Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, vol. I - 02

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che si chiamava la terza India e l'Etiopia[14]. Nel secolo XV, Fra
Mauro colloca il Paradiso in Oriente, _molto remoto dala habitation e
cognition humana_; ma non segna nella sua mappa il luogo preciso[15].
Da molti il Paradiso terrestre ponevasi nel Regno del Prete Gianni, o
in prossimità di quello, come vedremo più innanzi; regno che mutò più
d'una volta luogo sulla faccia della terra, secondo il bisogno della
leggenda; ma che fu da prima in India, o da quelle parti.
Dice Ranulfo Higden, nel suo _Polychronicon_, esser falsa la opinione
di coloro che credono il Paradiso disgiunto dalla terra abitata per
lunga distesa di mari[16]; ma bisogna pur riconoscere che tale opinione
professata, fra gli altri, nel nono secolo, da Valafredo Strabone e da
Remigio di Auxerre, e accennata da Rabano Mauro[17], doveva imporsi,
come quella che meglio s'accordava con certi sentimenti, e appagava
la fantasia, a molti spiriti. L'isola felice e la città d'oro dei
Vidyâdhari, di cui si racconta nel libro di novelle di Somadeva, son
poste anch'esse in parte remotissima ed ignota del mondo, e molte altre
immaginazioni affini si potrebbero qui recare a riscontro, delle quali
sarà detto più opportunamente altrove.
Quella opinione prendeva due forme diverse, secondochè il Paradiso
si faceva sorgere nell'antictone di Aristotele e di Eratostene[18],
ossia nella terra opposta all'abitata, divisa da questa dall'oceano
innavigabile; oppure in un'isola, remota sì da ogni contrada popolata
dagli uomini, ma appartenente nulladimeno al nostro emisfero.
Già Sulpizio Severo, nel IV secolo, dice, parlando dei primi parenti,
che essi furono cacciati come esuli nella terra da noi abitata, _in
nostram velut exules terram ejecti sunt_[19]; e in quello stesso secolo
Efrem Siro, ne' suoi Commentarii sulla Genesi, andati perduti, colloca
il Paradiso nell'antictone; ma Cosma Indicopleuste, nel VI, espone
tutta una sua dottrina in proposito la quale ha strettissima relazione
con antiche dottrine asiatiche, e, senza dubbio, ne dipende[20].
Cosma immagina la terra oblunga, e divisa in due parti, delle quali
l'una è interna e circondata dall'oceano, l'altra è esterna, cinge
l'oceano e si congiunge col cielo, volto in alto e all'ingiro a modo di
cupola. Il Paradiso è nella terra esterna, verso Oriente, e in quella
terra rimasero gli uomini sino al Diluvio. Noè, con l'Arca, traversò
l'oceano, e approdò in Persia, d'onde la sua progenitura si sparse in
questa parte di mondo ch'è ora abitata, mentre l'altra, che fu prima
abitata, ora è deserta. I quattro fiumi dell'Eden s'inabissano laggiù
nella terra, passano sotto l'oceano, e riscaturiscono di qua, dalla
parte nostra[21]. Sia ricordato, di passata, che gl'Indiani immaginano
un altro mondo (_loka_) di là dai Sette Mari, e che di là dall'oceano
immaginano gli Arabi la montagna di Kâf. Mosè Bar-Cefa, nel secolo
X, pose ancor egli il Paradiso nell'antictone[22]; e tale opinione,
avvalorata dal fatto (contraddetto, come poi vedremo, da molti sogni
che pure avevansi in conto di fatti) che il Paradiso, per quanto si
fossero corse le terre ed i mari, non s'era mai potuto rinvenire, ebbe
non pochi seguitatori, Dante fra gli altri.
