Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, vol. I - 08

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vedere[268].
Tradizioni simili a queste hanno i maomettani, i quali narrano che
Enoch, da essi chiamato Edris, ed Elia (Kheder, Khidr)[269] trovarono
la fontana di vita, e avendo bevuto delle sue acque non conobbero
la morte: essi sono pressochè sempre in moto per vegliare alla
sicurezza dei pellegrini che si recano alla Mecca, e solo di tanto
in tanto riposano in un paradiso ripieno di tutte le delizie[270]. Il
viaggiatore Abulfauaris dei _Mille ed un giorno_ trova Elia e Kheder
(qui Kheder è diverso da Elia) in un paradiso serbato agli amici e
discepoli del profeta[271].
Enoch ed Elia compaiono di solito vecchissimi, sebbene questa loro
vecchiezza male s'accordi con la credenza che nel Paradiso terrestre
fosse la fontana di giovinezza[272]. Essi non sono mai morti, e serbano
il corpo che già ebbero mentre furon tra gli uomini; ma non per questo
si sottrarranno alla comune e inflessibil legge cui è soggetta tutta
la discendenza d'Adamo. La morte loro è solamente differita. Alla fine
dei tempi essi torneranno sulla terra d'esilio, e combatteranno contro
l'Anticristo, e saranno uccisi da lui, ma per risuscitare poco dopo, ed
essere assunti alla gloria eterna del cielo. Questa credenza suggerita,
per una parte, dalla opinione che i due santi dovessero, come tutti
gli altri uomini, andar soggetti alla morte e alla risurrezione, e per
un'altra, da ciò che nell'Apocalissi è detto[273] di due testimoni
non nominati, i quali saranno uccisi dalla bestia diabolica e poi
risusciteranno, questa credenza ebbe tra' cristiani grandissima
diffusione. Non senza variare tuttavia in parecchi particolari. Così
qualche scrittore aggiunse terzo campione ai due primi San Giovanni;
altri fece compagno ad Elia, non già Enoch, ma Mosè, o Geremia, o
Eliseo; altri parlò del solo Elia[274]. I rabbini favoleggiarono
di un ritorno di Elia pel tempo della venuta del Messia, e poi pel
tempo della irruzione dei popoli di Gog e Magog. Non sarà fuor di
luogo ricordare a questo proposito che Lao-Tseu si tolse agli occhi
degli uomini ritraendosi sulle cime del Kuen-lun, ov'è il paradiso
dei Cinesi; e che la rimozione, o segregazione (quella che i Tedeschi
chiamano _Entrückung_) degli eroi, o di altri personaggi tra l'umano e
il divino, è tema comune la molte mitologie[275].
Nell'Evangelo di Nicodemo Enoch ed Elia accolgono nel Paradiso
terrestre le anime che Cristo ha liberate dall'Inferno, e a capo delle
quali è Adamo[276]. Che quel Paradiso dovesse esser luogo di dimora pei
giusti e per gli eletti, fu opinione seguitata da molti, così tra gli
ebrei come tra' cristiani, e assai naturalmente suggerita dal pensiero
che le anime riscattate da Cristo dovessero racquistare quanto la
diabolica frode aveva fatto loro perdere. Sant'Isidoro Pelusiota (sec.
V) dice che i giusti risorti saranno accolti da Cristo nel Paradiso
terrestre, come nella propria lor patria, dalla quale li ha esclusi
il peccato[277]; e nel già più volte citato _Combattimento di Adamo_
Dio promette al peccatore che il giorno in cui scenderà nel regno dei
morti, e spezzerà le ferree porte dell'Inferno, condurrà le anime dei
giusti nel giardino di beatitudine[278].
Ma la credenza prese, come si può bene immaginare, più forme, e se
da molti fu accolta, fu pure da molti contraddetta. Nel _Libro di
Enoch_, il quale, non tenendo conto di certe aggiunte posteriori, fu
composto, secondo la più probabile opinione, oltre a cent'anni prima
di Cristo, è fatta menzione del giardino ove abitano i giusti e gli
eletti, e tale giardino è, senza dubbio, quello stesso di Adamo[279].
