Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 1 - 01

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OPERE DI ALESSANDRO MANZONI
_EDIZIONE HOEPLI_
Vol. II.
(in due parti)


BRANI INEDITI
DEI
PROMESSI SPOSI

DI
ALESSANDRO MANZONI
PER CURA
DI GIOVANNI SFORZA
PARTE I.
SECONDA EDIZIONE ACCRESCIUTA

Milano——ULRICO HOEPLI——Editore


BRANI INEDITI
DEI
PROMESSI SPOSI


BRANI INEDITI
DEI
PROMESSI SPOSI
DI
ALESSANDRO MANZONI
PER CURA
DI GIOVANNI SFORZA
PARTE I.
Seconda edizione accresciuta

ULRICO HOEPLI
EDITORE LIBRAIO DELLA REAL CASA
MILANO
1905


PROPRIETÀ LETTERARIA

Milano, 1915——Tipografia Umberto Allegretti, Via Orti.


INDICE DELLA PRIMA PARTE

I primi Romanzi storici in Italia e le minute autografe
de' «Promessi Sposi», studio di GIOVANNI SFORZA IX
I.——Discussione sull'amore ne' romanzi 1
II.——Lucia e Agnese a Monza——Presentazione al
monastero——Storia della Signora——Suo colloquio
con Lucia 13
III.——Fermo perseguitato dal Podestà di Lecco a
istigazione di Don Rodrigo 141
IV.——Visita di Don Rodrigo al Conte del Sagrato——Egidio
e la Signora——Ravvedimento e fine di costei 155
V.——Ratto di Lucia 221
VI.——Conversione del Conte del Sagrato 251
VII.——Perchè non duri viva e grande la fama letteraria
di Federigo Borromeo 263
VIII.——Colloquio del Conte del Sagrato col Cardinal
Federigo 275
IX.——Liberazione di Lucia 301
X.——Il Conte del Sagrato dopo la sua conversione 327
XI.——Lucia a Chiuso 341


I PRIMI
ROMANZI STORICI IN ITALIA
E LE MINUTE AUTOGRAFE
DE' «PROMESSI SPOSI»


I.

