In faccia al destino - 08

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mi lasciò, andò alla volta della ragazza, e varcando la porta salutò
franco:
— _Au revoir_, signorina!


XV.

— Il signor Oliviero mi piace! mi piace molto! — disse Ortensia
riprendendo il romanzo e rimettendosi al solito posto, contro alla
porta della terrazza.
Ancora su la soglia di quella io le voltavo le spalle, impietrato sotto
il peso della cosa enorme: l'_amavo_!
— Dove siamo rimasti, Sivori?... Prego! Stia attento qui, adesso. Il
mondo non casca più e il cavaliere, grazie al Cielo, se ne è andato!...
_Au revoir_!... Ah! ecco dove eravamo.... Senta dunque.
Riprese a leggere. Io non osavo riguardarla. D'un tratto, la
guardai...., in piena luce; nella luce d'una beltà divina. E non era
più come una sorella.... Destinata in moglie a Roveni.... L'amavo! io
l'amavo!
Tumultuarono in me, sotto il peso della cosa enorme, in quella luce di
rivelazione, sentimenti mal definiti e violenti: gelosia; rabbia quasi
per una sanguinosa offesa; dolore quale di chi patisce il furto di ciò
che ha più caro....; strazio: Ortensia mi aveva ingannato! Tutto quel
tumulto, tutto quel peso enorme mi travolse come nella rovina estrema
della mia esistenza; mi sconvolse e mi oscurò il pensiero intorno a
un'idea sola, superstite, viva e fugace come un lampo: ucciderla!
Con una mano afferrai la porta della terrazza, mi trattenni colla
sensazione di chi si afferra a uno sterpo sul lembo di un precipizio,
con la sensazione che avevo provata un'altra volta, al folgorare nella
mia mente di quella stessa idea; ma il mio terrore fu vinto da quello
sforzo, fu convertito quasi in una muta ilarità, che mi si agghiacciò
in faccia.
Ortensia, al volger d'una pagina, disse:
— Basta, signor Oliviero!; sono stanca. — Poi: — Che è stato? — esclamò
balzando in piedi. — Il sorriso brutto! Perchè?
Proruppi:
— A questo mondo tutto è possibile! Ogni errore, ogni colpa, ogni
vigliaccheria, ogni infamia! È fin possibile che tu m'inganni; che tu
sia falsa!...
Alle mie parole subito il volto di lei dimostrò uno stupore così
doloroso, un'angoscia tale di ingiusta accusa, che fui costretto a
contenermi, pentito, dall'eccesso della passione. Ella domandava:
— Perchè mi dice così?
Era atterrita
— Non spaventarti — risposi con viso diverso ma con sorriso sempre
ironico. — Una nuvola che passa.... Ho appreso una bella notizia....
Solo, mi è spiaciuto apprenderla da altri, non da te.
— Quale notizia?
— Che l'ingegner Roveni...., forse o senza forse....
— Anche lei! — m'interruppe riavendosi e tendendomi un dito agli
occhi, al modo di Mino quando incolpava qualcuno. — Anche lei?! Da lei,
questa, non me l'aspettavo! No, no! non me l'aspettavo! — essa ripeteva
sdegnata.
Triste io, e incauto, procedetti al solo rimprovero che potevo muoverle:
— Però tu hai detto: «anche lei!» Dunque molti lo dicono, e io non lo
sapevo! Io non sapevo quel che sa il cavalier Fulgosi!
— Non è vero! Non è vero! — esclamò battendo i piedi.
Ed io a insistere, immiserendomi nel mio stesso affanno.
— Vero o non vero, io non lo sapevo!
Stette zitta un po', e poi disse:
— Senta: lei mi rimprovera che non rifletto, che sono sventata.... Ha
ragione. Ma lei di me ha molta stima; ha molta fiducia in me; ne sono
sicura! Non sono come Anna io, per lei!... Bene! A venirle a dire: Sa?
