In faccia al destino - 14

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giardino; dormiranno nelle nostre camere. E io esagero! Quassù mio
padre è stato un benefattore, ma gli operai, per cui faticava, non lo
salutano più, lo incolpano della loro rovina.... E io esagero! E questo
è nulla! La colpa di tutto quello che è avvenuto e che avverrà, è mia!
E io esagero!...
Come io cercavo parole di protesta, essa con mano convulsa m'afferrò
a un braccio, mi fece ristare, e disse più piano, severa, in
quell'agitazione contenuta con la fatica che esprimeva il suo sguardo
fiso nei miei occhi:
— Sentite, Sivori! Voi siete sempre per noi l'amico di un tempo; siete
per me quello di un tempo: un fratello. Non voleste così allora?
Così doveva essere! Un fratello: non altro dovevate essere per me
in passato; non sarete altro in avvenire.... È vero?; così! Dunque,
sentite! Se domani io potessi trar d'agonia mio padre, tutti noi,
con una sola parola, e questa parola mi ripugnasse come una viltà,
un'abiezione; se con una sola parola io domani potessi salvar la vita
di mio padre, dovrei vincere la ripugnanza del mio animo, della mia
coscienza, di tutto il mio essere, e pronunciarla, questa parola? Dite!
dite!
— No! Mai!
— E se con questa sola parola io potessi salvare.... potessi salvare
l'onore di mio padre?
Risposi, freddo e sicuro:
— L'onore di Claudio Moser è al disopra d'ogni sventura e d'ogni
vendetta!
Ma Ortensia sorrise con quella ironia quasi spasmodica.
— L'avete conosciuto bene, voi, Roveni! Credete che sia uomo da
minacciare invano!
— Quando, come ti ha minacciata?
— Me l'ha detto.... e scritto, che ha tanto in pugno da far condannare
mio padre.... per ladro! È lui, lui che non vuole che Learchi ceda
perchè ceda io! Se io cedo, mio padre è salvo!
Ristette; congiunse, per scongiurarmi, le mani:
— O Sivori...., Carlo...., dite, Carlo....: sono ancora in tempo! Debbo
cedere?... salvar mio padre?
— Tu non gli avrai risposto.... — Questo dubbio mi affliggeva più che
non mi afflisse quella affannosa preghiera. — Non devi cedergli. Mente!
È un'insidia!
— No..., non gli ho risposto....; ma se arresteranno mio padre....,
come un ladro...; se lo condanneranno.... per colpa mia...., io
morirò....
Si compresse con la sinistra al cuore; e aggiunse:
— Non è meglio finirla? Tutte le speranze in Learchi non sono perdute?
Bisogna preparar la mamma, a tutto....
Riafferrandole la mano io, con un'attitudine che esprimeva, di me,
la sincera e profonda commozione e la preoccupazione di un monito
solenne: — Ortensia! — dissi —. Per tutto quello che hai sofferto,
che ti ho fatto soffrir io; per il bene che voglio a te e a tutti
voi altri; per tuo padre e tua madre, ti scongiuro: non t'abbandonare
alla disperazione, così; abbi in me, ora, la fiducia che non meritai
in passato. È impossibile che io non riesca a sventar le trame di un
birbante, perchè è impossibile che tuo padre non sia stato sempre un
galantuomo! Resisti; tu sei forte!
E dando alla mia voce, alle mie parole tutta la tenerezza e la dolcezza
che potei attingere dal mio amore:
— Solo, tu hai il cuore di tuo padre. Bisogna frenarlo, questo cuore,
che la bontà fa pulsare troppo in fretta.... Mi prometti, sorellina,
di confidare in me....; almeno un giorno o due...? Via! Riceverai
la buona novella.... Trionferà la giustizia; supereremo l'infamia di
quell'uomo....
Non pianse; mi guardava stupita come non potesse credere alle mie
parole e alla speranza che io dimostravo di esser creduto.
Poscia mormorò percuotendosi il cuore:
— Carlo! Carlo! non c'è più bontà qua dentro! C'è solo del male!
