Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, vol. I - 18

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mezzo. A questo si aggiungeva il riposo del sabato e delle feste del
novilunio[508]. Qui vuol anche essere ricordato che in certi antichi
offici della messa si trova una preghiera _pro anima de quo dubitatur_,
e che si leggono in essa le seguenti parole: _ut si forsitan ob
pravitatem criminum non meretur surgere ad gloriam, per haec sacrae
oblationis libamina vel tolerabilia fiant ipsa tormenta_[509].
Riprendiamo la enumerazione delle immaginazioni e delle leggende in cui
è in vario modo espressa la credenza che le pene dei dannati possano
essere alcuna volta mitigate o sospese.
San Pier Damiano (988-1072) racconta quanto segue: «Non mi par da
tacere ciò ch'io appresi dall'arcivescovo Umberto, uomo di somma
autorità. Tornando egli dai confini di Puglia, asseriva essere nel
territorio di Pozzuoli un promontorio sassoso e ronchioso, sorgente
di mezzo ad acque negre e puzzolenti. Fuor da quell'acque vaporanti
si vedono repentinamente sorgere, per consueta usanza, uccelli di
spaventevole aspetto, i quali, dall'ora vespertina del sabato sino
al nascer del sole del lunedì, son soliti mostrarsi alla vista degli
uomini. Durante quel conceduto spazio di tempo si vedono vagare
liberamente in qua e in là per il monte, come prosciolti d'ogni
vincolo. Spandono l'ali, si ravviano col becco le penne, e per quanto è
dato d'intendere si rifanno nella tranquillità del refrigerio che per
un tempo è loro largito. Questi uccelli non sono mai veduti cibarsi,
nè si possono prendere, per nessun'arte che s'usi. Come schiara l'ora
matutina del lunedì, ecco che un corvo, grande quanto un avvoltojo,
si mette lor dietro, gravemente gracchiando dalla concava gorga.
Quegli incontanente si sommergono nell'acque e si nascondono, nè più
si lascian vedere, sino a che all'imbrunire del sabato novamente si
levano dalla voragine dello stagno sulfureo. Però vogliono alcuni che
sieno essi anime d'uomini dannati alle vendicatrici pene dell'Inferno,
le quali anime, tormentate tutti gli altri giorni della settimana,
abbiano, a gloria della risurrezione di Cristo, refrigerio la domenica
e l'una e l'altra notte tra cui quella è compresa[510].
San Pier Damiano ricorda, a questo proposito i versi di Prudenzio,
riferiti qui sopra, e dice che Desiderio, abate di Montecassino,
sopraggiunto quando egli aveva scritto il racconto di Umberto,
negò recisamente la cosa, mentre da canto suo Umberto disse di non
affermarla come vera, ma d'averla solamente riferita quale si narrava
dagli abitanti della campagna di Pozzuoli.
Corrado di Querfurt (m. 1202) narra in sostanza il medesimo fatto, ma
con qualche diversità, nella nota lettera scritta di Puglia l'anno
1196 allo scolastico Herbord. Egli pone la scena del miracolo in
Ischia, forse per un error di memoria, e propriamente intorno a certa
bocca dell'Inferno che ci si vedeva: «Tutti i sabati, circa l'ora
nona, in prossimità di quel medesimo luogo, si vedono, in certa valle,
uccelli neri, e brutti di sulfurea fuliggine, i quali ivi riposano la
domenica fino all'ora del vespero, quando con gran dolore e lamento se
ne partono e s'immergono in un lago bollente, nè più ritornano sino
al sabato susseguente. E stimano taluni siano essi anime tormentate,
oppure demonii»[511]. Il racconto di San Pier Damiano è riferito, quasi
con le stesse parole, da Vincenzo Bellovacense[512].