È indescrivibile il rumore che levarono e la voga che ebbero dal 1814
in poi i romanzi storici di Walter Scott[1]. Si succedevano gli uni
agli altri con una rapidità addirittura maravigliosa, e i lettori
erano affascinati dalla sua inesauribile fantasia, dalla verità, dalla
vivezza e dalla bravura con la quale dipingeva un paese pittoresco
come la Scozia; facendone rivivere gli aspetti eroici, le tradizioni
poetiche e le antiche leggende. In questo genere di letteratura, che
non aveva riscontro nell'antica, il mondo d'allora vide un nuovo
sentiero aperto allo spirito umano, vi riconobbe l'invenzione d'una
maniera sconosciuta di scriver la storia degli uomini, con i loro
usi, i loro costumi ed i loro pregiudizi. I romanzi dello Scott si
tradussero in ogni lingua[2]; diventarono la lettura ambita e cercata,
desiderata e gradita di tutti[3]. Un'infinità di persone si dettero
a scriverne, tenendoli per modello. Nella stessa Edinburgh (la sua
città nativa) tra il '19 e il '23 comparvero dodici romanzi. Erano
di tre autori diversi, ognuno de' quali, imitando anche in questo
il caposcuola, nascondeva il proprio nome; uno di loro, Giovanni
Galt, rivaleggiò perfino con lui per la fecondità[4]. In Francia gli
imitatori e i seguaci di Walter Scott andarono moltiplicando ogni
giorno[5]; alcuni levarono talmente grido, che i loro romanzi finirono
con essere tradotti e stampati tra noi[6].
Il Manzoni, che chiama Walter Scott «l'Omero del romanzo storico», si
domanda: «mi sapreste indicare, tra l'opere moderne e antiche, molte
opere più lette, e con più piacere e ammirazione, de' romanzi storici
d'un certo Walter Scott?» E risponde: «Che quei romanzi siano piaciuti,
e non senza di gran perchè, è un fatto innegabile»[7]. Il Cantù
afferma: «quei romanzi erano divorati dal bel mondo milanese; tutti
tradotti da amici del Manzoni; sulle scene, nei quadri, nella nuova
arte della litografia se ne riproducevano i fatti»[8]. Che gli amici
del Manzoni se ne facessero traduttori, fu negato, ma a torto[9]. Nel
1823 l'_Ape della letteratura italiana_[10] annunziando _La prigione di
Edimburgo_ dello Scott, tradotta in que' giorni a Milano e stampata,
in quattro volumi, da Vincenzo Ferrario (il tipografo dei romantici),
notava: «La raccolta dei romanzi di Walter Scott, volgarizzati da
vari dotti scrittori e posti in luce dal Ferrario, prosegue con
felici auspici. Dalla elegante versione di alcuni versi è facile il
conoscere che il traduttore di questo romanzo è il chiarissimo autore
dell'_Ildegonda_: in prova della qual nostra opinione ne trascriviamo
qui alcuni:
Quando il falco dal nuvolo scende
Cheto cheto il verdello s'appiatta;
Oliando il veltro le macchie scoscende
Trema il daino e non lascia la fratta.
Dettata pure da una facilissima vena è la quartina che si pone in bocca
a Magde:
Oh che festi del mio anello,
Dell'anel che mi sposò?
Durerà fino all'avello
Quell'amor che lo donò».
Degli amici del Manzoni, Tommaso Grossi non fu il solo traduttore;
parecchi ne voltò in italiano Gaetano Barbieri[11]; uno, Niccolò
Tommaseo.
Racconta Carlo Varese nella propria autobiografia: «Nel '22 o '23
comparvero i romanzi di Walter Scott, che levarono quel grido che
ognuno sa: subito me ne invaghii, nè basta: subito destarono in me
l'idea che a quel modo stesso si sarebbe potuto descrivere i casi
d'Italia nostra, della quale appena si poteva proferir il nome senza
pericolo; e in pochi mesi dettai il mio primo romanzo storico:
_Sibilla Odaleta_, episodio delle guerre d'Italia, cioè l'invasione
del Regno di Napoli per Carlo VIII: e mi determinai di preferenza
per quell'argomento unicamente in grazia della fiera risposta di Pier
Capponi: _Voi darete nelle vostre trombe, noi daremo nelle nostre
campane_. Mandai il manoscritto a Stella in Milano, sotto il velo
dell'anonimo; a Stella, solo perchè lo sapeva editore dei romanzi dello
