Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, vol. I - 13

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e Poliban passarono il mar d'Inghilterra, passarono il mare d'Irlanda,
e corsero oltre finchè si offerse loro agli sguardi un giardino
meraviglioso, murato tutto intorno di cristallo, splendente come l'oro.
Era quello il Paradiso terrestre. Approdarono i naviganti, e sulla
porta trovarono Enoch ed Elia, i quali, non vecchi già, ma parevano
essere nel fiore della giovinezza, e accolsero i cavalieri molto
benevolmente, e li misero dentro. Qui le solite meraviglie: uccelli che
cantano dolcissimamente, tra' quali alcuni che nascono da un raggio
di sole e sono detti _salamandre_; serenità perpetua; alberi sempre
verdi e carichi di frutti; l'albero del peccato, tutto secco. Elia fece
tornare il re Poliban di trent'anni, dandogli a mangiare di certo pomo.
Baldovino, ch'era giovane, avendo voluto far ancor egli l'esperimento,
contrariamente all'ammonizion del profeta, divenne in un momento
vecchissimo, e pien d'acciacchi, e non racquistò la gioventù perduta
se non quando Enoch gli ebbe dato a mangiare di un altro pomo del
giardino. I cavalieri seppero dai profeti che nel Paradiso avverrà il
Giudizio universale. Quando se ne partirono, sembrava loro di esserci
stati due giorni, e c'erano invece rimasti due mesi[426].
Un eroe più illustre di Baldovino, e anche di Ugone, fu Uggeri il
Danese, del quale pure si narra che andasse al Paradiso terrestre. In
uno dei poemi francesi cui la sua storia porge argomento, il poeta lo
conduce, non nel Paradiso propriamente, ma in quelle vicinanze:
Car le Danois s'en va ou chastel d'aimant,
Qui siet par faerie les Avalon le grant,
Et Paradiz terrestre est un petit avant,
Dont Enoc et Elie vont le saint lieu gardant,
Et y furent ravy en char de feu ardant,
Et la sont tous en vie, et sont jusqu'à tant
Qu'Antecrist regnera, et cil deux dieu sergant
Le meteront a fin: on le treuve lisant
En la sainte escripture qui pas ne va mentant.
Segue poi il racconto del lungo soggiorno che fece l'eroe in quel
paradiso dei cavalieri che fu l'isola di Avalon[427]. Il medesimo si
ha nel romanzo in prosa, calcato sul poema[428]; ma moltiplicando e
affastellandosi sempre più le avventure dell'eroe, gli era naturale
che venisse a cacciarsi tra queste anche un vero e proprio viaggio al
Paradiso. Di tale viaggio è ricordo nei _Fioretti dei paladini_[429].
Giovanni d'Outremeuse narra che Uggeri volle conquistare il Paradiso
terrestre, e con un esercito di ventimila uomini passò regioni popolate
di serpenti, attraversò la valle tenebrosa, vide molte isole, molti
strani e spaventosi animali, mangiò dei frutti degli Alberi del Sole
e della Luna, e giunse al Paradiso, il quale è tutto cinto di monti
altissimi, ed ha un'unica entrata, guardata da fiamme, che non lasciano
passare nessuno[430].
Uggeri non pare che sia penetrato nel luogo vietato, ma bene vi
penetrò un altro cavaliere, il quale ebbe anche la ventura di visitare
l'Inferno, Ugo d'Alvernia. Dopo molte e molte avventure, le une più
strane delle altre, Ugo giunge al Paradiso terrestre, vede la fonte da
cui nascono i quattro fiumi, e presso a quella l'albero disseccato,
che pare tocchi con la vetta il cielo, e tra i rami dell'albero la
Vergine, con in braccio il bambino; poi trova Enoch ed Elia, i quali
si comunicano con cert'ostie ch'egli ebbe dal papa, e portò seco nel
viaggio. Così nel testo italiano del poema, che manoscritto si conserva
nella Nazionale di Torino, e così ancora, secondo ho ragion di credere,
nel franco-italiano della Biblioteca Regia di Berlino[431]. Nel romanzo
in prosa di Andrea da Barberino il racconto corre alquanto diverso. Ugo
risalì, cavalcando, verso le sorgenti del Nilo, accompagnato da alcuni
grifoni, suoi fedeli ajutatori: «trovò una nugola, come tenebra scura,
ed era come un muro, e alta, e tagliata insino all'aria, e divideva
la luce». Quivi presso era un pilastro, con una scritta, la quale
avvertiva chiunque non fosse mondo di peccato di non andare più oltre.