Corrado di Querfurt dice che quegli uccelli erano creduti da alcuni
anime dannate, o demonii, e demonii veramente sono gli uccelli che
incontra nell'avventuroso suo viaggio San Brandano, la cui leggenda
latina risale per lo meno all'XI secolo, e quelli ancora che in
prossimità del Paradiso terrestre trova Ugone d'Alvernia, e che hanno
riposo la domenica[513]. Tale immaginazione deve essere del resto
assai antica, perchè se ne trova traccia nella leggenda di san Macario
Romano, attribuita ai tre monaci Teofilo, Sergio ed Igino[514].
Che la preghiera potesse alleviare la pena dei dannati, era, come
abbiam veduto, opinione di alcuni, anzi di molti; ma non mancavano
altri modi d'alleviarla. Cesario di Heisterbach (m. c. 1240) racconta a
tale proposito una edificante novella. Certo milite morto fa manifesto
a un tale d'essere in Inferno per aver tolto ingiustamente l'altrui, e
dice che se i figliuoli suoi volessero farne restituzione, potrebbero
scemargli alquanto il castigo. I tristi figliuoli preferiscono
lasciarglielo intero[515]. In una novellina popolare della Bassa
Brettagna, viva ancora tra il popolo, ma, probabilmente, antica di
origine, un fanciullo mitiga nell'Inferno le pene dei dannati gettando
acqua benedetta nelle caldaje dove essi stanno a bollire[516].
Non era possibile che in così fatto ciclo di leggende o prima o poi
non entrasse la Vergine, la pietosissima donna, la interceditrice a
cui nulla si nega, l'avvocata dei peccatori. Il già citato Tischendorf
diede notizia di un'_apocalypsis Mariae_, conservata in parecchi
codici greci, e opera certamente di un monaco del medio evo. La
leggenda ebbe, sembra, varie redazioni; ma la sostanza del racconto
è la seguente. Maria desidera di visitare l'Inferno, e l'arcangelo
Michele, accompagnato da numerosa schiera di angeli, ve la conduce.
Vedute le pene orribili dei dannati, ella chiede d'essere condotta in
cielo, affine di poter pregare Iddio per loro. L'arcangelo le dice
che egli, insieme con gli angeli tutti, prega per i dannati sette
volte il dì e sette la notte, ma invano. Maria insiste, e rinnovate
le preci col concorso di tutti i beati, Dio accorda un alleviamento
di pena, alleviamento che dai frammenti trascritti dal Tischendorf non
si può capire qual sia[517]. Mi par probabile che questa _apocalypsis
Mariae_ altro non sia che una imitazione dell'_apocalypsis Pauli_,
con la quale ha veramente molta somiglianza, e la sostituzione della
Vergine all'apostolo parrà più che naturale a chiunque abbia qualche
famigliarità con le leggende mariane del medio evo e specialmente
con quelle in cui si vede la Vergine adoperarsi e intercedere per
i peccatori più malvagi e più indurati. E nel medio evo fu opinione
di alcuni che le pene dei dannati fossero mitigate, in grazia della
Vergine, nel santo giorno dell'assunzione di lei.
Il naturale sentimento di pietà che suggeriva l'idea di una generale
mitigazione di pena accordata in certi tempi, e con certe condizioni,
ai dannati, poteva pure, anzi doveva suggerir l'idea di certe
mitigazioni speciali accordate ai dannati più rei, a quelli cui alcun
singolare peccato, eccedente i termini della malvagità consueta,
procacciava in Inferno, o anche fuori di esso, alcuno speciale castigo,
eccedente i modi delle pene ordinarie. Il più malvagio dei peccatori,
il più indegno di perdono, o di commiserazione, è Giuda, e la pena
cui egli soggiace è di regola, tra quante colpiscono i dannati, la più
terribile e la più orrenda. Ne fanno fede le Visioni tutte e tutte le
descrizioni dell'Inferno, nelle quali è parola di lui; e un pezzo prima
di Dante, altri aveva pensato di porre tra le formidabili mascelle
di Lucifero il discepolo traditore[518]. Ma la stessa immanità del
castigo, voluta dal fervore della fede, doveva destare negli animi meno
rigidi un senso di pietà, e suggerire il pensiero di un temporaneo
alleviamento. Secondo una leggenda musulmana, Iblîs, veduto che Dio
aveva perdonato ad Adamo, chiese ed ottenne che il proprio castigo
fosse sospeso sino al dì del Giudizio.