Che Dante, ponendo il Paradiso terrestre sulla cima del monte del
Purgatorio, fece cosa non caduta in mente a nessuno dei Padri e Dottori
della Chiesa, fu notato già da parecchi; ma che, quanto alla situazione
del Paradiso, l'opinione di lui s'accorda con quella dei Padri e
Dottori che lo posero nell'antictone, non fu, ch'io sappia, fatto
osservare da alcuno. Conformemente alla comun dottrina de' suoi tempi,
Dante crede che la terra emersa, la _Gran secca_, com'egli la nomina,
sia tutta nell'emisfero settentrionale, e non si stenda se non picciol
tratto (circa 11 gradi secondo Tolomeo) oltre l'equatore. L'emisfero
meridionale è occupato dalle acque dell'oceano, salvo che in un punto
dove sorge il monte del Purgatorio, diametralmente opposto alla città
di Gerusalemme. Notisi tuttavia che de' quattro fiumi egli non dice
parola[23]. Quel viaggio sotterraneo, che altri faceva compiere loro,
doveva destare troppe obbiezioni nella mente di chi aveva disputato
la questione _De aqua et terra_, e aveva così giusta cognizione della
legge di gravità[24].
Molto più diffusa fu l'altra opinione, che poneva, come ho detto, il
Paradiso in un'isola del nostro emisfero, la quale quando è in Oriente
e quando in Occidente, secondo le immaginazioni. Poichè io parlo ora
della general credenza che assegnava il Paradiso all'Oriente, dirò,
prima, dell'isola, o, piuttosto, dell'isole orientali, salvo a dir
delle occidentali un po' più innanzi, quando parlerò di un'altra
credenza principale. In tanto viluppo ed intreccio d'immaginazioni, le
quali spesso nascono le une dalle altre, gli è affatto impossibile di
serbare, discorrendone, un ordine logico molto rigoroso.
Ma, prima di passar oltre, non sarà fuor di luogo ricordare che l'idea
di porre in un'isola segregata la stanza dei beati, o di attribuire
ad isole remote ed incognite una felicità non concessa al resto della
terra, è una idea naturale, molto antica e molto diffusa. L'Elisio
fu posto in una o più isole; e tutti sanno quanto dagli antichi siasi
favoleggiato intorno alle famose Isole Fortunate. L'isola dei Feaci,
e l'isola di Ogigia, descritte da Omero, sono terre di letizia e di
felicità; e l'isola di Pancaja, descritta da Diodoro Siculo, ha con
l'Elisio non piccola somiglianza. L'Atlantide di Platone e la Merope
di Teopompo erano immuni dagl'infiniti mali cui vanno soggette l'altre
contrade abitate dagli uomini. Oltre al monte Kâf, gli Arabi avevano
l'isola di Vacvac, ricordata nei viaggi di Sindbad delle _Mille e una
notte_, e di cui tante meraviglie narrano Masûdi e altri[25]; e avevano
le isole Saili, le quali erano di tanta vaghezza e felicità che chi vi
approdava dimenticava il resto del mondo[26]. Di un'isola dalle poma
d'oro narrarono le meraviglie i Celti.
L'isola paradisiaca sorgeva dalle acque di quel misterioso oceano
che fasciava tutto intorno la terra abitabile. L'immaginazione di
quest'oceano, antichissima, dacchè, prima che nei poemi di Omero
e di Esiodo, trovasi in India e in Caldea, durò viva quanto il
medio evo[27]. Isidoro di Siviglia l'accetta, e l'accetta ancora il
Boccaccio, quando il medio evo si chiude: le mappe la figurano. Notisi,
a tale riguardo, che, secondo Giuseppe Flavio, il fiume il quale esce
dal Paradiso, cinge tutta la terra, e che San Giovanni Damasceno fa di
quel fiume e dell'oceano circondante una cosa sola[28].
