Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 1 - 13

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La nostra poveretta innocente corse volonterosa alla chiamata. Dopo
la partenza della madre, rimasta come smarrita, senza consiglio,
senz'altro appoggio che quello della Signora, non si sentiva mai tanto
sicura come presso di lei. Ben è vero che quel non so che d'inusitato
e di strano ch'ella aveva trovato nei discorsi e nel contegno di
essa, gli aveva lasciata una impressione d'incertezza e quasi di
timore, ma ella era tanto lontana dal sospettar pure le vere cagioni
di quell'inusitato, che le prime riflessioni della madre l'avevano
rassicurata; e Lucia non ne aveva cavata altra conseguenza se non che i
signori erano molto differenti dai poverelli. Si presentò ella adunque
a Geltrude con quell'aria di fiducia affettuosa, con quella gioja
riconoscente, che il debole sente alla presenza del forte, che è per
lui.
Le andò incontro come la pecora va incontro al pastore che le si
avvicina, che allontana le altre e stende la mano per accarezzarla, e
non sa la poveretta che egli ha lasciato fuori del pecorile il beccajo
a cui l'ha venduta in quel momento.
La festa ingenua di Lucia, e la sua aria fiduciale, era un
rimprovero e una distrazione terribile per la Signora, la quale
tosto interruppe alcune semplici parole di affetto e di riconoscenza
che l'innocente tutta peritosa aveva incominciate, protestò di non
voler ringraziamenti, e postasi in aria di premura e di mistero,
le annunziò che l'aveva fatta chiamare per comunicarle cose molto
importanti. Lucia si fece tutta attenta, e Geltrude, ripetendo la
lezione del suo infernale maestro, cominciò ad impastocchiarla con
una storia misteriosa, di pericoli e di speranze, di mezzi posti in
opera da lei, di ostacoli, di ajuti, tutto per liberare Lucia dalla
persecuzione di Don Rodrigo e per farla essere tranquillamente sposa
di Fermo: accennando molto di più che non dicesse, e allegando motivi
di prudenza, per non dir tutto; ripetendo ad ogni momento che un po'
di coraggio e molta precauzione poteva tutto salvare, e una picciola
indiscrezione perder tutto; che l'occasione era pronta, e per coglierla
non bisognava perder tempo. E terminò con dire che le bisognava in quel
momento un uomo da cui potesse aspettarsi un consiglio fidato e un
ajuto operoso, che il solo uomo del mondo che fosse da ciò era quel
Padre Guardiano dal quale Lucia era stata scorta al monastero; che ella
aveva bisogno di parlare con lui, ma che le mancava il mezzo di farlo
avvertire con sicurezza, giacchè dopo d'aver riandate tutte le persone,
tutti i modi per questa spedizione, trovava in tutti il pericolo di
farsi scorgere, di sventare il segreto, di metter sull'avviso quelli
a cui importava il più di tener tutto nascosto, e di perdere così
l'opportunità, anzi di avvicinare i pericoli: che insomma, per condurre
bene a fine questa faccenda, era necessario che Lucia prendesse un
po' di risoluzione, si snighittisse e facesse tosto e segretamente e
sola questa commissione. Lucia, a questa proposta, rimase sopra di sè,
poichè allontanarsi dal monastero, andarsene soletta per un paese che
era per lei come l'America, era un gran pensiero. Fece adunque come si
fa ordinariamente quando non si vorrebbe aderire ad una proposta: si
mise a discuterla, per poter conchiudere che non era la sola cosa da
potersi fare: disse che la Signora avrebbe potuto trovare altre persone
fidate e discrete, domandò schiarimenti, volle sapere più addentro
come la commissione fosse necessaria, e come essa fosse la sola che la
potesse eseguire. Ma la Signora, memore sempre della scuola di Egidio,
mostrò prima di offendersi, rispose ancor più misteriosamente alle
domande, lagnandosi di Lucia che pretendesse farle rivelare ciò ch'ella
non poteva, e che non volesse fidarsi di chi senza un interesse, per
pura pietà, si prendeva tanta cura di lei; e conchiuse finalmente col
dire: Sono ben io la buona donna a pigliarmi di questi travagli: si
tratta di voi, finalmente: io me ne lavo le mani: ho fatto ancor più
ch'io non dovessi. Lucia, commossa in un punto di vergogna e di timore,
stava per piangere: e la Signora, vedendola arrivata a quel punto,
ripigliò il suo discorso, la sgridò più amorevolmente, la rimproverò di
poco coraggio, le promise che non le sarebbe mai mancata se ella avesse
avuta fede in lei; e infervorata, com'era, nell'impresa di tradire la
poveretta, per servire lo scellerato Egidio, con ipocrisia sfrontata
le disse, che pensasse ai rimproveri che ella farebbe un giorno a sè
stessa di avere per irresolutezza, per infingardaggine rifiutato il
mezzo della salute e rovinata sè stessa, la madre, e l'uomo a cui
ella s'era promessa. Lucia non seppe più resistere, si accusò di aver
resistito, le parve che avrebbe rifiutato il soccorso del cielo,
rifiutando quello che le era offerto, piena di una novella fiducia
disse: vado tosto.
