Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 1 - 10

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di quell'orrendo quartiere: volse in giro, entrando, un'occhiata
sospettosa, e disse: che faremo qui?——Quel che faremo altrove, rispose
l'omicida.——Perchè non andiamo nella mia stanza? replicò Geltrude.——È
vero, disse quella che non aveva mai parlato; è vero; andiamo nella
stanza della Signora. Ognuna delle tre sciagurate sentiva nella sua
agitazione come il bisogno di far qualche cosa, di appigliarsi ad un
partito che avesse qualche cosa di opportuno; e nessuna sapeva pensare
quello che fosse da farsi: quando una faceva una proposta, le altre vi
si arrendevano come ad una risoluzione. Geltrude si avvio, le altre le
tennero dietro, e tutte e tre sedettero nella stanza di Geltrude.
——Accendete un altro lume, disse questa.
——No, no, rispose questa volta l'omicida: ve n'è anche troppo: abbiamo
ristoppate le finestre, è vero, ma se qualche educanda vegliasse...
——Santissima...! proruppe, con un moto involontario di spavento,
Geltrude, e non terminò l'esclamazione, spaventata in un altro modo del
nome puro e soave che stava per uscirle dalle labbra.
——E perchè, dunque, continuò, rimessa alquanto, perchè avete lasciato
il lume nell'altra stanza?
——Perchè... rispose l'omicida, non si ha testa da far tutto.
——Andate a prenderlo.
——Andate, andate... andiamo assieme.
Le due serventi partirono, Geltrude le seguì fino alla porta,
aspettando che tornassero col lume. Lo deposero sur una tavola, lo
spensero, e sedettero di nuovo intorno a quello che ardeva da prima.
Stavano così tacite, guardandosi furtivamente di tratto in tratto;
quando gli sguardi si incontravano, ognuna abbassava gli occhi, come
se temesse un giudice e avesse ribrezzo d'un colpevole. Ma l'omicida,
più agitata, e agitata in un modo diverso dalle altre, cercava ad
ogni momento di cominciare un discorso, voleva parlare del fatto e
del da farsi come di cosa comune, parlava sempre in plurale come per
tenere afferrate le compagne nella colpa, per essere nulla più che
una loro pari. Concertarono finalmente la condotta da tenersi quel
primo giorno, perchè nei concerti presi antecedentemente non avevano
preveduti che i pericoli materiali: non avevano pensato che al modo
di commettere il delitto segretamente e di cancellarne ogni traccia
esterna: ma il delitto aveva loro appresa un'altra cosa; che il sangue
si sarebbe rivelato nei loro atti, nel loro contegno, nel loro volto.
Stabilirono dunque che Geltrude si direbbe indisposta, che avrebbe un
forte dolor di capo, che starebbe chiusa all'oscuro nella sua stanza,
e le altre rimarrebbero ad assisterla. Ma in questo concerto stesso,
quante difficoltà, quanti dibattimenti! Il punto più terribile, era
di decidere a quale delle due serventi sarebbe toccato di avvertire
le suore della indisposizione di Geltrude, per evitare che, non
vedendola comparire, o la badessa, o qualche suora non venisse nel
quartiere a chiederne novella. Ognuna voleva rigettare su l'altra
questo incarico. L'omicida aveva una buona ragione per esimersi; ma
questa ragione, poteva ella parlarne! Dire, io sarò più confusa, più
tremante, perchè.... Cercava ella dunque pretesti come l'altra, ma li
sosteneva con più furore. Geltrude indovinò, anzi sentì quella ragione,
e persuase l'altra ad assumersi l'incarico, dicendole che sarebbe stato
facile e spedito annunziare la sua indisposizione dalla finestra ad una
delle suore che governavano le educande, pregando nello stesso tempo
che non si facesse romore per non disturbarla.
Egidio intanto eseguiva gli altri concerti che erano stati presi, o
per dir meglio ch'egli aveva proposti; giacchè il disegno era tutto
suo. Occultata la vittima, egli uscì di notte fitta, accompagnato da
alcuni suoi scherani, come soleva non di rado per qualche spedizione.