Ugo penò tre giorni ad attraversar quelle tenebre, dopo di che giunse
a un bel prato fiorito, pieno d'alberi, ch'era la _Terra Santa di
Promissione_: Vide Enoch ed Elia, e un luogo cerchiato di muro, ch'era
più propriamente il Paradiso terrestre, dove i santi dissero che nessun
uomo vivo poteva entrare; e non ben s'intende se all'eroe sia conceduto
d'entrarvi[432].
Molta somiglianza morale ha con Ugo d'Alvernia Guerino il Meschino,
e molta somiglianza spesso è tra le loro avventure. Guerino giunge
al Paradiso terrestre scendendo nel Pozzo di San Patrizio. Uscito
dall'Inferno, il cavaliere perviene, in compagnia di molti spiriti
vestiti di bianco, davanti a un muro, che gli sembra d'oro massiccio,
tempestato di gemme, ed è alto sino al cielo, e splende a guisa di
fuoco ardente. S'apre una porta, e n'esce un soavissimo odore, e uno
di quegli spiriti porge al cavaliere un _pomo molto odorifero_, da cui
questi si sente tutto riconfortare. Soppraggiungono Enoch ed Elia, i
quali menano il cavaliere in giro per una felice campagna che si stende
tutto all'intorno. Nel Paradiso stesso nessun uomo mortale può entrare.
Più oltre Guerino vede una città risplendente, cinta di un muro di
fuoco, e ode il canto degli angeli, ond'è rallegrata, ed ha, attraverso
una porta, un'assai strana visione della Trinità. Non s'intende bene
se questo sia il Paradiso terrestre o il celeste; ma è probabile
sia il celeste[433]. Tullia di Aragona rinarra tutto ciò, con alcune
differenze, nel suo poema, e pone ad abitare nel Paradiso terrestre,
insieme con Enoch ed Elia, anche San Giovanni[434].
Con la storia di Ugo d'Alvernia e di Guerino ha molta affinità la
storia di un Fortunato, che non ha nulla di comune con quello celebre
della leggenda popolare, al quale la Fortuna aveva fatto dono della
borsa che mai non si votava. Tale istoria porge materia a un ponderoso
romanzo in prosa, che si conserva fra i manoscritti palatini di
Firenze[435]. Come Guerino, il nostro Fortunato va in cerca del padre,
che non conosce; compie il solito viaggio in remote regioni; vede le
solite meraviglie; e giunge, con alcuni compagni alle falde del monte
del Paradiso, il quale è «tanto altissimo, che la fine dell'altezza»
non si può vedere, e nemmeno il mezzo; e così erto, che non ci si può
salire da quella parte. I viaggiatori son venuti su per il Fison, e
si trovano nella provincia d'Etiopia, confusa spesso, come s'è già
notato, con l'India. Dopo molt'altri giorni di viaggio, confessatisi
e comunicatisi a una badia, salgono il monte dalla parte opposta, e
trovano «molte ville e abitanti,» da' quali sono ricevuti con onore,
finchè, a un certo punto, vedono il monte «cerchiato di fuoco infino
all'aria,» e un angelo «tutto focoso, con una spada in mano,» dice
loro che a nessun uomo mortale è lecito salir più su, e li invita a
mandare un sacerdote che battezzi le genti da essi convertite alla fede
cristiana.
Gli è strano che l'altro Fortunato, quello la cui storia compare in
tutte quasi le letterature d'Europa, non esclusa l'italiana, non giunga
ancor egli al Paradiso terrestre, dappoichè la leggenda lo fa scendere
nel pozzo di San Patrizio, visitare il paese del Prete Gianni, e
correre tutto il mondo.
Gli ultimi cavalieri da noi incontrati ci hanno quasi ricondotti nel
mondo monacale ed ascetico, tanto è spiccato in essi il carattere
religioso, tanta la devozione con cui lungo tutto il corso degli
strani lor viaggi, e in mezzo a mille avventure e a mille pericoli, si
raccomandano a Dio, gridano i loro peccati, digiunano, si macerano, e
si confessano ogni qual volta è data loro occasione di poterlo fare.