Geltrude l'accomiatò, lodandola, facendole animo e ripetendo le
più liete promesse, e indicandole la via per andare al convento.
Lucia, ritenendo a forza il pianto, chiese scusa alla Signora della
sua poca fede e della sua ingratitudine. Sono una poveretta senza
pratica, diss'ella; ma già ella tutte queste brighe non se le deve
pigliar per me, ma per Quello di lassù, che gliele rimeriterà tutte;
e abbandonandosi alla grata, colle braccia tese, continuò: se non
fossero questi ferri, mi pare che le getterei le mani al collo, ed ella
non se lo avrebbe a male, poichè è tanto buona, ed io lo faccio per
cuore.
——Sì, sì, Lucia, addio, addio, disse Geltrude,
——Dio la benedica, rispose Lucia, e staccatasi dalla grata, si volse e
si avviò verso la porta del parlatorio.
Che orrenda parola! disse in cuor suo Geltrude: Dio gliele rimeriterà
tutte, e alzando gli occhi vide Lucia che stava per passare la soglia.
Finchè Lucia aveva litigato contra le persuasioni di Geltrude, questa,
impegnata ad ottenere l'intento di Egidio, animata dalla disputa
stessa, non aveva pensato ad altro che a giungere al suo fine. Ma
quando vide il cangiamento di Lucia, quando vide la sua fede sicura,
intera, amorosa, e pensò che la tradiva, quando vide la vittima andare
così senza sospetto all'orribile sacrificio, un sentimento improvviso,
indistinto, irresistibile le fece pronunziare quasi macchinalmente
queste parole: Sentite, Lucia. Lucia ristette, si rivolse, ritornò
alla grata. Ma nel momento che Lucia spese a far quei pochi passi,
l'immagine di Geltrude aveva già veduto Egidio furibondo per essere
stato ingannato, aveva già udite le sue imprecazioni, le sue minacce,
s'era già pentita del suo pentimento, e quando Lucia ristette alla
grata per intendere ciò che Geltrude avesse di nuovo a dirle, Geltrude,
confermata nella iniquità,——senti, Lucia, le disse, ricordati bene
di tutte le avvertenze che ti ho date; procura di tenerti in mente la
strada che tu hai fatta venendo qui; se fossi in dubbio, domanda con
indifferenza e con franchezza a qualche buona donna che passi per via;
va in modo di non dar sospetto: fatti animo: che già non è il viaggio
di Madrid: va e torna presto.
——Oh, disse Lucia, Dio mi accompagnerà; e si volse di nuovo, s'avviò
verso la porta, e passò la soglia.
Geltrude corse a chiudersi nella sua stanza[200]. Quivi l'abbandona
il nostro autore; nè in tutto il resto del manoscritto ne fa più
menzione. Noi però, trovando descritti dal Ripamonti gli ultimi casi
di questa sventurata, stimiamo che monti il pregio d'interrompere un
momento la narrazione principale, per accennarli. Ci sembra anzi una
specie di dovere per noi, quando abbiamo raccontati i delitti, di non
tacere il pentimento, di non tacere che l'orrore a noi così facilmente
ispirato da quelli, la religione ha potuto ispirarlo ancor più forte
e più profondo all'anima stessa che gli aveva acconsentiti e commessi.
Riferiremo quei casi in compendio; chi volesse conoscerli più in
particolare, li troverà esposti in bel latino nella _Storia patria_ del
Ripamonti, al libro sesto della quinta decade. Siccome egli non vi pone
alcuna data, così non possiam dire di quanto sieno posteriori alle cose
già da noi narrate.