Nel racconto di Rabbi Giosuè, figliuolo di Levi, ricordato di sopra, e
in un altro racconto rabbinico, ove si narra un'avventura di Alessandro
Magno, e del quale dovrò far parola più innanzi, si dice similmente
che il Paradiso terrestre è luogo di dimora ai giusti, e nel secondo si
soggiunge, sino all'universale Giudizio[280].
Tra' cristiani, i più di coloro che pensarono dovere i giusti aver
ricetto nel Paradiso terrestre, asserirono che questo loro soggiorno
sarà temporaneo, e durerà solo sino alla risurrezione e al Giudizio,
dopo il quale ascenderanno in cielo. Taluno di essi volle usata ai
soli martiri cotal grazia; mentre altri, o sostennero la opinione che
giusti e rei sono accolti in un luogo medesimo sino al novissimo dì, o
concedettero ai giusti d'entrare nel Paradiso celeste immediatamente
dopo la morte[281]. Quest'ultima opinione trionfò dopo il V secolo,
e riuscirono vani gli sforzi con cui Giovanni XXII tentò di far
prevalere la contraria dottrina, che gli eletti non saranno ammessi
alla beatifica visione di Dio se non dopo il Giudizio universale.
Ciò nondimeno, questa dottrina, che l'Università di Parigi condannò
come ereticale nel 1240, si vede implicitamente professata in alcune
leggende, delle quali dovrò dire più oltre, e in parecchie Visioni. In
esse, il luogo ove i giusti attendono il gran giorno, è talvolta il
Paradiso terrestre, espressamente nominato, e talvolta un luogo non
nominato, che può essere, o non essere, secondo i casi, il Paradiso.
Beda narra di un uomo di Nortumbria che, pellegrinando nel mondo di là,
giunse a una pianura fiorita e ridente, innondata di luce, chiusa da
altissimo muro, e popolata da innumerevoli beati vestiti di bianco, i
quali, non essendo stati perfetti in vita, attendono ivi il Giudizio.
Non dice che fosse quello il Paradiso terrestre[282]. Nel racconto di
cert'apparizione, riferito da Gervasio da Tilbury, è fatto cenno di un
Purgatorio nell'aria, e di un altro luogo, più remoto dalla terra, dove
le anime dei giusti aspettano il novissimo giorno[283]. Il monaco di
Evesham, di cui narra la Visione Matteo Paris[284], trovò dopo essere
uscito dai luoghi di punizione, anime beate, che soggiornavano in campi
luminosi e fiorenti, separati dal Paradiso da un muro di cristallo.
Nella Visione di Tundalo si parla di anime non abbastanza buone per
meritare il cielo, le quali si stanno esultanti in una dilettosa
campagna; ma non è detto che questa campagna sia il Paradiso terrestre,
sebbene possa farlo credere la fontana di vita che vi si trova[285].
Per contro nell'_Apocalypsis Pauli_ sono anime beate, le quali
aspettano nel Paradiso terrestre il giorno del Giudizio, in compagnia
di Enoch ed Elia[286]; e il medesimo si ha nella leggenda del Pozzo di
San Patrizio, nella Visione di Frate Alberico e in altre[287].
Quel Thurcill, di cui narra la Visione il testè ricordato Matteo
Paris[288], trovò nel Paradiso terrestre, seduto appiè di un albero
meraviglioso, accanto alla fonte da cui scaturiscono i quattro
fiumi, il primo padre Adamo, il quale sembrava ridere con un occhio e
pianger con l'altro, ed era coperto di una veste di più colori e di
meravigliosa bellezza. Egli rideva pensando ai discendenti suoi che
andrebbero a vita eterna, e piangeva pensando a quelli che andrebbero
a eterna dannazione. La sua veste non era intera, ma andava crescendo
per le virtù dei giusti, simboleggiate nei colori di quella: quando
sarà tutta compiuta il mondo avrà fine. Una Visione molto simile a
questa narra di un novizio cistercense Vincenzo di Beauvais[289],
il quale ne trae il racconto da Elinando. Qui nulla è detto di altri
eletti che si trovino nel Paradiso; ma non si esclude che ci sieno.
Altrove si ha notizia di altri particolari eletti, di cui si recano i
nomi, sia poi che ad essi diensi pochi compagni soltanto, o moltissimi,
quanti possono essere i giusti. I rabbini nominano di proposito, oltre
ad Enoch ed Elia, il Messia che deve venire, Elieser, servitore di
Abramo, Hiram, re di Tiro, il quale, montato in superbia, ne fu espulso
e precipitato nell'Inferno, e alcun altro, nove o tredici in tutto.
