Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 1 - 19

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che ne fa essere assai più severi è lo scorgere che l'imitazione
dello Scott s'è fatta ancor più servile e che l'A. entrato in un più
bel campo ne uscì senza trarne un miglior profitto». Anche _L'Eco,
giornale di scienze, lettere, arti, commercio e teatri_, di Milano, ne
parlò a lungo [n. 66, 2 giugno 1828; n. 71, 13 giugno 1828; e n. 81, 7
luglio 1828], Dice che «non è propriamente un romanzo storico, dacchè
istorici non sono i fatti, nè i personaggi dell'azione, che ne forma il
soggetto»; per conseguenza ben gli si addirebbe il titolo «di romanzo
descrittivo». Conclude: «l'autore si è studiato ad ogni poter suo di
camminare sulle orme» dello Scott, e nessuno vorrà riprenderlo di
«essersi proposto un così eccellente modello»; ma «chi lodar vorrebbe
quella maniera sì stretta e come a dire scolastica da lui tenuta
nell'imitarlo?» Cfr. pure: _Giudizio pronunciato da alcune signorine
intorno alla_ «_Fidanzata ligure_»; in _La Vespa_, di Milano, ann. II,
semestre I [1828], pp. 238-243.
_I Prigionieri di Pizzighettone, romanzo storico del secolo
decimosesto, dell'autore di Sibilla Odaleta e della Fidanzata ligure_,
Milano, presso Antonio Fortunato Stella e figli, 1829; vol. tre in-8
fig. Ne parlò _La Minerva Ticinese_, di Pavia, ann. I [1829], pp.
775-783. Di questo e del seguente romanzo fece pure una recensione
la _Biblioteca italiana_ [tomo LIX, settembre 1830, pp. 312-351];
ritenendo _I Prigionieri_ di una «mediocrità deplorevole»; l'altro:
«troppo mediocre e volgare».
_Gerolimì, o sia il Nano d'una Principessa, dell'autore di Sibilla
Odaleta_, Mortara, tip. Capriolo, 1829; in-12 di pp. 352. Cfr. CHIAPPA
G., _Sui romanzi in generale e in particolare sul_ «_Gerolimì, ossia
Nano di una Principessa, dell'autore della Sibilla Odaleta_»; in _La
Minerva Ticinese_; ann. I [1829], pp. 635-640.
_La Preziosa di Sanluri, ossia i Montanari sardi, romanzo storico
dell'autore di Sibilla Odaleta, preceduto da una dissertazione dello
stesso, intitolata: I Romanzi di Walter Scott e le opere di Rossini_,
Milano, presso A. Fortunato Stella e figli, 1829; due vol. in-12.
_Il Proscritto, storia sarda, nuovo romanzo istorico dell'autore di
Sibilla Odaleta_, Torino, Giuseppe Pomba, 1830; due vol. in-16 grande,
con una incisione in rame.
_Folchetto Malaspina, romanzo storico del secolo XII, dell'autore di
Sibilla Odaleta_, Milano, presso A. Fortunato Stella e figli, 1830; tre
vol. in-16. Ebbe una ristampa con questo titolo: _Folchetto Malaspina,
racconto storico del secolo XII, del cav._ CARLO VARESE, _deputato al
Parlamento. Vol. unico_, Torino, tip. di Francesco Franchini, 1863;
in-8, di pp. 356.
_I Torriani e i Visconti, o scene casalinghe pubbliche e storiche del
secolo XV, dell'autore di Sibilla Odaleta_, Milano, 1839; due vol.
in-12.
Per consiglio dell'abate Costanzo Gazzera, scrisse la _Storia della
Repubblica di Genova dalla sua origine sino al 1814_, che ebbe due
edizioni [Genova, tip. Ynes Gravier, 1835-1838, otto volumi in-8;
e Venezia, Fontana, 1840, otto volumi in-16]; compilazione affatto
dimenticata, che gli costò quattro anni di ricerche, di studio e
fatica, e (a sua stessa confessione) «non fu gradita ai Genovesi, nè
dubitarono asserire» ch'egli «l'aveva scritta d'ordine del Governo».
Questo lavoro gli aprì le porte della R. Deputazione di storia patria,
alla quale fu ascritto come socio corrispondente il 25 febbraio 1837.