La condotta, il linguaggio, l'aspetto abituale delle tre sciagurate
suore, le loro stesse precauzioni per distornare i sospetti, ne fecero,
com'era naturale, nascere dei nuovi, che dopo d'aver serpeggiato nel
monastero si diffusero al di fuori. Due vicini di quello, che ebbero
la sciagura di ricevere qualche prima confidenza di quei sospetti, un
fabbro[201] ed uno speziale[202], accennarono copertamente in qualche
discorso, che in un monastero del paese accadevano cose orrende e
turpi: l'uno e l'altro furono trovati uccisi. Un terrore misterioso
invase tutti gli animi nel monastero e fuori; ai susurri, che già
cominciavano a farsi sentire nelle brigate, successe un silenzio cupo
e significante, e nelle relazioni più intime, gli sguardi, i cenni, le
parole sospese esprimevano o accennavano un sospetto e uno spavento
comune. Questi romori, così vaghi e generali com'erano, furono riferiti
al cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano. Egli, dolente e
turbato d'essere così tardi avvertito, si portò a Monza, sotto colore
d'una visita generale, e venne a colloquio colla Signora, per esplorare
dalle sue parole lo stato dell'animo suo; e ne uscì con più grave e più
fondato sospetto. D'allora in poi, la Signora, irritata dei sospetti
che vedeva starle sopra, agitata dalle certezze della coscienza,
esaltata, per così dire, dal suo stesso turbamento, perdè tutta la
prudenza della colpa, le sue azioni divennero affatto indisciplinate, i
suoi discorsi strani, furiosi, inverecondi. La giurisdizione criminale
su le persone addette allo stato religioso era allora esercitata
dai vescovi. Il Cardinale fece torre la Signora da quel monastero,
e trasportarla in un convento di convertite nella città[203]. Ivi
l'infelice infuriò per qualche tempo: tentò di fuggire, tentò di
uccidersi, ricusò il cibo, diede del capo nelle muraglie; urlava tutto
il giorno, bestemmiava più di tutto il Cardinale: contra il quale tale
era l'odio di lei, ch'ella ebbe a dir poscia che tutte le inimicizie
che gli uomini chiamano mortali, erano un giuoco appo di quella ch'ella
sentiva per lui.
Intanto lo scellerato vicino ripose il piede nel monastero, e parte
colla persuasione, parte colle minacce, astrinse le altre due sue
vittime a seguirlo, e di notte con esse fuggì. Ma, o fosse disegno
premeditato di quell'animo atroce, o ebbrezza di scelleraggine, poco
distante dal paese, in riva al Lambro, una dopo l'altra le trafisse con
un pugnale, gittando l'una nel Lambro e l'altra in un pozzo rasciutto
ed abbandonato nei campi. Ma le ferite non furono mortali, ed entrambe
le donne furono salve per diversi eventi, e rinvenute e riposte a
guarire in un altro monastero del borgo[204].
La Signora all'annunzio di tali atrocità, tutta, tutto ad un tratto,
si mutò; rivolse in orrore di sè stessa, in pentimento, in dolore
ineffabile, in lagrime inesauste tutto quell'impeto di furore, e da
quel momento fino al suo ultimo respiro non si stancò mai di espiare
almeno ciò che non poteva più riparare. Il Cardinale, ch'ella chiamò
poi il suo liberatore, dovette porre un freno ai rigori ch'ella
esercitava contra sè stessa; la visitò da poi e la consolò sovente.
Pagò egli poi sempre le spese del suo mantenimento, perchè i parenti,
come se col rifiutare quella sventurata avessero potuto scuotersi da
dosso la colpa che avevano nella sua rovina, non vollero più udirne
parlare. Le due compagne la imitarono nella penitenza[205]. Ma il
miserabile pervertitore di tutte, bandito nella testa[206], dopo
d'avere errato qua e là, cangiato più volte d'abiti e di nome, chiese
asilo in città ad un amico, che lo accolse; ma come amico d'un tale
uomo, o per timore, o per ottener grazia di qualche altro delitto, lo
fece uccidere in un sotterraneo della casa, e presentò la sua testa al
giudice, com'era prescritto dagli ordini di quel tempo, i quali nel
caso dei banditi costituivano carnefice ogni cittadino, e offerivano o
danari o impunità per altri delitti in mercede all'assassinio[207].


V.