Perciò sarà da ricordare qui la saga di Eirek, figlio di Thrand,
re di Drontheim, saga che manifestamente intende alla edificazione.
Partitosi dalla sua terra, Eirek giunge, in compagnia di un suo amico,
a Costantinopoli; ha con quell'imperatore un colloquio di argomento
religioso; attraversa la Siria, entra in mare, giunge in India, e a
un ponte guardato da un drago. Di là dal ponte è il Paradiso. Eirek
vi penetra, gettandosi nella bocca spalancata, passando attraverso il
corpo del mostro. Trova una campagna fiorita, corsa da rivi di miele, e
una torre sospesa in aria, a cui sale su per una scala leggiera, e dove
gli si offre una tavola apparecchiata. Tornato in patria dopo sette
anni di assenza, narra, a confusion dei pagani, le sue avventure, poi
sparisce, rapito miracolosamente, e di lui non si ha più notizia[436].
Ricorderò ancora Hélias, o il Cavalier dal Cigno, dei poemi francesi,
la figliuola della Reina d'Oriente, e il buon Astolfo. Del primo
fu detto che venisse dal Paradiso terrestre quando comparve sulla
navicella incantata, cui traeva per l'onde il candido uccello[437].
La seconda ci fu fatta andare dal Pucci[438]. Il terzo ci fu
condotto dall'Ariosto[439]. Astolfo, chiusa la bocca dell'Inferno, e
imprigionate per sempre le tetre Arpie, si lava da capo a piè:
Poi monta il volatore, e in aria s'alza,
Per giunger di quel monte in su la cima,
Che non lontan con la superba balza
Dal cerchio della luna esser si stima.
Tanto è il desir che di veder lo 'ncalza,
Ch'al cielo aspira e la terra non stima.
Dell'aria più e più sempre guadagna,
Tanto ch'al giogo va della montagna.
Quivi fiori che pajon gemme, alberi sempre fecondi, uccelletti di
tutti i colori che cantano dolcemente, ruscelli e laghi che vincono
di limpidezza il cristallo, un'aura soave che va predando ai fiori il
profumo, uno smisurato palazzo
in mezzo alla pianura,
Ch'acceso esser parea di fiamma viva:
Tanto splendore intorno e tanto lume
Raggiava, fuor d'ogni mortal costume.
Enoch, Elia, San Giovanni accolgono amorevolmente il cavaliere, lo
alloggiano in una stanza, gli dànno di quelle frutta che non hanno
simili in terra, provvedono buona biada all'ippogrifo. Il dì seguente
l'eroe si leva, e dopo aver discorso con San Giovanni
Di molte cose di silenzio degne,
venuta la sera, entra con l'apostolo in un carro, tratto da quattro
destrieri più rossi che fiamma, e sale al mondo della luna per
ricuperare il senno d'Orlando.
Astolfo fu l'ultimo visitatore del Paradiso terrestre. Fausto,
l'inquieto ed insaziabile scrutator delle cose, figura e simbolo di una
nuova età, dopo aver corso in compagnia di Satana tutta la faccia della
terra, e penetrato gli abissi, pervenne, secondo il popolare racconto,
alle fatali giogaje del Caucaso, e vide, da lungi, fiammeggiare la
spada ardente del cherubino; ma, come tratto da nuova cura, non si
fermò e passò oltre[440]. E dopo di lui nessuno più vide la porta
meravigliosa sognata da tanti, e da così pochi varcata; la porta d'oro
e di gemme ormai chiusa per sempre.

NOTE:
[308] Ediz. cit., l. I, parte IV, cap. 123.
[309] Ediz. cit., p. 23.
[310] _Inf._, XXVI, 90 sgg. Che la _montagna bruna_ veduta da Ulisse
e da' suoi compagni nell'altro emisfero, debba essere, secondo la
intenzione di Dante, il monte del Purgatorio, par certo, malgrado le
obbiezioni di qualche commentatore.
[311] _Op. cit._, ediz. cit., p. 14.
[312] Cod. riccardiano 1672, f. 47 r., col. 1ª.