Io le accennai sua madre, che veniva verso di noi.

Le dissi, a Eugenia, che benchè Learchi mi fosse sembrato ostinato più
di un mulo, il colloquio con lui mi aveva confermato nel proposito di
recarmi subito dal curatore del fallimento.
Credevo d'aver trovata una via....; e altre bugie pietose dissi, per
confortarla.
Ella esclamò rivolta a Ortensia:
— Vedi se bisogna sperane?
.... Io ripartii senza avere in me la fede di Eugenia. E mi seguiva lo
sguardo di Ortensia: lo sguardo di una vittima.


VIII.

Il mio colloquio con il curatore del fallimento fu breve. Il ragioniere
*, a udirmi amico di Moser e a udir il mio nome, ebbe uno scatto
che non tentò di reprimere, e un'impressione di piacere che tentò di
celare, ma indarno.
In sostanza ecco quel che mi disse:
Il fallimento Moser gli si era presentato in una situazione più che
discreta. Strano quindi per lui il fatto che non avesse avuto buon
esito la moratoria. Convocati i creditori, si era loro proposto un
dividendo del 60 per cento. Ma uno di essi, il signor Learchi, aveva
richiesta, come la legge concede, una garanzia, insistendo perchè fosse
garante l'ingegner Roveni. Forse lo rendeva dubbioso il troppo lauto
dividendo! Poteva, a prima vista, recar meraviglia la pretesa d'aver
garante uno dei creditori minori, quale il Roveni; ma questi più d'ogni
altro aveva pratica dell'azienda fallita e meritava perciò, più d'ogni
altro, la fiducia del Learchi. Se non che il Roveni non aveva accettato
subito questa prova di fiducia; aveva voluto tempo a riflettere; ed era
stata rimessa a un'altra convocazione dei creditori la sua risposta.
Perchè mai?
Il curatore a questo punto sembrò attendere da me la spiegazione. Io,
infatti, cominciavo:
— Evidentemente Roveni stesso consigliò Learchi a chiedere la garanzia,
e Roveni seppe persuaderlo che egli solo....
Ma il ragioniere, quasi mal pago dell'«evidentemente» con cui era
incominciata la mia risposta, m'interruppe:
— Prego! Mi lasci dire.... So di dire una cosa grave.... A lei non
chiedo che la sua parola....
In fede del segreto io portai una mano al petto. Egli proseguì risoluto:
— Il contegno dei signori Learchi e Roveni mi insospettì. Avrò
torto...., badi; posso aver torto; mai il sospetto si è confermato
in me, da ieri. Insomma: io dubito che nella gestione Moser ci siano
irregolarità mascherate così bene da esser sfuggite alle mie indagini.
(Era la falsificazione a cui aveva alluso Learchi!)
Nè il curatore esitò ad aggiungere che il giorno innanzi Moser era
stato da lui e a certe dimande aveva risposto, confuso, che gli
schiarimenti desiderati poteva darli solo il Roveni. A questo, negli
ultimi tempi, aveva affidato anche parte dell'amministrazione.
— È la verità, senza dubbio — dissi io.
L'altro non attese al mio asserto; come non m'avesse udito.
— Ho pregato quindi l'ingegner Roveni di venir da me per schiarimenti
sui libri dell'azienda. Non è venuto; m'ha scritto che egli
nell'amministrazione Moser non ha nulla a vedere, tranne il suo piccolo
credito; e riferisce una clausola del contratto da lui conchiuso col
Moser quando assunse la direzione della fabbrica. Per quella clausola
va esclusa, ogni sua responsabilità amministrativa.
Volendo io di nuovo interloquire, il curatore mi trattenne con un moto
d'impazienza.
— Non m'interrompa!... Si dirà che Roveni ha messo le mani avanti
per precauzione, per prudenza. Io però voglio le spiegazioni che ho
richieste invano! Attendo documenti che dimostreranno meglio i rapporti
della ditta Moser con due case commerciali; e se mi convincerò di quel
che dubito, non esiterò un istante a compiere il mio dovere.