Scott, tradotti dal Barbieri. Stella aveva allora per consigliere
in cose letterarie un Compagnoni di Lugo, cavaliere della Corona di
ferro, già membro della Consulta di Lione, uomo d'ingegno, di mente
e di cuore, autore di molte belle opere storiche e filologiche, alle
quali finora non fu fatta giustizia, perchè _habent sua fata libelli_.
Trasmise a lui il mio manoscritto per un parere; Compagnoni glielo
rimandò con queste parole: _è una massa d'oro colla scoria_, e lo
Stella a me; ed io mi diedi a ripulire, come seppi meglio, ma sapeva
poco, perchè l'educazione francese mi aveva guasta la lingua e lo
stile. Tuttavia, tal qual è, quel libraccio fu letto avidamente, perchè
d'un italiano e di tema italiano, ed anche per essere il primo in
siffatta maniera di letteratura. Ebbe dieci o dodici edizioni e l'onore
di due traduzioni[12]. Intanto non si sapeva il nome dell'autore,
ma Stella lo propalò, ed io scapitai molto nella mia qualità di
medico, chè un medico non deve scriver romanzi! Il successo doveva
naturalmente incoraggiarmi: dettai successivamente i sette od otto
miei romanzi; la maggior parte pubblicati dallo Stella, e sempre
senza nome d'autore, cioè coll'indicazione: _dell'Autore della Sibilla
Odaleta_»[13].
Osserva Giuseppe Rovani: «Il Varese colla _Sibilla Odaleta_ fu il
primo forse a farsi imitatore del grande scozzese, ma imitatore
più della novità e della fantasia sbrigliata, che delle bellezze
straordinarie e dei pregi di descrizione[14]. Tuttavia la novità,
che rende saporite anche le cose più comuni, fece che il libro del
Varese venisse letto da tutti gl'italiani, i quali credettero d'avere
anch'essi il loro Walter Scott a buon mercato. Con maggior diritto del
Varese ottenne molta voga Giambattista Bazzoni col suo _Castello di
Trezzo_[15], che fu stampato prima dei _Promessi Sposi_ e che parve
preconizzare la grande epoca romantica. Correva l'anno 1824; la musa
di Grossi non si era ancora effusa nella sua mestizia irresistibile; di
Manzoni non si conoscevano che gl'inni e le tragedie, lette da pochi,
dispregiate da molti[16]. Le lettere italiane erano dunque silenziose
e in istato di letargo, e chi avesse voluto cercare un passatempo
nelle produzioni del paese, veramente non avrebbe avuto con che
soddisfarsi. D'altra parte, le opere di lord Byron erano più celebrate
che conosciute, e di esse non correvano che poche e cattive traduzioni;
bene all'ozio dei lettori aveva provveduto la Stäel colla sua
_Corinna_, ma non era bastato. Gl'italiani andavano dunque guardandosi
intorno avidamente, come bachi che cercassero la loro foglia. Non è
dunque a maravigliare che al primo comparire dei romanzi di Varese e
di Bazzoni, tutti facessero una gran festa come se si trattasse di un
avvenimento memorabile»[17].
La _Sibilla Odaleta_ e il _Castello di Trezzo_ non vennero fuori
nel 1824, come sembra credere il Rovani; videro la luce nel 1827,
Tanno stesso della pubblicazione de' _Promessi Sposi_[18]. La
_Biblioteca italiana_ ebbe a confessare: «la sola notizia che
l'autore dell'_Adelchi_, il poeta degl'_Inni sacri_ scriveva un
romanzo, nobilitò la carriera e trasse alcuni chiari intelletti ad
entrarvi». _Il Nuovo Ricoglitore_, nel giugno del '27, annunziava
la comparsa del _Castello di Trezzo_ e de' _Promessi Sposi_.
«Questa novella» (scriveva di quella del Bazzoni) «è, a mia
notizia, il primo esperimento di romanzo storico, alla maniera
di Walter Scott, che venne offerto all'Italia. Negli ultimi anni
vennero pubblicati alcuni romanzi, più o meno lodevoli, attinti
alla storia, ma nessuno aveva ancora impreso a calcar l'orme del
maraviglioso Scozzese. Io trovo in questa circostanza un bel titolo
di lode per l'autore del _Castello di Trezzo_, e credo che in
grazia di essa dobbiamo andar paghi di quanto egli ha fatto, senza
pensar molto a quello che per avventura avrebbe potuto fare»[19].
La _Biblioteca italiana_ nel luglio annunziò la pubblicazione della
