In faccia al destino - 12

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vassoio con le due mani.
— No, grazie....; scotta.
— Bevi....; c'è tempo!
_Eccola_....: Ortensia.
— Perchè alzarti? — La mia mano tremava reggendo la tazza.
— Quando la rivedremo? — ella disse; perchè il padre la guardava.
Ecco anche Marcella.
— Ohe! signorine complimentose! Vostro padre, non si saluta?
E a me Claudio ripeteva burbero: — Andiamo?
Marcella disse: — Buon viaggio, Sivori; non si dimentichi di noi. Ci
scriva! Ci scriva spesso!
— Addio.... — La sua mano era fredda.
Quando già salivamo in carrozza giunse anche Mino; senza bugie,
ma, caso mai non tornassimo tosto, con la tromba in una mano e il
tamburello nell'altra.
— Vengo con te, Sivori!
— Via! — gridò il padre, frustando Sansone.
— Addio!
— Buon viaggio! Buon viaggio! — ripetevano Marcella e i servi.
Ortensia non disse nulla; mi guardò; sorrise appena; trasse d'impeto
nelle sue braccia Mino, che urlava piangendo:
— Voglio andare a Milano, con Sivori!
Come la carrozza svoltava dal cancello, scorsi quello sguardo lungo;
che mi seguiva. Essa pareva tendere a me col fanciulletto, che
sosteneva da un lato per vedermi....
Quello sguardo lungo, privo di lagrime, mi seguiva innocente e doloroso
quale lo sguardo d'una vittima.


PARTE SECONDA.

I.