Nel corso della sua miracolosa peregrinazione, San Brandano trova
Giuda seduto sopra una pietra in mezzo all'oceano; dinanzi a lui pende
un panno, raccomandato a certe forche di ferro. Le onde lo assalgono
e lo percotono d'ogni banda, recedono, lo investono di bel nuovo; il
vento gli sbatte quel panno nel volto. Interrogato dal santo, egli
dà contezza di sè e narra la propria pena. Per sei giorni consecutivi
egli arde e arroventa, simile a massa di piombo fuso; ma il settimo,
cioè la domenica, la misericordia divina gli accorda quel refrigerio,
in onore della risurrezione di Cristo. Il medesimo alleviamento di
pena gli è conceduto dalla Natività sino alla Epifania, dalla Pasqua
sino alla Pentecoste, e dalla Purificazione sino all'Ascensione di
Maria. Negli altri giorni soffre inenarrabili tormenti in compagnia di
Erode, di Pilato, di Anna e di Caifasso. Quel panno egli diede in vita
a un lebbroso; ma poichè non era suo, gli nuoce ora, più che non gli
giovi, la mal fatta elemosina. Le forche di ferro diede ai sacerdoti
del Tempio perchè se ne servissero a sorreggere le caldaje. La pietra
su cui siede usò a turare certa fossa che era in una pubblica via di
Gerusalemme. Il suo refrigerio dura dal vespero del sabato a quello
della domenica, e in confronto delle torture che sopporta gli altri
giorni, gli par quello un paradiso. San Brandano, per quella volta,
glielo prolunga sino allo spuntar del sole del lunedì[519].
Dalla leggenda di San Brandano lo strano racconto passò, alterandosi
in varii modi, nella _Image du monde_[520], in una leggenda di Giuda,
latina ed in versi, pubblicata solo in parte dal Du Méril[521],
nella continuazione dell'_Huon de Bordeaux_, così in verso[522], come
in prosa[523], nel _Baudouin de Sebourc_[524]. Nella continuazione
dell'_Huon de Bordeaux_, Ugone trova Giuda perpetuamente sbattuto in un
gran gorgo di mare, dove passano e ripassano tutte le acque del mondo.
Il dannato non ha altro schermo che un pezzo di tela, postogli da
Cristo accanto al viso. Di altra pena, o di riposo, non è cenno.
Che alleviamento e abbreviamento di pena si potesse procacciare
alle anime purganti, con la elemosina, con la preghiera, e con altre
pratiche di devozione, era credenza universale, e su di essa non fa
bisogno d'insistere; ma l'alleviamento assumeva anche in tal caso,
alle volte, una forma e un carattere che importa di far rilevare.
In principio del secolo VIII San Bonifazio narra in una delle sue
epistole la visione di un tale che vide anime purganti, in figura di
uccelli neri, uscir di un pozzo che vomitava fiamme, posare alquanto
sul margine, e riprofondarsi nel pozzo[525]. Nella Visione che da lui
prende il nome (fine del secolo IX) Carlo il Grosso trova in Purgatorio
suo padre Luigi, che un giorno sta immerso in un dolio d'acqua
bollente, e un altro in un dolio d'acqua tiepida e chiara, grazia
concedutagli per le preghiere di San Pietro e di San Remigio[526].
Migliore d'assai è la condizione del re Comarco, cui Tundalo vede
sedere con gran gloria e letizia sopra uno splendido trono, in un
palazzo luminoso e mirabile, ma che paga la pena di certi suoi peccati
stando tre ore di ciascun giorno immerso nel fuoco sino all'ombelico, e
coperto il rimanente corpo di cilicio[527].
Nel poemetto francese intitolato _La court de Paradis_, Maria
Vergine impetra dal figliuolo due giorni di riposo per le anime del
Purgatorio[528]; al qual proposito è da ricordare che Santa Brigida
asseriva d'avere udito dire alla Vergine stessa che per intercessione
di lei le pene del Purgatorio si mitigavano[529].