Nell'_Apocalypsis Pauli_ è fatto speciale ricordo, oltrechè della
Vergine Maria, la quale non è da considerare come abitatrice ordinaria
del Paradiso terrestre, e di Enoch e di Elia, anche di Abramo,
d'Isacco, di Giacobbe, di Giuseppe, di Mosè, d'Isaia, di Geremia, di
Ezechiele e di Noè. Frate Alberico dice che di coloro che sono nel
Paradiso San Pietro gli nominò soltanto Abele, Abramo, Lazzaro e il
buon ladrone. L'ingresso del buon ladrone nel Paradiso terrestre è
descritto nell'Evangelo di Nicodemo, dove si dice pure che dei redenti
da Cristo egli fu il primo a penetrarvi[290]. Altrove sono ricordati
i nomi di Giosuè, di Salomone[291], e, con assai maggior frequenza di
San Giovanni evangelista. Credevasi generalmente che in conformità
di alcune parole pronunziate da Gesù a suo riguardo (_Sic eum volo
manere donec veniam_[292]) l'apostolo prediletto non fosse mai morto,
e aspettasse, per ricomparire, il ritorno del suo maestro. Gregorio
di Tours racconta che San Giovanni si fece seppellir vivo e che dal
suo sepolcro scaturiva manna[293] Isidoro di Siviglia ripete questa
notizia, e dopo lui la ripetono parecchi, alterandola più o meno; e
fra i parecchi sono Brunetto Latini e il Mandeville, il quale ultimo
non dice cosa punto nuova quando dice che il santo era stato portato
in Paradiso, e nel sepolcro suo non si trovava se non manna[294].
L'Ariosto, facendo accogliere Astolfo da San Giovanni nel Paradiso
terrestre, si conformava a modo suo a una tradizione assai antica[295].
Un'altra leggenda fa entrar San Giovanni nella numerosa famiglia
dei _Dormienti_, e narra che l'apostolo dorme in una caverna vicina
ad Efeso, aspettando le ultime battaglie della fede e il ritorno di
Cristo.
Secondo una opinione che discorda da tutte le precedenti, gli eletti
non entreranno nel Paradiso terrestre, il quale alle volte diventa
tutt'uno col celeste, se non dopo il Giudizio universale[296]. Da altra
banda i chiliasti pensarono che tutta la terra dovesse diventare, in
certo qual modo, Paradiso terrestre durante i mille anni del regno di
Cristo, prima dell'ultimo sovvertimento finale.
Ma il beato giardino non fu abitato solamente da uomini: esso fu ancora
abitato da bruti, i quali vincevano di molto in dignità, in bellezza ed
in senno i loro simili della terra d'esilio, ed erano per ogni rispetto
tali da aggiunger vaghezza alla santa dimora. Non solo mostravansi
pieni di benignità e mansuetudine[297]; ma ancora, secondo afferma
San Basilio, parlavano assai sensatamente; e la leggenda maomettana
racconta che il cavallo Meimun rinfacciò ad Adamo, suo signore, il
commesso peccato. Com'è noto, nel paradiso di Maometto sono parecchi
animali, fra gli altri il cammello del Profeta, e l'asino su cui Gesù
entrò in Gerusalemme; e una leggenda tedesca narra di un paradiso
degli animali, dove questi, sotto la tutela di Dio, vivono in piena
tranquillità ed innocenza[298]. Vogliono alcuni che tutti gli animali
parlassero in origine, e che perdessero la favella in séguito al
peccato.
Fra gli animali del Paradiso tengono il principal luogo gli uccelli,
i quali empiono tutto il giardino dei loro dolcissimi canti. Non è
descrizione del santo luogo che non ricordi espressamente, insieme
con l'altre, anche questa delizia; e in più leggende particolari è
detto tale essere l'armonia e la soavità di quei canti da forzare al
sonno chiunque li ascolti. L'uccello del Paradiso è spesso descritto
nel medio evo per la sua gran bellezza, e il nome suo indica la sua
presunta origine[299]. Francesco da Barberino scrive meraviglie di due
uccelli bianchi che sono nel Paradiso terrestre[300] e una leggenda
dei Copti cristiani narra che il gallo fu messo in Paradiso per aver
rivelato a Cristo il tradimento di Giuda[301].