Mi ero proposto di rimanere a lungo a Berlino, perchè ivi spendevo
assai ed ero costretto a lavorar molto.
La moda mi aiutava a scrivere articoli o relazioni di pseudo-scienza
per giornali e periodici non solo d'Italia; e per lo più volgevo in
apparenze di sociologia facili osservazioni intorno la vita privata
e pubblica della Germania. Allorchè qualche rivista, di quelle più
gravi, mi impose argomenti più seriamente scientifici, fui obbligato a
studiare «sul serio»....; e di tutto ciò, in fondo, ridevo amaramente.
Però al disprezzo dell'opera seguiva in me un conforto anche maggiore
di quel che dà il lavoro per sè solo; il conforto di una nuova energia
che mi sosteneva quando mi sentivo più stanco. Era la coscienza di me
stesso ricuperata; era un impulso di emulazione per cui, al solito, mi
confrontavo a Roveni quasi a un ideal tipo di uomo temperato a una vita
sana e potente. Roveni mi aveva creduto debole. Ebbene, ora io faticavo
duramente per vivere e vivevo per vincere la mia passione.
Ma vincerei? Tutto ciò che non era ricordo di Valdigorgo mi pareva
fittizio, erroneo, falso; e rincasando ogni sera, nel silenzio dopo il
tumulto, provavo l'impressione di un artista comico che si spogli degli
abiti scenici per tornare alla vita vera; e con un abbandono, quasi
violento, ai ricordi tornavo _lassù_.
Soffrivo in modo che m'era necessaria una speranza. Speravo appunto che
quella mia condanna volontaria, quel mio esilio volontario, quel mio
faticar volontario un dì o l'altro finirebbe; uscirei da quello stadio
di prova; supererei la prova. Dopo, raccolte e ricomposte tutte le mie
forze, ritemprato e tranquillato, io potrei rivederla, Ortensia; potrei
risentirne la voce.... Oh se l'amavo ancora!
Più spesso che nei sogni, nella prima apprensione del sonno l'immagine
di lei tornava a me, non dolente ma sorridente; così viva che
sobbalzavo.... — Ortensia! Ortensia! — Avrei voluto chiamarla, la
chiamavo a voce alta, come lassù....; ma io non udivo dentro di me la
sua voce; non riuscivo a ricuperare nella memoria il timbro, il suono
preciso della sua voce; ed era uno spasimo.
Una volta, a una festa dell'ambasciata italiana, stavo chiacchierando
con un giornalista, quando egli, d'improvviso, mi vide impallidire e mi
chiese:
— Che avete?
Avevo intravvista, agile e bionda, passare nella ressa, tra le signore,
una giovinetta.... Le rassomigliava.
Volli esserle presentato.
Ma parlando perdetti il senso della somiglianza che avevo percepita;
invano, invano cercai nella sua voce un accento solo della voce
d'Ortensia, e mi allontanai desolato, pentito quasi di una colpa.
E talora la dolce immagine m'appariva per i luoghi più tumultuosi,
impensatamente; spariva tra la folla; mi lasciava doloroso come se mi
fosse crudelmente strappata una parte di me dopo un istantaneo gaudio
di tutto il mio essere.
Nè avevo un ritratto di Ortensia!
A me non era lecito possederne nemmeno il ritratto, mentre Roveni
poteva vederla, udirne la voce ogni giorno. La lontananza e il tempo
assopirebbero in cuore ad Ortensia il ricordo di me; la ragione
alleandosi alla giovinezza, che in lei domanderebbe amore vivo e
fervido, la persuaderebbe che io stesso l'esortavo a consentire a
Roveni. A poco a poco ella avrebbe nel cuore l'accensione della nuova
e più vigorosa fiamma, non più contenuta....
Io l'avevo baciata sulla fronte: Roveni le carpirebbe sulle labbra il
primo bacio, le prime ebbrezze....
A questo pensavo! Con che tormento, con che strazio! Era debolezza,
questa? Ancora m'infliggevo lo strazio degli ultimi giorni di
Valdigorgo preparandomi al giorno in cui apprenderei che Roveni aveva
il diritto di possederla.... Volevo, dovevo dominare in me, così, la
gelosia: Roveni possederebbe Ortensia interamente! E correvo al di là
di quel mio soffrire, al di là di quel giorno forse non lontano per
la felicità di Ortensia, cercando d'immaginare me stesso rassegnato,
pacato nell'animo. Rivedrei Ortensia moglie e madre; potrei un giorno,
senza rancore e pago della felicità di lei, accogliere tra le mie