Dicono che Roveni vuol sposarmi....; non è vero ma lo dicono....; a
venirle a dir questo, mi sembra anche adesso che sarei stata come Anna.
Anna avrebbe potuto dirle così, e ridere. Io no; io non ho potuto!
Mi crede? Non ho potuto! Non so spiegarmi, ma mi pareva una cosa
sconveniente. Ah se fosse vero quel che dicono; se Roveni mi facesse la
corte (nella frase di prammatica arrossì, rivelandomi in quel pudore
gentile forse la miglior ragione del suo silenzio).... se fosse vero,
gliel'avrei detto subito. Ma non è vero! — ripeteva alzando ogni volta
più il tono della voce —; non è vero! non è vero! E vuol sapere il
perchè non è vero?
Io non avevo ancora assentito che già ella si correggeva:
— Non posso dirglielo, il perchè; è un segreto.
— Un altro segreto — mormorai.
— Non mio: della mamma. Ma via! a lei si può confidare. — Susurrava:
— Presto, quest'altr'anno forse, Roveni se ne andrà. Capisce? Il babbo
non deve saperlo; almeno per ora....
C'era tanta sicurezza, franchezza e sincerità nelle sue parole! Tanta
ingenuità! Ed io, che potevo far io se non sforzarmi a dissimulare, a
mentire?
— E se tornasse? — domandai, comprimendomi dentro il peso
dell'infingimento in cui mi avvilivo. — Potrei io desiderarti un
giorno, se tornasse, sposo più degno?
Allora essa volse in burla la domanda patetica.
— Oh no! Un buon giovane! un bravo giovane! un bel giovane!... Che
partito invidiabile! Tornare, chi sa di dove, a Valdigorgo per sposar
me! E quanti confetti! ma pare di vederli, di mangiarli!
— Io non scherzo!
— Io sì.
Ella aveva assunto qualche cosa della mia amara ironia. Ma diceva la
verità.... E che bene mi voleva!
Rasserenata, proseguiva:
— Lei, quando è di cattivo umore, va a cercare con la lanterna tutte le
ragioni per far inquietare anche me. Basta! basta! non ne parliamo più!
Le perdòno. E che ne dice di Roveni? Andarsene; lasciare il babbo....
Me ne dispiace molto per il babbo. Per me, stia pur certo Roveni che
non piangerò quando partirà. Avrò dispiacere, ma piangere!... Anna
piangerà; che ne è innamorata cotta!
Era sincera. Ella non amava Roveni e voleva un gran bene a me. Ma a me
tanto bene non bastava più!
Che giorno fu quello! Appena fui solo, mi parve ancora di precipitare
nel considerar di nuovo la cosa incredibile e vera, ridicola e
tremenda. O meglio, mi vidi in un labirinto angoscioso e senza uscita;
mi vidi goffa vittima d'un mio proprio inganno e miserevole vittima
d'inganni altrui; vidi come io — che odiavo la menzogna — d'allora in
poi avrei dovuto mentire e come a me, stanco d'ogni finzione, sarebbe
stato necessario nascondere segretamente, per tutti e per sempre, il
mio errore, la mia colpa, la mia vergogna; vidi che per guarire d'un
male, per cui non avevo cercato e trovato a rimedio la morte, ero
caduto in un maggior male, onde avrei dovuto essere più forte e sarei
stato più vile! _Io l'amavo_!: questa la verità rivelata d'improvviso,
a me stesso, quasi per uno strappo, dalla notizia che già Ortensia
poteva essere amata da un altro; e non più da un ragazzo: da un uomo
quale Roveni. Io avevo trentasette anni ormai; Ortensia diciassette;
e l'amavo! Io avevo desiderato la morte, desideravo la morte; e amavo,
io, Ortensia! L'amavo come non avevo mai amato. E la coscienza del mio
amore, della mia colpa, della mia demenza, del mio tradimento, della
mia vergogna m'era venuta dal più torbido fondo della passione: la
gelosia. Poteva esser vero che Roveni non l'amasse; ma, ad ogni modo,
ella non avrebbe dovuto essere amata da nessun altro che da me! Io già
ingelosivo del suo avvenire!