Io m'alzai d'impeto, esclamando:
— Ma io proverò che una vendetta indegna spinse il Roveni a tradire il
suo benefattore! Un'infamia! scoprirò un'infamia!
Il curatore si strinse nelle spalle, quasi ciò importasse poco e punto.
Insistetti:
— Moser è un galantuomo! Ha avuto un solo torto: quello di addossarsi
imprese superiori alle forze di un uomo e di aver fiducia illimitata
in un birbante! Sopraffatto dal lavoro, lasciò tutto in mano a Roveni,
senza pensare che costui si varrebbe di quella tal clausola per
tradirlo!
Sdegnato, il curatone oppose:
— E perciò? Se io non m'inganno nei miei sospetti non sarà tutto questo
che salverà Moser da un processo per bancarotta!
Finalmente avevo scorto il punto a cui il ragioniere aveva voluto
condurmi: dovevo prevenire in lui la certezza che gli darebbero i
documenti; se no, Claudio era perduto! Anzi il ragioniere era già
certo; ma fingeva dubitare, perchè credeva anche lui nella buona fede
di Claudio.
Che cosa dovevo dunque fare io? Che cosa potevo fare?
Rispose:
— Prima che io abbia le spiegazioni che voglio, si potrebbe,
per evitarne le conseguenze.... probabili, pareggiare il passivo
all'attivo. Non è poi necessaria una gran somma! Calcolando che dalla
vendita dei fondi e della villa si ricavino ottomila lire più del
prezzo di stima — e ho già una proposta —, basteranno ventimila lire
per accomodare ogni cosa.
— Quanto tempo mi concede a trovarle?
— Quarantotto ore.
Misurai nella mente il tempo che bisognava per andar a Molinella,
restarvi un po' e tornare; e dissi:
— Amico di Moser, io tenterò di trovane questa somma. Ma...., e se le
irregolarità che lei teme non ci fossero?
Il curatore mi tese la mano e disse senza rispondermi:
— L'ingegner Moser, nella sua sventura, ha una grande fortuna: quella
di avere un amico come lei....
Quando, giovani, io e Claudio andavamo a caccia in risaia ci
accompagnava talvolta il Biondo falegname, divenuto poscia mio
fittavolo. Come Claudio faceva ridere quell'omiciattolo, a proposito
della mia filosofia! Ma chi avrebbe mai detto allora che un giorno
io avrei dovuto ricorrere al Biondo, perchè Claudio scampasse dal
Tribunale?


IX.

E nello stesso giorno, partenza per Molinella!
Non era più per me, allora, un destino assurdo che in pochi giorni mi
sbalzava da Berlino a Milano, da Milano a Valdigorgo, da Valdigorgo al
mio piccolo paese nella pianura emiliana. Mi trasportavano volontà e
coscienza: più forti anche del dolore, più forti anche dell'amore!
L'amore?... Quale speranza poteva restarmene, ormai? La mia passione
era stata una colpa e doveva avere il suo castigo. Ogni illusione
doveva cedere alla realtà, che mi rinchiudeva, mi stringeva come in un
cerchio di ferro. Il mio soccorso cancellerebbe nel cuore di Ortensia
fin le ultime tracce d'amore, se vi rimanevano; ed io con l'azione che
stavo per compiere confermavo irremovibilmente, per sempre, l'antico
proposito di essere per Ortensia un fratello: non altro.
Ma è pur vero che il dolore aggiunge lume alla bellezza! Ancora ancora,
avidamente, mi richiamavo l'immagine d'Ortensia alla memoria: più
alta della persona; con quegli occhi che un tempo avevan solo un riso
di gioia e adesso ardevan di sdegno o si velavano d'angoscia; con il
viso un tempo pieno e roseo ed ora pallido e magro, ma come illuminato
da una luce ideale: con le belle mani, che un tempo ella recava a
sollevare dalla fronte l'onda dei capelli copiosi ed ora stringeva
in uno spasimo di preghiera; con quelle attitudini decise, quei moti
improvvisi, non più indizio come un tempo di un fervore di giovinezza
sana e lieta ma reazione al tumulto di un'anima inferma, ma eccitazione
di un'energia abusata fino alla violenza. In lei il patema d'animo
aveva trovato una predisposizione nella delusione d'amore e nel male
che io le avevo fatto col mio pessimismo, col mio tristo esempio, con
la negazione d'ogni bene e d'ogni fede.