braccia i suoi figliuoli....
Era debolezza, questa?
In data 2 dicembre 1890, da Pavia, ov'era all'Università, Guido mi
scrisse:
_Caro dottore_,
Un po' in ritardo ti do la notizia del mio patatrac! e della
mia successiva felicità. Cominciando dal patatrac, esso avvenne
un mese fa, per colpa di quel vecchio imbecille di Sansone, il
cavallo di Moser, nonchè di Gigi il servitore.
Come sai, Gigi aveva molti obblighi verso di me, che gli prestavo
lo schioppo e gli regalavo le cartucce per tirare ai beccafichi; e
in compenso lui trasmetteva degl'innocenti bigliettini a Marcella.
Ma Gigi un brutto giorno lasciò inginocchiare Sansone. Se per
causa del suo servitore, Moser si fosse rotta lui una gamba,
non c'è dubbio che avrebbe perdonato subito. Invece, a vedere
spelate le ginocchia dell'amato Sansone si arrabbiò, come sai
che si arrabbia delle volte; e Gigi, per difendersi cominciò a
dire insolenze, non al padrone, che le avrebbe perdonate, forse,
ma al cavallo; e fu bell'e fatta! Gigi fu licenziato, e venne a
sostituirlo un cretino, che al primo biglietto da consegnare a
Marcella, si fece cogliere dalla signora Eugenia. Per fortuna, nel
biglietto io (che avevo fatta una scappata a casa dopo gli esami)
dicevo solo che presto dovrei tornare a Pavia all'università
e che bisognava far buon uso del tempo; e pregavo Marcella di
venirmi incontro per la strada. Apriti Cielo! Un biglietto! Un
appuntamento! Come se fosse una gran cosa, una novità! La signora
Eugenia cominciò ad aprir gli occhi a Moser e lui...: apriti, o
terra!, spalancati, inferno!
Tu, Sivori, penserai che Moser si sia inquietato tanto perchè
crede Marcella ancora una bambina o perchè io non sono ancora
laureato. Niente affatto! Si è inquietato perchè è in rapporti
d'affari con mio padre! Non è un bell'originale? Un altro direbbe:
Essendo noi genitori in rapporti d'affari, tanto meglio se i
nostri figli si vogliono bene! Si fa tutta una famiglia, e buona
notte! Moser invece è andato in bestia appunto per ciò.
Ora tu t'immagini di vedermi piangere come un vitello; ma
t'inganni!
Io rido, felice e contento; perchè l'ingegnere ha sgridato tanto;
Marcella, poverina, ha pianto tanto; mia madre s'è mostrata così
afflitta, che la signora Eugenia, ha dovuto riparare al mal fatto;
e a poco a poco ha quietato il Cerbero numero uno. Figurati che
adesso io vado a trovare Marcella a Milano (dove i Moser sono da
quindici giorni) proprio come un fidanzato ufficiale! Ma c'è anche
il Cerbero numero due; mio padre! A questo ci penserà mia madre,
se vuole presto un nipotino in tutte le regole!
Non ho altro da dirti. Anna Melvi è spesso a Milano anche lei.
Studia il canto per _calcare le scene_. Ortensia, nell'ultimo
tempo che stettero lassù, era divenuta insopportabile.
Adesso accompagna Moser di qua e di là; ma io non dico che questo
è un capriccio, per non farti dispiacere....
Nel suo giocondo egoismo, Guido non vedeva cosa d'importanza che non
si riferisse al suo amore; non immaginava che impressione mi farebbe
quella sola frase: «Ortensia era divenuta insopportabile». Dunque la
tristezza di lei era cresciuta! La smania di divagamento, a cui Guido
alludeva infine, non significava forse che ella si tormentava come me
per dimenticare?
Approssimando l'anno nuovo, da Milano, Marcella ricambiò «a nome di
tutti» i miei auguri; e a una mia domanda abbastanza, esplicita intorno
a sua sorella, rispose così:
Di Ortensia cosa vuole che le dica? li ha sempre avuti, anche
da bambina, i grilli per il capo, gli alti e bassi di buon e
di cattivo umore, ma adesso! Si irrita per niente; e quando è
triste, si vede proprio che soffre. E perchè? A Milano non ci
voleva venire, e viceversa, a Valdigorgo si annoiava a morte;
ma adesso vorrebbe tornar in campagna, con questo freschino!
Quella linguaccia di Anna direbbe che stando a Milano Ortensia
si è innamorata di Roveni.... Ma io per Roveni ci spero poco!
Quando partimmo egli le disse, in mia presenza, che coltivava una
speranza....; essa finse di non capire. Cervellina sempre!