Gli dispose in un luogo distante da quello a cui aveva designato di
portarsi, e gli lasciò come a guardia, lasciando loro credere che
andasse ad una delle sue solite avventure. Quindi per lunghi circuiti
si condusse ad un campo disabitato, col quale confinava l'orto del
monastero, e ne era diviso dal muro. Ivi, dopo d'aver ben guardato
intorno se nessuno vi fosse, si trasse di sotto al mantello gli
stromenti da smurare, che aveva portati nascosti con le armi, e pian
piano, in una parte del muro già intaccata dal tempo, e ch'egli aveva
fissata di giorno, aperse un pertugio, tanto che una persona potesse
passarvi. Riprese i suoi ferri, si ravvolse nel mantello, e camminando
non senza terrore, minacciato com'era da più d'un nemico, raggiunse i
suoi scherani; si mostrò ad essi lieto, s'avviò con essi, gittò per via
qualche motto misterioso di altre avventure, e tornò alla sua casa.
Il mattino vegnente una suora mancò, si corse alla sua cella; non
v'era; le monache si sparpagliarono a cercarla: ed una, che andava per
frugare nell'orto, vide da lontano... possibile? un pertugio nel muro,
chiamò le compagne a tutta voce, si corse al pertugio; è fuggita; è
fuggita. La badessa venne al romore: lo spavento fu grande, la cosa
non poteva nascondersi, la badessa ordinò tosto che il pertugio fosse
guardato dall'ortolano, che si mandasse per muratori onde chiuderlo, e
che si spedisse gente per raggiungere la sfuggita. Il lettore sa che
pur troppo ogni ricerca doveva riuscire inutile. L'occupazione che
questo affare diede a tutte le monache fece che le tre che erano la
trista cagione di tutto fossero lasciate in pace, o per meglio dire,
sole.
È facile supporre che da quel giorno in poi il carattere di Geltrude
(giacchè di essa sola esige la nostra storia che ci occupiamo) fu
sempre più stravolto. Combattuta continuamente tra il rimorso e la
perversità, tra il terrore d'essere scoverta, e un certo bisogno
di lasciare uno sfogo alle sue tante passioni, e tutte tumultuose,
dominata più che mai da colui che ella risguardava come l'origine dei
suoi più gravi, più veri e più terribili mali, e nello stesso tempo
come il suo solo soccorso, l'infelice era nel suo interno ben più
conturbata e confusa che non apparisse nel suo discorso, per quanto
poco ordinato egli fosse. Una immagine la assediava perpetuamente, e
non è mestieri dire quale. Tentava ella di rappresentarsi alla fantasia
la sventurata suora, quale l'aveva veduta infocata di collera e con la
minaccia sul labbro quell'ultimo giorno. Ma l'immagine s'impallidiva
sempre nella sua mente, invano ella cercava di raffigurarla con la
testa alta, con l'occhio acceso, con una mano sul fianco; la vedeva
indebolirsi, non poter reggere, abbandonarsi, cadere; se la sentiva
pesare addosso. Per togliere ogni sospetto, e nello stesso tempo per
dare un altro corso alle sue idee, procurava ella di toccar materie
liete o indifferenti di discorso; ma ora il rimorso, ora la collera
contra tutti quelli che le erano stata occasione di cadere in tanto
profondo, ora una, ora un'altra memoria si gettavano a traverso alle
sue idee, le scompaginavano, e lasciavano nelle sue parole un indizio
del disordine che regnava nella sua mente.
E quella regola nei discorsi, quel contegno nei modi, ch'ella non
poteva avere naturalmente, e per ispirazione della pace dell'animo,
non aveva i mezzi per trovarlo nella esperienza e per comandarselo.
La sua esperienza non era altro che del chiostro, di quel poco che
aveva veduto nel tempo burrascoso passato nella casa paterna, e di
ciò che aveva imparato dall'infame suo maestro; le sue idee erano un
guazzabuglio composto di questi elementi, ed ella non aveva potuto
attingere d'altronde cognizioni per fare almeno una scelta in questi
elementi. Le sue parole e il suo contegno sarebbero state uno scandalo
insopportabile in un secolo meno bestiale di quello; ma allora la
stranezza universale non lasciava spiccare la sua al punto da farne un
oggetto di maraviglia singolare.
Due anni erano già trascorsi da quel giorno funesto, tempo in cui la
nostra Lucia le fu raccomandata dal Padre cappuccino, il quale, come
pure ogni altro del monastero, e di fuori, conosceva bene la Signora
per un cervellino, ma era lontano dal sospettare quale in tutto ella
fosse.