E molte mappe figurano anche l'isola, posta bensì in Oriente, ma non
sempre, come si può ben credere, nel medesimo luogo[29]. Di solito
essa non è designata con altro nome che quello di Paradiso, o Isola
del Paradiso. Nel poemetto che Cinevulfo (secolo X) compose intorno
alla Fenice, è detto che Dio pose l'isola santa così lontano dai
peccatori che nessuno può giungervi, e Dante fa un'isola del monte
_che si leva più dall'onda_. Una compilazione francese di storia
antica, che passò in traduzioni italiane, la ricorda, e dice che _è una
dolcie contrada, ed è assisa verso oriente, nel gran mare che tutto
il mondo atornea_[30]. Talvolta l'isola paradisiaca prende un nome,
o s'identifica con un'isola, non più immaginaria, ma reale. Giovanni
Witte di Hese (di Hees, Hesius) che negli ultimi anni del secolo XIV
compiè con la fantasia, senza muoversi da Utrecht, ov'era prete, un
meraviglioso viaggio in Oriente, e ne scrisse, in latino, un racconto
che fu messo a stampa sino dal 1489, dice che egli e i compagni suoi,
lasciate le terre del Prete Gianni, giunsero, dopo dieci giorni di
navigazione, a un'isola deliziosa, detta Radice del Paradiso, e dopo
dodici altri giorni, al monte Edom, il quale si leva erto e diritto
di mezzo il mare, come un'altissima torre, sicchè da nessuna parte
vi si può salire, e in cima ad esso si vuole che sia il Paradiso: «e
circa l'ora del vespero,» quando il sole declina, «si vede il muro
del Paradiso splendere di gran chiarità, e vaghissimamente a mo' di
stella[31]». Di questo monte e isola di Edom, il cui nome è, con tanta
disinvoltura, tolto alla Palestina, non so che sia fatta menzione
altrove.
Giovanni de' Marignolli, vescovo di Bisignano, che, insieme con altri,
fu da Benedetto XII (1334-1342) mandato in missione al Gran Cane dei
Tartari, afferma, nel suo _Chronicon_, che il Paradiso è a quaranta
miglia italiane dall'isola di Ceilan, d'onde si ode il fragore e lo
scroscio delle sue acque cadenti. Egli si vanta d'avere superato la
gloria del massimo Alessandro, il quale, pervenuto all'ultimo termine
della sua peregrinazione, eresse, a perpetua memoria, una colonna,
e di avere, nel cono del mondo, _in cono mundi_, alzata, di contro
al Paradiso una lapide, e sparsovi sopra dell'olio[32]. Ricorda la
opinione di alcuni, i quali asserivano in Ceilan stessa essere stato il
Paradiso; opinion ch'ei rifiuta, parendogli contraddetta dal nome[33].
Sta a ogni modo il fatto che alcuni ponevano il Paradiso in Ceilan, e
vedremo, in altro luogo, parecchie ragioni di così fatta credenza.
Che il Paradiso dovesse essere nella zona torrida, sotto il tropico del
Cancro, o a dirittura sotto l'equatore, fu opinione antica benchè non
molto diffusa. Tertulliano credeva che per il _flammeum gladium_ della
Genesi s'avesse appunto a intendere la zona di massima caldura, e fu
in tale sua credenza seguito da Filostorgio, da San Tommaso d'Aquino,
da San Bonaventura, e da parecchi altri[34]. Ma a tale opinione
contraddicevano molti, cui sembrava non la si potesse accordare con
quanto sapevasi del temperatissimo clima del Paradiso, e della copia
delle sue acque; al che rispondevano quei primi con dire che la troppa
caldura poteva essere mitigata dall'altitudine e da altre condizioni.
Al punto d'intersezione dell'equatore e del gran meridiano, gli Arabi
posero il Castello d'Arîn, di malagevole accesso, e il trono d'Iblîs.
Efrem Siro fu di opinione che il Paradiso, di là dall'oceano, circuisse
tutta la terra[35]; al qual proposito è da ricordare che anche
dell'Hara-berezaiti dei Persiani fu da taluno creduto altrettanto, e
che Plutarco parla di un continente che cinge tutto intorno la terra
(μεγαλη ἤπειρος) contrapposto al continente abitato (ἡ οἰκουμένη).
Altri andaron più oltre, e sostennero che il Paradiso si dovette
stendere sopra tutta la superficie della terra, senza di che non
avrebbe potuto contenere l'intero genere umano, che vi doveva avere
sua dimora, durando in istato d'innocenza[36]. Tale opinione professò
ancora in pien secolo XVI, Gioachino di Watt (Vadianus Sangallensis)
nel suo _Trium terrae partium epitome_.
