Brani inediti dei Promessi Sposi, vol. 1 - 05

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in sospiri; talvolta, dopo una lunga e manifesta distrazione, si
risentiva, ed approvava con negligenza ragionamenti che la sua mente
non aveva avvertiti. Queste cose non si facevano scorgere a Lucia, non
avvezza a scernere monaca da monaca, e neppure ad Agnese: l'occhio
del Padre Guardiano era certamente più esercitato, ma perciò appunto
era avvezzo ad osservare senza maraviglia nei grandi sempre qualche
cosa di straordinario; e quindi s'era già da molto tempo addomesticato
all'abito e ai modi della Signora. Ma ad un viaggiatore, che l'avesse
veduta per la prima volta, ella avrebbe potuto parere non molto
dissimile da una attrice ardimentosa, di quelle che nei paesi separati
dalla comunione cattolica facevano le parti di monaca in quelle
commedie dove i riti cattolici erano soggetto di beffa e di parodia
caricata.
In quel momento ella ora, come abbiamo detto, ritta in piedi presso la
grata, appoggiata ad essa mollemente con una mano, intrecciando le
bianchissime dita nei fori di quella, e colla faccia alquanto curvata
osservando quelli che si presentavano, e specialmente Lucia.
——Reverenda madre, e signora illustrissima, disse il Padre Guardiano,
colla fronte bassa e colla destra tesa sul petto; ecco quella innocente
derelitta, per la quale imploro la sua valida protezione.——E sulle
ultime parole accennava alle donne che accompagnassero con atti e con
inchini la sua supplicazione; la povera Agnese, dopo d'aver fatto
al Padre un cenno del volto, che voleva dire: so quel che va fatto,
raddoppiava gl'inchini, rannicchiandosi e risorgendo come se una molla
interna la facesse muovere, e Lucia s'inchinò pure, da inesperta,
ma con una certa grazia, che la bellezza, la giovinezza e la purità
dell'animo danno a tutti i movimenti. La Signora curvò leggermente il
capo verso il Padre Guardiano, fece alle donne cenno della mano che
bastava, e ch'ella gradiva i loro complimenti, fece a tutti cenno di
sedersi, sedette, e sempre rivolta al Padre, rispose:——Ho appreso dai
miei antenati a non negare la mia protezione a chiunque la meriti: io
non ho da essi ereditato che il nome; e son lieta che anche questo
possa almeno essere buono a qualche cosa. È una buona ventura per me il
poter render servizio a' nostri buoni amici i padri cappuccini.——Queste
parole furono accompagnate da un sorriso, che ad altri avrebbe potuto
parere di compiacenza, ad altri di scherno. Il Padre Guardiano
si faceva a render grazie, ma la Signora lo interruppe:——Non mica
complimenti, Padre Guardiano; i servizj fatti agli amici hanno con
sè il loro guiderdone; e del resto, ad ogni evento, io non dubiterei
di far conto sul ricambio dei nostri buoni padri. Il mondo è pieno
di tristi e d'invidiosi: e nessuno può assicurarsi che non venga
un momento in cui possa aver bisogno di una buona testimonianza, e
d'aiuto.——Il Guardiano rispose premurosamente con una frase di gesti:
la prima parte della quale significava che la Signora non avrebbe
mai bisogno di nessuno, e la seconda che i padri avrebbero tenuto a
ventura[125] ogni occasione di far cosa grata alla Signora. Questa
proseguì:——Ma via, mi dica un po' più particolarmente il caso di questa
giovane, e così si vedrà meglio che si possa fare per essa.——
Lucia arrossò tutta e chinò la faccia sul seno.
——Deve sapere, reverenda madre, cominciò Agnese, che questa mia povera
figliuola, perchè io sono sua madre....——
Il Guardiano le gittò un'occhiata e interruppe:——Questa giovane,
signora illustrissima, mi è raccomandata da un mio confratello:
essa ha bisogno per qualche tempo di un asilo nel quale possa stare
sconosciuta, o nel quale nessuno ardisca toccarla; e questo per
sottrarsi a dei[126] gravi pericoli.——
——Pericoli! disse la Signora. Quali pericoli? di grazia, Padre
Guardiano. Mi dica la cosa per minuto: ella sa che noi altre monache
siamo vaghe di intendere storie.——
——Sono, rispose il Padre, pericoli dei quali la reverenda madre non
conosce nemmeno il nome, beata lei! e parlarne più distintamente
sarebbe offendere le purissime vostre orecchie e contaminare[127]
l'illibatezza dei vostri pensieri[128], Signora illustrissima.——
——Oh certamente!——rispose precipitosamente la Signora, senza molto
badare all'aggiustatezza della risposta, e si fece tutta di porpora.