Siamo stati più volte in dubbio se non convenisse stralciare dalla
nostra storia queste turpi ed atroci avventure, ma esaminando
l'impressione che ce ne era rimasta leggendola dal manoscritto,
abbiamo trovato che era un'impressione d'orrore; e ci è sembrato che la
cognizione del male, quando ne produce l'orrore, sia non solo innocua,
ma utile.
Abbiamo lasciata, se il lettore se ne ricorda, Lucia sola nel
parlatorio con la Signora. Il dialogo fra quelle due così dissimili
creature continuò a questo modo:
——Ora, disse la Signora, parlate con libertà. Qui non c'è nè madre,
nè padre; e ditemi il vero, perchè le bugie, che mi potreste dire,
le ravviserei tosto come una antica conoscenza: non temete di nulla:
qualunque sia il vostro caso, io vi proteggerò, purchè siate sincera
con me.
Lucia pose la piccola sua destra sul cuore, e con quell'accento che
toglie ogni dubbio, rispose: Signora, la verità è quello che ha detto
mia madre, e che ha scritto il Padre Cristoforo; io non ho mai giurato
finora, ma se ella, reverenda signora, vuole ch'io giuri, in questa
occasione, io son pronta a farlo.
——Non di più, che vi credo, rispose la Signora. Ma contatemi dunque
tutta questa storia. E qui cominciò ad affogare Lucia d'inchieste,
volendo sapere tutti i particolari della persecuzione di Don Rodrigo e
delle relazioni di Lucia con Fermo.
Questa curiosità era, come ognuno può figurarselo, assai molesta alla
povera Lucia. All'istinto del pudore rei alla ripugnanza naturale di
parlare di sè stessa su questa materia, si aggiungeva il timore anche
di dire qualche cosa di sconvenevole in presenza della reverenda
madre. Lucia, che aveva parlato con un uomo, e che gli aveva dato
promessa di sposarlo, che aveva tentato un matrimonio clandestino,
si riguardava come una donna esperta, e più forse che non conveniva,
nelle cose del mondo, come una scaltritaccia al paragone di una
monaca, velata, rinchiusa, separata dal consorzio degli uomini, e
pigliava le inchieste della Signora a un dipresso come si fa a quelle
talvolta indiscretissime dei ragazzi, dalle quali uno si sbriga alla
meglio, cercando di non rispondere direttamente e di mandare in pace
l'interrogante.
E quanto le domande erano più avanzate, Lucia le attribuiva ancor più
ad una pura e santa ignoranza. Rispose dunque sopra Fermo, che quel
giovane l'aveva chiesta a sua madre e che essendo a lei dalla madre
proposto il partito, ella lo aveva accettato volentieri, e che tanto
bastava per conchiudere un matrimonio. Ma per ciò che riguardava
Don Rodrigo, per quanto Lucia ponesse cura a schermirsi, le fu pur
forza entrar in qualche particolare per ispiegare alla Signora la
persecuzione ch'ella aveva sofferta, e contro la quale cercava un
ricovero.
——Egli pativa dunque davvero per voi, domandò la Signora.
——Io non so di patire, rispose Lucia; so bene che avrebbe fatto meglio
per l'anima e per il corpo a lasciarmi attendere ai fatti miei, senza
curarsi d'una tapinella che non si curava niente di lui.
——Poveretto! sclamò la Signora, con una certa aria di compassione,
nella quale pareva tralucesse quasi un rimprovero a Lucia.
——Poveretto? riprese questa, poveretto? Oh Madonna del Carmine! Ella lo
compatisce, illustrissima!
——Sì, poveretto, rispose la Signora. Convien dire che voi non abbiate
mai avuto chi vi volesse male, giacchè sentite tanto orrore per chi vi
ha voluto bene. Birbone, cattivo, tiranno! Che parolone, figliuola,
per una quietina, come parete; e la carità del prossimo?... Se gli
aveste provati i tiranni davvero...! Vorrei un po' che mi ripeteste le
ingiurie che vi diceva, per vedere quanta ragione avete di chiamarlo
con questi nomi.