Tradusse dallo spagnuolo le seguenti commedie:
_In bocca di bugiardo la verità è sospetta, commedia di don_ GIOVANNI
RUIZ, _liberamente tradotta dallo spagnuolo_, Milano, vedova Stella,
1841; in-18.
_Sì col labbro e no col cuore, ossia il consentimento delle ragazze,
commedia di_ L. F. DI MORATIN, _traduzione dallo spagnuolo_, Milano,
vedova Stella, 1841; in-16.
[13] _Brevi notizie sulla vita di_ CARLO VARESE; in BROFFERIO A., _I
miei tempi, memorie_; XVII, 96-98.
[14] Invece il Tommaseo, la giudica «opera di forte ingegno»; afferma
che «dalla storia il ch. A.» ha «saputo trarre partito a rendere
animato e vero ed efficace il racconto»; che «non si può non ammirare
un talento di descrizione, una fecondità drammatica pressochè
originale»; che «la vivezza della pittura ricopre quasi sempre anche
i pochi difetti della concezione»; riconosce però che «de' dialoghi
altri son distesi con naturalezza e con grazia, altri tengono un po'
del pesante e dell'affettato»; conchiude, che «quel che si dice del
dialogo, può dirsi de' sali: altri piccanti, naturalissimi, originali,
più fini tal volta di Walter Scott, il qual cerca spesso lo spirito
nell'amarezza e l'acume nella singolarità; altri languidi, mendicati,
comuni». Cfr. _Antologia_, di Firenze, tom. XXIX, n. 87, marzo 1828,
pp. 87-93.
[15] _Il Castello di Trezzo, novella storica di_ G. B. B., Milano,
presso Antonio Fortunato Stella e figli, 1827; in-8 di pp. 146, con una
incisione rappresentante gli avanzi del castello. Prezzo lire 2.60 ital.
[16] Del _Carmagnola_ la _Gazzetta di Genova_ dette questo giudizio
[n. 5, 15 gennaio 1820]: «Una tragedia ove sono apertamente violate
le inviolabili leggi della unità di luogo e di tempo; tragedia di cui
eroico non è l'argomento, giacchè non v'è in essa di greco altro che
un coro, ed è tutta irta di nomi, italiani sì, ma volgari, trattandosi
di fatto troppo recente (1426-32); tragedia in cui gli interlocutori
si danno del _voi_, e la verseggiatura, sebbene nulla abbia in sè di
vizioso, e sia anzi lavorata con maestria e naturalezza assai, pure
osa scostarsi da quella uniforme e stringata rigidezza, che deve esser
indispensabile allo stile tragico, dopo l'esempio d'Alfieri; tale
tragedia non può, fuor di dubbio, giudicarsi che pessima e perniciosa.
Molti sono d'avviso contrario, e ci avvediamo, pur troppo, ch'essa è
letta con piacere, e e la si trova ricca di nuove e schiette bellezze.
Ma noi devieremmo dal sentiero felicemente battuto da' giornalisti
confratelli, a cui, come sa ciascuno, sta di tanto più a cuore l'onor
letterario italiano, che non l'utile proprio, se non fulminassimo, e
tosto, colle più solenni censure il _Conte di Carmagnola_, l'autore,
i lettori plaudenti e per ultimo il tipografo. Ci vien detto che il
sig. Alessandro Manzoni sia noto e caro non meno ai buoni studj che
ai veri filantropi. Che monta? egli ha peccato. Vi sono autorità in
letteratura a cui è dovere l'ubbidire, sotto pena di essere dichiarato
ribelle. E che è poi questo appellarsi alla ragione, e scrivere una
_prefazione_, che porrebbe in imbarazzo chiunque volesse confutarla
con lealtà? Per buona sorte, ove trattasi di autorità letteraria, la
ragione e la lealtà sono frivolezze». La _Gazzetta_ però nel suo numero
del 12 febbraio stampava _La battaglia di Maclodio_, confessando: «è
un magnifico pezzo di poesia lirica, in cui si compiangono i miseri
effetti di una battaglia data tra italiani e italiani. Quest'ode,
o inno, o coro, come il chiama l'Autore, commove gagliardamente
nell'udirlo recitare separato, molto più che leggendolo ove è posto, e
viemmeglio se ne assaporano le molte e singolari bellezze».