Era verecondia? Chi avesse osservata una subitanea, ma viva espressione
di scherno e di dispetto, che accompagnò quel rossore, avrebbe potuto
dubitarne; e tanto più se lo avesse paragonato con quello che di tratto
in tratto saliva sulle guance di Lucia.
La Signora si alzò in fretta, come per avvicinarsi più alle donne, e
stava per rivolgere il discorso a Lucia, quando il Guardiano, temendo
di non aver mal detto, ripigliò così il discorso:——Non tutti i grandi
del mondo si servono dei doni di Dio a gloria di lui e a vantaggio del
prossimo, come fa la Signora illustrissima. Un cavaliere, prepotente
e senza timor di Dio, ha tentato ogni via, giacchè deggio pur dirlo,
per insidiare la castità di questa creatura, e dopo d'aver veduto che i
mezzi di lusinga gli andavano falliti, non temè di ricorrere alla forza
aperta, tentando insomma di farla rapire. Ma Dio[129] non l'ha lasciata
cadere in quei sozzi artigli, e le ha invece preparato un ricovero
sotto le ali incontaminate...——
——Ma voi, disse la Signora, rivolta repentinamente a Lucia,——voi
che dite di codesto signore? A voi tocca a dirci se egli era un
persecutore, e se aveva gli artigli sozzi.——
——Signora, madre, illustrissima, balbettò Lucia, che sarebbe stata
confusa a dover rispondere su questa materia, quando pure l'inchiesta
le fosse venuta da una persona sua pari e conosciuta. Ma Agnese venne
in soccorso,——Illustrissima signora, diss'ella, ella parla troppo
_alto_ per questa povera figliuola. Ma io posso far testimonio che la
mia Lucia aveva in orrore colui, come il diavolo l'acqua santa; voglio
dire, il diavolo era egli; ma ella mi compatirà se parlo male, perchè
noi siam gente come Dio vuole; del resto, questa povera ragazza aveva
un giovane che le _parlava_, un nostro pari, timorato di Dio, e bene
avviato, e se il signor curato avesse avuto un po' più di giudizio;
so che parlo d'un religioso, ma il Padre Cristoforo, amico intrinseco
qui del Padre Guardiano, è religioso al pari di lui e davvantaggio, e
potrà attestare...
——Voi siete ben pronta a parlare senz'essere interrogata, disse la
Signora, dando sulla voce ad Agnese.——Non so che fare dei parenti
che rispondono pei loro figliuoli.——Agnese voleva aprir bocca, ma
la Signora, con tuono ancor più brusco, riprese:——Zitto, zitto; le
vostre parole non servono a nulla.——Così dicendo, il suo aspetto
prendeva sempre più un non so che di sinistro, di feroce, che quasi
faceva scomparire ogni bellezza, o almeno la alterava, di modo che chi
avesse osservato quel volto in quel punto ne avrebbe conservata una
immagine disgustosa per sempre. I suoi guardi erano fissi sopra Agnese,
torvi e sospettosi, come se cercassero a raffigurare un nemico. E
continuò:——Voi fate conto forse, che perchè io son qui rinchiusa, fuori
del mondo, senza esperienza, mi si possa dare ad intendere qualunque
cosa. Povera donna! Appunto perchè son qui, sono men facile ad essere
ingannata su certe materie. Certo lo sposo che i parenti destinano ad
una figlia è sempre un uomo compito, e il monastero dove la vogliono
rinchiudere è così allegro! in così bella situazione! così tranquillo!
è un paradiso! Poveretti! portano invidia alla loro figlia; vorrebbero
anch'essi ritirarsi in quel porto di pace, ah! a far vita beata,
ma..... pur troppo son legati nel mondo. Scusi il mio caldo, Padre, ma
ella sa meglio di me, almeno ella deve saper troppo bene come vanno
queste cose, la menzogna la più imperterrita, la più persistente, la
più solenne è quella che sta sul labbro di colui che vuole sagrificare
i suoi figli, e far loro violenza. Questi sono i peccati contra i quali
si dovrebbe predicare: a costoro bisognerebbe minacciare l'inferno.——
A queste parole, la Signora si pose a sedere, tutta turbata, ed ognuno
si sarebbe avveduto che un pensiero, che i discorsi di Agnese avevan
fatto nascere, dominava allora la sua mente, e che gli affari di Lucia
non erano che un oggetto di considerazione secondaria.
