, e non seppe di che famiglia, come
non entrò nel suo disegno di mostrarne la fine. Però nel Frisi....
leggevasi abbastanza per poter discoprire il vero essere di quel
tristo». L'opera del Frisi, del resto, era ignota anche allo stesso
Cantù quando scrisse e stampò per la prima volta il commento, nel quale
nulla sa dire di Egidio e della sua famiglia.
[96] Ecco quanto scrive: «Terminò il ramo Osio monzese in Gio. Paolo e
Teodoro, fratelli, il primo de' quali avendo commesso un delitto con
suor Virginia Leva, monaca del monastero di S. Margherita in Monza,
circa il 1600, soggiacque alla confisca de' suoi beni, e per ordine del
Senato di Milano venne demolita nel 1608 la di lui casa, situata sulla
piazza del detto monastero, coll'essersi eretta nell'arca di detta casa
una colonna colla statua della Giustizia in memoria del fatto». Cfr.
FRISI ANTON-FRANCESCO, _Memorie storiche di Monza e sua corte raccolte
ed esaminate_, Milano, nella Stamperia di Gaetano Motta, 1794; vol. II,
p. 224.
[97] CAMERINI E., _Prefazione_ alla prima edizione postuma de'
_Promessi Sposi_ fatta a Milano da Edoardo Sonzogno nel 1873.
[98] CANTÙ C., _Alessandro Manzoni, reminiscenze_; I, 160.
[99] LUZIO A., _Manzoni e Diderot. La Monaca di Monza e la Religieuse,
saggio critico_, Milano, fratelli Dumolard editori, 1884; in-16. di pp.
96. Ne dette un saggio in _La Domenica letteraria_, ann. I, n. 45, 10
decembre 1882, col titolo: _La Monaca di Monza_.
[100] Cfr. BERTANA E., _Postilla manzoniana: La Monaca di Monza; nel
Giornale storico della letteratura italiana_; XXXV, 172-175.
[101] CASATI CARLO, _Nuove notizie intorno a Tommaso De-Marini, tratte
da documenti inediti_; nell'_Archivio storico lombardo_, serie II, ann.
XIII [1886], pp. 584-640.
[102] Cfr. _La Perseveranza_ del 22 gennaio 1898.
[103] VIDARI G., _La Gertrude, l'Innominato e fra Cristoforo_; in _La
Rassegna nazionale_, di Firenze, ann. XVII, vol. 86, 1 e 16 decembre
1895, pp. 528-571 e 672-693.
[104] ZERBI L., _L'Egidio dei_ «Promessi Sposi» _nella famiglia e nella
storia, notizie e documenti_, Como, tip. editrice Luzzani Angelo, 1895;
in-8. di pp. 86, con l'albero del ramo di Monza della famiglia Osio e
la topografia del monastero di S. Margherita di Monza e sue adiacenze,
con le case degli Osii, desunta da uno schema tracciato nell'anno 1623
dall'ing. camerale Ettore Barca.
[105] AVANCINI D., _L'amore nei_ «Promessi Sposi»——La Monaca di Monza,
saggio critico, Milano, Albrighi, Segati e C. editori [tipografia
Umberto Allegretti], 1898; in-12, di pp. 72, oltre il frontespizio.
[106] Nel 1898 GENTILE PAGANI incominciò a stampare nella _Terza
raccolta milanese illustrata di notizie storiche, topografiche ed
altre di Milano e suo territorio la sua Storia rinnovata della Signora
di Monza_ (1575-1650) _secondo documenti autentici_, ma dopo la 3ᵃ
dispensa, ossia alla pag. 32, ne smise la pubblicazione.
[107] Litta P., Famiglia Pio di Carpi; tav. IV.
[108] Il Dandolo, benchè si sbracci a dire che le istituzioni
monastiche «non corrono pericolo di subire intacco o crollo in
conseguenza d'un fatto isolato», nello stampare il processo tagliò e
omise tutto quello che non gli andava a genio, mostrando, alla stregua
de' fatti, che la verità gli faceva paura. Il processo o non andava
stampato, o bisognava stamparlo nella sua integrità. Si credeva e si
lamentava perduto; invece, per buona fortuna, è stato rinvenuto fin dal
1899, quando l'Archivio della Curia arcivescovile venne trasportato in
un altro locale.