RATTO DI LUCIA.

Lucia uscì nella via e s'incamminò con grande attenzione, con gran
riserbo, con un gran battito al cuore, tutta raccolta in sè, studiando
la sua strada con le indicazioni che aveva avute e con la memoria che
le restava della strada già fatta. Giunse così all'uscita del borgo
(perchè il convento dov'ella s'avviava era al di fuori in picciola
distanza), riconobbe la porta per dove era entrata la prima volta, e
prese a sinistra la via che l'era stata insegnata.
Tutte le strade del Milanese erano a quel tempo anguste, tortuose e
nel pian paese profonde e, come quivi si dice, invallate, a guisa di
un letto di fiume, fra due rive di campi, alte non di rado un uomo, e
orlate di piante, che, intrecciate al pedale di rovi, di biancospini
e di pruni, riunivano in alto i rami loro in volta dall'una all'altra
parte: e tali sono ancora in gran parte le strade comunali.
Quando Lucia si trovò soletta in una strada simile, si pentì quasi
di essersi tanto rischiata, e studiò il passo, per giunger presto,
proponendo fermamente di non ritornar dal convento a casa senza una
qualche scorta. Ma, voltato uno di quei tanti andirivieni, vide una
carrozza da viaggio ferma nel mezzo della via, e fuori della carrozza,
innanzi allo sportello, che era aperto, due uomini che guardavano su
e giù per la via, come incerti del cammino. E per quella presunzione
comune che coloro i quali vanno in carrozza sieno galantuomini, Lucia
si sentì tutta rincorata, e le parve d'aver trovata una salvaguardia
alla metà appunto del cammino, nel luogo più lontano dall'abitato, e
dove il bisogno era più grande. Continuò adunque più animosamente a
camminare, e quando fu presso alla carrozza tanto che si potessero
distinguer le parole, intese uno di quelli, che stavano al di fuori,
dire, con una pronunzia e con un linguaggio, che lo fece conoscere a
Lucia per bergamasco: ecco una buona donna che c'insegnerà la strada.
Giunta a paro della carrozza, quel medesimo le si volse con un atto più
cortese che non fosse la sua faccia, e le disse[208]: buona giovane,
sapreste voi insegnarci la strada di Monza? Mentre costui parlava,
l'altro s'era posto dinanzi a Lucia in modo da sbarrarle la via, ma
come un uomo che sta per udire. Loro signori, rispose Lucia, sono
voltati a rovescio: Monza è per di qua (alzando la mano e stendendo il
pollice al disopra delle spalle), girino la carrozza, e vadano per
questa strada, e saranno a Monza in poco più d'un _miserere_. Così
detto, voleva continuare il suo cammino, e s'avvicinava alla riva,
per passare senza urtare quel forastiero che stava lì ritto come un
termine, e senza dirgli che facesse largo, cosa che alla nostra povera
forese sarebbe sembrata troppo famigliare. Un momento, disse colui che
le aveva già parlato, ritenendola dolcemente: noi siamo ben impacciati
in queste strade dell'altro mondo: non potreste voi farci la cortesia
di salire in carrozza con noi e d'insegnarci la strada fino a Monza?
——Signori miei, disse Lucia arrossando e maravigliandosi della
proposta, io ho fretta d'andare pei fatti miei, vadano per di qua, e
non possono fallire.
——Voi siete bene schifa, rispose il malandrino; e mentre egli proferiva
queste poche parole, l'altro, che era nella via, afferrò d'improvviso
Lucia pei fianchi, la sollevò, e con l'ajuto del compagno la pose a
forza nella carrozza, dove fu tosto presa, ritenuta, posta a sedere da
due che vi erano. Il malandrino, che aveva parlato, la seguì, l'altro
chiuse lo sportello, e il cocchiere sferzò i cavalli, e la carrozza
partì di galoppo. Lucia, al sentirsi presa, levò un grido, lo raddoppiò
quando si sentì alzata e ficcata nella carrozza, ma quando vi fu, una
manaccia villana le cacciò un fazzoletto sulla bocca e le soffocò il
grido nella gola. Lucia si divincolava, ma era tenuta da tutte le
parti, faceva forza per pingersi verso lo sportello, per farsi vedere
alla strada, ai compagni, ma due braccia nerborute la tenevano per di
dietro come conficcata al fondo della carrozza, due braccia nerborute
ve la rispingevano per dinanzi, mentre tre bocche d'inferno dicevano
con la voce più dolce che era lor concesso di formare: zitto, zitto,
non abbiate paura, non vogliamo farvi male; non è niente, non è niente.