[313] POMPONIO MELA, _De situ orbis_, III, 6, parla di un'isola del
Mar Caspio, denominata Talca, la quale era naturalmente fertilissima,
e recava gran copia di frutti e di messi, cui, per altro, il vicino
popolo non osava di toccare, stimandoli serbati agli dei.
[314] PERTZ, _Scriptores_, t. VII, pp. 84-5.
[315] MUSSAFIA, _Sulla leggenda del legno della Croce, Sitzungsberichte
der k. Akad. d. Wiss._ di Vienna, philos.-hist. Cl., vol. LXIII (1869),
pp. 165 sgg.; W. MEYER, _Die Geschichte des Kreuzholzes vor Christus,
Abhandl. d. k. Akad. d. Wiss._ di Monaco, Cl. I, vol. XVI (1881),
parte 2ª. Vedi pure WESSELOFSKY, _Altslavische Kreuz- und Rebenssagen,
Russische Revue_, vol. XIII, pp. 130-52; KÖHLER, _Zur Legende von der
Königin von Saba oder der Sibylla und dem Kreuzholze_, Germania, anno
XXIX (1884), pp. 53-8. Un racconto italiano pubblicò il D'ANCONA, _La
leggenda di Adamo ed Eva, Sc. di cur. lett._, disp. 106, Bologna, 1870.
[316] GIOVANNI BELETH, nel _Rationale divinorum officiorum_, cap. _De
exaltatione S. Crucis_; ERRADA DI LANDSPERG, nell'_Hortus deliciarum_
(ENGELHARDT, _Herrad von Landsperg_, Stoccarda e Tubinga, 1818, p.
41); STEFANO DI BORBONE, nel _Tractatus de septem donis_ (LECOY DE LA
MARCHE, _Anecdotes_, etc., p. 425), dissero poi che Adamo era ammalato
di gotta.
[317] MEYER, _Vita Adae et Evae_, già cit., pp. 14 sgg.
[318] Cap. 19, ap. THILO, _Op. cit._, pp. 685-97.
[319] MUSSAFIA, _Sulla leggenda del legno della Croce_, pp. 165-6.
In altre leggende l'albero, del cui legno fu fatta la croce, non ha
relazione alcuna col Paradiso terrestre. Vedi MEYER, _Die Gesch. d.
Kreuzh._, pp. 106 sgg.
[320] MEYER, _ibid._, p. 130. Il testo latino è riprodotto ivi stesso,
pp. 131-49.
[321] PANTHEON, parte XIV, in _Pistor-Struve_, _Rerum germanicarum
scriptores_, t. II, p. 242.
[322] Nei _Fioretti della Bibbia_ la leggenda di Jerico segue a quella
di Seth, anzi forma parte con essa di una sola leggenda. Lo stesso
incontra nella catalana _Genesi de scriptura_, che ha coi _Fioretti_
strettissima relazione: _Compendi historial de la Biblia que ab lo
títol de Genesi de Scriptura_, Barcelona, 1873, pp. 12-15, 18-19.
Qui, nella stampa, si legge Genico; ma un manoscritto, che, sotto il
titolo di _Flos mundi_, si conserva nella Nazionale di Parigi (Esp. 46)
ha Gerico. Non credo che i _Fioretti_ abbiano attinto, come par che
stimino il Mussafia (p. 193) e il Meyer (p. 161), da Gotofredo; anzi
penso che questi trovasse il racconto in alcuna scrittura da cui anche
i _Fioretti_ l'attinsero. Di Jonito, primo inventore dell'astronomia,
fa ricordo anche BRUNETTO LATINI, _Li tresor_, ediz. cit., l. I, parte
1ª, cap. 21.
[323] Vedi per tutto ciò il mio libro, _Roma nella memoria e nelle
immaginazioni del medio evo_, Torino, 1882-3, vol. II, pp. 107,
491-6, 500, 502, 503. Alle notizie ivi raccolte ne aggiungo qui
alcune altre. L'albero descritto da Marco Polo sotto il nome di Albero
Secco, o piuttosto Albero del Sole, non è punto un albero disseccato
o dispogliato. Il ROUX DE ROCHELLE (_Notice sur l'Arbre du Soleil, ou
Arbre Sec, décrit dans la relation des voyages de Marco Polo, Bulletin
de la Société de géographie_, serie 3ª, vol. III, 1845, pp. 187-94)
lo identifica con un albero da manna; e nella già ricordata mappa di
Hereford si legge, sopra una penisola vicina al Paradiso terrestre:
_Arbor balsami est arbor sicca._ Andrea Bianco pone l'_alboro seco_
nella penisola stessa ov'è il Paradiso. Un _amiraus d'outre le
Sec-Arbre_ figura nel _Jeu de saint Nicolas_ di GIOVANNI BODEL, ap.