II.

Mi amava ancora? Era effetto di passione quel che a sua sorella e a sua
madre sembrava difetto d'indole e di carattere? Se io mi rispondevo:
— Sì, mi ama ancora —, ecco l'immagine di Roveni che si affacciava a
dirmi, come mi aveva detto alla fabbrica: «Fuori dei romanzi, nella
realtà vera, non può resistere in una ragazza di neppur diciotto
anni un amore che fu interrotto appena nato. Resiste in voi, spirito
infermo!»
E mi adattavo a pensare che Ortensia soffrisse non per amore, ma per
rancore, per l'amarezza della prima delusione, per l'abbandono in
cui l'avevo lasciata. Non sempre però mi riposava questo pensiero;
spesso anzi, per reazione, mi abbandonavo al ricordo di Ortensia con
disperata voluttà e disperatamente godevo di quella mia passione come
di un'elevazione sublime. S'acuiva allora in me l'intendimento delle
più nobili facoltà dello spirito; mi pareva d'intender Dio. Ortensia,
nell'aspetto di una giovinetta, era un'anima bella che aveva avvinta
l'anima mia, a cui l'anima mia si era avvinta per sempre, contro ogni
ritegno, ogni resistenza di pregiudizi e di piccoli doveri.
Stolto! Avevo creduto ingiusta quell'affinità di due anime per
differenza d'età!; avevo misurato ad anni quel che è immortale!; avevo
sacrificato a basse convenienze la felicità di un amore trascendente la
vita materiale e comune!
E una voce mi diceva: — Ortensia intende l'amore così!
Ah se avessi dato ascolto a quella voce!