E che sarebbe di me se io non sapessi mentire e fingere? In che
condizione mi mettevo con Claudio? con Eugenia? con la mia coscienza?
Avvertendo la mia follia, avvertivo l'oscuro presentimento d'un
delitto o di una tragica catastrofe, inevitabile. Comprendevo fin
d'allora che sarei dovuto fuggire subito, anche per pietà di me.
Fuggire? Ma io non scorgevo più che due termini a un imminente, lungo,
incommensurabile, sconosciuto soffrire: o la felicità o la morte! E
la felicità non era assurdo pensarla? Il cavalier Fulgosi non sapeva
che non solo la differenza di età mi divideva da Ortensia. Non avevo
una fede, io! Non avevo fede in me; e l'amore non basta alla felicità;
e renderei infelice Ortensia perchè sarei sempre un uomo infelice!
Dunque: fuggire! Non udir più la sua bella voce; non rivederla mai più!
Andrebbe sposa.... E perchè non a Roveni?
Possibile che in quel che si diceva non ci fosse nulla affatto di
vero? Ma Eugenia non me ne avrebbe detto nulla? Mi sembrava che io e
Ortensia fossimo avvolti in un mistero; e poichè nei frangenti della
passione anche ciò che accrescerà il male assume spesso l'illusione di
un bene, mi parve che chiarir il mistero potesse alleviarmi il nuovo
tormento. Ma perciò dovevo dissimulare, fare il disinvolto, osservare
freddamente.... Non ci riuscii.
La sera Roveni, entrando, guardò al solito modo; ma Ortensia non era
vicina a me. Tentava di persuader Mino a ubbidire. Oh come ho viva
nella memoria questa scena!
Quando aveva più sonno Mino si ostinava a star alzato, e la
vecchia cameriera lo chiamava invano. Quella sera egli pretendeva
che l'accompagnasse Ortensia. Nascondeva il viso nella poltrona
piagnucolando e sgambettando contro tutte le sollecitazioni del
pubblico; anche contro di me.
— Voglio Ortensia!
Finalmente Eugenia, stanca, minacciò di chiamare il padre.
Presto!...; il babbo arrivava; su, Mino: eccolo!
Tacque un po' e quindi, forse più per il rimorso che per il timore d'un
castigo, si gettò al collo della sorella rompendo in un pianto ch'era
invocazione di pietà. E Ortensia impietosita se lo caricò in braccio.
Ah io vidi lo sguardo che Roveni posò su di lei, mentre ella usciva
col fratellino in braccio! _Era vero_! Ah come dileguò allora l'ombra
che già avevo notata nel suo sguardo! Come l'amava! Cieco io ero stato,
cieco a non accorgermene prima! Io vidi e invidiai come l'amava: d'un
amore sano, perfettamente umano, anticipandone a sè stesso le migliori
gioie. Aveva guardata in lei la sua donna; la moglie che portava in
braccio così un loro figliolo. Quanto affrettava nella sua speranza
quel giorno! Quanto gli rincresceva che per la sua stessa felicità
avvenire, per prudenza e sagacia, non potesse comunicare quel suo
gioioso pensiero a Ortensia! Con che cuore accresceva di due anni, di
un anno la giovinezza di Ortensia! Non farneticavo; comprendevo tutto,
ora.... Certo a Roveni doleva di abbandonar Moser per cercare la sua
fortuna, che poteva mancargli. Che azione avrebbe dunque commessa
innamorando di sè e abbandonando la figlia del suo benefattore? Ah,
costui che dominava in sè, così, le due più forti passioni umane:
l'ambizione e l'amore, costui era un uomo! Io non ero stato cieco
ma egli, egli usava di una meravigliosa forza a dissimulare; e chi
dissimulava così doveva esser capace di una passione grande! L'ammiravo
e l'odiavo. Era il nemico che mi feriva a morte, e l'ammiravo e
sentivo, più virile, la bramosia di misurare la mia forza con la sua in
un contrasto violento. Ma non dovevo; egli doveva restare il più forte!