L'esempio di quanto avveniva in Purgatorio avrà più d'una volta
contribuito a far nascere l'idea di certi alleviamenti di pena
conceduti ai dannati in Inferno. Anche in tal caso la fantasia popolare
sapeva mostrarsi ragionevole e logica. Se la preghiera, se le opere
buone possono far sì che Dio punisca le anime del Purgatorio meno
aspramente di quanto la colpa loro, secondo giustizia, vorrebbe;
perchè non potranno esse produrre il medesimo effetto in beneficio
delle anime dannate? E a questo proposito vuol essere ricordato che
i teologi stessi di professione ammettevano che la giustizia divina
non si eserciti sopra i dannati con tutto il rigore che alla malvagità
loro si converrebbe; ammettevano una parziale, ma continua remission di
castigo, riconoscendo che essi erano puniti _citra condignum_. Perchè
dunque la giustizia divina, che s'era già da sè stessa mitigata una
volta, non dovrebbe più altre volte, o mitigarsi da sè, o lasciarsi
mitigare da altrui?
Ma la teologia che io ho chiamata del sentimento non fu paga
di arrecare alcun lenimento alle orrende torture che le anime
soffrivano in Inferno; essa si ribellò anche al dogma della eternità
incondizionata ed assoluta di quelle torture, e volle che, in certi
casi almeno, le porte dell'Inferno potessero riaprirsi e lasciar
libero il passo a chi le aveva varcate una volta, e che alcun'anima
dannata potesse, per eccezione, esser fatta cittadina del cielo.
Questo suo placito si afferma in numerose leggende. Quella di Trajano
imperatore, liberato dall'Inferno per le insistenti preghiere di San
Gregorio Magno, è cognita a tutti[530], e il curioso si è che San
Gregorio afferma l'eternità e irrevocabilità delle pene infernali.
Egli dice nel l. IV, c. 44 dei suoi _Dialoghi_ esser giusto che non
manchi mai di tormento chi mai non mancò di peccato. Sant'Agostino
racconta come Dinocrate fu liberato dall'Inferno per le preghiere
di sua sorella Perpetua[531]. Santa Viborada liberò nello stesso
modo un fanciullo. Sant'Odilone, abate di Cluny, rese tale servigio
all'anima di Benedetto IX papa, che davvero non lo meritava[532]. Di
un certo Evervach, dannato, a cui Dio permette di tornare al mondo a
farvi espiazione narra Cesario di Heisterbach[533], e son numerose le
leggende in cui tal miracolo si compie per intercessione della Vergine,
o di santi[534]. E c'è di più. Nella Visione del monaco Ansello si
dice che tutti gli anni, nel giorno della Risurrezione, Cristo scende
all'Inferno e libera le anime dei peccatori meno malvagi[535]. Nel
_fableau De saint Pierre et du jougleor_, un giullare, che era stato
lasciato dai diavoli a custodia dei dannati, giuoca questi a dadi con
san Pietro, che vince, e tutti li conduce in Paradiso[536]. In molti
racconti popolari si legge di pessimi uomini, che avendo meritato dieci
volte l'Inferno, riescono, con astuzia o con inganno, a cacciarsi fra i
beati.