Ma di quanti uccelli poterono ornare e rallegrare di lor presenza il
Paradiso, il più mirabile fu, senza dubbio, la Fenice, quell'unica e
immortale Fenice, di cui tanto aveva favoleggiato l'antichità, e di cui
tanto ancora doveva favoleggiare il medio evo. Le ragioni che dovevano
favorire, anzi richiedere, l'introduzione della Fenice nel Paradiso son
quelle stesse che noi abbiam già veduto operare in altri casi analoghi:
tutto quanto si sottraeva alla morte, a quella morte ch'era apparsa
nel mondo come un effetto del peccato, apparteneva in certo qual modo
al Paradiso, stanza naturale dell'innocenza e della vita. I rabbini
spiegarono la immortalità della Fenice narrando che tutti gli uccelli
mangiarono, insiem con Eva, del frutto proibito, salvo quella, che
perciò rimase immortale[302]. Per i Dottori cristiani il meraviglioso
uccello diventò un vivente simbolo della risurrezione, del rinnovamento
mediante il battesimo, della felicità restaurata, della vita eterna, e
sono senza numero quelli che ne parlano. Come di simbolo ne usò l'arte
cristiana sino dai primi tempi, ritraendo la immagine sua sopra monete,
in sepolcri, in mosaici; ponendola accanto a quelle di Cristo e dei
santi; facendone più tardi una figura del Redentore medesimo[303].
Secondo Alcimo Avito, la Fenice raccoglie in Paradiso gli aromati con
cui forma il vitale suo rogo. Non m'indugerò a ripetere le descrizioni
che di essa si leggono nei _Bestiarii_, e in altri trattati del medio
evo, come sarebbe il _Tresor_ di Brunetto Latini. Dirò solo che della
sua esistenza nessuno dubitava; che il Prete Gianni asseriva d'averla
in quel suo fortunato paese; e che il Mandeville, il quale pretende
d'averla veduta due volte, la dipinge più grossa d'un pavone, con una
specie di corona in capo, le ali e la coda color di porpora, il dorso
turchino, e tinta di tutti i colori dell'arcobaleno quando il sole la
illumina. Il Petrarca vide un giorno, sognando desto,
Una strania fenice, ambedue l'ale
Di porpora vestita e 'l capo d'oro[304];
ma il Tasso, il quale osa dirla
Augello eguale alle celesti forme,
ne fa una pittura ben più pomposa nel poemetto che appunto s'intitola
_La Fenice_[305]. Nè m'indugerò a dire dell'altre sue meraviglie; del
modo che teneva per abbruciarsi, anzi per rinnovarsi; e del tempo che
si diceva passare tra uno e un altro rinnovamento, e che varia, secondo
le opinioni, da 500 a 7000 anni. Noterò solamente, parendomi abbia più
stretta relazione col nostro argomento, che le fu attribuita anche una
certa virtù curativa, conveniente, del resto, alla natura del luogo
ove credevasi da molti ch'essa dimorasse. Secondo certa versione di una
leggenda che io ho già ricordata più sopra[306], i tre figliuoli del re
infermo vanno in cerca, non della fontana di giovinezza, o di vita, ma
della Fenice, che restituisca la sanità al padre loro[307].
Un'altra finzione fece compagno della Fenice, nel Paradiso terrestre,
il pellicano, simbolo anch'esso di Cristo, che dà col proprio sangue la
vita ai peccatori.
Certi monaci, della cui leggenda ho già fatto cenno e dovrò dar
ragguaglio più oltre, videro nel Paradiso, fra molt'altre meraviglie,
«una fontana lunga uno quinto miglio, et era ampia secondo che
rispondeva alla grandezza (_lunga e larga per spazio di miglia cinque_,
secondo altre redazioni) et era piena di pesci, i quali cantavano
tanto dolcemente, che quasi ogni creatura umana vi sarebbe dormentata,
tanto era soave e dolce a udire. E questo canto facevano a certe ore
canoniche del dì, quando udivano cantare gli angioli del Paradiso».
E basterà degli abitatori.