Pure, potevo dirgli: «Voi credete che io non abbia gli occhi? Gli altri
per pettegolezzo, sapendovi nelle grazie di Moser, han conchiuso nella
loro fantasia il vostro matrimonio, senza saper nulla in realtà. Io so,
io ho visto quanto l'amate! Non dissimulate almeno con me: voi!»
E mi accostai sorridendo, coll'intenzione di domandargli:
— Dunque, è vero?
Ma subito, presso a lui, mi sentii a disagio.
Con tanta tranquillità mi guardava; era così fermo il suo volto, così
saldo l'animo in quel volto, che la simulazione mi sembrò onesta in
lui e disonesta, vergognosa, in me. Inoltre, di subito, giudicai
inopportuna la dimanda che stavo per fare. Venendogli da me, la
richiesta acquisterebbe troppa gravità e precipiterebbe l'evento
temuto; la risoluzione che egli, per sue buone ragioni, ritardava.
Mi aspettò tranquillo dicendomi, quasi per risalutarmi:
— Dottore....
E dietro di me una voce, in tono di canzonatura, imitò quel saluto: —
Dottore....; ingegnere....
Uno sdegno più forte di quello suscitato in me dal cavalier Fulgosi
provai allora contro la Melvi; una smania di vendetta quasi fosse
lei e lei sola colpevole del mio soffrire. Le chiesi, tra ironico e
minaccioso:
— Ha bisogno della mia compagnia o di quella dell'ingegnere?
Anna si era appoggiata a un tavolino, su cui ardeva una lampada, e dava
la caccia a una farfalletta che svolazzava intorno al lume.
Rispose arditamente: — La sua compagnia è troppo seria, per me!
Roveni fece: — Oh oh!
Io mi accostai alla Melvi; e mentre ella bruciava la farfalla alla
lampada, dissi per provocarla:
— Essere troppo serio per lei non significa che io sia molto serio!
— E questo vuol dire che io sono così allegra.... che non dovrei
prendere sul serio nemmeno lei? nemmeno un poco?
— Un poco, via! Se non per altro, per la mia abitudine di indagare
nell'animo della gente, di scrutare i cuori umani.
— Indaghi, dottore; ma badi che i medici van soggetti a sbagliare.
Fan certi spropositi!... Per esempio, lei, che legge nei cuori, non
si è ancora convinto che dovremmo essere amici noi due e non nemici!
Gliel'ho detto un'altra volta.
Già: me l'aveva detto di ritorno dalle Grotte; e allora aveva data
spiegazione diversa da quella che era stata per dire.
— Si spieghi meglio! Perchè dovremmo essere amici?
— Indovinala grillo!
E fuggì dalla porta della terrazza, da cui si scendeva nel giardino,
evidentemente per attirarmi là a discorrere. Non la seguii; vidi
Ortensia rientrare dalla porta opposta: Roveni, che stava ciarlando
con la Fulgosi e la vecchia Melvi, si voltò di scatto. _Un altro non si
sarebbe voltato_. Ma ecco Anna rientrare anch'essa, di corsa, trafelata
e ridente perchè inseguita da Guido. Entrò nel salotto attiguo; ove si
abbandonò su di una seggiola.
— Lasciala stare! — dissi a Guido. — Ho da parlarle.
Andai risoluto, chiudendo l'uscio dietro di me.
— Voglio sapere chiaramente perchè io e lei dovremmo essere amici!
Ella attese un poco, eppoi agitò incontro a me le mani strette a palma
a palma, come per preghiera ed esclamò:
— Ma insomma! sono io che non capisco niente, o è lei? Ha piacere lei
che Roveni sia innamorato di Ortensia? No, a quel che pare! Ebbene (e
allargava le braccia alla spiegazione che mi concedeva): lei dovrebbe
essermi grato se io cerco distrarre Roveni e di liberargliela, la sua
Ortensia!