La teologia del sentimento, che il più delle volte è la stessa
teologia popolare, ammetteva che le pene potessero essere alleviate
in qualche modo ai dannati; ma la teologia raziocinante, dottrinale,
scolastica, di solito lo negava. San Tommaso d'Aquino, lume di questa
seconda teologia, dimostra a fil di logica che in Inferno non può
esservi mitigazione di pena[537], e San Bonaventura è del medesimo
avviso, sebbene ammetta che Dio punisce i dannati meno di quanto si
converrebbe alle colpe loro. San Bernardo di Chiaravalle si scalmana a
dimostrare che i beati godono dello spettacolo che pongono loro sotto
gli occhi i tormenti dei dannati, e ne godono per quattro ragioni
propriamente: la prima, perchè quei tormenti non toccano a loro; la
seconda, perchè dannati tutti i rei, non potranno più temere malizia
alcuna, nè diabolica, nè umana; la terza, perchè la gloria loro sarà
fatta maggiore dal contrasto; la quarta, perchè ciò che piace a Dio
deve piacere ai giusti[538]. Qualsiasi mitigazione di pena conceduta
ai dannati sarebbe dunque diminuzione di beatitudine agli eletti,
e tale diminuzione tornerebbe in nuovo refrigerio dei dannati,
i quali, per più loro tormento (così si dice), hanno cognizione
di quella beatitudine. La Chiesa non porse mai, gli è vero, una
soluzione dogmatica del dubbio, ma non pregando per i dannati diede
implicitamente ragione a coloro che negano qualsiasi mitigazione.
Come la pensò in proposito Dante? Non è senza importanza il notarlo.
In materia teologica Dante s'attiene, essenzialmente, alle dottrine
dell'Aquinate, e certo non è da aspettarsi che voglia scostarsene
quanto alle pene infernali: ciò nondimeno, anche in questa parte, come
in altre, si può notare nel discepolo alcun dissentimento dal maestro,
e, alle volte, qualche po' di contraddizione con sè stesso.
Molte volte, percorrendo i varii cerchi dell'Inferno, Dante si mostra
preso di pietà profonda alla vista dei tormenti atroci cui soggiacciono
i dannati. Egli è _quasi smarrito_ di pietà quando ode da Virgilio
Nomar le donne antiche e i cavalieri;
vien meno al racconto dei casi di Francesca e di Paolo; lagrima
sull'affanno di Ciacco; ha il cor compunto alla vista del castigo che
travaglia i prodighi ecc.[539] Vero è che quando egli non può _tener
lo viso asciutto_ vedendo lo strazio degli indovini, Virgilio gliene fa
rimprovero e lo ammonisce con le terribili parole:
Qui vive la pietà quando è ben morta[540];
ma lo stesso Virgilio, divenuto tutto smorto in su la proda
Della valle d'abisso dolorosa,
aveva detto al discepolo:
L'angoscia delle genti
Che son quaggiù nel viso mi dipigne
Quella pietà che tu per tema senti[541].
Ma la pietà altrui può essa arrecare qualche beneficio ai dannati? e
può mai aversi in Inferno alcuna interruzione o alcun alleviamento di
pena? Parlando della bufera che travolge i _peccator carnali_, Dante la
chiama
La bufera infernal che mai non resta;
e di quei peccatori dice espressamente:
Nulla speranza li conforta mai
Non che di posa, ma di minor pena;
ma poco più oltre fa dire a Francesca che il vento alcuna volta si
tace[542], e questi riposi del vento non si possono intendere disgiunti
da un certo riposo concesso alle anime dannate. La piova del terzo
cerchio imperversa sempre ad un modo,
Regola e qualità mai non l'è nova;
ma i dannati
Dell'un de' lati fanno all'altro schermo,
e si volgono spesso[543], e riescono in tal modo a trovare un
alleggiamento, sia pur piccolissimo, al loro tormento. Similmente i
dannati del cerchio ottavo, sommersi nella pegola ardente, guizzan
fuori alquanto _ad alleggiar la pena_[544]. Per contro i dannati, o
almeno i diavoli, possono andar soggetti a un accrescimento di doglia
prima ancora del Giudizio universale[545]: dopo il Giudizio, i dannati,
rivestiti dei corpi loro, soggiaceranno a pena maggiore[546].