Le parole d'Eugenia mi si ripercotevano nel cuore e nella mente:
«C'è una disperazione in lei...!» Ortensia non vedeva più intorno
a sè che il male, a cui resisteva per naturale impulso ma col vuoto
dell'anima....
Tali i pensieri che mi accompagnarono più assidui nel viaggio da Milano
a Bologna. Però il fine a cui tendevo sopravanzava di tratto in tratto.
Riuscirei? Ero sicuro che il Biondo teneva in casa grosse somme; mi
ricordavo di quante volte egli aveva manifestato diffidenza delle
banche e dei cassieri, e chiedendomi consigli intorno al miglior modo
d'investir capitali, aveva espresso avversione a ipoteche o a prestiti
d'altro genere.
Ma con il timore di mettere in pericolo i suoi risparmi e perder la
tranquillità, c'era in lui, per di più, la preoccupazione di nascondere
al prossimo il vero stato delle sue finanze. Confesserebbe il Biondo
di posseder in casa quanto andavo a chiedergli? Non gli parrebbe di
confessarmi che dall'affittanza aveva ricavato ciò che negava con le
lamentanze annuali? E se egli non voleva darmi, o se veramente non
aveva disponibile l'intera somma, che mi bisognava fare? Basterebbe per
il resto una cambiale con le firme di me e del Biondo? A chi rivolgermi
altrimenti?
Dubitavo; eppure anche questi dubbi non mi abbattevano; la speranza mi
inanimiva, e m'immaginavo di veder salvo Moser e Roveni sconfitto.
.... Quando finalmente, a Bologna, ebbi lasciato il treno più rapido
per quello che mi trasporterebbe a Molinella, e quando nel freddo
e tetro pomeriggio m'approssimai al luogo ove nacqui, invece della
mestizia dell'esule che ritorna dove sa di non trovare più nessuno del
suo sangue, provai, questa volta, un senso di conforto ineffabile.
Con occhio tranquillo guardai, giungendo, a quel po' di terra che fra
poco non sarebbe più mia; e con sguardo affettuoso cercai la mia casa,
la vecchia casa appartata dal paese e dalla via maestra e indicata
da pioppi fedeli. Il Biondo, me la lascerebbe, la mia vecchia casa
paterna; io serberei in essa l'ultimo asilo.
Lo sorpresi, il Biondo, mentre nell'ampia cucina stava piallando
un'assicella; e la moglie, seduta al focolare, filava in cospetto del
gatto. Bisogna sapere che da quindici anni, da quando era divenuto mio
fittavolo, il Biondo non esercitava più il mestiere del falegname ma
aveva conservato affezione alla sega e alla pialla per un alto ideale:
la carità dell'infanzia morta. Nelle ore, cioè, nelle quali non doveva
andare al mercato e per i campi con l'invidiata carrozzella, riprendeva
il mestiere di San Giuseppe e se la passava a fabbricar piccole casse
da spedir angioli in Paradiso! Il Signore domandava un'anima d'infante?
E il Biondo regalava la cassa. Egli si consolava in tal modo d'essere
invecchiato senza figliuoli.
Al mio entrare in casa, all'improvviso richiamo, gli occhiali dal naso
del Biondo caddero sul banco; e la rócca non si lasciava svincolare
dal fianco della Rita (soprannominata Pulicreta per lode di pulizia).
La Rita gemeva: — Gesù, chi si vede! — Io vedevo loro due sempre
più invecchiati, ma sani e contenti; il marito con la berretta verde
divenuta gialla e spelato il fiocco; con le anelline alle orecchie,
la faccia paffuta, le palpebre cadenti, pesanti come foderate di
prosciutto, e, sul pomello destro, i due bottoncini vermigli come
coralli; la donna grinzosa, con le vene grosse quali corde alla gola
e alle mani e i bianchi capelli ben pettinati. Sempre rispettoso, il
Biondo intonò il solito: — Laus Deo! Ben tornato, padroncino! — E la
moglie ripetendo: — Com'è bello! com'è arioso! —, si asciugava col
dorso della mano un gocciolone all'occhio destro.