_Sibilla_ e de' _Promessi Sposi_, impegnandosi di tornarne a parlare
«distesamente a suo tempo». Della _Sibilla_ scriveva: «è nel genere
di Walter Scott, e l'imitazione dee dirsi felice»; chiamava «nuova e
importante» l'opera del Manzoni[20]. Discorse del romanzo del Varese
nel novembre, concludendo: «fra quanti ubbidirono al tacito invito del
Manzoni, il primo posto dee concedersi a questo sconosciuto autore
della _Sibilla Odaleta_». Fin dall'agosto aveva parlato con indulgenza
benevola di quello del Bazzoni. «Un giovane che ha saputo immaginare
e condurre la novella del _Castello di Trezzo_ sarà probabilmente uno
scrittor di romanzi, tosto che avrà fatta una più lunga esperienza
del cuore umano e coll'esercizio si sarà reso padrone di quello stile
che più si conviene a siffatti componimenti». Sentiva però una grande
predilezione per la _Sibilla_, la quale prima ancora di vedere la luce
aveva trovato un protettore potente in Paride Zaiotti, che era la
colonna più salda di quel giornale. N'è prova una sua curiosa lettera
al Salvotti, scritta il 4 d'agosto. «Un'altra apparizione» (egli dice)
«s'aspetta con impazienza ed è un nuovo romanzo italiano intitolato
_Sibilla Odaleta_. L'autore è anonimo, ma posso dirti che è un dott.
Varese di Novara[21], medico accreditato, di circa trentacinque
anni, che muove in questo modo i primi suoi passi nella carriera
delle lettere. Ei voleva tenersi occulto, e n'avea ben ragione, se
vuol continuare nella professione di medico e trovare ammalati che
s'adattino a morire di sua mano. Ma il secreto, che prima era tra due
sole persone, s'è ora allargato, e tutto mostra che all'uscire del
libro sarà il secreto del pubblico. A me fu comunicato il manoscritto
prima della stampa, e trovai il libro, sotto alcuni rapporti, superiore
a quello di Manzoni: certo che è un romanzo, cosa che non oserei dire
degli _Sposi Promessi_. Il difetto suo consiste nello stile, che
dovrebbesi rifondere per intero».
Lo Stella stampò la _Sibilla_ «in continuazione» alla _Biblioteca amena
ed istruttiva per le Dame gentili_ e la mise in commercio nell'agosto
del 1827. Il giornale _La Vespa_ prese subito a pungerla. «O donne,
ditemi sinceramente, vi par egli che _Sibilla Odaleta_ sia un romanzo
veramente _istruttivo ed ameno_? Esaminiamolo un poco fra noi». E
qui ne dava la tela; poi proseguiva: «tutte queste cose, innestate
insieme con un accorgimento tutto proprio dei Walter Scott italiani,
e preparate e condotte con un'arte egualmente tutta loro, formano il
bell'_episodio delle guerre d' Italia alla fine del sec. XV_, o romanzo
istorico, o come meglio volete chiamarlo, poichè è moda d'oggidì che i
nostri autori comincino dal titolo a imbarazzare ed essere imbarazzati.
Ora, ditemi, o donne gentili, ditemi per vostra fede, vi siete voi bene
istruite nei pochi cenni istorici di quella sciagurata spedizione di
Napoli? O donne mie! se la leggeste nel Guicciardini, se rifletteste
di che sventure è stata cagione, di che avvenimenti feconda, di che
tratti di virtù e di delitto, di eroismo e di barbarie, e più di tutto
come ha influito sul resto dell'Italia, gittereste il libro sdegnate,
che a tante e tali vicende siasi innestata una favola sì misera e in
nessun modo corrispondente ai sommi interessi di quell'epoca; una
favola che potea collocarsi in ogni tempo e in ogni nazione, senza
che per questo riuscisse o peggiore o migliore di quello ch'ell'è.
In che dunque vi siete istruite? Forse nei costumi di quei tempi?
Quando saprete che il Re conduceva seco un buffone; che gli Svizzeri
portavano un abito di scarlatto e dei _calzoni di bufalo_; che le donne
credevano all'astrologia; che i becchini avevano paura dei morti;
che gli ebrei falsavano le monete, rubavano le ragazze, faceano i
cerretani e detestavano cordialmente i battezzati, le peregrine cose
che avrete sapute! Forse apprendeste lo stato delle lettere e delle