NOTE:
[190] Inventore dei preadamiti fu ISACCO DE LA PEYRÈRE (1594-1676),
il quale, fondandosi sopra un passo della Epistola di San Paolo ai
Romani, mise fuori la opinione che uomini fossero esistiti prima di
Adamo, e la sostenne in un libro stampato la prima volta nel 1653, e
intitolato _Preadamitae, sive exercitationes super vv. 12, 13 et 14,
cap. V, epistolae D. Pauli ad Romanos_. Questa opinione suscitò grande
scandalo e infinite dispute, e diede materia a numerosi libri, alcuni
dei quali scritti in tempi assai prossimi a noi. Eccone alcuni: FILIPPO
LE PRIEUR (sotto il nome di EUSEBIO ROMANO), _Animadversiones in librum
praeadamitarum_, Parigi, 1656; HILPERT, _Disquisitio de praeadamitis_,
Amsterdam, 1656; HULSIUS, _Non-ens prae-adamiticum, sive confutatio
vani cujusdam somnii, quo quidam Anonymus fingit ante Adamum primum
homines fuisse in mundo_, Lugduni Batavorum, 1656; GELPKE, _Ueber die
Erde oder das Menschengeschlecht vor Adam_, Braunschweig, 1820.
[191] _Das Buch der Jubiläen_, trad, dall'etiopico e pubblicato da A.
DILLMANN, nei _Jahrbücher der biblischen Wissenschaft_ dell'Ewald,
voll. II e III, Gottinga, 1849-51 (Lo stesso Dillmann pubblicò
poi anche il testo etiopico, Lipsia, 1859). Frammenti di un'antica
traduzione latina pubblicò il CERIANI, _Monumenta sacra et profana ex
codicibus praesertim Bibliothecae Ambrosianae_, t. I, Milano, 1861. H.
RÖNSCH ripubblicò i frammenti dell'Ambrosiana unitamente alla versione
latina del Dillmann, accompagnandoli di osservazioni e d'indagini:
_Das Buch der Jubiläen oder die Kleine Genesis_, Lipsia, 1874. Dalla
_Piccola Genesi_ Sincello e Cedreno attinsero parte dei racconti loro
concernenti Adamo ed Eva.
[192] _Das christliche Adambuch des Morgenlandes_, tradotto
dall'etiopico e pubbl. da A. DILLMANN, nei _Jahrbücher_ citati, vol.
V, 1853; traduzione francese in MIGNE, _Dictionnaire des apocryphes_,
Parigi, 1856-8, vol. I. Il testo arabico etiopico fu pubblicato dal
TRUMPP nelle _Abhandl. d. k. bayer. Akad. d. Wiss._, I Cl., vol. XV,
1881. Di questo importantissimo apocrifo dice il Renan nello scritto
qui sotto citato, p. 470: «C'est une sorte de chronique s'étendant
depuis Adam jusqu'à J. C., et où l'on a cherché à grouper toutes les
fables répandues en Orient sur Adam, le paradis terrestre et la vie des
premiers patriarches».
[193] RENAN, _Fragments du livre gnostique intitulé Apocalypse d'Adam,
ou Pénitence d'Adam, ou Testament d'Adam, publiés d'après deux versions
syriaques, Journal asiatique_, serie Vª, vol. II (1853), pp. 427-71;
MIGNE, _Dict. des apocr._, vol. I. Parti di questo racconto, o di
racconti affini, passarono nelle Storie di Sincello e di Cedreno, negli
Annali di Eutichio, nelle Istorie di Abû 'l-Faragi e di Dionigi di
Telmahar. Di essi dice il Renan (p. 470): «Il faut supposer évidemment
que ces traditions apocryphes formaient une sorte de fonds légendaire
commun à toutes les chrétientés de l'Orient, sans rédaction bien
arrêtée». Che a così fatti racconti abbia attinto anche ELMACIN, per
la sua _Historia saracenica_, afferma, forse sulla fede di manoscritti,
il Renan. A me non riuscì di trovar nulla nella stampa di Leida, 1625.
Nella _Historia compendiosa dynastiarum_ di ABÛ 'L-FARAGI, Oxford,
1663, n'è entrato ben poco.