Dante ammette che i dannati possano avere, in mezzo alla spaventosa
loro miseria, alcuna consolazione. Francesca e Paolo hanno dallo stare
insieme, non accrescimento, ma lenimento di pena. Virgilio invita
il discepolo a chiamarli a sè _per quell'amor che i mena_, ed essi
non sanno resistere all'_affettuoso grido_, e delle lacrime di Dante
si mostrano riconoscenti. I dannati cui non bruttarono colpe vili,
desiderano, come Ciacco, Pier delle Vigne, Brunetto Latini, Guido
Guerra, Tegghiajo Aldobrandi, Jacopo Rusticucci, il conte Ugolino,
che la memoria di loro sia rinfrescata o vendicata nel mondo, e Dante
promette ad alcuno il suo ajuto. Afferma San Tommaso d'Aquino che
l'amore dei congiunti e degli amici non lenisce, ma inacerba i tormenti
dei dannati, i quali se ne sentono indegni. Dante non la pensa proprio
a quel modo. Cavalcante Cavalcanti, tuttochè dannato, ama il figliuolo,
e certo non può essergli grave d'essere amato da lui; Brunetto Latini
senza dubbio si allieta dell'affetto che addimostragli Dante.
Che Dante abbia conosciuta la _Visio Pauli_ è più che probabile[547];
che non l'abbia imitata in quella finzione dell'interrotto castigo è,
credo, da deplorare. Di quella finzione il meraviglioso suo ingegno
avrebbe saputo senza dubbio giovarsi. Con far tacere subitamente le
grida disperate dei dannati, con farle poi ricominciare, giunto il
termine del riposo, più spaventose di prima, egli avrebbe trovata la
via a bellezze poetiche di prim'ordine, degne del poema immortale. San
Tommaso forse fu quegli che non gliel permise.

NOTE:
[486] Per le varie redazioni e per le relazioni che passan fra loro,
vedi H. BRANDES, _Visio S. Pauli, ein Beitrag zur Visionslitteratur mit
einem deutschen und zwei lateinischen Texten_, Halle, 1885.
[487] Il racconto varia alquanto nelle varie redazioni della Visione,
ma è in sostanza quale l'ho riferito.
[488] Una ne pubblicò P. VILLARI, _Alcune leggende e tradizioni
che illustrano la Divina Commedia_, nel t. VIII degli _Annali delle
Università toscane_, Pisa, 1866, pp. 129-33; le altre sono inedite. Per
notizie circa le versioni volgari di varie letterature, vedi D'ANCONA,
_I precursori di Dante_, Firenze, 1874, pp. 43-4, e BRANDES, _Op.
cit_., pp. 42-62.
[489] Uno studio comparativo degli Inferni immaginati dalle varie
religioni, non sarebbe certo senza interesse, e importerebbe anche
all'argomento nostro; ma tale studio non si può dire che sia stato
fatto ancora. Il libro di O. HENNE-AM-RHYN, _Das Jenseits_, Lipsia,
1881, è assai manchevole, e più è quello di O. DELEPIERRE, _L'Enfer,
Essai philosophique et historique sur les légendes de la vie future_,
Londra, 1876.
[490] Chi desiderasse conoscere un po' più da vicino i termini
della questione e le opinioni dei teologi, vegga: TEOFILO RAYNAUD,
_Heteroclita spiritualia caelestium et infernorum, Opera_, Lione,
1665-9, t. XV, pp. 429-31; VINCENZO PATUZZI, _De futuro impiorum
statu_, 2ª ediz., Venezia, 1764, lib. III, c. 12; A. BERLAGE, _Die
dogmatische Lehre von den Sakramenten und letzten Dingen_, Münster,
1864, pp. 890-902; J. BAUTZ, _Die Hölle_, Magonza, 1882, pp. 197-210, e
i numerosi scritti speciali registrati dal GRAESSE, _Bibliotheca magica
et pneumatica_, Lipsia, 1843, pp. 12-3.
[491] I _Cor_., XV, 22; cf. _Rom._, V, 19.
[492] XVI, 24.
[493] XIV, 11.
[494] _Apocalypses apocryphae_, Lipsia, 1866, pp. 84-69. Notizie
concernenti il testo greco ivi stesso, pp. XIV-XVIII. Una versione
siriaca si conserva in parecchi codici.
[495] XII, 1 sgg.
[496] _Cathemerinon_, inno V. Di questi versi molti ebbero a far
parola: vedi ROESLER, _Der katholische Dichter Aurelius Prudentius
Clemens_, Friburgo i. B., 1886, p. 455. Errava il Patuzzi quando
affermava (_Op. e loc. cit._) le parole di Prudenzio doversi intendere
solo poeticamente.