Furono spalancate le finestre della mia camera dal letto immenso; della
camera di mia madre, sempre fredda da poi che rimase priva di quella
voce; della camera da desinare, dipinta a righe bianche e azzurre che
il tempo non discolora....
— Chissà che freddo là, nei paesi di dove viene! — mi diceva la
Pulicreta facendo fuoco al caminetto.
— Il signor Claudio è da quelle parti anche lui? — domandava il Biondo;
perchè essi non sapevano dimenticarsi di Moser, il quale non avevano
più visto da quasi vent'anni e del quale mi richiedevano ogni volta
tornavo a casa. Era uno dei loro ricordi più cari.
— È sempre quel bel matto allegro?
La domanda del vecchio suggerì a me stesso un'altra dimanda: dove fosse
in quell'ora e che cosa facesse il povero Claudio. Al Biondo risposi:
— Adesso Moser è in guai.
Ma a me che cosa potevo rispondere? Ah! ogni risposta che mi diedi
quant'era lontana dalla crudele verità!
Ecco che cosa faceva Moser a Valdigorgo quello stesso giorno, nella
stessa ora.
Convinto che Eugenia s'illudeva sperando nella mia visita al curatore;
convinto che il curatore non m'avesse rivelato il pericolo che lo
minacciava; vinto dalla certezza che Roveni l'aveva tradito e che egli
doveva pagare il fio della frode commessa da Roveni, egli, Claudio,
meditava di fuggire! Commettendo i brogli Roveni aveva ben provveduto
al suo scampo: allo scampo di lui chi poteva provvedere? La legge, in
nome della Giustizia, sovrastava su di lui responsabile; e dinanzi
all'accusa che varrebbero le attestazioni di buona fede? Sperare in
Sivori? Ma dove avrebbe trovate ventimila lire, Sivori, dalla sera
alla mattina? Sivori apprenderebbe, impotente, che Claudio Moser era
accusato di frode e che si leverebbe contro di lui mandato di cattura!
Moser in carcere: Moser in Tribunale, a esser condannato per ladro!
E Claudio in quel giorno raccoglieva tutta l'energia della sua fibra
per resistere alla disperazione. Disonorato in Italia, lavorerebbe
altrove, sconosciuto, per risparmiar la fame alla sua famiglia. Ma in
Tribunale no: morire piuttosto! E in quell'ora Claudio con uno sforzo
che non valeva a nascondere la disperazione, cercava persuadere Eugenia
che gli era necessario partire. Fuggire! Intanto Ortensia udiva la voce
di lui, udiva il terribile silenzio della madre!...
No: io non potevo immaginare ciò che accadeva a Valdigorgo mentre il
Biondo e sua moglie chiacchieravano, mi colmavano di notizie paesane,
e io stentavo a non abbandonarmi alla stanchezza del viaggio e provavo
la tentazione di un riposo dolce quale non mai, quale di una tregua a
una dura battaglia.
Poi il discorso del Biondo si rifece alla solita antifona: la
popolazione che cresceva e la miseria che cresceva.
E il socialismo con gli scioperi? E le malattie? Tifo e pellagra; tanto
che in paese c'era gran malcontento perchè non prendevano un altro
medico; e ci voleva proprio un medico di più....
Finchè mi riscossi. Ordinando alla donna di prepararmi subito un po' di
cena, attesi ch'essa trottarellasse via per dire al vecchio:
— Biondo! Prima di partire....; parto stasera stessa....; ho
bisogno.... di vendere il podere!