——Le ingiurie dei signori, rispose Lucia con quella sicurezza che
non manca mai a chi comincia un discorso con una persuasione viva ed
intima, le ingiurie dei signori, sono tremende pei poverelli: ma se gli
era pur destino che quel signore dovesse aver qualche cosa a dirmi,
sa il cielo, che io sarei ben contenta che m'avesse detto ogni sorta
d'ingiurie, piuttosto che quello che mi è toccato sentire da lui. Io
non avrei risposto, le avrei sofferte, è il destino di noi poverelli,
e quando egli si fosse stato stanco, l'avrebbe finita; ed ora io non
sarei qui lontana dalla mia patria, come una sbandata, a domandare un
ricovero per amor di Dio, sarei... pensi, Signora, s'io posso dir bene
di lui. Non ch'io gli desideri del male, no, grazie a Dio, ma quanto
al bene ch'egli mi poteva volere... Santissima Vergine, che razza di
bene! Io non vorrei dir cose da non dirsi in sua presenza, signora
madre, e so ben io quel che dico; ella sa molto di cose alte, di quelle
che si trovano sui libri, ma le cose del mondo non è obbligata a
conoscerle, e certe cose che potrei contare sarà meglio tacerle.
——Vi ho detto di parlare con sincerità: dite pur tutto; rispose la
Signora ridendo, e senza quell'imbarazzo che le aveva cagionata una
proposizione somigliante nella bocca del Padre Guardiano.
——Spero dunque di poter parlare con prudenza, riprese Lucia, ma
di poterle far toccare con mano che cosa poteva essere il bene di
quel signore. Sappia che io non sono stata la prima a cui per mala
sorte egli abbia badato. Eh...! le cose si sanno, purtroppo: e d'una
poveretta in particolare, io non ho potuto a meno di non saperlo,
perchè eravamo amiche, e me ne piange il cuore tuttavia. Questa
poveretta, non la nomino——diede retta al bene di quel signore; e sa
ella che ne avvenne? Cominciò a disubbidire ai suoi parenti; quando fu
ammonita si rivoltò, la casa le venne in odio, non ebbe più amiche,
disprezzava tutti, e diceva: puh villani! come avrebbe potuto fare una
gran dama. Quando i parenti s'avvidero di qualche cosa, sulle prime
negò, e poi, rispose in modo da farli tacere per paura. Comparve con
un vestito troppo bello per una ricca sposa, e credeva la poveretta
che tutti avrebbero fatte le maraviglie e l'avrebbero inchinata, e
tutti la sfuggivano: i ragazzi le facevano dietro mille visacci. Un
fior di giovane, mi compatisca se parlo male, che voleva ricercarla
in matrimonio, non la guardò più; nessuno le parlava, nessuno voglio
dire della gente come si deve, perchè i cattivi se l'avvicinavano per
la via con una famigliarità come se le fossero sempre stati amici, e
fino, a parlare con poca riverenza, i birri, la salutavano ridendo e le
gittavano parole da non dire. Poveretta! di tratto in tratto pareva più
lieta che non fosse mai stata, ma le lagrime che spargeva in segreto!
e quante volte la vedevamo da lontano piangente, e si nascondeva da
noi; e io mi ricordava di quando ell'era allegra come un pesce, di
quando ridevamo insieme alla filanda. Basta: la disgraziata non potè
più vivere nel suo paese e un bel mattino fece un fagottello e finì a
girare il mondo.
——Girare! interruppe la Signora, non è poi la peggior disgrazia.
——E tutto questo, continuò Lucia, senza parlare dal tetto in su;
perchè all'altro mondo Dio sa come andranno le cose. Ma povera la mia
Bettina! oh poveretta me, ho detto il nome... spero che Dio le farà
misericordia; perchè poi finalmente è stata tradita. Ma per me, dico
davvero, che se per andare in paradiso bisognasse fare la vita di
quella povera figlia, la mi parrebbe ancora molto dura.
——Ma quel signore, riprese la monaca, era egli di stucco? non la sapeva
far rispettare? lasciava la briglia sul collo a quei tangheri?
——Fortunata lei, rispose Lucia, che non sa come vanno queste cose. Il
signore, dopo qualche tempo, non si curò più di quella meschina; e
si venne a sapere che un giorno ch'ella si lagnava con lui d'essere
disprezzata, egli le rispose: si provino un po' a farvi qualche sgarbo
in mia presenza, e vedranno. Tutto quello che la poverina doveva patire
fuori della sua presenza, non era niente. Ma tutto questo non bastava a
disingannarla; soffriva, ma non sapeva staccarsi da colui. Finalmente
bisognò che fossi tormentata io, per farle conoscere il suo stato.
Quando costui... sfacciato!... cominciò a pormi gli occhi addosso,
allora...
——È un vile birbante, interruppe la Signora, avete ragione: avete fatto
bene a voltargli le spalle, e io vi proteggerò.