III.

Finalmente venne la primavera; venne una lettera di Marcella. La
poverina impiegava più pagine per dire soltanto che, essendo Roveni
necessario alla fabbrica (poichè Moser aveva assunto una grande impresa
edilizia a Novara), Roveni si era indotto a rimaner a Valdigorgo per un
altro anno; e che non molto dopo il loro ritorno da Milano a Valdigorgo
una spiegazione era intervenuta tra Ortensia e lui. Alla esplicita
dichiarazione dell'ingegnere Ortensia aveva risposto:
— Per adesso non ci penso, a maritarmi.
L'ingegnere anche stavolta non si era adontato; aveva detto
tranquillamente: — Bene, bene!; ne riparleremo poi!
Indispettita, Marcella osservava:
Roveni tratta l'amore come un affare. Chi direbbe a vederlo che è
innamorato davvero? Cosa fa per vincere la freddezza di Ortensia?
Quando parlano insieme, parlano in un certo modo....; come se
avessero paura di scottarsi! E che bei discorsi! Piove? Pioverà
oggi?...
Altro commento facevo io: così amava quell'uomo!; con fermezza, con
tenacia, con avvedutezza quali bisognavano a piegare una volontà poco
arrendevole. Nell'apparente freddezza o tranquillità, con che prudente
ritegno di sè stesso conquisterebbe a poco a poco il cuore di Ortensia,
che egli vedeva non ancora libero dal ricordo di me!
Nella stessa lettera la buona Marcella mi prometteva presto una grande
notizia. Questa me la diede Guido, indi a poco, e ci ragionava su da
filosofo felice.
Suo padre s'era opposto al matrimonio.
— Se vuoi moglie pensa tu a mantenertela — diceva il padre. Ma la
madre si era accordata con la signora Eugenia, che per Marcella
aveva garantito una parte della sua propria dote, non potendo Moser
compromettere allora, in alcun modo i suoi capitali....
E diceva Guido:
Se non ci fossero state tante questioni, il mio fidanzamento
si sarebbe prolungato chi sa quanto! Le questioni invece hanno
invelenito mio padre al punto che egli ha giurato di lasciarmi
rompere il collo, come dice lui, senza curarsene; quindi mia
madre, sempre più commossa, ha finito coll'assicurarmi che mi
aiuterà lei di sottomano finchè sarò in grado da guadagnare come
voi altri mediconi. Stando così le cose, perchè protrarre lo
sposalizio? Maritandoci in estate, Moser avrà vicino per più mesi
la figliuola e ne sentirà meno il distacco in seguito, quando io
andrò a Milano a cercar clienti. Dunque, appena laureato....
Infatti in giugno ebbi l'annunzio che l'Italia aveva un medico di più e
pochi giorni dopo ebbi la partecipazione che il mondo contava un marito
e una moglie di più. Del resto, era felice anche Claudio; che trovò il
tempo di raccontarmi a suo modo il lieto evento.
Per poco non aveva preso a revolverate quel traditore che gli portava
via una delle sue «bambine». Ma s'era consolato a veder in Marcella,
_ipso facto_, «una bella sposa»; e invitava anche me ad ammirarla....
Aspettami, povero Moser!


IV.