Credo che egli fosse stato sempre dell'opinione di Claudio: che la
filosofia una volta o l'altra m'avrebbe rovesciato del tutto il
cervello; e a ripensarlo quale rimase alle mie parole, ora credo
s'accertasse, di colpo, che questa volta era la buona. I grossi coralli
che gli abbellivano la faccia divennero paonazzi, simili ai bargigli di
un tacchino in amore; le palpebre, così grevi che pareva impossibile
uno sforzo bastevole a sollevarle al di là della metà degli occhi, si
alzarono in modo da scoprire due occhi enormi, quali nessuno avrebbe
mai supposti; e per lo sforzo di sollevare quelle cateratte, e per il
terrore del colpo ricevuto, la bocca gli rimase aperta ma senza voce.
Parlai io.
— Debbo partire con i quattrini in tasca, questa sera. Capisci?
Allora il buon uomo mi scorse in volto una risoluzione e, nello stesso
tempo, un'attesa penosa più di qualsiasi indizio di demenza. Impaurito
più per me che per sè, calò le ribalte e chiuse la bocca dicendo:
— Cos'è successo?
— Debbo versare domattina, a Milano, ventimila franchi; e vendo il
fondo.
Fosse la risposta che non del tutto a tono potè significargli poca
confidenza, o fosse il dubbio che per quella misteriosa disgrazia io
vendessi il podere lì per lì a un altro, il vecchio cadde a sedere,
smorto anche nei bargigli e guatò intorno, quasi il compratore
potesse nascondersi in qualche parte là dentro, o stesse per entrare
dall'uscio, o dalla finestra.
— Vende....; a chi?
— A te!
— A me?!
Respirò, sollevò le palpebre a due terzi dell'altezza normale, e si
cavò la berretta per ringraziarmi dell'onore. Ma disse piano:
— E il _cumquibus_?
— L'hai! O mi darai, per adesso, tutto quello che hai in casa. Ma
bada! È un affare. Se non ti conviene, il fondo resta tuo, per questa
obbligazione (e gli porsi la scrittura in carta bollata),... resta tuo
solo fino a quando avremo trovato un altro compratore.
Avevo parlato quasi duramente; ma aggiunsi abbastanza commosso:
— Son ricorso a te perchè son certo che non mi strozzerai; e poi perchè
non vorrai portarmi via la casa dove è morta mia madre.
Speravo fosse questa, la via che affrettasse il fine della mia impresa.
Ma a quell'attestazione di stima e a quel ricordo il Biondo temè di
commuoversi troppo e senza più muovere difficoltà sul _cumquibus_
tolse dalla busta gli occhiali; li mise; li levò per tabaccare, prima,
liberamente; li ripose all'estremità del naso; e lesse o mostrò di
leggere l'obbligazione mentre, a pausa a pausa e con le cateratte giù,
diceva:
— Quel che posso fare lo farò volentieri per lei! Non me la scordo io
quella buon'anima di sua madre.... E io, morta la mia donna, chi ci
ho al mondo? Chi mi resta? (Non dubitava affatto che la Rita morirebbe
prima di lui). Nessuno del mio sangue, mi resta; solo un nipote della
donna, che farebbe patto col diavolo perchè morissimo d'accidente —
salvo il rispetto — tutt'e due in una volta.
Ma a ridargli l'intero dominio di sè e la debita ponderazione ossia
lentezza a trattar l'affare, occorse l'intervento della Pulicreta; la
quale annunciava che la cena era pronta.
— Lasciateci stare quando si discorre d'interessi! — rimbrottò il
marito, dimentico che l'affamato ero io e non lui. E s'addentrò in un
lungo ragionamento, protestando anzitutto che — salvo il rispetto — i
quattrini sono sempre quattrini, e proseguendo a contare le tornature
del campo, e a stimar il prezzo delle tornature, e a sommar il prezzo
totale, e a rifare e correggere quel benedetto totale.
— Nel valore del fondo c'è o non c'è la capienza per la somma che ti
chiedo? — feci io, impaziente.