scienze, della pace e della guerra, di tutto insomma che poteva aver
luogo opportunamente in un'azione collegata ad un'epoca istorica tanto
interessante le nostre patrie vicende? No, davvero. Eppure un bel campo
di osservazioni presentavano all'autore, e le perfidie del Duca di
Milano, e gli scaltrimenti del Pontefice, e la lentezza de' Veneziani,
e le discordie dei Baroni di Napoli, e l'una e l'altra fortuna, così
rapida, così capricciosa dei Francesi e degli Aragonesi! Eppure vi
erano tanti uomini illustri da mettere in iscena, tanti progetti
delusi da scoprire, tante speranze tradite da compiangere, tante mine
da deplorare! E vi erano.... Non la finirei più, se dovessi accennare
tutte le fila che un esperto scrittore avrebbe potuto comprendere
nel tessuto della sua storia. Se non vi siete istruite, vi sarete
almeno divertite, ossia, per servirmi della frase messa in fronte alla
vostra _Biblioteca_, avrete trovata qualche _amenità_ nella offertavi
lettura. Non saprei quale.... Finisco per non più trattenervi: e non
vi parlo dell'orditura, dello stile, della descrizione, dei dialoghi,
dell'estetica insomma di siffatto romanzo, poichè dovrei perdermi
in certe sottigliezze che vi verrebbero a noia, e correrei forse il
pericolo di non saperne io medesimo raccapezzare il costrutto. Questo
solo io dirò, che a malgrado dei difetti da me trovati in _Sibilla
Odaleta_, vi son pure sparse per entro alcune cose scritte con garbo
e con evidenza, dalle quali si può arguire che l'autore non sarebbe
digiuno dell'arte di ben raccontare, se conoscesse un po' meglio quella
di ben inventare»[22].
Benevola al nuovo romanzo fu invece la _Gazzetta di Milano_. Così ne
parlava il 13 di settembre: «Nel momento che sopra un romanzo, a cui
dà giustamente un grande sostegno la ben meritata fama dell'illustre
suo autore, si è per ogni banda assordati da cento dicerie, diverse
tra esse e sovente ancora contradittorie, ecco apparirne tacitamente
uno, avviluppato in modesto velo, non preconizzato, non predicato,
non fatto ancora soggetto di diffuso giudizio: la _Sibilla Odaleta_».
Espostone l'intreccio, finiva: «In mezzo a tanti variati fatti, che
questa accurata composizione contiene, niun carattere si presenta
che non sia vero in natura e proprio delle circostanze; niun tratto
che a proporzione non interessi; niuno che non esponga l'opportuna
relazione delle cose, E la narrazione poi cammina senza minutezze che
incaglino la curiosità del lettore, senza ricercatezza di stile e senza
pedantesca elocuzione. Nobili, mezzani, infimi che siano i personaggi,
che in questo quadro figurano, tutti hanno il loro natural colorito,
tutti il loro conveniente linguaggio». Il _Corriere delle Dame_, di
Milano, ne dava questo giudizio: «Parlando dei _Promessi Sposi_ abbiamo
notato che la storiella di Renzo e Lucia pareva troppo picciola cosa
in confronto di tutto il restante; sicchè potea dirsi episodio quello
che in buona regola dovrebbe essere parte principale del libro: qui, se
non erriamo, può dirsi il contrario, perchè la storia ha troppo deboli
relazioni col fatto. E veramente crediamo che la principale difficoltà
in questo genere consista appunto nel trovare un argomento in cui siano
bene equilibrate fra loro la parte storica e la parte immaginaria, e
l'una all'altra si leghi non già pel semplice arbitrio e per l'arte
dello scrittore, ma sì per la natura medesima delle cose. Del resto,
l'abbondanza de' casi non lascia che mai si raffreddi l'interesse del
leggitore; i tempi vi sono ben dipinti, in quella parte almeno che
l'autore ha voluto dipingere; i personaggi da lui posti in iscena
sono caratterizzati con evidenza e con verità, e così pure i costumi
dei tempi. Lo stile, considerato nella sua più ampia significazione
di questa parola, non manca di pregi; perchè tutto è rappresentato e