Ma altre opinioni correvano, affatto a queste contrarie. Sin da'
tempi di San Teofilo di Antiochia (m. c. 181) c'era chi dubitava se
il Paradiso fosse mai stato in terra, dubbio ch'egli combatte[37];
e San Gerolamo ricorda una tradizione ebraica, secondo la quale
il Paradiso sarebbe stato creato avanti il mondo, e però fuori de'
suoi confini[38]. I Valentiniani lo posero sopra il terzo cielo; e
i musulmani credono ch'esso fosse nei cieli, e che Adamo, cacciato,
cadesse nell'isola di Serendib (Ceilan), e che quivi morisse dopo aver
fatto un pellegrinaggio al luogo dove poi doveva sorgere la Mecca.
In un manoscritto del Museo Britannico si legge che il Paradiso è
meravigliosamente sospeso fra il cielo a la terra, quaranta cubiti
sopra il più alto livello raggiunto dalle acque del Diluvio, che,
com'è noto, superarono di quaranta cubiti le cime delle più alte
montagne[39]. Altri pensarono che il Paradiso fosse bensì stato in
terra, ma che Iddio, corrucciato, l'avesse distrutto il giorno stesso
del peccato, o avesse più tardi permesso che lo distruggesse il
Diluvio. E qui è da dir qualche cosa della opinion di coloro i quali
credevano che il Paradiso fosse stato in Gerusalemme. Tale opinione
è già impugnata, nel IV secolo, da Sant'Atanasio, arcivescovo di
Alessandria[40]; ma bisogna riconoscere ch'essa non era sorta senza
qualche plausibile ragione, e che pareva formata a bella posta per
secondare certe tendenze della coscienza religiosa e per appagare certi
sentimenti dei fedeli. Dice Ezechiele in un luogo delle sue profezie
(V, 5):_ Ista est Jerusalem: in medio gentium posui eam et in circuitu
ejus terras_. Questo luogo, malamente interpretato, fece nascere la
credenza, serbata poi lungamente, che Gerusalemme fosse collocata nel
centro del continente abitato. Ora, è noto quanto la fantasia cristiana
sia stata vaga nei primi secoli, e poi nei secoli di mezzo, di collegar
fra loro, col sussidio di varie immaginazioni, più che non avvenisse
nel puro concetto dottrinale, i fatti varii della caduta e della
redenzione del genere umano, e di conferir loro, oltre alla continuità
e unità morale, anche una certa continuità e unità materiale. Si
credeva dai più che Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso, fossero poi
vissuti in luogo prossimo a quello; si credeva che Adamo fosse stato
sepolto sul Calvario; che la croce, fatta del legno dell'albero fatale,
che aveva dato esca al peccato, fosse sorta su quella tomba, e che
il sangue del redentore avesse bagnate le ossa del primo peccatore.
Come non credere allora che l'opera stessa della redenzione si fosse
compiuta nel proprio luogo ov'era stato commesso il peccato, e che in
quel luogo appunto fosse sorta la città santa e predestinata? Dante
pose il Paradiso terrestre agli antipodi di Gerusalemme; ma parecchi
dopo lui, sin oltre il secolo XVI, seguitarono ad aver l'opinione che
il Paradiso fosse stato in Giudea.
Se non che questa credenza, e la precedente, ebbero poco seguito, e
incomparabilmente maggiore l'ebbe l'altra, la quale affermava, non solo
che il Paradiso era stato veramente in terra, ma ancora ch'esso ci si
trovava tuttavia, serbato incolume, nella sua condizion primitiva. Di
ciò vedremo in seguito molte prove.
L'Elisio di Omero, le Isole dei beati di Esiodo, gli Orti delle
Esperidi, mutarono più volte luogo sulla faccia della terra
col mutare dei tempi, e altrettanto può dirsi del Meru indiano,
dell'Hara-berezaiti iranico, del monte su cui, dopo il Diluvio, si
fermò l'Arca ecc. Allo stesso modo mutò luogo il Paradiso terrestre,
salvo che il mutar suo non fu, di regola, come in altri casi avvenne,
effetto di migrazioni; ma fu più spesso effetto di speculazioni e
interpretazioni discordi, e talvolta di alcuno accrescimento del
sapere, o di alcuna scoperta geografica; e, più frequentemente ancora,
della irrequietezza stessa della fantasia, della mobilità della
leggenda. E al mutar suo, almeno in un caso molto importante, non fu
estraneo l'influsso di certi miti dell'antichità, e non furono estranee
le speciali condizioni di vita e di pensiero di alcuni popoli che non
entrarono se non tardi a far parte della grande famiglia cristiana.