Lucia, tra per la sorpresa, tra per lo terrore, che andava sempre
crescendo, tra pei pensieri tutti oscuri e tutti orrendi[209], che le
passavano in furia per la mente, tra per lo sforzo che faceva e quello
che pativa, sentì mancare gli spiriti: le sue idee si abbujarono,
cominciò a veder come confusi fra di loro quegli orridi visacci che
le stavano dinanzi, un sudore freddo le coperse il volto, allentò le
braccia, lasciò cadere indietro la testa, abbandonò la persona al fondo
della carrozza e svenne.
——Coraggio, coraggio, dicevano gli scherani, ma Lucia non intendeva più
nulla.
——Diavolo! disse uno dei malandrini, par morta.
——Niente, niente, disse un altro, ci vorrebbe un po' d'aceto da
mettergli sotto il naso.
——È lì covato l'aceto: disse il terzo, se potesse servire quel fiasco
di vino che è riposto lì sotto il sedile.
——Che vino? riprese il secondo, aceto vorrebb'essere.
——Vedete che mala ventura, disse ancora il terzo: se giungessi arso di
sete in una osteria disabitata, a cercar vino, troverei aceto, e qui
che aceto ci vorrebbe....
——Taci, gaglioffo, che non è tempo da sciocchezze, interruppe il
secondo.
——Ohè! disse il primo, non dà segno di vita: se fosse morta davvero,
avremmo fatta una bella spedizione.
——Noi abbiamo eseguiti gli ordini puntualmente, rispose il secondo; se
fosse accaduta una disgrazia, non è nostra colpa.
——Che morta? disse il terzo; è un picciolo fastidio che le è venuto:
eh! le donne ne hanno per meno d'assai: or ora tornerà in sè.
Mentre quegli sciagurati tenevano questo consiglio ed esprimevano la
loro inquietudine in uno stile degno del loro animo, la carrozza era
uscita dalla via più battuta, aveva imboccata una stradella di traverso
pei campi, e continuava rapidamente il suo cammino.
Intanto colui che aveva afferrata Lucia, ed era un bravo di
Egidio[210], rimasto nella strada quando la carrozza partì, si guardò
intorno, e certo che nessuno lo aveva scorto, spiccò un salto sul
pendìo d'una riva, abbracciò un ramo della siepe, con un altro salto fu
sull'alto della riva, e si appiattò ad un polloneto di castagni, che
conservavano ancora tanto delle lor foglie da nascondere un birbone.
Il primo grido di Lucia era stato inteso nei campi di qua e di là da
pochi lavoratori che v'erano, e questi accorsero alla riva per guardare
nella strada che fosse, ma cercando di adocchiare nascosti dalla siepe
per non entrare in qualche impiccio, per non toccarne, per non essere
citati come testimonj, per non immischiarsi in somma, che è il pensiero
il più comune nei tempi i cui i violenti fanno la legge. Mettevano la
faccia ai fori della siepe e guatavano: altri videro una carrozza che
si allontanava di galoppo, e stette lì qualche tempo a seguirla col
guardo, a bocca aperta; altri non vide nulla e si fermò per qualche
tempo; altri, che era accorso ad un punto della via per cui la carrozza
non era ancora passata, la vide venire, trascorrere, vide una bocca
d'archibugio che usciva dallo sportello, e si ritirò tosto, fingendo di
non aver nemmeno badato. Tornati poi a casa, raccontarono quello che
avevano veduto, e si sparse la voce che qualche cosa era accaduta. Il
bravo d'Egidio quando sentì tutto quieto intorno al suo nascondiglio,
ne uscì per una parte che dava su una via diversa, e con l'aria d'un
uomo che non ha intesa una novità, se ne andò a render conto al padrone
dell'esito felice della spedizione. Egidio lo ricompensò di quattrini
e di lodi, e lo mandò tosto attorno, per raccontare la novella nel modo
che ad entrambi e ai loro amici conveniva che fosse creduta, o almeno
per confondere il giudizio pubblico e stornarlo dalle congetture che
potevano condurlo alla verità. Il bravo tolse con sè, senza saperlo,
quella dea che ha tanti occhi quante penne e tante lingue quanti occhi,
(debb'essere una bella dea) e si avviò. Il campo più opportuno ad un
tal uomo e ad un tale uffizio, la taverna, era allora deserta a cagione
della carestia che di giorno in giorno cresceva e si diffondeva in
tutte le parti del Milanese. Mangiare e bere non era più per nessuno un
oggetto di divertimento; era divenuto per tutti un bisogno difficile
da soddisfare. Andò dunque in su la piazza, luogo sempre popolato di
oziosi, ma più che mai in quell'anno calamitoso, in cui erano forzati
all'ozio anche i più operosi. Quella piazza di Monza, come tutte le
piazze, tutte le vie, tutti i campi della Lombardia presentava il più
tristo spettacolo. Poveri di professione, che dopo d'avere invano
domandato un soccorso ad uomini divenuti poveri anch'essi, stavano
in fila l'uno appresso dell'altro, appoggiati ad un muro soleggiato,
stringendosi di tempo in tempo nelle spalle, aggrinzati, cenciosi,
aventi un bordone nella destra e tenendo stretta tra il braccio
sinistro e le costole una arida scodella di legno, aspettando l'ora
d'andare a ricevere quel poco nutrimento che si poteva distribuire alle
porte dei conventi, dei monasteri, di qualche facoltoso caritatevole.