Insolenza, disprezzo, livore, erano in essa.
Il cavaliere mi aveva adirato soltanto; costei sommoveva in me l'astio
profondo dell'uomo svergognato, dell'uomo messo alla gogna; addensavo
la mia rabbia, la mia bile per una pronta vendetta che, fosse pure
indegna, mi riscuotesse subito da una umiliazione intollerabile.
Tesi il braccio e la mano verso la ragazza, quasi ad arrestarla perchè
il colpo non fallisse.
— Chi non capisce niente è proprio lei, signorina Melvi! Lei, che
non capisce di poter dire a me «la sua Ortensia» senza ferirmi. Sì:
Ortensia è mia; ma in un senso che sfugge alla intelligenza della
malignità!
— Malignità? Poverino! Dal modo con cui lei or ora guardava a Roveni....
— E chi invece capisce qualche cosa sono io, proprio io! — proseguii
interrompendola: — Io, che ho capito il suo gioco!
— Ah sì? Quale?
— Questo: Roveni è un uomo leale, ma confinato a Valdigorgo, lontano
dagli svaghi che calmano il sangue. Che importa se è innamorato di
un'altra? Per lei basta che egli abbia uno smarrimento istantaneo....,
quando va a trovarlo alla fabbrica! Roveni è onesto: dopo, sarà
costretto a riparare! Ecco perchè io e lei siamo nemici!
Anna si era alzata in piedi con la veemenza di una fiera frustata.
Dubitai m'affrontasse rabbiosa. Ma la fiamma delle guance e degli occhi
si spense d'un tratto; e rimase bianca, con le labbra tremule. Indi
sorrise, scosse le spalle dicendo:
— Me ne infischio!... — Ma aggiunse con un'occhiata di ricuperata
energia e di minaccia: — Per ora!...


XVI.

Risi della minaccia di Anna perchè dalla scienza non avevo imparato
a temere la vendetta delle donnicciole, nè mi dolsi d'aver inveito in
tal modo contro di lei perchè l'odiavo: l'odiavo per la sua condotta
equivoca, per essere stato accertato da lei dell'amore di Roveni, per
essere stato ferito da lei, nonostante il mio diniego, nel mio amore.
Ma se mentre vegliavo, nella notte, non mi agitava più il pensare ad
Anna, mi travagliava il pensiero che altri sguardi d'amore si fossero
posati su di Ortensia prima de' miei: questo il mio dolore, il mio
sdegno, la mia rabbia, come per una violazione patita, per un furto
crudele! — L'anima d'Ortensia — mi dicevo durante l'ambascia — deve
essere mia, divenire interamente mia: a ogni costo!
Non era giusto che fossi io la vittima; che per tutto trovassi dolore,
io; che dal destino fossero contaminate le mie intenzioni più pure, i
miei affetti più semplici, innocui, generosi!
Ah io avevo errato a credere in un affetto di misura e di natura
fraterno? In me, in un uomo della mia età quel concetto e quella fede
di un affetto fuori dell'ordine umano meritavano rimprovero o scherno?
Io meritavo compianto! E se Ortensia, non esperta del cuore umano,
aveva consentito ingenuamente a quell'affetto semplice e naturale,
ebbene io sapendo che il suo affetto era già teso all'estremo grado,
non esiterei...: ancora un passo, una parola sola, e io farei vibrare
d'amore quell'anima! Perchè ristare? Non era una colpa che io avessi
vent'anni più di lei, e a nessuno, non al Fulgosi e nemmeno ad Anna,
pareva inverosimile che io l'amassi e ne fossi amato. Io potevo contare
ancora quattordici o quindici anni di forte virilità. Sano, ero. Quante
infermità psichiche sono generate da cause che non toccano gli organi
essenziali? In una appunto, per cause estranee alla fisiologia, era pur
io caduto; ma già me ne sentivo risollevato.