La credenza più antica e più diffusa era, come abbiam veduto, quella
che poneva il Paradiso in Oriente; ma di contro ad essa vediam sorgere
una opinione contraria, che pone il Paradiso in Occidente, quando
più a settentrione, quando più a mezzodì. Già sin dal primo secolo
dell'èra volgare, gli Esseni, cedendo, senza dubbio, all'influsso di
miti pagani, ponevano di là dall'Oceano Atlantico il soggiorno dei
beati[41]. I Celti non avevano diversa credenza. Secondo la dottrina
loro, «gli uomini hanno per primo progenitore il dio della morte,
e questo dio abita una regione lontana, di là dall'Oceano; egli ha
sua dimora in quell'_isole estreme_, d'onde, secondo l'insegnamento
dei druidi, era venuta direttamente una parte degli abitanti della
Gallia». — «Secondo le credenze dei Celti, i morti vanno ad abitare
di là dall'oceano, verso Mezzodì, là dove si corica il sole la più
parte dell'anno, in una regione meravigliosa, che vince di gran
lunga, per gioje e seduzioni, questo mondo di qua. Da quel paese
misterioso traggono origine gli uomini»[42]. Queste credenze, hanno,
come si vede, molta somiglianza con quelle dei Greci e dei Romani,
ed è anzi probabile che abbiano esercitato sopra di esse un influsso
non lieve, concorrendo a fare spostare, specialmente verso il
Settentrione, l'isola di Saturno e il regno dei morti. Da altra banda,
le immaginazioni dei Greci e dei Romani non potevano non esercitare
alla lor volta un notabile influsso su quelle dei Celti. Mutata la fede
religiosa, molte delle antiche credenze naturalmente sopravvivevano,
accordandosi, fondendosi con le nuove, e in più varii modi alterandone
il concetto e la natura. Gaeli e Cimri favoleggiavano di un
meraviglioso paese, il quale sorgeva in mezzo all'oceano profondo, e i
cui abitatori, bevendo le acque dolcissime della fontana di gioventù,
non conoscevano nè la vecchiezza, nè i morbi. Un tal paese, nelle
menti dei convertiti, doveva necessariamente identificarsi col Paradiso
terrestre; ed è per questo che San Brandano muove, come vedremo, alla
ricerca del Paradiso navigando per l'Oceano occidentale. Tale credenza
aveva dunque un fondamento pagano, e perciò non è senza ragione che
Isidoro di Siviglia nota di paganità la opinion di coloro che ponevano
il Paradiso nelle Isole Fortunate[43].
Per le ragioni medesime furono talvolta situati in isole remote
dell'Oceano Atlantico il Purgatorio e l'Inferno. Già fra gli antichi
era nata una opinione che poneva in Gallia, o in Brettagna, il regno
dei morti. Plutarco ne fa ricordo, attingendo da un ignoto e più antico
scrittore. Claudiano, narrando certa navigazione oceanica di Ulisse,
già prima narrata da Solino, dice che l'eroe visitò un popolo di ombre
su quella estrema parte della Gallia che si protende nell'Oceano, nè
lascia intendere se alluda propriamente all'ultimo lembo occidentale
dell'Armorica, o alla Cornovaglia insulare (_Cornu Galliae_). Procopio
dà, in forma più compiuta, il racconto di Plutarco, e narra di una
popolazione di marinai, sulle coste settentrionali della Gallia,
officio de' quali era di tragittare di notte tempo le anime de' morti
in Brettagna. Di questa credenza è pur cenno negli scolii di Tzetzes
all'_Alessandra_ o _Cassandra_ di Licofrone, e nel medio evo essa non
era ancora del tutto perduta, perchè se ne trova un curioso ricordo in
un racconto tedesco del secolo XIII[44].