Il coro di Maclodio, «magnifico pezzo di poesia lirica, «che si
può chiamare sublime nel suo genere», fu riprodotto anche dalla
_Gazzetta Piemontese_ [n. 19, 12 febbraio 1820]; la quale discorse
della tragedia con benevolenza. «Quel giusto desiderio» (così scrive)
«da noi più volte in questi fogli manifestato di veder gli ingegni
italiani rivolgersi alle nostre antiche istorie, e dai fatti de'
nostri maggiori desumere argomenti di tragedie, che, impressionate di
pensieri, di passioni e di modi veracemente italiani, divenissero un
efficace eccitamento ad irritare le chiare azioni di quegli illustri
trapassati, questo desiderio è stato ora, e assai più presto di quello
che ci aspettavamo, soddisfatto dalla nobil penna del sig. Alessandro
Manzoni». Dà un sunto della tessitura, poi prosegue: «Son questi i
fatti sui quali s'aggira; fatti che mi sembra doversi toccare assai
più, che non le perpetue cene di Tieste e i delitti dell'infausta razza
d'Agamennone. L'autore non ha voluto farsi carico di nessuna regola
d'unità di luogo o di tempo; de' principii che lo guidarono in questa
bella composizione discorre egli stesso nella prefazione, e l'indole
di questo giornale non ci lascia luogo a discuterli ponderatamente.
Lasciamo al giudizio e molto più al cuore de' lettori il decidere dello
stile e della sceneggiatura di questa tragedia. Queste discipline
appartengono al gusto; e se l'A. è riuscito a dilettar grandemente
anche con modi non ancor tentati, o non per anco eutenticati, noi
loderemo sempre i suoi tentativi. Ma la sentenza finale sopra queste
questioni di gusto spetta all'Italia intiera».
[17] ROVANI G., _Le tre arti considerate in alcuni illustri italiani
contemporanei_, Milano, Treves, 1874; I, 204-205.
[18] Nel 1827 furono stampati due altri romanzi: _Cabrino Fondulo,
frammento della storia lombarda sul finire del secolo XIV e il
principiare del XV, opera di_ VINCENZO LANCETTI, _cremonese_, Milano,
co' torchi d'Omobono Manini, 1827: due volumi in-24; di pp. 781, e
_Alessio o gli ultimi giorni di Psara, romanzo storico di_ ANGELICA
PALLI, Italia [Livorno], 1827; in-12. Questi due racconti però non
appartengono al genere di Walter Scott. Notava infatti la _Biblioteca
italiana_, fascicolo dell'agosto 1827, pp. 179-180: «Cabrino Fondulo
è un personaggio degnissimo veramente di storia e se non erriamo
acconcissimo ad un romanzo del genere di Walter Scott.... Se il sig.
Lancetti avesse voluto fare del suo Cabrino il protagonista di un
romanzo, pensiamo che ne sarebbe riuscito assai facilmente un lavoro
perfetto, perchè egli si mostra padronissimo dell'argomento e sicuro
conoscitore di tutti i grandi e i piccioli personaggi di quella età,
e la storia di Cabrino ha quasi da natura la forma di un compiuto
romanzo». Affermava G. MONTANI che alcuni moderni romanzi storici
«potrebbero accettarsi per belle e buone istorie, se a tal uopo
bastasse per noi il non trovarvi mescolato al vero nulla o quasi nulla
d'inverosimile». E soggiungeva: «Del loro numero è _Cabrino Fondulo_,
non impropriamente intitolato frammento della storia lombarda, poichè
fondato, per ciò che contiene di più essenziale, sopra documenti, a
cui s'appoggia o potrebbe appoggiarsi quell'istoria, e pel rimanente
sopra congetture, giustificate in gran parte o dai documenti o da altri
che all'istoria generale d'Italia già sono familiari. In grazia di ciò
che avvi in esso di congetturale, e che or serve d'abbellimento, or di
legame ai fatti meno dubbi, l'autore non ricusa che si chiami romanzo».