MONMERQUÉ et MICHEL, _Théâtre français au moyen âge_, Parigi, 1839.
[324]
Dio te salve, santa croce,
Arboro d'amor plantato,
Che portasti lo fructo sì dolce,
E lo mondo ay salvato. —
O croce alma, mirabile,
Arbore dolce, fruttifero,
O pretio incomparabile,
O premio salutifero. —
Su nell'alto dello mare
Uno arbore è apparito,
Che de rose e de viole
Tutto quanto è fiorito,
ecc. ecc.
[325] VENANZIO FORTUNATO, _Poematum_ l. II, _De cruce Domini_:
De parentis protoplasti fraude facta condolens,
Quando pomi noxialis morsu in mortem corruit,
Ipse lignum tunc notavit damna ligni ut solveret.
[326] GIACOMO DA VORAGINE cita un verso (_Legenda aurea_, ediz.
Graesse, Dresda e Lipsia, 1846, cap. 68, p. 304):
Ligna crucis palma, cedrus, cypressus, oliva
Altrove altri versi si leggono:
Quatuor ex lignis dominis crux dicitur esse; —
Pes crucis est cedrus; corpus tenet alta cupressus:
Palma manus retinet; titula laetatur oliva,
MORRIS, _Legends of the Holy Rood_, Londra, 1871, p. XVII. Un ms.
della Palatina di Firenze, segn. CXXI, contiene una Meditazione
della passione di Gesù Cristo, divisa in quattro parti, di cui la
terza s'intitola: _Di quanti legni fu facta la santa croce, et come
lo stipite fu producto, tagliato et poi ritrovato._ PALERMO, _I
manoscritti palatini di Firenze ordinati ed esposti_, Firenze, 1853-68,
t. I, p. 235; _I codici palatini della R. Biblioteca Nazionale centrale
di Firenze_, Roma, 1886 sgg., vol. I, p. 113.
[327] SANT'ATANASIO, _Expositio fidei_, cap. 1, dice che San Paolo
fu rapito nel Paradiso terrestre; SAN CIRILLO, _Catechesis de Christi
consessu_, ch'ei fu rapito e nel Paradiso terrestre e in cielo.
[328] Un testo latino di questo racconto fu prima pubblicato dal ROSWEY
nelle _Vitae patrum_, Anversa, 1616, pp. 224-31, col titolo: _Vita
Sancti Macarii Romani servi Dei, qui inventus est juxta Paradisum,
auctoribus Theophilo, Sergio et Hygino_; poi negli _Acta Sanctorum_, 23
ottobre, pp. 566-71. In italiano si ha nelle _Vite dei Santi Padri_, la
cui traduzione suolsi attribuire al CAVALCA, ediz. del Manni, Firenze,
1731-2, vol. II, pp. 341 sgg.; in _Leggende del secolo XIV_, Firenze,
1863, vol. I, pp. 452 sgg., e in più codici, come, per esempio, nel
magliabechiano cl. 35, num. 221. f. 36 r. sgg., ove s'intitola: Q_ui
incomincia la storia di tre monaci romani e quali andorono al paradiso
luziano come voi udrete_. Il cod. VIII, B, 33 della Nazionale di
Napoli contiene dal f. 173 r. a 179 v.: _De tre monaci che se partino
per andare a lo Paradiso terresto, et como trovaro Machario romano
appresso al Paradiso XVIII miglia_. Il MIOLA nota essere questa la
leggenda di San Macario, ma affatto diversa da quella che si legge fra
le Vite dei SS. Padri. _Le scritture in volgare dei primi tre secoli
della lingua ricercate nei codici della Biblioteca Nazionale di Napoli,
nel Propugnatore_, vol. XIII, parte 2ª, p. 417. Cf. _H. Mertian_,
_Le Robinson de la légende_, in _Études religieuses, historiques et
littéraires_, Parigi, 1862, vol. I, pp. 372-85.