Qua e là crocchj di artigiani senza lavoro, e di contadini quasi
senza ricolto, di possidenti altre volte agiati, ma che in quell'anno
sapevano di dover combattere colla fame[211]; tutti tristi, sparuti,
scorati. I più rubesti, i meglio pasciuti che si vedessero, erano
qualche bravi, che vivevano delle provvigioni dei potenti a cui
servivano, e ai quali nessun fornajo avrebbe osato di dare un rifiuto
o di richiedere un pronto pagamento. I discorsi abituali di quei
crocchj erano miseria e disperazione; vociferazioni contra i fornaj
e contra gli accapparratori, imprecazioni mormorate sommessamente
contra i potenti, contra i magistrati, racconti di grano partito, di
grano arrivato ed occultato, di morti di fame, e di tumulti in altre
terre dello Stato. Pochi giorni prima una gran parte del popolo si era
sollevata in Milano; e dopo quel sollevamento, estinto con le promesse
e seppellito coi supplizj, si erano pubblicate leggi quali il popolo
le desiderava. Questo fatto era stato in tutta la Lombardia ed era
ancora il soggetto dei discorsi; e il fatto, come le conseguenze, era
narrato diversamente, come suole accadere: ognuno arrecava qualche
nuova circostanza, che dava luogo a qualche nuova riflessione. Ma in
quel momento in Monza l'avvenimento locale occupava tutti i pensieri
e tutte le bocche: in tutti i crocchj si parlava di Lucia. Il bravo si
avvicinò ad uno di quelli, come uno sfaccendato, e stette ascoltando.
——Erano due carrozze di signori bergamaschi, diceva un barbassoro,
accompagnate da uomini a cavallo: la giovane si mise a fuggire pel
campo di Martino Stoppa, ma fu raggiunta e portata via di peso. E
continuò, con voce più sommessa, in aria misteriosa: debb'essere
qualche gran tiranno bergamasco.
——Io ho inteso da chi l'ha inteso da uno che v'era, disse un altro, che
le carrozze erano tre, e che la gente le fece fermare, ma quei signori
misero fuori gli archibugj, e allora, mi capite, i galantuomini hanno
dovuto dar luogo.
——Poh! disse il bravo, vedete un po' come le cose si contano. A me
ha detto uno là (accennando un crocchio lontano) che la giovane era
d'accordo, che si era trovata lì per andarsene, e che quegli che l'ha
portata via era un suo innamorato.
——Oh, disse uno, se la cosa fosse così se ne sarebbe andata senza
schiamazzo.
——No, rispose il bravo, perchè aveva promesso ad un altro per far
piacere ai suoi parenti; e voleva far credere di esser rapita. Così
dicono quelli che pretendono d'essere informati.
——Ohè! disse un altro barbassoro, che la fosse una mostra per ingannare
i merlotti!
Questa opinione, dopo un breve dibattimento, prevalse; perchè essendo
quella che supponeva nel fatto una malizia più raffinata, veniva
a supporre più fino accorgimento in chi la teneva: e chi l'avesse
rifiutata poteva passare per un semplicione da lasciarsi ingannare alle
più grossolane apparenze di virtù.