Ho detto che la latitudine del Paradiso occidentale variava, quando
più verso Settentrione, quando più verso Mezzodì. Che le fantasie lo
venissero respingendo talvolta nelle regioni più inospitali del globo,
verso i ghiacci e le nebbie del polo, non deve far troppa meraviglia,
se si pensa che già gli antichi ebbero alcune immaginazioni consimili;
che gl'Iperborei, i quali menavano vita felicissima, furono da essi
cacciati nell'estremo settentrione, di là dai monti Rifei[45]; che
nell'isola Prodesia, vicina a Tule, fu posto l'Elisio; e che tra
gl'Iperborei furono collocati da taluno gli Orti delle Esperidi[46].
Ed è curioso vedere come, nella seconda metà del secolo XI, Adamo
Bremense tramuti sulle rive del Baltico le Amazzoni, i Cinocefali, i
Macrobii, gl'Imantopodi, altri popoli strani e mostri varii, tolti la
più parte all'Asia leggendaria, e i Ciclopi per giunta[47]. Incoraggito
da sì fatti esempii, nel sec. XVI, il famoso Guglielmo Postel, che, fra
molt'altre cose, pretendeva d'essere ringiovanito e risuscitato, asserì
nel suo _Compendium cosmographicum_ che il Paradiso terrestre era sotto
il polo artico.
Ma, di solito, si preferivano latitudini alquanto più basse. A dispetto
d'Isidoro di Siviglia, alcuni seguitarono a credere che il Paradiso
fosse in quelle Isole Fortunate di cui tanto aveva favoleggiato
l'antichità, e dove pure erano stati messi gli Elisii. E a questo
proposito è da ricordare che i geografi arabici chiamarono le isole
che si trovano a occidente dell'Africa con due nomi diversi, Isole
Eterne e Isole della Felicità, e che queste Isole della Felicità pare
fossero le Canarie[48], che poi dovrebbero essere le Fortunate. E
dico _dovrebbero_, perchè nel medio evo ci fu grandissima confusione a
questo riguardo. Così, per citare qualche esempio, una delle carte di
Marin Sanudo (1306) pone a occidente dell'Irlanda nientemeno che 358
isole beate e fortunate, e sulla mappa di Fra Mauro (1457-9) si trovano
le _insule de Hibernia dite Fortunate_. Verso la fine del secolo XV
(1471) Grazioso Benincasa segna ancora due gruppi d'Isole Fortunate,
l'uno a ponente dell'Africa, l'altro a ponente dell'Irlanda[49]. Nel
primo gruppo sembra che ponesse il Paradiso terrestre Cristina di
Pisan, la quale visse sino all'anno 1431[50].
La vicinanza delle Isole Fortunate all'Africa doveva, o prima o poi,
suggerire l'idea che il Paradiso fosse appunto nel continente africano,
tanto più che si credeva da molti, come vedremo, essere il Nilo uno dei
quattro fiumi ricordati dalla Bibbia. Abbiam già veduto che Giovanni
de' Marignolli situava il Paradiso fra la terza India e l'Etiopia:
Lodovico Ariosto, più risoluto, lo pone senz'altro sul monte onde nasce
il Nilo, vicino al paese del Senapo, o Prete Gianni, mutato ancor esso
di luogo, e Giovanni Milton ne segue l'esempio[51]. Più d'uno udrà con
meraviglia che il celebre Livingstone cercava ancora il Paradiso nel
cuore dell'Africa, nella regione dei grandi laghi equatoriali.
Cristoforo Colombo ricorda la opinione di coloro che ponevano in Africa
il Paradiso, ma non vi si acconcia; anzi vuole ch'esso sia nelle nuove
terre da lui scoperte, non molto lungi dall'isola di Trinità e dalla
foce dell'Orenoco[52]. E con lui il Paradiso terrestre, dopo aver fatto
in certo modo il giro del mondo, ritorna in Oriente, giacchè, com'è
noto, il sommo navigatore morì senza sapere d'avere scoperto un nuovo
continente, anzi credendo d'aver raggiunto, navigando a occidente,
le isole e la costa orientale dell'Asia; la qual credenza gli faceva
dire che la terra non è così grande come dai più si crede. Si dovrà,
per la stessa ragione, riportare in Oriente il paradiso dei Gaeli?