Agnese intanto rimproverava alla figlia che il suo non saper parlare le
avesse tirata addosso questa tempesta; il Guardiano voleva pure animar
Lucia a parlare, ma questa, animata già dalla circostanza, si avvicinò
alla grata e in tuono modesto, ma sicuro, disse:——Reverenda signora,
quanto le ha detto la mia buona madre è la pura verità. Il giovane che
mi parlava, e qui arrossò, lo sposava io... di mio genio; mi perdoni
se parlo da sfacciata, ma è per difendere mia madre: e quanto a quel
signore...
——Buona fanciulla, interruppe la Signora, con voce raddolcita——credo
un po' più a voi, ma non vi credo ancora del tutto[130]. Vi ha due
linguaggi che si somigliano; quello che parte dal fondo del cuore,
e quello d'una figlia oppressa, che dice il falso per terrore, e
protesta di amare ciò ch'ella abborre più al mondo. Voglio sentirvi
da sola a sola. Padre Guardiano, se ella conoscesse per testimonianza
degli occhi suoi i casi di questa giovane, certo ch'io non istarei
ora in dubbio: ma ella non li conosce che per relazione: e per me,
piuttosto che servire alla violenza fatta ad una povera giovane...
——Il Padre Cristoforo, disse il Guardiano, che mi ha posto nelle mani
questo affare, è uomo tanto oculato, quanto lontano dal favorire una
violenza, ed alla sua asserzione io credo quanto ai miei occhi. Stimo
però cosa molto savia, che la Signora illustrissima esamini col suo
senno consumato questa faccenda, e spero che l'esame, mostrandole la
verità dell'esposto, la determinerà ad accordare il suo appoggio a
questa famiglia perseguitata.
——Lo spero, rispose la Signora, con una placidezza garbata, e come
desiderosa di far dimenticare il trasporto passato: lo spero, e quel
poco ch'io potrò fare prego il Padre Guardiano di attribuirlo in gran
parte alla sua intromissione. Per ora ecco quello che mi sovviene di
poter fare. La fattora del monastero ha collocata da pochi giorni
l'ultima sua figliuola. Questa giovane potrà occupare la stanza
abbandonata da quella, e supplire ai pochi servizi ch'ella faceva.
Ne parlerò colla madre Badessa, ma da quest'ora le do la cosa per
fatta, sempre che Lucia ne sia contenta.——Il Guardiano proruppe in
ringraziamenti, che la Signora troncò gentilmente, ma lasciando però
capire ch'ella faceva assegnamento sulla riconoscenza dei cappuccini.
Chiamò quindi una delle monache che le facevano da damigelle, e datole
le opportune istruzioni, disse ad Agnese che andasse alla porta del
chiostro, per intendersi colla monaca e colla fattora, e per andar
quindi a disporre l'alloggio che sarebbe destinato a lei ed a Lucia.
Il Padre si congedò, promettendo di ritornare ad informarsi della
decisione: le tre donne furono tosto a consulta, e Lucia rimase sola
con la Signora a subire l'esame[131].
Le parole della Signora nel colloquio che abbiamo trascritto non
annunciavano certamente un animo ordinato e tranquillo; eppure ella
s'era studiata in tutto quel colloquio per comparire una monaca come
le altre. Ma quando ella si trovò sola con Lucia, ella si studiava
tanto meno, quanto meno temeva le osservazioni di una giovane forese,
di quelle d'un vecchio cappuccino. Quindi i suoi discorsi divennero
sì stranj, per una monaca singolarmente, che prima di riferirli è
necessario raccontare la storia di questa Signora, e rivelare le
passioni e i fatti che renderanno tale il suo linguaggio.