Mentre il Lancetti fa servire «l'invenzione alla verità» (è sempre
il Montani che scrive), la Palli «fa servire la verità ad una bella
invenzione», descrivendo un episodio del risorgimento della Grecia del
giugno 1824. Cfr. _Antologia_, tom. XXVII, n. 80, agosto 1827, pp.
75-94.
[19] _Il Nuovo Ricoglitore_, di Milano; anno III, parte I, n. 30,
giugno 1827, pp. 440-446.
[20] _Biblioteca italiana_, di Milano, fascicolo del mese di luglio
1827, pp. 128-129.
[21] Non di Novara, ma di Tortona, dove nacque nel 1793. Il 27
gennaio del 1861 fu eletto deputato del collegio di Novi Ligure e lo
rappresentò nell'ottava legislatura. Rieletto per la seconda volta,
il 29 ottobre 1865, ma dopo essere stato in ballottaggio col marchese
Gustavo Reggio, morì a Firenze rappresentante di quel collegio il
15 settembre del 1866. Cfr. CANTÙ IGNAZIO, _Scrittori contemporanei
d'Italia_. II. _Carlo Varese_ [I. L'autore——II. Le opere——III.
Riassunto], nella _Rivista Europea, nuova serie del Ricoglitore
italiano e straniero_; ann. I, parte II [1838], pp. 375-386, 425-498 e
498-500.
[22] _La Vespa, giornale di scienze, lettere ed arti, che succede
all'Ape italiana_, Milano, per Nicolò Bettoni, 1827; ann. I, pp. 21-26.
[23] _Corriere delle Dame_, n.º 38, Milano, 22 settembre 1827, pp.
301-302.
[24] Scrive il Rovani: «Dopo il _Castello di Trezzo_, lusingato da
un successo che, avuto riguardo al merito intrinseco del libro, ha
davvero del prodigioso, il Bazzoni sentì triplicarsi l'ingegno e il
coraggio, e fu sotto questa felice influenza che scrisse il _Falco
della Rupe_; romanzo che ha maggiore estensione, che è scritto con
qualche proposito, che occupa molto studio e dove lo stile sembra
accarezzato dal suo autore, specialmente nelle descrizioni, le quali
per altro in questo libro sono adoperate più a pompa che ad uso. Ma il
nuovo romanzo piacque al pubblico assai meno del _Castello di Trezzo_,
il quale aveva lasciato tale impronta nel cuore dei lettori che non
seppero trovar posto al _Falco_, il quale rimase così a mezz'aria,
come que' drammi che ottengono abborrito successo di stima. Al _Falco_
tenne dietro dopo qualche anno _La bella Celeste degli Spadari_, che
è un nonnulla senza un pregio al mondo e tanto indegna del talento di
Bazzoni da non parere un'opera sua. Ma non cessò per questo il suo nome
di restar popolarissimo. Fortuna che il Bazzoni non volle più metterlo
in pericolo, onde stette in silenzio per lunghi anni, e non fu che per
cedere alla tentazione di sfoggiare un po' di lingua fiorentinesca che
scrisse la _Zagranella_. Ma nè l'età, nè lo studio, nè la necessità di
obbedire alle pretese del pubblico, che avendo messo il labbro su cibi
squisitissimi più non sapeva star contento a vivande volgari, fecero
che il Bazzoni potesse superare l'autore del _Castello di Trezzo_....
Anche nella _Zagranella_ v'è la solita arte dell'intreccio e il
segreto di tener sempre vivo l'interesse ne' lettori. Si può dunque
concludere che il Bazzoni nacque colla vocazione del romanziere, ma
gli mancarono al tutto le doti indispensabili allo scrittore. Anche se
i suoi libri parvero qualche cosa al numeroso popolo dei lettori per
disperazione, non furono destinati a far parte del patrimonio della
nostra letteratura».
[25] _Il Castello di Trezzo, novella storica di_ G. B. B.; _terza
edizione, riveduta e corretta dall'autore_, Milano, presso
Antonio Fortunato Stella e figli, 1828; in 18º con una incisione
rappresentante gli avanzi del castello. Prezzo lire 2.50.