Con che accorata nostalgia, durante l'estate che m'ero condannato a
trascorrere in terra straniera, ripensavo ai luoghi più grati alla
mia memoria! Le fresche acque correnti ai lati delle vie; il Gorgo
spumeggiante al ponte del Crocifisso; l'erta e ombrosa strada di
Paviglio; il colle boscoso dell'antico convento; la chiostra dei monti
a sfondo del cielo nitido, quale era a riguardarla dal giardino fiorito
della villa....; oh dolci e tristi visioni nella memoria dell'esule! E
che amarezza rammentando ogni giorno le ore belle degli stessi giorni
dell'anno innanzi; le ore passate con _lei_! Nulla più di meschino,
di puerile, in quel mio passato: la lontananza di luogo e di tempo
imponeva alla ricordanza tanta poesia! Provavo il compiacimento come
di un'arrendevolezza generosa e gioiosa ripensando anche alla pazienza
con cui consentivo ai giochi di Mino e com'egli mi trattava da pari a
pari, mi comandava saldo in gambe, impettito nel grembialone quasi in
una corazza, con le braccia dimenate a misura dei passi; e il cappello
di carta, e lo schioppo in ispalla..
Nè egli, Mino, si dimenticava degli amici, sebbene fosse divenuto un
letterato.
_Caro amico_,
Come è bello quel bastimento a vapore che mi ai mandato, tutto il
giorno io mi bagno nel fosso della lavandaia e faccio rabiare un
poco la mamma ma voglio fare il marinaio.
È stato un gran regalone e adesso ti sono proprio affezzionato. I
miei genitori sono stizziti con te perchè non vieni a Valdigorgo
specialmente il babbo che mi comprerà un cavallino vero di carne,
perchè sono passato all'esame.
Anch'io sono instizzito micca con te, con Ortensia che è cattiva,
ma non dirlo alla mamma, non mi racconta più delle favole vere,
di uomini, non ne voglio di bestie. Se tu non vieni mandami delle
favole di uomini, ma spero che verrai e ti aspeto giorno per
giorno.
MINO.
Ti ringrazio tanto tanto. Scusami degli sgarabocchi....

Povero Sivori! che cosa vi toccherà mai di leggere? Io non
debbo saperlo, perchè Mino non vuole, ma approfitto della sua
bella lettera (non so se l'abbia scritta con la complicità di
Marcella) per mandarvi saluti cordiali. Noi stiamo bene. Fateci
un'improvvisata, Sivori!
EUGENIA.
Mino mi scrisse così con la complicità di Marcella; non di Ortensia.
Ortensia era cattiva.
Sì: non mi scriveva lei! E anche i nuovi coniugi Learchi avevan
pensiero d'altro che di me! Silenzio di tutti fino all'anno nuovo. Poi,
all'anno nuovo, Eugenia prevenne i miei auguri inviandomi auguri per
tutti loro; Eugenia, non Ortensia!; ed Eugenia prevenendo a scrivermi
cercò forse evitare mie domande, cui le sarebbe stato difficile
rispondere....
_Forse...., forse....; forse...._: per quanto tempo ancora la mia vita
si atterrebbe su questo dubbioso termine? Per quanto tempo ancora?
Quattro mesi dopo (aprile del 1892) Guido mi annunciava che egli era
padre, il più felice dei padri. Aggiungeva:
Quando Marcella si sarà riposata (perché dar un nipotino a
Moser le è costato più fatica che dargli le solite pantofole) ti
racconterà lei con che sorta di _no_ senza attenuanti Ortensia ha
risposto alla definitiva richiesta di Roveni.
Come rimasi a legger queste parole! Ortensia aveva risposto no!... Un
no «senza attenuanti» alla definitiva richiesta di Roveni!...
Il bello è — seguitava allegramente Guido —, il bello è che costui
ha preso licenza da Moser, ma solo per la fine dell'anno. Capisci?
Dopo un tal _no_ ha il coraggio di restar a Valdigorgo anche
altri otto mesi! Comincio a credere che il padrone del mondo, a
cui basta battere il piede in terra per aver impieghi, non sappia
dove batter la testa per trovarne uno. Punf! Paf! Paf! Punf! A
Valdigorgo, dopo tutto, non ci si sta male anche senza Ortensia;
e se un affare è andato male, ci si può rimediare con un altro.
Forse spera anche lui nella società che Moser è ormai costretto a
costituire.
Non attesi il racconto di Marcella. Scrissi a Eugenia chiedendo
a dirittura se le sue speranze di un tempo intorno a Roveni erano
mancate, come Guido mi lasciava credere.
Candidamente Eugenia mi rispose che Ortensia aveva consultato il suo
cuore e aveva confessato di non poter promettere a Roveni, nè allora nè
poi, l'affetto che rendesse felici entrambi.
A me mi è dispiaciuto perchè di Roveni ho la stessa opinione che
avete voi, ma meglio questa franchezza di Ortensia adesso, che
un pentimento dopo. Roveni mi par rassegnato. Solo desidera che
Claudio non sappia nulla di tutto questo.
E quando Marcella si fece viva, non aggiunse altro che Ortensia era
stata troppo rude con Roveni.
Ma, francamente! la colpa è anche di lui. Non si fa così
a innamorare le ragazze! Troppa sicurezza; troppa aria di
padronanza! Figurarsi se una ragazza come Ortensia poteva
innamorarsi per ubbidienza!