Non mi temevo più in preda d'un misterioso male, io, che altro malanno
non avevo avuto se non il mio pensiero; io che un semplice affetto
era bastato a guarire! Del resto, mi sarebbe facile accertarmi della
mia valida costituzione recandomi da qualche insigne collega, di cui
indovinavo il responso, dopo l'ascoltazione e la percussione: «Cuore
sano; polmoni sani; cervello sano....; nessuna lesione nel cerebro»:
di questo potevo star certo! Nessun ostacolo nell'età o nella salute
fisica. Non ero ricco; nè uomo da affidare la mia famiglia e la
felicità famigliare alla dote di mia moglie. Ma troverei senza dubbio
un buon impiego; tranquillo; di lavoro materiale e agevole....
Esagerando, per la rivelazione improvvisa del mio amore, avevo accusato
in me quale fonte d'infelicità la mancanza di una fede. Ma alla fede
perduta sostituirei la fede in Ortensia e l'amore della famiglia. Dalla
fredda ragione il mio amore non ripugnava dunque più come un'enormità;
io potevo dunque conchiudere che per nessuno al mondo sarebbe
inverosimile, anormale, enorme, un mio colloquio con Moser press'a poco
in questi termini:
— Moser, sono innamorato.
— Bene!
—.... d'una ragazza di diciassette anni!
— Di una ragazza di diciassette anni? tu?
— Sì!
— Annegati, caro amico!
— Ma bada...: la ragazza è Ortensia.
Un istante di stupore; di silenzio; uno scoppio d'ira.
— Ortensia è una bambina!
— Ha diciassette anni.
E la risoluzione:
— Ortensia è tua moglie!
Sarei felice!
Già m'immaginavo il delizioso turbamento di Ortensia, quando chiederei
la sua mano.... E mi smarrivo così nell'ebbrezza della felicità, nel
sogno. Per quanto?... Viva, imperiosa, sicura, mi si affacciava d'un
tratto la persona di Roveni. E balzavo, d'un tratto, nel confronto
di me con Roveni; poichè dovevo anteporre, alla mia, la felicità
d'Ortensia; considerare, come un fratello, s'essa sarebbe più felice o
meno infelice sposando me o lui.... Che differenza! Egli era un forte,
un conquistatore della vita, un uomo a cui la fede di sè e l'equilibrio
di tutte le facoltà, davano in pugno l'avvenire. Io invece....: un
caduto a stento risorto; un debole imbaldanzito dalla speranza e nel
sogno; un infermo che a mala pena aveva ricuperato la salute.
Sì? Ero guarito? io? un uomo di trentasette anni che amava perdutamente
una giovinetta minore di vent'anni?
Del tutto dissennato, piuttosto! Ridicola vittima di un amore quasi
senile in confronto all'amore di Roveni; ridicolo più di un ragazzo....
Eccomi, dinanzi agli occhi, anche Pieruccio Fulgosi: magro e
pallido, soffocato dal colletto e dall'amore e impalato a contemplar
Ortensia; con quegli occhi imbambolati e il sorriso ebete allorchè
io lo deridevo, o quando egli s'accostava timidamente a me per
ingraziarsi: «Permette»; «scusi».... Egli soffriva, chè aveva tutti
ostili, e l'incuranza di Ortensia gli acuiva lo spasimo di un amore
senza speranza; dell'amore sublime che accende l'animo quando,
nell'adolescenza, la vita conserva tuttavia il velo di un divino
mistero e la lusinga di una felicità fatale; dell'amore che io avevo
schernito vilmente. Ma io soffrivo più di lui perchè ero più ridicolo
di lui; pativo in me, più dura, dell'irrisione altrui, la mia propria
irrisione; avevo più angosciosa che l'indifferenza d'Ortensia, la
necessità di nascondere a Ortensia il mio amore quasi una colpa.