[109] La sentenza lo dichiara «valde gravatum, ac vehementer
indiciatum, et respective confessum ac convinctum de enormibus ac
atrocibus delictis, criminibus, excessibus et peccatis, videlicet: 1.º
quod nonnullis annis elapsis, cum Jo. Paulus Osius (suam tunc domum
habitationis habentem Modoetiae prope monasterium monialium sanctae
Margaritae dicti oppidi, ac ipsi monasterio coherente), amorem duceret
cum sorore Virginia Maria Leva, moniali professa in dicto monasterio,
et hunc amorem partecipasset praefato presbitero Paulo secum
deambulando in viridario dicti Osii, contiguo praefato monasterio, ex
quo dictus Osius videbat praefatam monialem Leva, ac amorem fruebat, et
peteret ab eo auxilium pro obtinenda gratia praedictae monialis; idem
presbiter Paulus, ad effectum praefatum, quamplures litteras amatorias
scripserit propria manu antedictae moniali Virginiae Mariae pro
praefato Osio, asserendo precipue in illis respective licere se invicem
deosculari absque peccato, adducendo falso auctoritatem divi Augustini,
ac minime incurri in excomunicationem ingrediendo septa monasterii
monialium; et ad id ei persuadendum, ac eandem monialem decipiendam,
trasmissus fuerit ad ipsam liber casuum conscientiae legendus, (ipso
presbitero Paulo consultore); 2.º quod, ad effectum de quo supra,
dictus presbiter Paulus baptizaverit calamitas, easque tradiderit
praefato Jo. Paulo Osio, qui accedendo ad parlatorium dicti monasterii
noctu (eodem presbitero Paulo conscio et concomitante, sed remanente
extra parlatorium pro custodia) eamdem calamitam, prius ab ipsomet Osio
deosculata ac linita, tradidit praefatae sorori Virginiae similiter
deosculandam ac lambendam.... 4.º principaliter, quod dictus presbiter
Paulus eamdem sororem Virginiam Mariam Leva tum litteris et carminibus
ad eam datis, cum et sermonibus viva voce cum ea factis accedendo ad
parlatorium, tentaverit habere amasia ac sibi eius amorem conciliare
procuraverit». Nè qui si arrestano le scelleraggini di questo perverso;
ma fortunatamente non è involta in esse la disgraziata Signora, che
pur troppo ebbe la sventura di trovarselo al fianco, consigliere e
istigatore alla colpa. È la più losca figura del processo; più losca
dello stesso Osio. E pure, di tutti i colpevoli, fu quello che ebbe
minore il castigo! Venne condannato a remare per due anni sulle galere
e, scontata la pena, al bando perpetuo da Monza e quindici miglia
in giro, con minaccia della degradazione dagli ordini sacri, della
perdita de' benefizi di curato e d'altri tre anni di galera se ardisse
trasgredire questo bando. La sentenza è del 24 gennaio 1609. Gli fu
letta il giorno 27, e prese a gridare: «io non accetto niente di questa
sentenza, come ingiusta ed iniqua; anzi me ne appello al Papa, perchè
mi trovo aggravatissimo, essendo io inconscio di aver commesso tali
delitti, che son tutte imposture fabbricatemi da nemici». Cfr. DANDOLO
T., _La Signora di Manza e le Streghe del Tirolo, processi famosi,
Milano_, 1855; pp. 110-116.
[110] Prima scrisse: _occuperà tutto il resto del capitolo_. Da
principio infatti questa discussione formò il capitolo IX, che era
intitolato: _Digressione_; avendo poi il Manzoni stabilito di rinnovare
la numerazione de' capitoli in ogni tomo, divenne il capitolo I del
tomo II, con l'intestatura: _Digressione_——_La Signora_. (Ed.)