[194] _Codex Nasaraeus Liber Adami appellatus_, ed. da M. NORBERG,
Hafniae, s. a. Il testo siriaco è accompagnato da una versione latina:
una versione francese in MIGNE, _Dict. des. apoc._, vol. I.
[195] Tradotta pressochè per intero da G. FUERST, nel _Literaturblatt
des Orients_, anno 1850, nn. 45-46; pubblicata integralmente dal
TISCHENDORF, _Apocalypses apocryphae_, Lipsia, 1866, e scema, di su un
codice ambrosiano, dal CERIANI, _Monumenta sacra_, t. V, 1868.
[196] W. MEYER, _Vita Adae et Evae, Abhandl. d. k. bayer. Akad. d.
Wiss. zu München_, I Cl., t. XIV, parte 3ª, 1879. Di questa Vita
esistono manoscritti del secolo VIII. Il Meyer istituisce un confronto
fra essa e la Vita greca, cui serba il nome di Apocalissi. Le due sono
dissimili nella prima metà, molto simili nella seconda. L'editore viene
a questa conclusione, che entrambe derivano da un testo unico, opera di
un Ebreo anteriore a Cristo, e porge una lista delle traduzioni e dei
rifacimenti della Vita latina (pp. 25 sgg.). Vedi inoltre: _The Lyfe of
Adam; The Lyfe of Adam and Eve; Vita prothoplausti_ (sic) _Ade_ pubbl.
da C. HORSTMANN nell'_Archiv für das Studium der neueren Sprachen und
Literaturen_, vol. LXXIV, pp. 345 sgg., 353 sgg.; vol. LXXIX, pp. 459
sgg. Intorno a racconti francesi, vedi MOLAND, _Origines littéraires
de la France_, Parigi, 1862, pp. 72 sgg. Una _Vie Adam et Eve_ in
prosa, trascritta nel 1576 da un Jehan Carton, si ha nel ms. M, VI,
7 della Nazionale di Torino. Di Adamo ed Eva lungamente si parla in
parecchi capitoli del primo titolo della prima parte delle _Istorie_
di SANT'ANTONINO, arcivescovo di Firenze. Molte favole riferisce il
FABRICIO, _Codex pseudepigraphus Veteris Testamenti_, Amburgo, 1722-3.
[197] Ricorderò, come degne di particolare menzione, le Istorie di
Taberi.
[198] Nella prima Epistola ai Corinzii, XV, 45 sgg., San Paolo oppone
all'Adamo terrestre un Adamo celeste.
[199] WEIL, _Biblische Legenden der Muselmänner_, Francoforte, s. M.,
1845, p. 12.
[200] GIUSEPPE FLAVIO, _Antiq. jud._, l. I, cap. I, 2; TERTULLIANO,
_De carne Christi_, cap. 17; IRENEO, _Adversus haereses_, l. III,
cap. 32. Cf. KÖHLER, _Die Erde als jungfräuliche Mutter Adams_, nella
_Germania_, anno 1862, pp. 476-80.
[201] _Sermo V de Natali Domini._
[202] Questa enumerazione è data come di Metodio, vescovo di Tiro
nel terzo secolo, ma non se ne ha traccia negli scritti suoi, o a lui
attribuiti. Vedi P. PARIS, _Les manuscrits françois de la Bibliothèque
du roi_, vol. IV, p. 207. Cf. GRIMM, _Deutsche Mythologie_, ediz.
cit., vol. I, p. 470; _Adam de octo partibus creatus, Zeitschrift für
deutsches Alterthum_, vol. XXIII, pp. 353-7; KÖHLER, _Adams Erschaffung
aus acht Theilen_, nella _Germania_, anno 1862, pp. 350-4. Nel trattato
ebraico intitolato _Sefer Yesira_, si dice che la testa dell'uomo
è fuoco, il cuore aria, il ventre acqua. _Commentaire sur le Séfer
Yesira ou Livre de la création par le_ GAON SAADYA DE FAYYOUM, _publié
et traduit par_ Mayer Lambert, _Bibliothèque de l'École pratique des
hautes études_, fasc. LXXXV, 1891, p. 7. Ivi stesso le varie parti del
corpo sono messe in relazione con le lettere dell'alfabeto, a ciascuna
delle quali è attribuita speciale virtù.
[203] _De placitis philosophorum_, l. IV, cap. 4.