[26] _Il Crepuscolo_ di Milano dà esso pure la palma al _Castello di
Trezzo_. Ecco quello che scrive: «Walter Scott ebbe genio che precorse
i tempi e i lenti progressi delle scienze storiche: egli indovinò la
storia per intuizione e la risuscitò ne' suoi quadri. Nondimeno chi
negherà che in essi il merito principale, e spesso anche il vizio,
è l'abbondanza delle descrizioni, è la fotografica precisione dei
dettagli? Chi negherà che gl'imitatori di Walter Scott, privi del
suo genio, dovevano riescire, come riescirono, a quel genere di
romanzo, che noi, per mancanza di altro nome, chiameremmo volentieri
archeologico. E poichè il romanzo storico s'inaugurò da per tutto
all'ombra della imitazione di Walter Scott, qual meraviglia se anche
in Italia il primo romanzo che si possa chiamare storico appartenne
a quel genere? Noi vogliamo parlare del _Castello di Trezzo_ di G.
B. Bazzoni. È libro che ai suoi tempi levò un bel rumore, non tanto,
crediamo noi, per intrinseco merito, quanto per la sua piena conformità
colle nuove esigenze del gusto. Vi era di che allettare le fantasie in
quel breve racconto, il quale ci convitava in mezzo alle rovine d'un
vecchio castello a narrarci una vecchia storia. Palpitanti ed ansiosi
noi seguivamo l'autore per quegli avviluppati sotterranei, nido di
malandrini; per quelle sale, ricostruite colà dove ora non crescono che
ortiche e gramigne; per quell'antica Milano, colle sue case di mattoni
rossi, colle sue finestre a sesto acuto, col suo popolo sì diversamente
e sì bizzarramente abbigliato, co' suoi gonfaloni, e co' suoi collegi
di magistrati e di artieri. E per tutto questo noi gli perdonavamo di
buon grado la povertà dell'azione, dei dialoghi, la sprezzatura dello
stile, i non lievi errori di storia e la imperfettissima riproduzione
dell'epoca; tanto ci affascinava quel profumo di medio evo, quella
viva e brillante esteriorità! E neppure essa era nuova. Già da qualche
anno l'Italia possedeva l'_Ildegonda_ del Grossi, la quale, valga
il vero, che altro è se non un breve romanzo, consacrato a narrarci
la storia d'un affetto e a narrarcela coll'ingenuo abbandono d'una
poesia, che spesso non è tale se non per la rima ed il verso? Ivi pure
trovavasi la vecchia Milano del primo risorgimento, rissosa, armigera,
turbolenta; ivi pure abbondava il color locale. Ma ciò che trovavasi
nella novella del Bazzoni, e non in quella del Grossi, era il connubio
della invenzione colla storia propriamente detta, era l'amore del
finto Palamede che intrecciavasi ai casi del vero e reale Bernabò
Visconti, era la fantasia che interveniva a spargere de' suoi vaghi
allettamenti la fosca tenebria d'una pagina storica. Diremo noi che
il Bazzoni fu veramente il primo a tentare codesta unione del vero e
del falso, e che fu la priorità del tentativo quella che specialmente
gli valse l'applauso de' contemporanei? Comunque sia, certo è che il
tentativo era troppo imperfetto. A compiere il voto dei tempi, a creare
il romanzo, che veramente si meritasse il nome di storico, ben più che
l'umile studio d'un imitatore, volevasi la potenza divinatrice d'un
genio. E il genio non si fece a lungo aspettare».
Come si vede, _Il Crepuscolo_ fa al Bazzoni la parte del leone; del
Varese tocca di sfuggita, par che lo conosca di seconda mano, che non
abbia letto nessuno de' suoi romanzi, a cominciare dalla _Sibilla_,
la rivale del _Castello di Trezzo_. Infatti, dopo aver parlato del
Manzoni, del Guerrazzi, del Maestrazzi, del Rosini, del Grossi, del
Cantù, del Mauri, del D'Azeglio e del Canale, soggiunge: «fra i
romanzieri minori uno dei più rimarchevoli è Carlo Varese, autore d'un
_Folchetto Malaspina_, d'una _Sibilla Odaleta_ e d'altri romanzi, che
tutti rivelano spontaneità e ricchezza di fantasia». Cfr. _Del Romanzo
in Italia_; nel periodico _Il Crepuscolo_, anno IV [1853], n. 33, pp.