V.

Amando Ortensia di tanta passione avrei dovuto correr subito a lei,
dopo la notizia che essa aveva respinto Roveni?
Sì, fu un errore non dar retta al consiglio che la passione mi dava;
ma questo fu conseguenza di un errore più grande: il più grande errore
della mia vita; un errore enorme, che solo una mente ottenebrata da
pregiudizi più dannosi di qualsiasi malattia poteva commettere.
Nel concetto che m'ero fatto di Roveni avevo errato ed erravo così!
E per me allora erravano invece tutti gli altri: Guido, Marcella,
Eugenia.
Guido si meravigliava che l'ingegnere restasse a Valdigorgo dopo
lo scacco che gli era toccato e non ci scorgeva altra ragione che
l'interesse: io credei fermamente che Roveni non fosse rassegnato, come
diceva Eugenia, e che respinto da Ortensia, non si tenesse ancora per
sconfitto e sperasse ancora di piegarla restando a Valdigorgo per altri
otto mesi.
Marcella non si meravigliava del no di Ortensia, perchè l'ingegnere,
secondo lei, l'aveva sdegnata con i suoi modi; perchè egli non aveva
saputo usar le affettature e le delicature di una educazione molle, o
gl'inchini, i complimenti, le adulazioni dei frivoli corteggiatori:
io pensavo che sotto la scorza dell'uomo positivo Ortensia avesse
ben inteso un amore forte e tenace e che con le mezze parole,
le espressioni rudi, le occhiate e i silenzi, Roveni le si fosse
manifestato meglio che con i sospiri e i languidi discorsi. Non perciò
le era divenuto antipatico! Essa non aveva ancor potuto dimenticarmi
del tutto e forse si attendeva di rivedermi nel prossimo estate: da ciò
la sua ripulsa.
Ma io non andrei; non dovevo tornare a Valdigorgo prima della fine
dell'anno, se davvero temevo ch'ella perdesse per causa mia un felice
avvenire! E che accadrebbe? Forse Ortensia farebbe tra me e Roveni un
nuovo confronto: io dimostravo di averla abbandonata per sempre; egli,
il rude e freddo Roveni, non si rassegnava ad abbandonarla: sperava di
superar la volontà di lei e di meritar affetto e gratitudine per tanta
costanza. Le nature volontarie amano le nature volontarie. Forse Roveni
vincerebbe.
Se poi tornasse vero quel che pensava Eugenia: «Quando Ortensia ha
detto _no_, è _no_»...., oh allora!... Allora ogni ritegno cederebbe
alla volontà di Ortensia e il nostro amore basterebbe alla sua e alla
mia vita!
Vedete se speravo anch'io! Era una speranza che mi pareva or
ragionevole, or folle; un'ansietà che durerebbe mesi e mesi, sino alla
fine dell'anno.
A un nuovo invito di Claudio, nel giugno, risposi che non potevo
allontanarmi da Berlino, perchè mi ero messo a esercitar la medicina.
Ed era vero; e faticavo non senza fortuna. Ma chi osservando con quale
intensità e alacrità partecipavo ora alla vita, avrebbe mai immaginato
quanto io ero stato infermo un tempo e quanto affanno avevo nel cuore?
Amavo la vita, ora; ne compiangevo le sofferenze; in esse mi
ritempravo. Speravo.
Venne finalmente il termine imposto alla lunga perplessità e alla
liberazione — quale si fosse — della schiavitù di me a me stesso.
Ma alla fine dell'anno non ebbi alcuna notizia; solo un biglietto di
Eugenia, col solo nome: muto. Perchè mai? Scrissi a Guido; nessuna
risposta. Che era successo? Pazientai per tutto il gennaio.
Quando un giorno, gettando a caso lo sguardo su la rubrica finanziaria
di un giornale italiano — un giornale di parecchi dì innanzi....
Che freddo mi corse per tutti i nervi!: come a un colpo mortale! Rimasi
un istante stordito, con lo smarrimento in cui la mente cade alla
rivelazione di un fatto terribile che si sarebbe dovuto prevedere. Poi
rilessi: _ C. Moser, fabbrica di laterizi, Valdigorgo. — Ha chiesto la
moratoria._
Ma era una grande sventura! Claudio era rovinato! Un presentimento
certo rispondeva adesso in me al presentimento oscuro di due anni
e mezzo avanti, quando avevo detto a Ortensia: «Se mai la sventura
passerà sul tuo capo....» Claudio, i suoi, pativan già tutte le angosce
di un rovescio di fortuna!
Che potevo, dovevo fare? Quel che Claudio avrebbe fatto per me se mi
avesse saputo in disgrazia. Oh! forse già Ortensia aveva pensato: —
Sivori ci abbandonerà anche lui! —; forse aveva già detto alla, madre:
— Sivori vi abbandonerà anche voi!
Partire, subito!
Partii, infatti, quella sera stessa, perchè a casa trovai una lettera
di Guido che accresceva i miei timori: Moser invano aveva chiesto la
moratoria; era stato inevitabile il fallimento.
Ma perchè solo allora, mentre rileggevo la lettera di Guido, sembrò
squarciarsi il velo che mi aveva ottenebrata la conoscenza? Perchè
Roveni ricorse al mio pensiero e la figura di lui vi balzò, da un
repentino sospetto, in una realtà che lo trasformava?
Lo vidi innanzi a me saldo nella persona: ma era saldezza ostentata;
con gli occhi bianchi e freddi intenti a uno scopo: ma eran pieni di
simulazione e falso ne era lo scopo; serio: ma non rideva, essendo
tristi coloro che non ridono o ridon male.
Lo rividi, allora soltanto, nell'attitudine sospettosa del dì che
andammo alle Grotte; nella franchezza equivoca dell'ultimo giorno che
gli parlai alla fabbrica....
Perchè solo a legger quella lettera di Guido, e solo allora dubitai di
essermi ingannato intorno a quell'uomo? M'ero ingannato davvero?
Mi parve di veder anche Ortensia. Chinava il capo sul petto della madre
e ne confortava il dolore con un male in sè, nel suo cuore, più grande
del male che confortava: il male che le avevo fatto io.


VI.