[111] L'addio de' due promessi sposi, nella prima minuta, era questo:
«Qui Fermo avrebbe dovuto sostare almeno tutta la giornata, ma Agnese
e Lucia lo persuasero a partire, ed egli parti, tristo, incerto
dell'avvenire, ma certo almeno che un cuore rispondeva al suo e viveva
delle sue stesse speranze». Ecco il racconto di questo addio nella
seconda minuta: «Renzo avrebbe voluto fermarsi quivi almeno tutto
quel giorno, veder le donne allogate, render loro i primi servigi;
ma il Padre aveva raccomandato a queste di farlo continuar tosto il
viaggio. Allegarono quindi esse e quegli ordini e cento altre ragioni:
che la gente ciarlerebbe, che la separazione più ritardata sarebbe
più dolorosa, che egli potrebbe venir presto a dare e ad intendere
novelle; tanto che il giovane si risolvè di partire. Furono presi più
partitamente i concerti; Lucia non nascose le lagrime, Renzo rattenne
a stento le sue, e stringendo fortissimamente la mano ad Agnese, disse
con voce soffocata: _A rivederci_, e partì».
La copia per la censura ha una sola variante: invece _di farlo
continuar tosto il viaggio,_ legge: _di mandarlo tosto per la sua
strada_. (Ed.)
[112] Prima scrisse: _freddi_. (Ed.)
[113] Un giovane Gesuita prese a dimostrare in un discorso, detto
pubblicamente, che Racine non era nè cristiano, nè poeta. I Gesuiti
biasimarono quella insolenza e per mezzo di Boileau fecero sapere a
Racine che avrebbe soddisfazione. Ecco un passo della risposta di
Racine: «Vous pouvez assurer le Père Bonhours, que, bien loin d'être
fâché contre le régent qui a tant déclamé contro mes pièces de théâtre,
peu sen faut que je ne le remercie d'avoir prêché une si bonne morale
dans leur collège». [Nota del Manzoni].
[114] Prima questo periodo finiva così: _non ne uscirebbe un costrutto
più strano_.... (Ed.)
[115] Il Bonghi dette un cenno di questa discussione, fatta dal
Manzoni tra sè stesso e un personaggio immaginario, e ne riportò
alcuni de' tratti più caratteristici; e quell'accenno e que' tratti
dettero origine e formarono il soggetto di due scritti notevoli
del senatore Antonio Fogazzaro e del prof. Damiano Avancini. Cfr.
BONGHI R. Alessandro Manzoni, discorso; in Inaugurazione della Sala
Manzoniana nella Biblioteca Nazionale Braidense alla _presenta delle
LL. MM. il Re e la Regina e di S. A. R. il Principe di Napoli——5
novembre_ MDCCCLXXXVI, Milano, tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C.,
1886; pp. 19-21.——FOGAZZARO A. _Un'opinione di Alessandro Manzoni_
[discorso letto al Circolo filologico di Firenze il 28 marzo 1887]; in
_Discorsi_, Milano, tip. editrice di L. F. Cogliati, 1898; pp. 3-29.
AVANCINI D. _L'amore nei_ «_Promessi Sposi_——_La Monaca di Monza,
saggio critico_, Milano, Albrighi, Segati e C. editori, 1898; in-16º
di pp. 72.
[116] Prima aveva scritto: _una barba_. (Ed.)
[117] Prima: _ha trovato non tutto quello che cercava, ma qualche_;
poi: _come chi crede_. (Ed.)
[118] Sopra _singolare_ è scritto _egregia_. (Ed.)
[119] Il periodo che segue lo rifece più volte. Da principio scrisse:
«La fronte, stretta in un velo di lino, non si distingueva da esso
che come un bianco avorio da un bianco foglio di carta»; poi tornò a
scrivere: «La parte della fronte che usciva dal velo di lino era di
diversa, ma non disuguale bianchezza, e si distingueva da esso come un
candido avorio si distingue da un bianco foglio di carta». E di nuovo:
«Sotto ad una stretta benda di lino si vedeva una parte della fronte,
di diversa, ma di non diseguale bianchezza, e si distingueva da quella
come un candido avorio risalta su un bianco foglio di carta». Questo
ultimo periodo lo mutò così: «e si distingueva dalla benda come un
candido avorio.... un bianco foglio di carta». (Ed.)