Questi fatti sono tristi e straordinarj, e per quanto a quei tempi, di
funesta memoria, fossero comuni, molte cose che sarebbero portentose
ai nostri, l'autorità di un anonimo non avrebbe bastato a farci
prestar fede a quello che siam per narrare: frugando quindi, per
vedere se altrove si trovasse qualche traccia di questa storia, ci
siamo abbattuti in una testimonianza, la quale non ci lascia alcun
dubbio. Giuseppe Ripamonti, canonico della Scala, cronista di Milano,
etc. scrittore di quel tempo, che per le sue circostanze doveva essere
informatissimo, e negli scritti del quale si scorge una attenzione
di osservatore non comune, e un candore quale non si può simulare,
il Ripamonti racconta di questa infelice cose più forti di quelle
che sieno nella nostra storia; e noi ci serviremo anzi delle notizie
ch'egli ci ha lasciate per render più compiuta la storia particolare
della Signora. Queste cose però, quantunque rese più che probabili da
una tale testimonianza, e quantunque essenziali al filo del nostro
racconto, noi le avremmo taciute; avremmo anche soppresso tutto il
racconto, se non avessimo potuto anche raccontare in progresso un tale
mutamento d'animo nella Signora, che non solo tempera e raddolcisce
l'impressione sinistra che deggiono fare i primi fatti della Signora,
ma deve crear una impressione d'opposto genere e consolante. Avremmo,
dico, lasciato di pubblicare tutta questa storia, e ciò per non
offendere coloro ai quali il rimettere nella memoria degli uomini certe
colpe già pubbliche, ma dimenticate, quando non siano terminate con un
grande esempio, o con un gran pentimento, sembra uno scandalo inutile,
comunque uno le esponga. Senza esaminare il valore di questo modo di
sentire, noi lo avremmo rispettato, quando ciò non costava altro che
di sopprimere un libro. Che se poi altri volesse censurare queste
scuse come inutili, e ci accusasse di cader sempre in digressioni, che
rompono il filo della matassa e fermano l'arcolajo ad ogni tratto, egli
obbligherebbe chi scrive a fare una altra digressione, e a rispondergli
così: Il manoscritto unico, in cui è registrata questa bella storia
degli sposi promessi, è in mia mano: se la volete sapere, bisogna
lasciarmela contare a modo mio: se poi non vi curaste più che tanto di
sentirla, se il modo con cui è raccontata vi annojasse, giacchè dagli
uomini si può aspettar qualunque eccesso; in questo caso chiudete il
libro, e Dio vi benedica.
Il padre della infelice, di cui siamo per narrare i casi, era, per
sua sventura e di altri molti, un ricco signore, avaro, superbo e
ignorante. Avaro, egli non avrebbe mai potuto persuadersi che una
figlia dovesse costargli una parte delle sue ricchezze: questo gli
sarebbe sembrato un tratto di nemico giurato, e non di figlia sommessa
ed amorosa; superbo, non avrebbe creduto che nemmeno il risparmio fosse
una ragione bastante per collocare una figlia in luogo men degno della
nobiltà della famiglia; ignorante, egli credeva che tutto ciò che
potesse mettere in salvo nello stesso tempo i danari e la convenienza
fosse lecito, anzi doveroso; giacchè riguardava come il primo dovere
del suo stato il conservare l'opulenza e lo splendore: erano questi
nelle sue idee i talenti che gli erano stati dati da trafficare, e
dei quali gli sarebbe un giorno domandato ragione. Una figlia, nata
in tali circostanze, e destinata a dover salvare una tal capra e
tali cavoli, era ben felice se si sentiva naturalmente inclinata a
chiudersi in un chiostro, perchè il chiostro non lo poteva fuggire.
Tale fu il destino della Signora dal primo momento della sua vita; e
quando una donzella della signora Marchesa venne, con l'aria confusa
di chi confessa un fallo, a dire al signor Marchese: è una femmina;
il signor Marchese rispose mentalmente: è una monaca. Si pose quindi
a frugare il Leggendario, per cercarvi alla sua figlia un nome che
fosse stato portato da una santa, la quale avesse sortito natali
nobilissimi e fosse stata monaca; e un nome nello stesso tempo che,
senza essere volgare, richiamasse al solo esser proferito l'idea di
chiostro; e quello di Geltrude gli parve fatto apposta per la sua
neonata. Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le
furono posti fra le mani, e il padre, facendola saltare talvolta sulle
ginocchia, la chiamava per vezzo: madre badessa. A misura ch'ella
si avanzava nella puerizia, le sue forme si svolgevano in modo che
prometteva una avvenenza non comune agli anni della giovanezza, e
nello stesso tempo ne' suoi modi e nelle sue parole si manifestava
molta vivacità, una grande avversione all'obbedienza, e una grande
inclinazione al comando, un vivo trasporto pei piaceri e pel fasto.