mosso, direm così, con vivacità e in modo da fare una forte impressione
sull'animo de' leggitori; ma se guardisi alle parole, alle frasi, al
suono de' periodi, potrebbe desiderarsi assai più. L'autore di questo
libro ha data tal prova d'ingegno, che l'Italia può ripromettersi da
lui, quando che sia, un romanzo che dir si possa perfetto»[23].
De' tanti altri giudizi dati allora sulla _Sibilla Odaleta_ è notevole
quello che si legge nella _Gazzetta di Genova_ del 27 ottobre 1827.
Dopo aver detto che il romanzo trovasi «da pochi giorni in Genova al
Gabinetto letterario di M. Gravier», soggiunge: «Benchè non manchi
al Genio italiano nè fervida immaginazione, nè lingua ricca, e, per
disgrazia nostra, ripiene sieno le patrie cronache di terribili
vicende adatte a smuovere ogni sorta di affetti, ci mancava ancora il
_Romanzo storico_, genere di letteratura in cui tanto si distinguono
i Francesi e gl'Inglesi e più di tutti l'immortale Scozzese, che,
sorto all'improvviso dalle montagne dell'antica Caledonia, sforzò
imperiosamente la colta Europa ad arrestarsi innanzi alla violenta
rappresentazione che in mille diverse maniere le affacciò di paesi,
d'uomini e di fatti barbari, temperandone ingegnosamente il ribrezzo
con opportuni contrapposti e giustificandoli coll'autorità della
storia. Ad occupare un seggio, che finora rimase vacante, è comparso
non ha guari un romanzo che sostiene la ben meritata fama del suo
illustre autore e di cui di giorno in giorno ognora più si apprezza il
merito, senza temere le critiche dell'invidia, nè l'aculeo importuno di
qualche _Vespa_, che risente forse un po' troppo lo stimolo del proprio
istinto. Il romanzo storico, che annunziamo, viene secondo: nè è poca
gloria l'aver nome dopo i sommi. L'autore, che modestamente cela il suo
nome, c'informa che son questi i suoi primi passi, e ben da questi può
argomentarsi quanto siano per esser grandi e felici i secondi».
Il 19 giugno del 1827, poco dopo la pubblicazione de' _Promessi Sposi_,
il Bazzoni, che subito era corso a leggerli, ricevendone un'impressione
profonda, inviò al Manzoni un esemplare del suo _Castello di Trezzo_,
scrivendogli: «Ella deve perdonarmi se le presento questo mio primo
tenuissimo lavoro, chiedendogli che si degni di leggerlo. Avendo io
in cuore di adoperarmi nel crearne qualche altro, che riuscirà forse
meno di questo difettoso[24], possedendone ora un ottimo modello nei
_Promessi Sposi_, ho vivo desiderio di saper quanto valgo e se il primo
saggio indica in me alcuna disposizione a pervenire collo studio al di
là del mediocre. Ella, siccome gentilissimo ed ammiratore della buona
volontà e l'uno dei pochissimi che ponno su ciò inappellabilmente
pronunciare, non vorrà rifiutarsi a soddisfare alle mie richieste e
ben anche indicarmi quali vie abbia a percorrere tendendo ad una meta
elevata. Tanto oso sperare dalla bontà sua, e riserbandomi a venire
qualche momento da Lei pel sovraddetto scopo, le offro colla massima
sincerità i miei più rispettosi sentimenti di stima ed amicizia».
Del _Castello di Trezzo_ furono esaurite in pochi mesi le due prime
edizioni; nel giugno del '28 già era in vendita la terza[25]. Questo
romanzo ha la priorità della stampa sulla _Sibilla_ del Varese[26].
Infatti fu messo in vendita tra il febbraio e il marzo del '27;
n'era però incominciata la pubblicazione a brani fin dall'anno
innanzi nel periodico _Il Nuovo Ricoglitore_, che ne dette il primo
capitolo nel fascicolo di maggio del 1826[27]. È una priorità
soltanto sulla _Sibilla_. Il primo romanzo storico dell'Italia, anche
cronologicamente, è quello del Manzoni, incominciato a scrivere (come
vedremo) il 24 aprile del 1821 e approvato dalla Censura il 3 luglio
del '24[28]. Il primo e il secondo volume dell'edizione originale
portano nel frontespizio la data del '25; il terzo e ultimo quella
del '26, ma non fu messo in commercio che o il 14 o il 15 giugno del
'27[29].