[204] In una vita inglese di Adamo, pubblicata dal Horstmann (_Archiv
für das Studium der neueren Sprachen_, vol. LXXIV, pp. 345 sgg.), si
dice in principio, che Adamo fu creato dove Cristo nacque, in Betlemme,
ch'è nel centro della terra.
[205] _Adversus haereses_, l. V, cap. 5. Un racconto molto
particolareggiato della creazione di Adamo porge MASÛDI, _Les
prairies d'or_, trad. dall'arabico da C. Barbier de Meynard e Pavet de
Courteille, Parigi, 1861 sgg., vol. I, pp. 51-4.
[206] Vedi l'apocrifo evangelo di San Giovanni, nel libro del BENOIST,
_Histoire des Albigeois_, Parigi, 1691, vol. I, pp. 283-96. Si nota
qualche varietà nelle dottrine dei catari a questo proposito.
[207] Che in una delle tradizioni entrate a formare il racconto
biblico si alluda, conformemente a quanto si vede in altre mitologie,
all'androgino, è più che probabile. Cf. LENORMANT, _Les origines de
l'histoire_, etc., vol. I, pp. 54-6. Una lunga lista di rabbini che
tennero quella opinione reca H. OTHO, _Lexicon rabbinicum_, Ginevra,
1675, p. 176.
[208] Vedi [LALANNE], _Curiosités littéraires_, Parigi, 1845, pp. 211-2.
[209] MATTEO, XIII, 43: _Fulgebunt justi sicut sol in regno Patris
eorum_; CESARIO, _Op. cit._, dist. XII, cap. 54.
[210] _Talmud de Jérusalem_, tratt. _Berakhoth_, cap. IX, 9 (ediz.
cit., vol. I, pp. 489-90); _Talmud de Babylone_, tratt. _Berakhoth_,
sez. VIII (ediz. cit., vol. II, pp. 330 sgg.). Per questa, ed
altre consimili fantasie dei rabbini, rimando alle già citate opere
dell'Eisenmenger e del Bartolocci; al BUXTORF, _Lexicon talmudicum_,
Basilea, 1540; al BREDOW, _Rabbinische Mythen, Erzählungen und Lügen_,
Weilburg, 1833.
[211] Vedi più particolarmente per ciò CASTELLI, _Leggende talmudiche_,
Pisa, 1869, pp. 197, sgg.
[212] Nel _Contes dou pellicam_, di BALDOVINO DA CONDÉ, si legge:
Quant Dieus ot fait Adam no père
Si biel, c'à lui nus ne compere
Qui onques fu de mère nés, —
Tant fu biaus et tant fu senés,
C'après Dieu fu plus biaus que nus,
Selon l'escripture, tenus,
. . . . . . . . . . . . .
_Dits et contes de_ BAUDOUIN DE CONDÉ _et de son fils_ JEAN DE CONDÉ,
pubbl. da A. Scheler, Bruxelles, 1866-7, vol. I, p. 86.
[213] Questa grave questione fu trattata a fondo da CRISTIANO, TOBIA,
EFREM REINHARD, in una dissertazione stampata la prima volta in Amburgo
nel 1752, e ripetutamente dipoi, e intitolata _Untersuchung der Frage:
Ob unsere ersten Urältern, Adam und Eva, einen Nabel gehabt?_
[214] Alberto Dürer ebbe la fantasia di raffigurare Adamo ed Eva come
due nani, porgendo argomento ai seguenti versi del Marini:
Stato fostu pur nano,
Come ti finge Alberto,
O ribellante al tuo Fattore ingrato,
Reo del primo peccato,
Chè non saresti certo,
Quando primier la mano
Stendesti audace a l'arboscel vietato,
Per piacer a la credula consorte
Giunto a coglier la morte.
[215] Un numismatico e orientalista francese, Nicola Henrion, presentò,
l'anno 1718, all'Accademia parigina, di cui era socio, uno specchio
comparativo delle stature umane, dalla creazione del mondo a Giulio
Cesare. Adamo ebbe di altezza 123 piedi e 9 pollici; Eva 118 piedi, 9
pollici e ¾. Noè non ebbe più che 103 piedi; Ercole non passava i 10.
Vedi [LALANNE], _Op. cit._, p. 216. Certo GOETZE stampò a Lipsia, nel
1727, una dissertazione intitolata _Quanta statura Adam fuit_.