[120] Senza dar di frego a _erratico_, il Manzoni vi scrisse sopra:
_vagabondo_. (Ed.)
[121] Segue, cancellato: _alquanto scarne_. (Ed.)
[122] Prima scrisse: _colorate d'un roseo vivace spiccavano in quella
bianchezza_; poi: _dolcemente prominenti_. (Ed.)
[123] Segue, cancellato: _che scendeva sul seno_. (Ed.)
[124] Prima: _le forme più regolari_; poi: _una proporzione di forme
regolare e maestosa_. (Ed.)
[125] Prima scrisse: _guadagno_; parola che, per altro, non cancellò.
(Ed.)
[126] Prima: _pericoli, che il suo onore poteva correre_. (Ed.)
[127] Prima scrisse: _contristare_, nè gli dette di frego. (Ed.)
[128] Prima: _della vostra mente_. (Ed.)
[129] Segue cancellato: _e un nostro buon religioso l'hanno tolta dalle
sue_; poi: _tolta intatta da_. (Ed.)
[130] Proseguiva così: «Io so che il terrore può far parlare una povera
figlia contra il suo cuore, con tanta sicurezza, con tante proteste,
con tanti giuramenti, come più che se parlasse dal fondo del cuore».
(Ed.)
[131] Qui termina il capitolo primo del tomo secondo e segue il
capitolo secondo intitolato: _La Signora, tuttavia_. (Ed.)
[132] _Gli alti spiriti_, e basta mi pare indicare che la fanciullina,
quando le donzelle le insegnavano ch'era bella, aveva appena sei
anni, altrimenti non v'era bisogno di avvisatori. [Postilla di Ermes
Visconti].
[133] Bada che quest'idea confusa non sia troppo per una fanciullina di
sei anni. Kant diceva: è difficile mettersi _ne' panni delle idee_ de'
fanciulli, de' selvaggi e de' gonzi. [Postilla del Visconti].
[134] Prima scrisse: _non uscì in Lombardia_. (Ed.)
[135] Prima: _mediocremente pensato_. (Ed.)
[136] Così rifece, ma poi cancellò, questo periodo: «Se alcuno conosce
qualche libro composto e stampato in Milano dalla invenzione della
stampa fino alla metà del secolo decimosettimo, il qual libro sia
scritto grammaticalmente e contenga idee, non dico splendide, ma
connesse con senso comune». (Ed.)
[137] Sopra: _cosa di più_, scrisse poi: _indeterminata_. (Ed.)
[138] Bravo! Sarà come la zoppa madre Perpetua; come la madre Reparata,
che tossisce sempre ed ha un gozzo come un popone, ecc. ecc. [Postilla
del Visconti].
[139] Qui mi pare il luogo di porre l'idea confusa, e che a poco a poco
si fa chiara, finchè diventa la parola interiore che detta la risposta.
[Postilla del Visconti].
[140] Segue, cancellato: «La povera fanciulla si raffigurava la collera
e le minacce dei parenti, le arti di ogni genere che si sarebbero
poste in opera per soggiogarla, ma conchiudeva col pensiero che il
_sì_ doveva dirlo ella e non lo direbbe. Così si teneva bastantemente
sicura;». (Ed.)
[141] A quattordici anni? Dunque è al principio della vera adolescenza.
[Postilla del Visconti].
[142] Segue, cancellato: «Chi, condotto da una disciplina ragionata ed
amorevole, arriva a quella età, coll'intelletto educato alle massime
serie e gioconde ad un tempo della Religione; e si trova avviato in una
occupazione utile e gradita, nella quale s'accorga ad ogni passo d'un
progresso, e veggia sempre più da vicino uno scopo alla via che sta
percorrendo; chi finalmente nello stesso tempo stanchi e rinforzi il
corpo con esercizio costante, quegli ha una pubertà felice e si prepara
a vincere i pericoli delle età che la seguono. Ma la povera Geltrude
non era in tali circo....». (Ed.)