Ebbero veramente costoro cognizione della rotondità della terra, come
fu da taluno asserito, e scoprirono essi, insieme con gli Scandinavi,
l'America, più secoli prima che il Colombo nascesse? e in che misura
la scoprirono? Non bisogna esser troppo corrivi nè ad affermare nè
a negare in così fatta materia. Se avessero proprio avuta quella
cognizione, e fatta quella scoperta, l'estremo Occidente, ov'essi tante
meraviglie ponevano, ridiventava, in certo modo, l'estremo Oriente dei
Padri e della più comune credenza. Ma sia di ciò come si voglia, non
è da dimenticare il fatto che parecchie mitologie, oltre alla greca e
alla romana, posero in Occidente paesi di delizie e di beatitudine. In
Occidente sorgeva, secondo gl'Indiani, Kanaka-puri, la Città d'oro; in
Occidente immaginano gli abitatori della Polinesia un'isola paradisiaca
detta Bulotu[53].
Chiudiamo questa ormai lunga rassegna con dire che non vi fu parte
della terra dove non si ponesse il Paradiso. Giorgio Federico Daumer,
nato nel 1800, lo pose in Australia, dove cresce l'albero del pane; il
celebre Giacomo Casanova lo cacciò insieme coi Megamicri, non degeneri
discendenti di Adamo, nell'interno del pianeta[54].
In leggende popolari tuttora vive, il Paradiso è in luogo prossimo a
chi le va rinarrando, nelle Alpi, per esempio, o nel Fichtelgebirge.

NOTE:
[6] Così si esprime il testo ebraico. La Vulgata, invece che _ad
orientem_, dice _a principio_, differenza importante nel fatto della
situazione, com'ebbero ad osservare RABANO MAURO, _Commentaria in
Genesim_ (_Opera_, t. I, col. 476, ap. MIGNE, _Patrologia latina_, t.
CVII), l. I, cap. 12, e altri.
[7] _Antiquitates judaicae_, l. I, cap. I, 3.
[8] _De Spiritu sancto_, c. 27.
[9] Nella _Bibliotheca orientalis_ dell'ASSEMANI, t. III, parte Iª. p.
306.
[10] Pubblicato da C. F. A. DILLMANN, sotto il titolo _Das christliche
Adambuch des Morgenlandes_, Gottinga, 1853: cf. MIGNE, _Dictionnaire
des apocryphes_, Parigi, 1856-8, vol. I, col. 297.
[11] Vedi la mappa di Torino in un codice del secolo XII; la mappa
del Museo Britannico (sec. XIII); quella di Silos; quella contenuta in
un manoscritto del _Polychronicon_ di RANULFO HIGDEN, del secolo XIV;
quella inserita in un manoscritto delle _Croniche di San Dionigi_, dei
tempi di Carlo V di Francia; e altre, riprodotte dal SANTAREM, _Atlas
composé de mappemondes et de cartes_, etc., Parigi, 1842, 1849, e
dallo JOMARD, _Les monuments de la géographie_, Parigi, s. a. V. pure
LELEWEL, _Géographie du moyen âge_, Atlas. Bruxelles, 1850, e DURAZZO,
_Il Paradiso terrestre nelle carte medioevali_, Mantova, 1887.
[12] Sarebbe inutile qui riferirne i nomi. Vedi l'indice dei tre
volumi dell'opera del SANTAREM intitolata _Essai sur l'histoire de
la géographie et de la cosmographie pendant le moyen âge_, Parigi,
1849-52, s. v. _Paradis terrestre_.
[13] _The Voiage and Travaile of sir_ JOHN MAUNDEVILLE, edizione curata
da J. O. Halliwell, Londra, 1839, cap. XXX, p. 303.
[14] _Mirabilia descripta per fratrem_ JORDANUM, _ordinis
praedicatorum, oriundum de Severaco, in India majori episcopum
columbensem, in Recueil de voyages et de mémoires publié par la Société
de géographie_, t. IV, Parigi, 1839, p. 56.