Questo dunque era il benefizio atteso dal proposito di impicciolirmi
e di ricuperare in me, da tenui fonti, la vita? Ma non stavo meglio
quando dall'apprensione dell'immensità ero precipitato in un morboso
annientamento, a non sentir più nulla? Qual destino, qual maledizione
m'aveva risospinto a giocare e raccontar favole con Mino, a riconoscere
la gioia dell'esistenza nell'anima fervida di Ortensia, a ricercare il
sole?
Il sole! Oh il sublime ristoro del dì che avevo sentito il sole
innondare tutto il mio essere, penetrarmi in ogni vena, riscaldarmi le
vene e rischiararmi la mente perchè nella sua luce io vedessi la luce
di Dio, che la scienza mi aveva contesa, negata! Dio! Era Dio forse
a volere che io amassi così? Amassi Ortensia perchè amassi la vita?
Dio forse mi chiamava alla felicità, o mi puniva al punto che non mi
comprendessi in balia di una frenesia morbosa?
Fra questi estremi mi dibattevo: o credermi pazzo, o credermi
risollevato pienamente, con l'amore e per l'amore, alla norma più umana
della vita, e alla più alta intenzione dello spirito!
Amavo e non avevo amato mai in tal modo. Così si ama una volta sola;
e quanti erano al mondo che potessero dire d'aver amato in tal modo?
Poteva dirlo Roveni? Impossibile!
Ma egli era un forte! Dunque la mia passione era debolezza!... Tra
questi estremi mi dibattevo! E Anna Melvi ghignava alla mia fantasia,
nelle tenebre.... Poi: Eugenia; il resto del mistero. Dubitavo che
Eugenia m'avesse taciuto per secondo fine quel che si diceva di Roveni
e d'Ortensia; pensavo anche che per pietà di me mi avesse nascosto
il proposito dell'ingegnere, a lei già noto! E la rimproveravo per
la libertà che lasciava alle figliole, sicchè Learchi e Roveni avevan
potuto innamorarsene a sua insaputa....
Rimproveravo fin Claudio perchè riteneva ancora bambine le sue figliole!
Insomma, ero proprio come Pieruccio nell'ora, del parossismo e della
maledizione!
E la voce di scherno m'arrovellava dentro: dissennato!
.... Mi tranquillai verso l'alba, convincendomi, al cessar delle
tenebre, che Eugenia interrogata non potrebbe nascondermi la verità.
E se mi rispondesse: — Per la felicità di Ortensia si farà questo
matrimonio; — e se veramente ella desiderasse d'avere in Roveni
il marito della sua figliola, ebbene.... io, a qualunque costo, io
rispetterei il suo desiderio; vorrei io pure, come un fratello, la
felicità di Ortensia. Non debole; non un ragazzo! Ero un uomo capace di
una folle passione; ma sarei un amico leale.


XVII.

A rivedere Ortensia così serena io, con bramosia angosciosa,
l'immaginai trasformata dal desiderio vago e profondo, dalla malinconia
soave e dalla gioia appassionante, dal sentimento impetuoso e
ineffabile con cui l'amore invade, la prima volta, l'anima di una
giovinetta. Innamorata di me! Quale delizia, quale voluttà più grande
che rivelare a sè stessa, innamorata, un'anima? Con una sola parola,
che sorriso non avrei io raccolto da quelle labbra? che bacio? — Non
dovevo! E forse.... Illusione! illusione! Convinta e ferma in un bene
fraterno, ella forse apprendendo il mutamento avvenuto in me, non
potrebbe amarmi: a una mia parola d'amore si ritrarrebbe, forse, con un
freddo senso di ripugnanza, di profanazione, triste e delusa; nemica
per sempre. Tradire il nostro affetto! Sì, ella mi voleva bene come a
un fratello, con tutta l'anima! Sì, questo doveva bastarmi! O tanto, o
niente! Ad altri l'amore: a Roveni, presto, i primi palpiti; le prime
commozioni.... — impossibile che io sopportassi!