——Dio gliene renda merito. Lo diceva ben io che se avesse saputo...
——Sì sì, è un birbante; son tutti così costoro. Date loro retta, sul
principio: voi, voi sola siete la loro vita: che cosa sono le altre?
nulla; voi siete la sola donna di questo mondo, e poi... Fortunata voi
che potete sbrigarvene. Vi avrebbe voluta vedere amica di Bettina...
amica! e sprezzarvi tutte e due, e vi so dire io come vi avrebbe
trattate peggio che da serve. Se aveste fatto il primo passo...
Lucia teneva gli occhi sbarrati addosso alla Signora, come stupefatta
ch'ella ne sapesse tanto addentro. Geltrude s'avvide che questo suo
modo di disapprovare il seduttore non era più conveniente alla sua
condizione di quello che fosse stato quel primo compatimento, e che
invece di togliere il sospetto, o almeno lo stupore che quello poteva
aver fatto nascere, lo avrebbe accresciuto, e si ripigliò dicendo:
——Del resto, son cose che io non posso conoscere; ma già l'avrete
inteso anche dai predicatori che quelli che seducono le povere
figliuole sono i primi a sprezzarle. E se da principio, io ho mostrato
qualche dispiacere per colui, è perchè non vi eravate bene espressa; io
credeva che alla fine egli avesse intenzione di sposarvi.
——Sposarmi! sposarlo! sclamò Lucia, maravigliata di questo pensiero,
che supponeva l'accordo di due volontà, una delle quali ella
sentiva, e dell'altra sapeva che ne erano le mille miglia lontane.
Geltrude credette che Lucia non alludesse ad altro ostacolo che alla
differenza delle condizioni. E perchè no? rispose, e abbandonandosi
alla intemperanza della sua fantasia continuò: Perchè no, sposarvi?
Se ne vede tante a questo mondo. Sareste la signora Donna Lucia: che
maraviglia! non sareste la donna più stranamente nominata di questo
mondo. Avete sentito come mi chiamava quel buon uomo colla barba
bianca, che vi ha condotta qui? Reverenda madre. Io, vedete, sono la
sua reverenda madre. Bel bambino davvero ch'io ho. E a questa idea
si pose a ridere sgangheratamente; ma tosto aggrondatasi e levatasi
a passeggiare nel parlatorio, madre!... continuò... avrei dovuto
sentirmelo dire; non da un vecchio calvo e barbato[183]:.........


III.
FERMO PERSEGUITATO DAL PODESTÀ DI LECCO A ISTIGAZIONE DI DON RODRIGO.

Quand'egli [_il Griso_] ebbe fatto la sua relazione, Don Rodrigo si
volse al cugino, come per chiedergli consiglio. Il conte Attilio era
uno sventato, ma l'affare era tanto serio, ch'egli stesso lo era
divenuto, e disse: se mi aveste chiesto parere quando avete cominciato
a divagarvi con questa smorfiosa, da buon amico vi avrei detto di
levarne il pensiero, perchè era cosa da cavarne poco costrutto; ma
ora l'impegno è contratto, c'entra il vostro onore e quello della
parentela; ora si direbbe che vi siete lasciato metter paura e che
non l'avete saputa spuntare. Dal modo con cui vi conterrete in questa
occasione dipenderà la vostra riputazione e il rispetto che vi si
porterà nell'avvenire.
——Avete ragione.
——E, continuò il conte Attilio, fate pur conto sopra di me come sopra
un buon parente ed amico: non si tratta ora più di scommesse e di
scherzi.
——Avete ragione. Griso, che cosa dicono questi villani?
——Il signor padrone può ben credere che in faccia mia nessuno avrebbe
osato proferire una parola poco rispettosa: ma so che parlano e si
mostrano contenti.
——Ah! contenti, riprese Don Rodrigo, vedranno, vedranno. Il Podestà
è tutto mio... ma nulladimeno... che ne dite, cugino? sarà bene di
prevenirlo favorevolmente.
——Certo, rispose il conte Attilio, non bisogna tralasciare nessuna
precauzione.
——E poi, continuò Don Rodrigo, non bisogna metterlo in impaccio.
Siccome si parlerà della fuga di costoro e la giustizia forse non potrà
schivare di far qualche ricerca, bisognerebbe trovare una storia che
spiegasse la fuga e che rivolgesse i sospetti in tutt'altra parte.