[497] Nel cap. 113 dello stesso libro si leggono quest'altre parole:
«Manebit ergo sine fine mors illa perpetua damnatorum, idest alienatio
a vita Dei, et omnibus erit ipsa communis. quaelibet homines de
varietate poenarum, de dolorum relevatione vel intermissione pro suis
humanis motibus suspicentur».
[498] _Homil in epist. ad Philip._, III, 4.
[499] _Acta sanctorum_, t. II di gennajo, p. 1011.
[500] _Opera_, Parigi, 1644, t. I, pp. 790-3.
[501] _De officiis ecclesiasticis_, lib. II, in fine.
[502] _Acta sanctorum_, t. III di marzo, p. 573.
[503] DUEMMLER, _Poetae latini aevi carolini_, t. II, p. 270. Questa
particolarità si ritrova nel racconto in prosa di Heitone; ma sparisce
dal poema che sulla Visione compose Valafredo Strabone, _ibid._, p.
314.
[504] Per le relazioni delle versioni latine e volgari, e della siriaca
col testo greco, vedi BRANDES, _Op. cit._, pp. 2 sgg., e _Ueber die
Quellen der mittelenglischen Paulus-Vision_ dello stesso, Halle, 1883
(estratto dagli _Englische Studien_, vol. VII). Il Brandes non parla
delle versioni italiane e sembra non le abbia conosciute.
[505] _Dies dominicus dies est electus, in quo gaudent angeli et
archangeli maior diebus ceteris_. (Redazione latina II pubblicata
dal BRANDES, _Op. cit._, p. 75). _Lo die della domenicha è grande da
temere e da guardare di tutte le rie opere_ ecc. (Testo pubblicato dal
VILLARI). _Lo dia del dimenge es elegutz del cal s'alegron tug li angel
e li archangel e li sant car major es de totz los autres dias_. (Testo
provenzale pubblicato dal BARTSCH, _Denkmäler der provenzalischen
Litteratur_, Stoccarda, 1856, p. 313).
[506] _I precursori di Dante_, p. 48.
[507] _Prologus in psalmos; De civitate Dei_, lib. XXII, c. 30.
[508] EISENMENGER, _Entdecktes Judenthum_, Königsberg, 1711, vol. II,
pp. 347 sgg.
[509] Cfr. DE-VIT, _Come si possa difendere la Chiesa cattolica nelle
sue preghiere pei defunti incriminate dagli eterodossi_, Prato, 1863.
Vedi pure DURAND, _Rationale divinorum officiorum_, Venezia, 1577, lib.
VII, c. 35.
[510] Illud etiam, quod Humberti Archiepiscopi, summae videlicet
auctoritatis viri, narratione cognovi, silentio tradendum esse
non arbitror. Nam cum a finibus reverteretur Apuliae, asserebat in
regionibus quae Puteolis adiacent, inter aquas nigras et foetidas,
promontorium eminere saxosum et scrupeum. Ex quibus videlicet
exhalantibus aquis consueto more teterrime videntur aviculae repente
consurgere et a vespertina sabbati hora usque ad ortum secundae feriae
solitae sunt humanis aspectibus apparere. Quo indulti temporis spatio
videntur hinc inde per montem velut solutae vinculis libere spatiari.
Alas extendunt, plumas rostro prosequente depectunt, et in quantum
datur intelligi, concessa ad tempus refrigerii se tranquillitate
resolvunt. Quae profecto volucres nec unquam videntur vesci, nec
quolibet aucupis valent ingenio capi. Dilucescente igitur matutina
secunde feriae hora, ecce magnus ad instar vulturis corvus post
praefatas aviculas incipit concavo gutture graviter crocitare. Illae
protinus sese aquis immergentes abscondunt, nec ultra videndas se
humanis oculis offerunt, donec advesperascente iam sabbati die, de
sulphurei stagni voragine rursus emergunt. Unde nonnulli perhibent
eas hominum esse animas ultricibus gehennae suppliciis deputatas.