[216] _In Joannem_, tract. IX, cap. 14; tract. X, cap. 12.
[217] Cf. PIPER, _Mythologie der christlichen Kunst_, Weimar,
1847-51, vol. II, p. 471. Di quella composizione del nome di Adamo
fanno menzione parecchi: BEDA, _Expositio in Joannem_, cap. II, v.
20; ALCUINO, _Commentarius super Joannem_, cap. 4; PAPIA (Lombardo),
_Elementarium_, s. v. _Adam_; PIETRO DI RIGA, nell'_Aurora_, ecc.
Si trova pure detto che il nome di Adamo fu composto con le lettere
iniziali dei nomi di quattro stelle.
[218] Vedi GOLDZIEHER, _Der Mythos bei den Hebräern_, Lipsia, 1876, p.
255. Adamo fu raccostato ad Adar (Ninip), divinità assira, il cui nome
sembra abbia significato in origine il fuoco: BURNOUF, _Commentaire sur
le Yaçna_, Parigi, 1833, p. 169; LENORMANT, _Essai de commentaire des
fragments cosmogoniques de Bérose_, Parigi, 1871, pp. 106-7.
[219] G. VON LEON, _Rabbinische Legenden_, Vienna, 1821, pp. 11 sgg.;
G. LEVI, _Parabole, leggende e pensieri raccolti dai libri talmudici
dei primi cinque secoli dell'E. V._, Firenze, 1861, pp. 10 sg.
[220] Corano, sura II. Questo racconto si trova pure nella Cronaca di
TABERI (trad. dello Zotenberg, v. I, p. 77) e altrove. Vedi un racconto
della creazione di Adamo e della disobbedienza di Iblîs, tratto da
Taberi e da Ibn-Kessir, in _Rosenöl_, vol. I, pp. 19 sgg.
[221] Ediz. cit., §§ 12 sgg.
[222] TERTULLIANO, _De patientia_, cap. 5; SANT'IRENEO, _Contra
haereses_, l. IV, cap. 40; SANT'AGOSTINO, _De Genesi ad literam_, XI,
18. W. MEYER, _Op. cit._, p. 15.
[223] _Parad._, XIII, 43-4. Giacomo Le Fèvre (m. 1537) discusse la
questione se Adamo sia stato creato con la scienza infusa. Un certosino
del secolo XV, Enrico di Hesse, rettore dell'università di Heidelberg,
ebbe a sostenere che Aristotile agguagliò Adamo in sapienza, opinione
che parve empia a parecchi. (LALANNE, _Op. cit._, p. 210).
[224] BREDOW, _Op. cit._, p. 18.
[225] GAFFAREL, _Curiositates inauditae_, Amburgo, 1703, vol. II, p.
488.
[226] Vedi SUIDA, _Lexikon_. Se Adamo sia stato inventor delle lettere,
e se prima di Adamo vi sieno stati al mondo uomini, lettere, libri,
discute PIETRO BANG (BANGIUS) nel _Coelum Orientis_, Hauniae, 1657.
Costui ebbe a sostenere in una sua _Historia ecclesiastica_ che Adamo
soggiornò alcun tempo in Isvezia e fu il primo vescovo di quel paese.
[227] Per le scritture attribuite ad Adamo, a Eva, a Seth, vedi
FABRICIO, _Op. cit._; CEILLIER, _Histoire générale des auteurs sacrés_,
vol. I, pp. 464-7; MIGNE, _Dictionnaire des apocryphes_, vol. II,
coll. 41-2. Nel 1717 fu stampata in Altorf una curiosa dissertazione,
opera di non so qual dottore, intitolata _Dissertatio de Adami logica,
metaphysica, mathesi, philosophia practica et libris._ Nel 1722 DANIELE
MUELLER stampò a Chemnitz un _Programma de eruditione Adami_.
[228] _Parad._, XXVI, 124-6.
[229] L. I, cap. 6.
[230] SINCELLO, _Chronographia_, ediz. di Bonn, 1829, pp. 8-9.
[231] _Homilia 59 in Matheum._
[232] LEVI, _Op. cit._, pp. 886-7.
[233] _Parad._, XXVI, 139-42. Questi versi di Dante non sono già così
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