——Si potrebbe, per esempio, disse il conte Attilio, sparger voce che
quel villano ha rapita la ragazza e fargli mettere un bando in modo che
non ardisse più di comparire in paese.
——Non va male, rispose Don Rodrigo, ma....
——Se mi permettono questi signori, disse umilmente il Griso, avrei
anch'io un debole parere.
——Sentiamo, dissero entrambi.
——Fermo, rispose il Griso, è lavoratore di seta e questa è una bella
cosa.
——Come c'entra la seta? domandò il conte Attilio.
——I lavoratori di seta, continuò il Griso, non possono abbandonare
il paese: è un criminale grosso. Ecco che il signor Podestà, quando
voglia, come è giusto, servire l'illustrissima casa, potrà fare un
ordine di cattura contra Fermo come lavoratore fuggitivo; e poi si
dirà che se Fermo ritorna, guai a lui; e Fermo non sarà tanto gonzo da
venire a giustificarsi in prigione.
——Ma bravo il mio Griso, proruppe Don Rodrigo, mentre lo stesso conte
Attilio faceva un sorriso d'approvazione.
——Ma bravo: va, che ti voglio fare ajutante del dottor Duplica. Per
bacco, ch'egli non l'avrebbe trovata più a proposito.
——Eh, signore, rispose il Griso con affettata modestia, ho avuto tanto
che fare con la giustizia, che qualche cosa devo saperne.
——Del resto, continuò Don Rodrigo, per quanto grande sia l'abilità
legale del Griso non voglio ch'egli sbalzi di scanno il nostro dottore.
Fa ch'egli venga oggi a pranzo da me e m'intenderò con lui. Tu intanto
abbi cura di vedere il bargello e di dirgli che questa volta venga più
presto del solito a ricever la mancia consueta, e che mi troverà di
buon umore e avrà un regalo di più.... Così si potrà andare innanzi
a fare tutto quello che sarà necessario.... Purchè la cosa non si
risappia a Milano....
——Che diavolo di paura vi nasce ora, interruppe il conte.
——Caro cugino, la cosa non è finita; costei la voglio....
——Va bene.
——E non so dove bisognerà andare a cercarla, che passi bisognerà
fare....
——E bene, a Milano hanno altro da pensare che a questi pettegolezzi.
C'è la carestia, c'è il passaggio delle truppe, c'è mille diavoli. E
poi quand'anche se ne parlasse a Milano, sarebbe la prima che avremmo
spuntata?
——Va bene, ma quel frate; quel frate, vedete, chi sa quali protezioni
potrà avere; e vi assicuro che non istarà quieto fin che.... Quel frate
è il mio demonio, e.... non posso farlo ammazzare.
——Il frate lo piglio sotto alla mia protezione, rispose sorridendo il
conte Attilio. Non pensate a lui, me ne incarico io.
——Eh, se sapeste....
——Via, via, che ora non saprò fare stare un cappuccino. Vi dico che se
avete in me la più picciola fede, non prendiate pensiero di lui, che
non ve ne potrà dare. Domani a sera sono a Milano, e dopo due o tre
giorni udrete novelle del frate.
——Non mi state a fare un guajo che mi ponga in maggior impiccio....
——Quando vi dico di fidarvi di me, fidatevi; ma se volete, vi dirò
prima il modo semplicissimo che ho pensato per torvelo d'attorno, modo
tanto semplice che l'avreste immaginato anche voi, se non foste un po'
conturbato.
Infatti Don Rodrigo, combattuto, trainato da sentimenti diversi e
tutti rei, tutti vili, tutti faticosi, era un oggetto di pietà senza
stima agli occhi stessi del Griso e del conte Attilio, e avrebbe
eccitato orrore e stomaco nell'animo di chiunque gli avesse meno
somigliato che quei due signori.