Quando il degno servitore di Egidio vide che la sementa non era gittata
in terreno sterile e che avrebbe fruttato, si spiccò da quel crocchio,
dicendo: Oh avete il buon tempo voi altri; per me m'accontenterei che
sparissero tutte le giovani, purchè venissero pagnotte abbastanza.
Quegli altri ad uno ad uno se n'andarono chi qua, chi là a riferire
la storia; si disputò assai; le opinioni rimasero divise, ma la più
preponderante fu quella che dava occasione di ragionare profondamente
sulle astuzie delle donne che fanno la semplice, sulla dabbenaggine
della Signora, che aveva raccolta quella mozzina. Il tiro della povera
Lucia fu raccontato con mille particolari; si riferirono di lei mille
altre astuzie. Il romore giunse ben presto al monastero; già la
fattora, tornata a casa, non trovando Lucia, sulle prime pensò ch'ella
fosse andata alla chiesa del monastero; non vedendola poi ricomparire,
stava per andarne in cerca, quando s'intese che Lucia era stata rapita,
o si era fatta rapire. Il monastero fu sottosopra. La Signora (quando
ci siamo rallegrati di non aver più a parlarne ci era uscito di mente
che avremmo dovuto far qui menzione di essa: ma ce ne sbrigheremo in
due parole) la Signora, a tutto addottrinata, fece le maraviglie,
mandò gente in cerca, non volle credere che Lucia le avesse fatto un
tiro di questa sorta, disse che era pronta a mettere la mano nel fuoco
per quella ragazza. Mandò finalmente a chiamare il Padre Guardiano che
gliel'aveva raccomandata. Ma il Padre Guardiano, al quale erano pur
giunti i diversi romori del fatto, era in istrada, per udire dalla
Signora come la faccenda fosse. La Signora si mostrò con lui come
con gli altri tutta maravigliata: disse che sperava ancora che Lucia
verrebbe, che sarebbe una di quelle tante ciarle che mettono attorno
gli scioperati. Se m'avesse ingannato.... aggiunse; ma non lo posso
credere di quella ragazza. Ad ogni modo io sono tanto più afflitta
di questo tristo accidente, in quanto io aveva pensato seriamente ad
ajutare questa povera giovane, e credeva di aver trovato ajuti nelle
mie aderenze per metterla al sicuro dal suo persecutore. Aveva anzi
molto desiderio di sentire il parere del Padre Guardiano, ma ora questi
disegni non servono più a nulla.
È chiaro che la Signora gittò queste poche parole, per potere in caso
spiegare la commissione da lei data a Lucia, se mai questa potesse
un giorno rivelarla: per potere allora far vedere che non era stato
un pretesto per allontanarla e darla in mano ai rapitori. Ma della
commissione la Signora non ne parlò al Guardiano; probabilmente perchè
non voleva che si dicesse che Lucia si era posta su quella strada
per suo ordine, e ne nascesse qualche sospetto. Se questa fosse
una storia inventata non mancherebbe certamente qualche lettore il
quale troverebbe un gran difetto di previdenza nella perfidia ordita
da Egidio e dalla Signora, poichè se Lucia avesse un giorno potuto
parlare, se si fosse risaputo che quando fu presa ella andava per
ordini di Geltrude, quanto maggior sospetto non sarebbe caduto sopra
di questa per avere essa taciuta al Guardiano una circostanza tanto
importante, della quale doveva così ben ricordarsi, che non avrebbe
certo dissimulata se avesse operato schiettamente. Quei lettori i
quali vorrebbero che in una storia anche le insidie fossero fatte
perfettamente, se la prenderebbero coll'inventore, ma questa critica
non può aver luogo, perchè noi raccontiamo una storia quale è avvenuta.
Del resto, questo stesso difetto ci dà il campo di porre qui una
riflessione consolante, in mezzo ad un sì tristo racconto: che è un
disegno sapientissimo della Provvidenza, rotolatrice del mondo, che
le perfidie le più studiate a danno altrui, non sono mai tanto bene
studiate, tanto bene eseguite, che non rimanga sempre qualche traccia
della mano che le ha ordite. L'uomo che intraprende una buona azione,
quando sia un po' avvezzo a riflettere, prevede sovente che non sarà
senza inconvenienti; i birbanti avrebbero una parte troppo buona nelle
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