520-524; n. 34, pp. 535-538; n. 35, pp. 555-559; n. 41, pp. 650-655; e
n. 42, pp. 666-670.
[27] _Il Castello di Trezzo_, novella storica di G. B. BA.....I; in
_Il Nuovo Ricoglitore_, anno II [1826], parte I, pp. 335-351, 434-447;
parte II, pp. 496-514, 566-575, 652-666, 743-755, 825-839 e 883-897;
ann. III [1827], parte I, pp. 33-46, 180-193, 267-279 e 351-361.
[28] Sul frontespizio del tomo I della copia per la Censura, che
dice: _Gli_ | _Sposi Promessi_ | _storia milanese del secolo decimo
settimo_ | _scoperta e rifatta_ | _da_ | ALESSANDRO MANZONI, si legge:
_Admittitur_ | BELLISOMI, e di fianco: _1511. I. R. Censura_ | _Mil.º
li 3 luglio 1824_ | _Imprimatur_ ZANATTA. Del canonico Ferdinando
Bellisomi, che era insieme I. R. Censore e Prefetto del Ginnasio di
S. Alessandro, mi scrisse Niccolò Tommaseo che nella sua giovinezza
ebbe lui pure a sperimentare di quest'uomo «la dignitosa temperanza
esercitata nel difficile uffizio, e la cortesia tinta di gentile
mestizia, e la bontà cordiale». Bartolommeo Zanatta era Primo Censore e
Direttore dell'I. R. Uffizio centrale di Censura e Revisione dei libri
in Milano. Lo stampatore, nel presentarglielo, lo accompagnò con questo
biglietto: «R. I. Ufficio di Censura. Rassegno a codesto R. I. Ufficio
di Censura il Primo Tomo del Romanzo storico del Sig.ͬ D.ⁿ Alessandro
Manzoni, intitolato: _Gli Sposi Promessi_, dimandando la permissione
della stampa. Milano, il 30 Giugno 1824. VINCENZO FERRARIO».
[29] Nel settembre del 1826 n'erano già stampati quattordici fogli del
terzo e ultimo volume, come si ricava da una lettera del Manzoni del
10 di quel mese. La sua figlia Giulia scriveva al Fauriel l'11 aprile
del 1827: «Il babbo vi dice tante cose; egli lavora, e m'incarica di
dirvi che crede finalmente d'essere arrivato al fine del suo eterno
lavoro. Voi sapete che spesso un capitolo gli piglia delle settimane;
la sua salute, sempre cattiva, n'è cagione; così dunque è quasi finito,
ma quando sarà finalmente finito?» Otto giorni dopo Ermes Visconti,
scrivendo esso pure al Fauriel, gli dava questi ragguagli: «Alessandro
è quasi al punto di consegnare allo stampatore gli ultimi capitoli del
suo romanzo. Lo avremo, spero, nel mese di maggio». Il 5 di maggio
la Giulia tornava a scrivere al Fauriel: «Il babbo vi manda quattro
nuovi quaderni pel sig. Trognon» (lo sperato traduttore de' _Promessi
Sposi_), «che gli saranno necessari, s'egli non è già stanco di questa
briga... Il terzo volume del romanzo si stampa; si spera che sarà
finito pel fine di questo mese, o al più per il principio dell'altro».
In una lettera di Tommaso Grossi, del medesimo giorno, si legge: «A
giorni uscirà in luce il romanzo del nostro Alessandro, aspettato e
sospirato». La Giulia così ne riparla nella sua lettera del 5 giugno
al Fauriel: «Eccomi anche questa volta a scrivervi per il babbo... Per
la prima occasione che si presenterà vi manderà il resto de' fogli,
che saranno, com'egli crede, presso a poco quattro; ve ne manda otto
fra tanto, non avendone pronti di più... Voi vedete che noi possiamo
finalmente sperare che questo eterno romanzo sarà pubblicato; ed era
tempo, di scriverlo e gli altri di attenderlo». L'11 dello stesso mese
di giugno il Manzoni stesso gli scrisse: «_Respice finem_, cher ami;
c'est pour moi une véritable consolation de penser que désormais je
vous entretiendrai d'autre chose que de cette fastidieuse histoire,
dont je suis ennuyé moi-même autant que dix lecteurs: moi, dis-je; pour
vous, je vous le laisse penser. Voici donc, pour finir d'en parler,
les dernières feuilles du dernier volume; vous aurez la bonté de les
transmettre a M.ͬ Trognon, s'il n'a jeté la plume après l'écritoire...