Di tutte queste disposizioni il padre favoriva quelle soltanto che
venivano dall'orgoglio, perchè, come abbiam detto, lo considerava come
una virtù della sua condizione; egli era superbo della sua figlia, come
era superbo di tutto ciò che gli apparteneva, e lodava in essa gli
alti spiriti, la dignità, il sussiego, qualità tutte che manifestavano
un'anima nata a governare qualunque monastero. Della bellezza nè egli,
nè la madre, nè un fratello, destinato a mantenere il decoro della
famiglia, non parlavano mai[132]; e la Signora ne fu informata dalle
donzelle, alle quali prestò fede immediatamente. Benchè la condizione
alla quale il padre l'aveva destinata fosse conosciuta da tutta la
famiglia, e da tutti approvata, nessuno le disse però mai: tu devi
esser monaca. Era questa come una idea innata; e quando veniva il caso
di parlare dei destini futuri della fanciulla, questa idea si dava per
sottintesa. Accadde, per esempio, che alcuno della casa, correggendola
di qualche aria d'impero troppo oltracotante, le diceva: tu sei una
ragazzina, questi modi non ti convengono; quando sarai la madre
badessa, allora comanderai, farai alto e basso. Talvolta il padre le
diceva: tu non sarai una monaca come le altre, perchè il sangue si
porta da per tutto dove si va; e simili discorsi, nei quali la Signora
apprendeva implicitamente ch'ella aveva ad esser monaca.
Confusa con questa idea entrava però a poco a poco nella sua mente
un'altra, che per essere monaca era mestieri del suo assenso
volontario[133]; e che questa cosa, tanto certa, non era però fatta, e
che il farla, o non farla, sarebbe dipenduto da una sua determinazione:
ma queste due idee, un po' repugnanti, si acconciavano nella sua
mente come potevano: perchè se un uomo non dovesse star tranquillo
che dopo d'aver messe d'accordo tutte le sue idee, non vi sarebbe più
tranquillità. A sei anni fu posta in un monastero e per educazione
e per istradamento alla carriera che le era prefissa. Quale coltura
d'ingegno potesse riceversi a quei tempi in un monastero è facile
argomentarlo dalla coltura universale, e questa si può argomentare
dai libri che ci rimangono di quell'epoca. Ora, basti il dire che
nella prima metà del secolo decimosettimo non uscì, ch'io sappia, in
Milano[134] un libro, non dico insigne di pensiero[135], ma scritto
grammaticalmente[136]: di modo che dalla ignoranza universale si
può francamente supporre che alle giovani di quel tempo non si
sarà pensato ad insegnare nemmeno ciò che v'è di più chiaro, di
più liquido, di meglio digerito nelle cognizioni umane, la storia
romana. Ma quello che più importa di dire nel caso nostro si è, che
quella parte di educazione, che i fanciulli riuniti in comunità si
danno sempre fra di loro, operò nella Signora un effetto, contrario
direttamente alla intenzione ed ai disegni dei suoi. Fra le giovanette
educande, colle quali ella fu posta a vivere, erano alcune destinate
a splendidi matrimonj, perchè così voleva l'interesse delle famiglie
loro. Geltrudina, nutrita nelle idee della sua superiorità, parlava
magnificamente dei suoi destini futuri di badessa, e a quello
splendido, che la fantasia dei fanciulli vede sempre nella condizione
di quelli che comandano loro, la sua fantasia aggiungeva qualche cosa
di più[137], perchè le era stato detto tante volte: tu non sarai una
monaca come le altre. Ma ella s'accorse con maraviglia, e non senza
confusione, che alcune delle sue compagne non sentivano punto d'invidia
di questo suo avvenire, e alle immagini circoscritte e scarse che
può somministrare anche ad una fantasia adolescente il primato in
un monastero, opponevano le immagini varie e luccicanti di sposo, di
palagi, di conviti, di villeggiature, di veglie, di tornei, di abiti,
di carrozze, di livree, di braccieri, di paggi.