[329] Nella mappa d'Andrea Bianco, a occidente e in prossimità del
Paradiso terrestre, è disegnata una chiesuola, con le parole _ospitium
macorii_: a levante veggonsi due figurine d'uomini, con in mezzo
un albero, e scrittovi _omines parc_, e in altra riga alboro seco.
Il _Lelewel_ non intende nulla di tutto ciò. Egli dice (Op. cit.,
vol. II, p. 88): «L'Asie meridionale avance aussi par une péninsule
vers les extrémités orientales. Au bout de cette péninsule est situé
_paradixo terestro_, d'où sortent les quatre fleuves bibliques; dans
leur cours parallèle entre _ospitium macorii_ (Macarii? beati, μαχαρις
(sic), hospice de bienheureux); et les hommes, omines que s (sine)
_capitelos_? qui sont sans tête, le visage sur leur poitrine; _omines
parc_ (nt) _alboro se_(ri)_co_? les hommes préparant des arbres la
soie?». Ora l'_ospitium macorii_ altro non è che il romitaggio di San
Macario; e gli _omines parc_ sono gli _homines parci_, i quali vivono
dell'odore di un pomo, e non hanno nulla che fare con l'_alboro seco_.
[330] Vedi pp. 21-2.
[331] _Odissea_, XI, 14-19; _Teogonia_, 736-8, 813-7.
[332] _Pseudocallisthenes_, l. II, cap. 39, e molte delle posteriori
storie favolose di Alessandro.
[333] Vedi una nota del Liebrecht agli _Otia imperialia_ di GERVASIO
DA TILBURY, ediz. cit., p. 115, e, nel presente volume, lo scritto
intitolato _Il riposo dei dannati_.
[334] Epist. 10, ap. JAFFÈ, _Monumenta Moguntina, Bibliotheca rerum
germanicarum_, t. III, Berlino, 1866, p. 56.
[335] _Miscellanea di opuscoli inediti o rari dei secoli XIV e XV_,
Torino, 1861, pp. 165-78; _Leggende del secolo XIV_, già citate,
vol. I, pp. 489 sgg.; cfr. ZAMBRINI, _Le opere volgari a stampa dei
secoli XIII e XIV_, 4ª ediz. con appendice, Bologna, 1884, col. 574.
Questa leggenda occorre spesso in manoscritti italiani: vedi FARSETTI,
_Biblioteca manoscritta_, vol. I, p. 292; vol. II, pp. 83, 92. Nel cod.
magliabechiano pur ora citato, cl. 35, num. 221, essa tien dietro alla
leggenda dei monaci Teofilo, Sergio ed Igino. È pur contenuta nel cod.
7762 della Nazionale di Parigi, e nel cod. CCCXLIII della Corsiniana
(ora Biblioteca dell'Accademia dei Lincei) fondo Rossi. Ci sono, tra le
varie redazioni differenze alle volte notabili: io seguo quella che si
ha nella _Miscellanea_ sopraccitata. Alcune delle cose che nel Paradiso
vedono i monaci, vede anche Seth nel racconto italiano pubblicato dal
D'Ancona e ricordato di sopra.
[336] Di musiche, le quali con la soavità loro addormentano, è
frequente ricordo in leggende e in novelle popolari. Vedi, per esempio,
D'ARBOIS DE JUBAINVILLE, _Op. cit_., pp. 289, 323, 328.
[337] _Felix im Paradise_, VON DER HAGEN, _Gesammtabenteuer_, Stoccarda
e Tubinga, 1850, N. XC, vol. III, pp. cxxvii, 611 segg. Vedi inoltre
GERING, _Islendzk Aeventyri_, Halle a. S., 1882-84, vol. II, pp. 120-2,
ove sono date le opportune notizie bibliografiche. Questa leggenda,
veramente assai bella, ebbe molta fortuna, e da poeti modernissimi
fu rinarrata più volte; tra gli altri, e meglio che dagli altri, dal
Longfellow.