La passione di Don Rodrigo per Lucia, nata per ozio, irritata e
cresciuta da poi dalle ripulse e dal disdegno, era diventata violenta
quando conobbe un rivale. La fantasia sozza e feroce di Don Rodrigo
si andava allora raffigurando quella Lucia contegnosa, ingrugnata,
severa, se l'andava raffigurando umana, soave, affabile con un altro;
egli immaginava gli atti e le parole, indovinava i movimenti di quel
cuore, che non erano per lui, che erano per un villano; e la vanità, la
stizza, la gelosia aumentavano in lui quella passione, che per qualche
tempo riceve nuova forza da tutte le passioni che non la distruggono,
o ch'ella non distrugge, da quelle che possono vivere con essa. Tutte
queste passioni lo avevano allora spinto ad impedire con minacce il
matrimonio di Lucia, senza ch'egli avesse risoluto quel che farebbe
da poi, ma per impedirlo, a buon conto, perchè ella non fosse d'un
altro, per guadagnar tempo, per isfogare in qualche modo la rabbia e
l'amore, se amore si può dire quel suo. Quindi, allorchè egli riseppe
dalla narrazione del Griso che Lucia e Fermo erano partiti insieme, i
dolori della gelosia e della rabbia lo colpirono più acutamente che
mai. Egli pensava qual prova Lucia aveva data di amore per Fermo e
di orrore per lui, abbandonando, così timida, così inesperta, la sua
casa paterna, i luoghi conosciuti, andando forse alla ventura; pensava
che in quel momento essi erano in cerca d'un asilo per essere riuniti
tranquillamente, e risolveva di fare, di sacrificare ogni cosa per
impedirlo. Dall'altra parte, avvezzo bensì a non rifiutarsi mai una
soddisfazione, quando non gli doveva costare altro che una bricconeria,
ma avvezzo a commetterne in un campo ristretto e conosciuto, si
atterriva al pensiero di uscirne, di dovere intraprendere una ricerca
difficile e pericolosa per porsi poi ad una impresa chi sa quanto
vasta, chi sa quanto difficile e pericolosa.
Tanta era l'agitazione di Don Rodrigo, ch'egli pensava in quel momento
non senza terrore alle gride contra i tiranni. (Così chiamavano le
gride coloro che sopraffacevano come che fosse i deboli, quasi con
questa espressione querula e paurosa volessero confessare l'impotenza
di contener quelli e di difender questi). Bene è vero che quelle gride
erano per lo più inoperose, e Don Rodrigo lo sapeva per esperienza,
come noi lo sappiamo ora dal trovare ad ogni nuova pubblicazione
di esse la dichiarazione espressa che le antecedenti non avevano
prodotto alcun effetto. Ma però queste gride stesse potevano essere
un'arme potente quando una mano potente le afferrasse contra chi le
avesse violate, e v'era di mezzo un frate, un personaggio, cioè, alla
influenza ed alla attività del quale nessuno poteva anticipatamente
prevedere un limite, e questo frate pareva risoluto a proteggere ad
ogni costo gli innocenti.
In questa tempesta di pensieri, Don Rodrigo passeggiava per la stanza,
facendo ad ogni momento nuove interrogazioni al Griso e affettando
sicurezza dinanzi al conte Attilio: finalmente conchiuse col dire: Per
ora non c'è altro da fare che di sapere precisamente dove sono andati:
tocca a te, Griso, e poi, e poi... non son chi sono se... non è vero,
cugino?
——Senza dubbio, rispose il conte, al quale, alla fine, non premeva
realmente in tutta questa faccenda che di far pensare che nello stesso
caso egli avrebbe saputo giungere ai suoi fini senza esitazione e senza
fallo. Così fu sciolta la conferenza e il Griso partì.
Don Rodrigo pensò che in quel giorno sarebbe stata cosa molto utile
l'avere il Podestà a pranzo, per mostrare sicurezza e per far vedere
ai malevoli che la giustizia era per lui, e lo fece invitare, pregando
il conte Attilio di non disgustargli quel brav'uomo con tante
contraddizioni. Venne il Podestà e il dottore, si stette allegri, si
parlò ancora della marcia delle truppe e della carestia, ma degli
affari del paese, della campana a martello, della fuga nè una parola.
Soltanto Don Rodrigo accennò indirettamente questa faccenda nel modo il
più gentile ed ingegnoso, come si vedrà.
Fece egli in modo che il Podestà lodasse particolarmente il vino della
tavola: cosa non difficile ad ottenersi, perchè il vino era buono
e il Podestà conoscitore. Allora Don Rodrigo: Oh, signor Podestà,
giacchè ho la buona sorte di posseder cosa di suo aggradimento, mi
permetterà....
——Non mai, non mai, signor Don Rodrigo, se avessi saputo ch'ella
sarebbe venuta a questi termini avrei dissimulata la mia ammirazione
per questo incomparibile....
——Bene, bene, signor Podestà, ella non mi farà il torto....
——Don Rodrigo conosce la stima....
Il conte Attilio interruppe la gara, la quale era già realmente
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