Queste immagini produssero nel cervello di Geltrudina quel movimento,
quel ronzìo, quel bollore che produrrebbe un gran paniere di fiori
appena colti collocati davanti ad un'arnia. Sulle prime ella volle
competere colle compagne, e sostenere la superiorità della condizione
che le era destinata; ma quanto più ella cercava di magnificare le
sue dignità future, tanto più le esponeva ad un terribile genere di
offesa, il ridicolo; sentimento che quelle spavalducce applicavano più
naturalmente e più saporitamente alle dignità che vantava Geltrude,
appunto perchè le vedevano esercitate dalle loro superiore, sorta di
persone per le quali la puerizia prova così facilmente l'ammirazione,
come lo scherno[138]. E quel che è peggio, Geltrudina non poteva
rivolgere le stesse armi contro le avversarie, perchè le ricchezze
e la voluttà non sono di quelle cose delle quali si ride in questo
mondo: si ride bensì di chi le desidera senza poterle ottenere, e di
chi ne usa sgraziatamente; e questo ridere mostra l'alta estimazione
in cui sono tenute le cose stesse: quei pochi che non le stimano, non
esprimono il loro giudizio con la derisione. Geltrudina quindi, per
non restare al di sotto, non aveva altro a rispondere se non che, ella
pure avrebbe potuto pigliarsi uno sposo, abitare un palagio, essere
strascinata, servita, corteggiata, che lo avrebbe potuto, se lo avesse
voluto, che lo vorrebbe, che lo voleva; e lo voleva infatti[139].
Quell'idea che le stava rannicchiata in un angolo della mente, che
il suo assenso era necessario perch'ella fosse monaca, e che questo
assenso dipendeva da lei, si svolse allora e divenne perspicua e
predominante[140]. Con questo pensiero ella si teneva bastantemente
sicura, ma non senza covare un sentimento d'invidia e di rancore
contra quelle sue compagne, le quali erano ben altrimenti sicure, e
ch'ella avrebbe amate, se la loro condizione non le fosse stata ad
ogni momento un confronto doloroso. Perchè questa sventurata non aveva
un animo ostile, non si dilettava naturalmente nell'odio; ma le sue
passioni erano tanto violente e tanto delicate, ella le idolatrava
tanto, che tutto ciò che poteva essere ad esse di ostacolo, offenderle,
contristarle, diveniva per lei oggetto di avversione, e sarebbe stato
vittima del suo furore quand'ella avesse potuto impunemente sfogarlo.
In questo stato di guerra mentale giunse Geltrudina a quell'età
così perigliosa, che separa l'adolescenza dalla giovinezza[141]; a
quella età, in cui una potenza misteriosa entra nell'animo, solleva,
ingrandisce, adorna, rinvigorisce, raddoppia di forza tutte le
inclinazioni e tutte le idee che vi trova, sovente aggiungendovene una
nuova, tutta in nebbia; e che talvolta fa sì che quella nuova e tutta
in nebbia trasmuti tutto l'essere morale[142]. Assoluta innocenza
di pensiero, massime e pratiche di Religione ragionata, occupazioni
utili e interessanti, esercizj frequenti e dilettevoli del corpo,
confidenza rispettosa e libera nei parenti e negli educatori, sono i
mezzi sicuri per trascorrere impunemente quella età perigliosa, e per
formare una mente tranquilla, saggia e forte contra i pericoli della
giovinezza e di tutta la vita[143]. Pochissimi lavori, e lo studio
del canto sopra parole d'una lingua sconosciuta, non erano esercizj
che potessero impadronirsi della mente di Geltrude, e trattenerla
dal vagare in un mondo ideale. Gli esercizj corporali consistevano
in un giro quotidiano dell'orto claustrale[144]. La confidenza e la
comunicazione delle idee era quale può trovarsi con persone le quali
non pensano a conoscere un animo per dirigerlo nella sua scelta, ma
a fissarlo in una scelta già destinata. E quanto alla Religione, ciò
che è in essa di più essenziale, di più intimo, ciò che fa resistere
alle passioni e vincerle con una dolcezza superiore d'assai a quella
che le passioni soddisfatte possono arrecare, ciò che preserva
dalla corruttela, e mette in avvertenza anche contra i pericoli non
conosciuti, non era stato mai istillato, nè meno insegnato, alla
picciola Geltrude; anzi il suo intelletto era stato nodrito di pensieri
opposti affatto alla Religione. Non vogliamo qui parlare d'alcuni