[143] Segue questo periodo, che è cancellato con due freghi col lapis,
ed ha in margine, pure a lapis, una postilla che dire: _Periodo
inutile. Non l'aveva letto._ Ecco il periodo: «Ma le circostanze
della povera Geltrude erano ben diverse: tutto tendeva per essa a
_realizzare_ ogni pericolo di quella età e a renderla turbolenta e
funesta per l'avvenire». (Ed.)
[144] Le educande e le monache, credo, possono passeggiare più volte in
un giorno nel loro orto. Merate! Merate! In quante maniere tu guasti
l'intelletto dei poveri tuoi ospiti per forza. [Postilla dei Visconti].
[145] Seguiva e poi lo cancellò: «che in verità erano più comuni e più
abbondanti a quei tempi che non lo sieno ai nostri». (Ed.)
[146] Le educande, credo, non vanno in coro. Direi la chiesa delle
monache, dietro l'altar maggiore separata, ecc., ecc., ecc. [Postilla
del Visconti].
[147] Di fianco a tutto questo periodo, da _Geltrude_ a _pensieri_ i il
Visconti tirò una linea, e scrisse in margine: _più chiaro, signor mio
colendissimo_. (Ed.)
[148] Non capisco davvero. [Postilla del Visconti].
[149] Frase equivoca: potrà intendersi a rovescio. [Postilla del
Visconti].
[150] Varianti: «e davano pur da pensare»; «e se ne faceva pur caso
assai». (Ed.)
[151] Parli come avrebbe parlato una Grida di quel tempo: _e con altre
pene maggiori ad arbitrio di Sua Eccellenza_. [Postilla del Visconti].
[152] E di fatti un fanciullo di dieci anni ne capirebbe subito di che
si tratti! [Postilla del Visconti].
[153] Indicare qui chiaramente che per altro non erasi ancor piegata
alla risoluzione di farsi monaca. [Postilla del Visconti].
[154] Qui termina il capitolo II del tomo secondo, intitolato: _La
Signora, tuttavia_, e incomincia il capitolo III, che non ha nessun
titolo. (Ed.)
[155] Prima scrisse: _che sta sul suo_; poi come nel testo; ma il
_riposa_ non gli andava a sangue, e, senza però cancellarlo, v'unì due
varianti: _s'abbandona_, e _si dondola_. (Ed.)
[156] Segue, cancellato: «che le era permesso di uscire dalla prigione
colla sua donna». (Ed.)
[157] Segue, cancellato: «Finalmente raddolcito alquanto il tuono».
(Ed.)
[158] Quante fandonie si possono dire ingenuamente a' giovanetti e alle
giovanette. [Nota del Visconti].
[159] Il Visconti sottolineò le parole: «e che non v'era asilo, riposo,
sicurezza», e scrisse in margine: _Cancella, cancella, cancella il
sottolineato. Il resto optime! Geltrude è come Wildsire interrogata
da Ratcliffe; le sottolineate la farebbero divenire quale fu
all'interrogazione di Marpitlau._ (Ed.)
[160] Segue, cancellato: «o che si fosse inteso più». (Ed.)
[161] Direi: a certe mire. [Nota del Visconti].
[162] Segue, cancellato: «tante volte ch'egli farebbe uno splendido
collocamento se la sorella si facesse monaca, che riguardava
assolutamente come un dovere di questa il chiudersi in un chiostro».
(Ed.)
[163] Oscuro il perchè si premette che ora non v'è indiscrezione.
Affare di stile. [Postilla del Visconti].
[164] Qui termina il capitolo III e incomincia il capitolo IV. (Ed.)
[165] Per giudicar bene il sig. abate doveva non essere un
sempliciotto. [Postilla del Visconti].
[166] Troppo ascetismo: e per una monacazione con voti irrevocabili,
con sanzione di legge civile! [Postilla del Visconti].
[167] _Consegue_ è equivoco da schivarsi necessariamente in questo
luogo. [Postilla del Visconti].
[168] Ascetico e, lo dirò francamente, di cattivo gusto. Il seguito
spiega l'idea, e benissimo. [Postilla del Visconti].
[169] Excellent! ma quando le seppe queste arti? È d'uopo d'un cenno
che le spieghi. [Postilla del Visconti].
[170] Di qualche contadinella mezzo contraffatta, di qualche signora di
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