Ricominciava in me la battaglia; e per non esser vinto m'afferrai con
tutta la volontà al proposito già preso: dissimulare e parlare, quel
giorno stesso, a Eugenia. Ma non sapevo come introdurmi nel discorso
di Roveni. Ci voleva un pretesto; nè potevo addurre le chiacchiere
della Melvi senza turbare Eugenia, se le ignorava. Mi venne in pensiero
Marcella, da cui apprendere almeno se anche lei, come Anna, dubitava
che io amassi Ortensia.
Con che invidia osservavo ora la quieta Marcella! I suoi dolci occhi
esprimevano la fede costante in una felicità avvenire, attesa senza
colpa e senza dubbio. Con che fatica mi trattenni dall'aprire a lei il
mio cuore e confessarle, — Amo tua sorella. Dimmi tu: sono pazzo?
Le dissi invece: — Per fortuna le Melvi non vengon qua di giorno. Se
no, mi taglierebbero i panni addosso.
— Perchè?
— Mi vedrebbero sempre con Ortensia....
— Eh! Ma tutto il mondo lo sa che Ortensia è la sua «piccola amica»!
Che c'è di male? Sarebbe bella che per far piacere alle Melvi lei
dovesse annoiarsi anche più di quello che si annoia! Faccia come me:
non dia mai retta ad Anna, che ha poco giudizio.
Cercai anche di Guido e, trovatolo presso a casa sua, lo tenni in
discorsi per condurlo al termine desiderato: a dirmi se qualcuno
mormorava per la mia consuetudine con Ortensia.
— Bah! Lei potrebbe essere suo padre! — rispose Guido, beato nella
faccia tonda. — Se la signora Eugenia avesse tanta fiducia in me!
Egli voleva persuadermi, con quella faccia così diversa dalla mia, che
adesso era disgraziato; e parlava, parlava....
I giorni nei quali Eugenia convalescente passava le ore con noi in
giardino erano trascorsi, pur troppo, e adesso egli non aveva che la
sera a sua delizia; e anche di sera gli conveniva dimostrarsi molto
riguardoso. Mi narrò come un tentativo perchè la signora Eugenia
permettesse alle figliole un'altra passeggiata più lunga che quella
delle Grotte, era fallito; che Eugenia minacciava ogni giorno di aprir
gli occhi a Moser....
— Succederà un patatrac!
In conclusione, Guido aveva bisogno del mio aiuto; umilmente, con
insistenza, mi pregava d'interporre, con Eugenia, una buona parola....
Perchè no? Sarebbe il pretesto ad affrontare Eugenia per il discorso
che mi premeva molto di più.
— Tu abbi giudizio — (consigliavo io giudizio agli altri!) —. Non dar
materia alle chiacchierone.... Sai che tra di loro han già combinato il
matrimonio di Roveni e Ortensia?
Guido non rise, questa volta.
— Lo dice Anna, per paura che sia vero! Lo vorrebbe lei, Roveni!
Fremevo. Con quanta più forza potei farmi, domandai:
— Ma tu credi che sia vero?...
— Per me, io credo che il padrone del mondo.... _punf! paf! paf! punf!_
(imitava l'andatura di Roveni).... finirà con l'andarsene alla Mecca
senza di Anna e senza Ortensia. Furbo, l'amico!
— Perchè?
— Di Anna ne ha già avuto abbastanza!
— E Ortensia?
— Ortensia non è ragazza per lui. Con Ortensia, scusi, bisogna
ubbidire, non comandare!; e lui invece: _paf! punf!; punf! paf!_
Anche questa ragione m'affidava poco; piuttosto le parole e la mimica
di Guido giovarono a schiarirmi quello che già Anna mi aveva lasciato
comprendere: dicendo, cioè, che l'ingegnere sposerebbe Ortensia, ella
sperava ingelosirmi e indurmi a domandare la mano della Moser: Roveni
resterebbe a lei.
Tuttavia io rifacevo la mia strada come un uomo che abbia una meta di
dolore.
Quand'ecco il cavalier Fulgosi, dal suo villino, m'invocò, mellifluo:
— Dottore, ehi! Dottore! — Venne al cancello, con la mano tesa,
declamando:
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