II.
Ferdinando Bosio, che fu in intimità col Guerrazzi, del quale dettò la
vita, mandandogliene a leggere manoscritti i capitoli a mano a mano
che gli uscivano dalla penna, afferma che la _Battaglia di Benevento_
«abbia preceduto i _Promessi Sposi_, benchè di poco tempo»[30].
Adolfo Albertazzi ripete che «era stata pubblicata pochi mesi prima
dei _Promessi Sposi_»[31]. Quando a ventidue anni Francesco Domenico
prese a scrivere quel romanzo, aveva già fatto le sue prime armi con
una tragedia, due prose e un dramma, che non incontrarono accoglienza
cortese. Allora in Toscana Giovanni Carmignani si arrogava il diritto
di farsi giudice di ogni nuova tragedia; diritto che trovava la
propria ragione nell'essere riuscito vincitore del premio assegnato
dall'Accademia Napoleone di Lucca alla più bella dissertazione sulle
tragedie d'Alfieri[32]. Singolare debolezza di un ingegno potente, che
spaziava sovrano e ammirato ne' campi del diritto criminale, dove ha
lasciato tante orme. Del _Priamo_ del Guerrazzi ne disse ogni male; e
altro non meritava: lo disse perfino «posto tra le tragedie come gli
antichi posero Priapo tra le divinità»; e fu un passare il segno. Il
ferito mandò un grido feroce e gli si avventò addosso con la rabbia e
la furia d'una belva; però con la maschera sulla faccia, cosa nè bella,
nè generosa[33]. Non contento di chiamarlo «più maligno della vipera»;
di accusarlo di «cercare la cenere de' padri per maledirla», gli fa
questa apostrofe: «Una fierissima tigna ha dato il guasto al vostro
capo: onde ho pensato che ella vi sia discesa nel cuore. Pover'uomo! E
che volete fare con un cuore tignoso?» Il dramma _I Bianchi e i Neri_
capitò per caso in mano al Mazzini, e, «di mezzo a forme bizzarre e
a una poesia che rinnegava ogni bellezza d'armonia», vi riconobbe
«un ingegno addolorato, potente e fremente di orgoglio italiano». Fu
rappresentato a Livorno nel teatro Carlo Lodovico, ma per confessione
stessa dell'autore, «ebbe plauso eguale a quello che fecero i demoni
all'orazione di Satana giù nello inferno quando egli riferì la caduta
dell'uomo». Non si perse ne' panni; e a Elia Benza, (che del dramma
disse parole gentili nell'_Indicatore Genovese_; come benevole furono
quelle di Giuseppe Montani nell'_Antologia_ di Firenze), scriveva: «Me
strinse il dolore (chè la speranza delusa non è piacere), ma non mi
vinse; assomiglievole a Calandrino colto di un ciottolo nel calcagno
dall'amico suo, levai la gamba soffiando e dissi: Ho urtato; poi, senza
piegar costa, nè mutare aspetto, continuai per l'incominciato cammino».
Riamicatosi col Carmignani, che poi doveva maledire appena fu morto,
scrivendo e stampando: «La terra gli sia leggera, o pesa a sua posta,
che altre parole non merita»; in una lettera che gli indirizzò il 10
maggio del '27 gli dice: «Voi, se ben veggo, procedete avverso alle
nuove dottrine. Vere e diritte saranno le sentenze vostre; ma certo
non vorrete negarmi Shakespeare, Schiller, Goethe, Byron nulla aver di
comune coi teatri greco e francese, e non per tanto essere alti quanto
il volo dell'aquila di Bonaparte. L'italiano Manzoni si conduce sul
nuovo cammino, e, in percorrendolo, si mostra figlio d'avventuroso
padre; vi si accosta con meno ingegno di lui Niccolini, e ne deriva
un'opera, se non meravigliosa, certamente commendevole e commendata....
La mia stima per voi dimostrerò col domandarvi un consiglio. Gli amici
miei mi si son messi attorno e mi sollecitane a comporre un romanzo
storico, dicendomi di questo genere di componimenti andare difettosa
l'Italia, le altre nazioni onorate, questo esser fonte di fama, questa
opera importante, per la quale è concesso narrare quelle cose che la
storia non può; e già l'animo mio v'inchina, come quello che è vago di
casi misteriosi, intollerante di freno, e anelo di ordire lunga serie
di eventi; ma, innanzi che per me si ponga mano all'opera, siatemi
cortese... di vostro consiglio, e ditemi se stimate voi il romanzo
storico tal opera che vaglia la pena di essere scritta».
Ecco la prima idea della _Battaglia di Benevento_. Nell'ottobre dello
stesso anno 1827 è in cerca d'un editore, e si rivolge a Vincenzo
Batelli di Firenze, in grido a quel tempo. Il giorno 12 gli scrive:
«Ho da offrirgli un romanzo, diviso in 4 volumi, che gradirei fosse
pubblicato nella capitale. Il suo soggetto è: _La caduta della famiglia
di Svevia nel Regno di Napoli_; l'epoca il 1265; il merito, quello
sarà giudicato. Le condizioni della vendita del manoscritto sono: una
edizione piuttosto bella che brutta, la stampa del 1º tomo avanti
la metà di novembre, un numero di copie ch'Ella crederà conveniente
di mandarmi.... Si faccia coraggio a stampare romanzi, perchè gli
stessi Pievani della _Biblioteca italiana_ a poco a poco diventano
romanzieri, e nell'ultimo fascicolo lodano il _Castello di Trezzo_ e
promettono _meditate parole_ su i _Promessi Sposi_»[34]. L'offerta non
fu accolta. Il Guerrazzi allora si accordò con la tipografia Bertani,
Antonelli e C. di Livorno. Il 16 ottobre del '27 uscì il manifesto
di associazione. Questi i patti: quattro volumi, il primo da venire
in luce al più presto, gli altri ogni quaranta giorni; prezzo, due
lire toscane al volume. L'I. e R. Censore scriveva al Governatore di
Livorno il 29 dello stesso mese: «L'autore ha sottoposto solo il primo
tomo, che fu da me letto e approvato sotto dì 19 corrente. Mi è paruto
pregevole e per la vivacità e novità dei pensieri e per la nitidezza
dello stile col quale egli si sforza di emulare gli altri scrittori
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