Quae nimirum reliquo totius hebdomadae tempore cruciantur, dominico
autem die cum adiacentibus ultra citroque noctibus pro dominicae
resurrectionis gloria refrigerio potiuntur. _Epistola IX, ad Nicolaum
II pontificem maximum_. _Opera_, Parigi, 1663, t. III, p. 186.
[511] Videntur circa eumdem locum qualibet die sabbathi, circa horam
nonam, volucres in quadam valle nigrae et sulphureo fumo deturpatae,
quae ibi quiescunt per totum diem dominicum, et in vespere cum
maximo dolore et planctu recedunt, numquam nisi in sequenti sabbatho
reversurae, et descendunt in lacum ferventem. Quas quidam afflictas
animas arbitrantur vel daemones. Ap. LEIBNITZ, _Scriptores rerum
brunsvicensium_, t. II, p. 698.
[512] _Speculum historiale_, lib. XXVI, c. 62.
[513] Vedi per ciò il mio studio intitolato _Demonologia di Dante_, nel
volume seguente.
[514] _Acta sanctorum_, t. X di ottobre, pp. 566-71. Vedi addietro pp.
84 sgg.
[515] _Dialogus miraculorum_, Colonia, 1851, dist. XII, c. 14.
[516] LUZEL, _Légendes chrétiennes de la Basse-Brétagne_, Parigi, 1881,
vol. II (_Les littératures populaires de toutes les nations_, vol.
III), pp. 169-70: _Le fils du diable_.
[517] _Op. cit._, pp. XXVII-XXX. Quale sia non si rileva nemmeno
dall'analisi del GIDEL, _Étude sur une apocalypse de la Vierge Marie,
Annuaire de l'Association pour l'encouragement des études grecques en
France_, anno V (1871), pp. 92 sgg.
[518] Vedi nel volume seguente il già citato studio _Demonologia di
Dante_.
[519] JUBINAL, _La légende latine de S. Brandaines, avec une traduction
inédite en prose et en poésie romanes_, Parigi, 1836; SCHROEDER,
_Sanct Brandan, ein lateinischer und drei deutsche Texte_, Erlangen,
1871; FRANCISQUE-MICHEL, _Les voyages merveilleux de saint Brandan_,
Parigi, 1878 ecc. Com'è naturale, le varie versioni e redazioni
non concordano sempre nei particolari. In una versione tedesca, la
pena assegnata a Giuda nei giorni di refrigerio è molto più aspra:
l'apostolo traditore gela nell'una metà del corpo, abbrucia nell'altra
ecc. (SCHROEDER, _Op. cit._, p. 178). In una delle versioni francesi
crescono e si moltiplicano i tormenti a cui soggiace il dannato sei
giorni della settimana; ma si moltiplicano pure e si prolungano i
riposi: egli ha alleviamento di pena per quindici giorni a Natale, e
tutte le feste della Madonna (MICHEL, _Op. cit._, pp. 63 sgg.). Nella
versione italiana pubblicata dal VILLARI (_Op. cit._, p. 149) Giuda ha
alleviamento anche il dì d'Ognissanti; ma brucia sulla pietra che lo
regge in mezzo all'onde.
[520] Il racconto dell'_Image du monde_ è riferito dal DU MÉRIL,
_Poésies populaires latines du moyen âge_, Parigi, 1847, pp. 337-40. Si
tratta propriamente della redazione rimaneggiata del poema. Vedi FANT,
_L'Image du monde, poème inédit du milieu du XIIIe siècle_, Upsala,
1886, p. 26.
[521] _Op. cit._, pp. 236 sgg.
[522] Cod. L, II, 14 della Nazionale di Torino, f. 360 _r_ e _v_.
[523] DUNLOP-LIEBRECHT, _Geschichte der Prosadichtungen_, Berlino,
1851, pp. 128; _History of Prose Fiction_, nuova ediz., Londra, 1888,
vol. I, p. 305.
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