Je vous préviens aussi que, aussitôt que le trois volumes seront
en état de paraître (ce qui sera dans trois ou quatre jours), je
chercherai un libraire qui ait quelque correspondant à Paris pour y
envoyer cinq ou six exemplaires. Ils vous seront adressés, cher ami,
et vous aurez la bonté et la peine d'en faire la distribution. Mais
aussi ce sera la fin de la fin». Col seguente biglietto il Manzoni
accompagnava un esemplare de' _Promessi Sposi_ al dott. Giuseppe De
Filippi, il 18 di giugno: «Se l'autore di questa filastrocca avesse
potuto immaginarsi che il chiarissimo cav. dott. De Filippi, volesse
dare alla lettura di essa una parte del suo tempo prezioso, non avrebbe
certamente indugiato fin ora a pregarlo di gradirne una copia».
[30] BOSIO F., _Opere——vita di F. D. Guerrazzi_, Milano, tip. editrice
lombarda, 1877; p. 39.
[31] ALBERTAZZI A., _Il Romanzo_, Milano, Vallardi, 1904: p. 227.
[32] BERTACCHI A., _Storia dell'Accademia Lucchese_; in _Memorie e
documenti per servire alla storia di Lucca_, tom. XIII, parte I, pp.
65-67.
[33] _Risposta di P. T. al Signor C. pisano intorno l'opera di F. D.
Guerrazzi_; in-8, di pp. 15. Manca il nome dello stampatore, l'anno e
il luogo, ma fu impressa a Livorno, co' tipi de' fratelli Vignozzi, nel
1826.
[34] GUERRAZZI F. D., _Lettere_, _per cura di_ FERDINANDO MARTINI,
Torino, Roux, 1891; I, 5-8.
[35] MANGINI A., _F. D. Guerrazzi, cenni e ricordi ad illustrazione di
sei scritti pubblicati in appendice_, Livorno, Giusti, 1904; pp. 3-5.
[36] GUASTALLA R., _La vita e le opere di F. D. Guerrazzi, con
appendice di documenti inediti_, Rocca S. Casciano, Cappelli, 1903; I,
314.
[37] Detratte le spese, il guadagno ricavato dalla vendita del romanzo
doveva spartirsi tra l'autore e gli editori. Le spese ammontarono a
lire toscane 2209.10; l'utile netto a lire 78.313.40. Per aver la sua
parte, bisognò che il Guerrazzi il 13 maggio del '29 ricorresse a'
tribunali. Il 22 agosto del '44, come si rileva da una sua lettera, la
_Battaglia_ contava «in Italia e a Parigi» già «dodici edizioni».
[38] _La Battaglia di Benevento, storia del secolo XIII, scritta dal
dott._ F. D. GUERRAZZI, Livorno, presso Bertani, Antonelli e comp.
all'insegna del Palladio, 1827-1828; volumi quattro in-16. di pp. 239,
263, 143 e 249, con una vignetta nel primo.
Il 1º maggio del '28 il libraio Giuseppe Pomba di Torino così la
annunziava nel catalogo delle edizioni «recentemente» entrate nel suo
negozio: «Hanno i migliori critici nostri convenuto essere il romanzo
storico opera degna degl'Italiani, e, senza parlare della rinomata
opera di Manzoni, già da tutti conosciuta, lo hanno già coll'esempio
dimostrato altri valenti scrittori. Il romanzo del sig. Guerrazzi
tratta il gravissimo fatto della caduta di Manfredi lo Svevo e dello
stabilimento di Carlo d'Angiò nel regno di Napoli, avvenuto il
1265. Per l'importanza dell'argomento, non meno che pei pregi dello
stile, egli è certo un de' migliori che siano finora usciti in tal
genere». Nella _Gazzetta di Genova_ del 4 giugno '28 si legge questo
avviso: «Libri nuovi. I tipografi Bertani, Antonelli e C. di Livorno
hanno pubblicato il tomo 4º e ultimo del nuovo romanzo storico:
_La Battaglia di Benevento, storia del secolo XIII_. Letterati di
gran conto hanno trovato questo lavoro del dott. Guerrazzi degno
degl'Italiani e trattato con quella verità di stile e di caratteri,
propri de' tempi che abbraccia. Trovasi vendibile in Genova in 4 volumi
in-12. al prezzo di lire due dal libraio Ferdinando Ricci». Intorno
alle varie edizioni che ne furono fatte cfr. VISMARA A., _Bibliografia
di F. D. Guerrazzi; aggiuntavi una raccolta di scritti e giudizi su di
lui_, Milano, 1880; in-16.——GRAZIANO G., _Bibliografia Guerrazziana_;
nella _Rivista delle Biblioteche e degli Archivi_, ann. XV [1904], vol.