[338] In quest'ultima forma la leggenda del monaco Felice ha certa
somiglianza con quella del rabbino Choni Hameaghel, il quale non
potendo intendere le parole del salmista: «Quando Dio liberò i prigioni
di Sion, noi eravamo simili ad uomini che sognino», fu miracolosamente
immerso in un sonno che durò settant'anni, dal quale destatosi, non
fu più riconosciuto da nessuno. EHRMANN, _Aus Palästina und Babylon_,
Vienna 1880, pp. 19-20. Uggero il Danese, tornato dopo dugent'anni
dal regno di Morgana, non riconosce più nessuno e non è da nessuno
riconosciuto.
[339] _Histoire de Saint Louis_, cap. 94, ediz. cit., p. 320.
[340] Si potrebbero moltiplicare agevolmente gli esempii e i riscontri.
Il tema appar molto spesso in novelline popolari. Il figliuolo di una
povera vedova sposa la Fortuna, che in capo di certo tempo lo abbandona
per andarsene a stare nell'Isola della Felicità. Il giovane la
raggiunge, e statovi dugent'anni, crede d'esservi stato solamente due
mesi. COMPARETTI, _Novelline popolari italiane_, Torino, 1875, _L'Isola
della Felicità_, pp. 212 sgg. Un giovane va al Paradiso: crede esservi
rimasto mezz'ora, o meno di un'ora, e v'è rimasto più di un anno, o
anche cent'anni. LUZEL, _Légendes chrétiennes de la Basse-Bretagne_,
Parigi, 1881, pp. 78 sgg., 216 sgg. Un fabbro ferrajo è invitato a
ferrar cavalli in un castello misterioso: ne ferra uno, e quando torna
son passati dieci anni, e trova la moglie maritata ad altro uomo. ZAPF,
_Der Sagenkreis des Fichtelgebirges_, Hof, s. a. pp. 6-7. Vittore Hugo
introdusse questo tema leggendario nella sua novella fantastica _Le
beau Pécopin_. Secondo altro tema, ch'è come il rovescio di questo, un
tempo assai breve è giudicato lunghissimo. Vedi KELLER, _Li romans des
sept sages_, Tubinga, 1836, p. clvii; WESSELOFSKY, _Il paradiso degli
Alberti_, vol. II, pp. 188-217; D'ANCONA, _Le fonti del Novellino_, in
_Studj di critica e storia letteraria_, Bologna, 1880, pp. 309-12. Il
celebre fumatore d'oppio De Quincey dice che ne' suoi sogni il tempo
gli sembrava sterminatamente allungato. Le immaginazioni della leggenda
e delle novelline popolari hanno importanza notabile per la dottrina
psicologica del tempo.
[341] Il testo latino fu pubblicato dallo Schwarzer nella _Zeitschrift
für deutsche Philologie_, vol. XIII (1882), pp. 338-51. Ne aveva prima
dato un breve sunto il MUSSAFIA, _Ueber die Quelle des altfranzösischen
Dolopathos, Sitzungsb. d. k. Akad. d. Wiss_. di Vienna, philos.-hist.
Cl., vol. XLVIII (1864), pp. 14-6. Altri racconti somiglianti indica
il KÖHLER, _Zur Legende vom italienischen jungen Herzog im Paradiese_,
nella _Zeitschrift_ ora citata, vol. XIV, pp. 96-8. Il codice tedesco
718 della Biblioteca Regia di Monaco di Baviera, da me veduto, contiene
(f. 77 r. a 85 v.) una traduzione tedesca della leggenda, col seguente
titolo: _Eyn hobische historie von dem irdischen paradise in welschem
landen gescheen_. In lingua ammodernata pubblicò CHR. A. VULPIUS,
nel vol. I delle sue _Curiositäten der physischen, literarischen,
artistichen, historischen Vor- und Mitwelt_, anno I (1811), pp. 179-89.
[342] Intorno a San Patrizio, al suo Pozzo, o Purgatorio, alle varie
leggende che si legano ad esso, e alle non poche questioni che intorno
ad esso si fecero, vedi il già più volte citato libro del WRIGHT, _St.