Quel triste giorno di febbraio era sull'imbrunire quando io sonavo
all'uscio del dottor Guido Learchi, in via Manzoni, a Milano. Una voce
di donna e una voce infantile dicevano forte: — Il babbo! — Ba-bo! —
e la cameriera, aprendo, rimase stupita come il bambino che aveva in
braccio a veder me invece del padrone.
— Il signor dottore?
— Tarderà poco....
— La signora...?
La signora mi corse incontro, sorpresa e commossa
— Sivori! che miracolo! che fortuna!
— Marcella.... — Anch'io non trovavo parole.
—.... E Guido?
— Tarderà poco. Come resterà a vederla!
Eravamo appena nella linda cameretta da desinare (ove già dalla tavola
fumava la zuppiera) che Guido arrivava tutto rubicondo, con tale
confusione di piacere che si dimenticò di darmi del _tu_.
— Lei!... Sivori! — Ci gettammo l'uno nelle braccia dell'altro.
— Hai fatto benissimo, Sivori, a arrivarci addosso così all'improvviso!
— proseguì Guido rimettendosi. — Io l'ho sempre pensato che se non
cascava il mondo tu, un giorno o l'altro, ci avresti sorpresi, me e
Marcella, con un rampollo degno di noi, proprio a quest'ora: all'ora
di desinare! — Egli rideva di gran gusto; e mi obbligò a sedere a
tavola. — Ci racconterai poi della tua vita a Berlino.... Prima mangia,
mangia come me.... Io non ho nessuna vittima su la coscienza, oggi! —
E aggiunse facendo boccaccia: — Purtroppo!
Si sarebbe detto l'uomo più contento del mondo se tra l'una e l'altra
delle prime cucchiaiate non mi avesse fatto un furtivo cenno d'occhio e
di bocca che significava: «brutta storia!» Io, per non lasciar scorgere
a Marcella tutta la mia ansietà, accarezzavo il bambinone, che mi
guardava torvo dalle braccia della madre.
— Su! da bravo! — l'esortava Marcella. — Non guardarlo in questo
modo.... È l'amico dello zio Mino!
— Un amico ormai vecchio — dissi.
— Ma stai bene — Guido osservava.
— E tu che omone! I baffi però non sono troppo folti! (non erano più
visibili d'una volta nella faccia canonicale) E voi, Marcella, che
bella mamma!
Dalla maternità aveva acquistato una più bella pienezza di forme. Ma i
suoi occhi miti non celavano l'intima cura.
— Ah sì! — ella mormorò. — Saremmo felici, se.... Lei sa, è vero?
Assentii senza dir nulla. Guido interloquì di corsa:
— Abbiamo la nostra croce, ora; ma ce la leveremo presto d'addosso!
Diavolo! Mio suocero non è uomo da avvilirsi se la macchina gli è
uscita all'improvviso di rotaia! Riparerà; rimedierà.... — E vòlto alla
moglie: — Le notizie sono buone, sta tranquilla! Vogliamo desinare in
pace e quiete.
— Ma il babbo oggi non è venuto da noi, come aveva detto.
— Eh! Se non è venuto oggi, verrà dimani! Benedette donne! Sempre
pensare al peggio.... Per fortuna, Bebe somiglia a me! Guarda, Sivori,
come ride.... — _Bòoo_! — gli faceva il padre; e il bimbo si mise
a ridere d'un riso istantaneo, quasi d'un tratto gli cadesse ogni
diffidenza e la mia immagine gli divenisse gioconda a udire il mio
nome.
— _Ti_.... _vovi_ — si provò a dire.
— Bevi, Tivovi, e raccontaci qualche cosa di Berlino — disse Guido. Ma
anch'egli mangiando e bevendo in fretta e tirandosi i baffi, che non
aveva, non dissimulava abbastanza il desiderio di trovarsi solo con me.
Poichè io ebbi date mie notizie e trovato un pretesto alla mia partenza
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