XV, n. 11-12, pp. 191-192.
[39] _Biblioteca italiana_, tom. LXI, gennaio 1831; pagine 47-61.
[40] _Antologia_, tom. XXXI, n. 92, agosto 1828, pp. 73-100.
[41] _Indicatore Genovese_, n. 16 e n. 17, agosto 1828. Cfr. MAZZINI
G., _Scritti editi e inediti_ [quarta edizione], vol. II, Letteratura,
vol. I, pp. 61-72.
[42] Il Tommaseo così finiva la giusta rampogna: «Tronchi l'A. dalla
sua storia tutte le declamazioni, le troppo smaccate manifestazioni del
sentimento suo proprio; e quella storia sarà, non dubito d'affermarlo,
una delle più notabili produzioni letterarie del secolo. Ma così,
com'ell'è, tutta amareggiata di fatalismo, tutta traboccante di
giovenili rancori, malgrado la tanta sua bellezza ed originalità, non
può vivere».
[43] Il Bini venne ferito la sera del 2 decembre 1827.
[44] Allude alla famiglia, dove non trovò affetto. Il padre, come nota
il Guastalla, era «reso infelice dall'asprezza, dalla malinconia,
dalle dure condizioni economiche con cui fu costretto a lottare, e in
gran parte dal carattere della moglie». Della madre scrive lo stesso
GUERRAZZI [_Note autobiografiche_, Firenze, Successori Le Monnier,
1899; p. 189]: «la mia virtù mi ha impedito di odiarla, di più non ho
potuto». Un giorno essa, «tolta fuori di sè da cieca ira», lo ferì, e
il figlio, ricordandolo, esclama: «quel sangue scrisse in caratteri che
non si cancellano, avermi dato la Natura una madre, avermela negata
l'affetto. Scorre pure solitaria la vita quando sull'aurora dei nostri
giorni diventa vedova di amore, così necessario e così sacro».
[45] Appunto per questo culto, il suo vecchio maestro Giambattista
Spotorno, nel dar ragguaglio della _Battaglia di Benevento_ nel
_Giornale Ligustico_ di Genova, da lui diretto [ann. II, fasc. 4.
luglio-agosto 1828, pp. 397-399], piangeva «le stravaganze di un
giovine che datosi in balìa ad una troppo vivace immaginazione,
travolto dalla lettura del Byron, più non ravvisa nell'uomo che la
perfidia e la disperazione». Della _Battaglia_ discorse GIUSEPPE
BIANCHETTI nella _Continuazione del Giornale sulle scienze e
lettere delle Provincie Venete_, n.º 2. pag. 125 e segg. Ne tratta
diffusamente CESARE FENINI [_F. D. Guerrazzi, studi critici_, Milano,
Hoepli, 1874; pp. 75-162] e prende anche «a mostrare» [pp. 43-74]
«in che e per quali cause il Manzoni sia riescito assai superiore al
Guerrazzi». Cfr. pure: FIORENTINO L., _La giovinezza di F. D. Guerrazzi
e la Battaglia di Benevento_, Firenze, tip. Baroni e Lastrucci, 1900;
in-16.
[46] «Forse il sig. Bertolotti si lasciò indurre a tanto schiccherar di
romanzi dall'immenso guadagno di Walter Scott; ma se tale fu lo scopo
suo, ci dispiace ch'egli andato sia nelle sue speranze miseramente
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