pregiudizj[145], che a quei tempi principalmente si ritenevano per
verità sacrosante, e s'insegnavano insieme con la verità; pregiudizj
non del tutto estirpati, e Dio sa quando lo saranno; pregiudizj
dannosi, principalmente perchè nella mente di molti associano all'idea
della Religione quella della credulità e della sciocchezza, e dei quali
perciò ogni onesto deve desiderare e promuovere la distruzione, ma
pregiudizj che in gran parte non tolgono l'essenziale, e si possono
conciliare con un sentimento di pietà, profonda e sincera, e con una
vita non solo innocente, ma operosa nel bene, e sagrificata all'utile
altrui, del che tanti esempj hanno lasciati i tempi trascorsi, e ne
offrono fors'anche i presenti. Ma, come abbiamo veduto, i parenti
di Geltrude l'avevano educata all'orgoglio, a quel sentimento cioè
che chiude i primi aditi del cuore ad ogni sentimento cristiano,
e gli apre tutte le passioni. Il padre principalmente, che aveva
destinata questa poveretta al chiostro prima di sapere s'ella sarebbe
stata inclinata a chiudervisi, aveva talvolta pur fatta tra sè e sè
questa obbiezione, che forse Geltrude non vi sarebbe stata inclinata:
caso difficile, ma non impossibile; e contra il quale era d'uopo
premunirsi. Supponendo adunque che Geltrude, allettata dalla vita del
secolo, avesse voluto rimanervi, bisognava trovar qualche cosa che
la allettasse ad abbandonarlo, per non usare della semplice forza,
mezzo di esito incerto, sempre odioso e che poteva lasciar qualche
dispiacere nell'animo del padre, il quale alla fine non desiderava che
la sua figlia fosse infelice, ma semplicemente ch'ella fosse monaca. Il
marchese Matteo non era uomo di teorie metafisiche, di disegni aerei:
non aveva perduto il suo tempo sui libri, ma conosceva il mondo, era
un uomo di pratica, quel che si chiama un uomo di buon senso; teneva
che bisogna prendere gli uomini come sono, e non pretendere da essi gli
effetti di una perfezione ideale; e che senza l'interesse l'uomo non
si determina a nulla in questo mondo. Così, per venire all'interesse
che il secolo poteva offrire a Geltrude, egli si era studiato di far
nascere nel suo cuore quello della potenza e del dominio claustrale.
Egli aveva pensato ed operato colla dirittura e colla sapienza squisita
d'un uomo il quale desse il fuoco alla casa di un nimico, posta
accanto alla sua, con la intenzione che quella sola dovesse andare in
fuoco ed in faville. Ma il fuoco, appiccato ch'ei sia, non si lascia
guidare dalle intenzioni dell'incendiario, va dove il vento lo spinge,
e si trattiene a divorare dove trova materia combustibile; e le
passioni, svegliate una volta, non ricevono più la legge di chi le ha
ispirate, ma si volgono agli oggetti che la mente apprende come più
desiderabili. L'orgoglio di giovane, vagheggiata, adorata, supplicata
con umili sospiri, di sposa ricca e fastosa, di padrona che comanda a
damigelle ed a paggi, ben vestiti, era ben più dolce che l'orgoglio
di madre badessa, e in quello tutta s'immerse la fantasia orgogliosa
di Geltrudina. Cominciò dunque a far castelli in aria, a figurarsi un
giovane ai piedi, a levarsi spaventata e fuggire, dicendo: come ha
ella ardito di venir qui? e non ricordava più che il giovane senza
una sua chiamata non sarebbe certo venuto a disturbarla. Ma quella
fuga e quell'asprezza non erano a fine di scacciarlo daddovero: il
giovane non perdeva coraggio; nascevano nuovi casi, e tutto finiva col
matrimonio, come la più parte delle commedie. Richiamava alla memoria
quel poco che aveva veduto dei passeggi della città, e vi girava in
carrozza, innanzi indietro; ripensava la casa domestica, le anticamere,
le livree, il comando, e rifaceva tutto per suo uso, ma in un modo
più splendido. Questi pensieri l'assediavano nel dormitorio, nel
refettorio, nell'orto, nel coro[146]; ella confrontava col brillante
di essi, lo squallido che aveva sottocchio, e si confermava sempre più
nel proposito di non dire quel sì, che si aspettava da lei. Le monache
si accorsero di questa sua risoluzione, ch'ella non cercava nemmeno di
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