Patrick's Purgatory;_ MONCURE D. CONWAY. _The saint Patrick Myth,
The north american Review_, anno 1888, pp. 858 sgg.; ECKLEBEN, _Die
älteste Schilderung vom Fegefeuer des heiligen Patricius_, Halle a. S.,
1886. Per la bibliografia, vedi i rinvii e le indicazioni di L. FRATI,
_Il Purgatorio di S. Patrizio secondo Stefano di Bourbon e Uberto da
Romans, in Giornale storico della letteratura italiana_, vol. VIII
(1886), pp. 142-3. La leggenda del Pozzo e del cavaliere ebbe grande
diffusione e celebrità anche in Italia. L'Ariosto ricorda (_Orl. Fur._,
c. X, st. 92):
Ibernia fabulosa, dove
Il santo vecchiarel fece la cava,
In che tanta mercè par che si trove
Che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
Nel secolo stesso dell'Ariosto il Pozzo fu descritto da un vescovo
italiano. (MORSOLIN, _Francesco Chiericati, vescovo e diplomatico
del secolo XVI, Atti dell'Accademia Olimpica di Vicenza_, 1878). Un
testo italiano della leggenda pubblicò il VILLARI, _Alcune leggende e
tradizioni che illustrano la Divina Commedia, Annali delle Università
toscane_, parte prima, t. VIII, Pisa, 1866, pp. 108 sgg.: un altro
pubblicò il GRION nel _Propugnatore_, vol. III, parte 1ª, pp. 116-49.
Un _Viaggio del Pozzo di San Patrizio_ fu più volte stampato in Italia.
(HAYM, _Biblioteca italiana_, vol. II, p. 624). Il Calderon compose un
dramma intitolato _El Purgatorio de San Patricio_. Tra le molte e varie
versioni della leggenda sono differenze notabili.
[343] Questa è la forma più divulgata del nome, che nel racconto latino
suona _Oengus_. Nella _Legenda aurea_ il cavaliere si chiama Niccolò,
Alvise nel testo pubblicato dal Grion, Ludovico Enio nel dramma del
Calderon, altramente altrove.
[344] Nel racconto riferito da GIACOMO DA VORAGINE (_Legenda aurea_,
ediz. cit., cap. 50, p. 216) due bei giovani conducono il pellegrino
fin sotto le mura di una città meravigliosa tutta risplendente d'oro e
di gemme, ma non gli concedon d'entrarvi, e gli annunziano che, tornato
al mondo, morrà in capo di trenta giorni, e potrà allora entrare nella
città paradisiaca. Nel dramma del Calderon, la città, inaccessibile, è
così descritta:
Una ciudad eminente
De quien era el sol remate
A torres y chapiteles.
Las puertas eran de oro,
Tachonadas sutilmente
De diamantes, esmeraldos,
Topacios, rubles, claveques.
Qui, e nel racconto del Voragine, non ben si capisce se si tratti del
Paradiso terrestre o del celeste. Nel racconto italiano pubblicato
dal Villari, il cavaliere vede, dalla cima di un alto monte, il cielo
_simigliante a l'oro fine ch'è nella fornacie ardente_, e alcuni
arcivescovi, che l'accompagnano, gli dicono esser quel cielo la porta
del superno Paradiso, ov'entrano tutti coloro che hanno finito il tempo
della loro dimora nel Paradiso terrestre.
[345] Cap. I, in _Acta Sanctorum_, 17 marzo.
[346] Dice MASÛDI, parlando dell'Atlantico (_Les prairies d'or_,
trad, cit., vol. I, p. 858): «On en raconte des choses merveilleuses,
que nous avons raportées dans notre ouvrage intitulé les Annales
historiques, en parlant de ce qu'ont vu les hommes qui y ont pénétré au
risque de leur vie, et dont les uns sont revenus sains et saufs, tandis
que les autres ont peri».
[347] Vedi, a questo proposito, MARINELLI, _La geografia e i Padri
della Chiesa_, estratto dal Bollettino della Società geografica
italiana, anno 1882, pp. 11-15.
[348] _Historia ecclesiastica_, ediz. cit., capp. 246, 247.
[349] Nel già citato prologo della _Vengeance de Jésus-Christ_, Nerone
racconta a Virgilio com'egli e gli altri demonii, cadendo dal cielo,
aprirono un grande abisso nel mare, capace di trenta contee, il quale
è detto li _goufre de Sathanie_. Ogni nave che ad esso si accosti è
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