[15] ZURLA, _Il Mappamondo di Fra Mauro Camaldolese descritto ed
illustrato_, Venezia, 1806, p. 73.
[16] RANULPHI HIGDENI _monachi Cestrensis Polychronicon_, edito da
Churchill Babington nei _Rerum Britannicarum medii aevi scriptores_,
vol. I, l. I, cap. 10, pp. 70-2.
[17] WALAFRIDI STRABONIS _Glossa ordinaria, Liber Genesis_, cap. 2
(_Opera_, t. I, col. 86, ap. MIGNE, _Patrologia latina_, t. CXIII);
REMIGII AUTISSIODORENSIS _Comentarius in Genesim_, cap. 2 (_Opera_,
col. 60, ap. MIGNE, _Patr. lat._, t. CXXXI): RHABANI MAURI _Commentaria
in Genesim_ già citati, l. cit.
[18] Cf. una lettera del LETRONNE all'HUMBOLDT nell'opera di questo:
_Examen critique de l'histoire de la géographie du nouveau continent_,
Parigi, 1836-9, vol. III, p. 129.
[19] _Historiae sacrae_ l. I, in principio.
[20] Vedi GESENIUS, _Comentar über den Jesaia_, Lipsia, 1821, vol. II,
p. 525. Il sistema di Cosma presenta anche non poca somiglianza con
quello che espone MACROBIO, _In somnium Scipionis_, II, 5.
[21] Χριστιανικὴ τοπογραφία, l. II, in _Bibliotheca veterum patrum_ del
Galland, t. XI, pp. 414, 418-9.
[22] _De Paradiso_, parte I, cc. 8-9.
[23] _Inferno_, c. XXXIV, vv. 112-7.
[24] Il DE GUBERNATIS, in uno scritto intitolato _Dante e l'India_
(_Giornale della Società asiatica italiana_, vol. III, 1889, pp. 3-19)
sostiene che per Dante il monte del Purgatorio è l'isola di Ceilan; ma
poteva Dante ignorare ciò che tutti sapevano ai suoi tempi, cioè che
l'isola di Ceilan era popolata, non di anime purganti, ma di uomini
d'ossa e di polpe? che da quell'isola venivano spezie in gran copia?
che ad essa approdavano mercatanti e pellegrini in gran numero? Come
avrebbe potuto Dante dire il lido di così fatta isola
lito diserto
Che mai non vide navicar sue acque
Uomo che di tornar sia poscia esperto?
E come avrebbe potuto chiamar quell'isola un'_isoletta_? (_Purgatorio_,
I, 130-2, 100).
[25] Cf. REINAUD, _Géographie d'Aboulfeda_, vol. I, Parigi 1848,
Introduzione, p. CCCVIII.
[26] Vedi SHEMS ED-DÎN ABU-'ABDALLAH, _Nokhbet eddahr_, ecc., trad, da
A. F. Mehren, Copenaghen, 1874, pp. 171-2.
[27] Una ingegnosa ipotesi sulla origine di essa presso gli antichi
espone il PLOIX, _L'Océan des anciens, Revue archéologique_, nuova
serie, vol. XXXIII (1877).
[28] GIUSEPPE FLAVIO, _Antiq. jud_., I, 1; S. GIOVANNI DAMASCENO, _De
fide orthodoxa_, l. II, cap. 9.
[29] Vedi negli atlanti citati pur ora le seguenti mappe: di Enrico,
canonico di Magonza (sec. XII); quelle inserite in manoscritti del
_Liber Floridus_ di LAMBERTO, canonico di Saint-Omer (sec. XII); quella
inserita in un manoscritto della _Imago mundi_ di ONORIO DI AUTUN (sec.
XII); di Hereford (sec. XIII); di MARIN SANUDO, nel _Chronicon a mundi
creatione ad annum Christi 1320_. Cf. SANTAREM, _Essai_ etc., vol. III,
pp. 477-8, 497; vol. II, pp. 197, 241; vol. III, p. 140.
[30] P. MEYER, _Romania_, vol. XIV, p. 62; PARODI, _I rifacimenti e le
traduzioni italiane dell'Eneide di Virgilio prima del Rinascimento_,
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