C'era e non c'era. I socialisti per un verso, le stagioni, che non son
più quelle, per l'altro, deprezzavan la terra, laggiù.... Poi, a dir
la verità, chi avrebbe comprato il campo senza la casa padronale, con
la casa del contadino che non stava più, dritta? Finalmente, dopo più
prese di tabacco e vani tentativi di rialzar le palpebre:
— Per me.... ecco.... sissignore!... il fondo li vale ventimila
franchi.... Ma come l'intenderà la donna?
Non avevo pensato che ci fosse da persuadere anche lei.... la Rita,
perchè anche lei aveva parte nel _cumquibus_. Il Biondo s'alzò
tabaccando; andò fino all'uscio; tornò:
— Alla donna io non ci penserei nemmeno! Fa quel che voglio io! Ma....,
e il nipote?... quel brigante di suo nipote?
Anche questa! Era necessario anche il consenso del brigante?
— Altro che consenso! Se impara che abbiam comprato il fondo, ci dà
il veleno, come è vero Dio in croce, per far l'eredità! È il nostro
tormento: vagabondo, giocatore....
Tranquillai il vecchio assicurandolo che la vendita resterebbe
segreta e giurai, per di più, che morivo di fame e che morirei di fame
piuttosto che cenare prima che l'affare fosse concluso. Egli uscì.
Intanto, in quell'ora, che cosa accadeva a Valdigorgo?...
L'appresi mesi dopo....; e come sarebbe stato meglio non l'apprendessi
mai!
Mentre Ortensia, dietro la porta, ascoltava suo padre, che tentava
persuadere Eugenia a lasciarlo partire — fuggire! —, Eugenia pensò che
la ferrea fibra di Claudio fosse anch'essa piegata, infranta; anche
la mente di lui fosse travolta in una disperazione che ne velasse la
percezione della realtà. Essa ebbe come il presentimento che quella
fuga sarebbe un doloroso e vano errore, e si provava a dissuadere il
marito.
Questi, al nuovo ostacolo, abbandonò, per superarlo, il freno a cui si
era tenuto pietosamente, e, affranto, rispose rivelando tutto: che non
si lascerebbe nè arrestare nè processare nè condannare. I singhiozzi
gl'impedirono di compiere la minaccia: che piuttosto morirebbe.
Allora Ortensia precipitò nelle braccia del padre. Lo pregava, lo
scongiurava ad attendere facesse lei un ultimo tentativo.
Quale? con chi?
Con Learchi! Ancora lui, solo lui avrebbe potuto risparmiar l'onta, la
morte?
Oh c'era un altro! Ma Eugenia sollecitò la figliuola:
— Sì! Va tu, con Mino!
Da prima Claudio si oppose; quindi, o perchè in quegli istanti fosse
come il naufrago che s'appiglia a un fuscello, o perchè non gli
reggesse il cuore di dire addio alla figlia e al figliuolo, parve
accondiscendere.
Con tutto l'impeto, l'eccitazione del suo dolore, Ortensia condusse
seco per mano il fratellino e si presentò con lui a Learchi.
Avrebbero impietosito un sasso; ma neanche l'innocenza di Mino, che
piangeva, tra le braccia della signora Redegonda, intenerì quell'uomo.
Rispose:
— Nulla da fare; lasciamo andare!
E allora.... (quel che io provo scrivendo questo!), allora Ortensia,...
Ortensia s'inginocchiò dinanzi a quell'uomo! Ortensia a mani giunte, in
terra, come dinanzi a un dio!... Egli ripeteva, con la pipa, in bocca:
— Nulla da fare!
E dava consigli: — Lasciate correr l'acqua per il suo verso.... Quando
la matassa è tutto un imbroglio, il meglio è tagliare. — Tagliare!
Meglio era per lui, il processo, il disonore, la condanna!
Ma Ortensia, esasperata dall'umiliazione, si rialzò, fuggì per
rivedere, forse per l'ultima volta!, suo padre.... Il padre non c'era
più! E un pensiero atroce attraversò la mente della figlia, intanto
che la madre diceva a Mino: — Preghiamo Dio, se gli uomini non ci
ascoltano....
.... Nello scrittoio del suo studio Moser da anni e anni teneva
un revolver, che Ortensia aveva veduto più volte. Ella corse nello
studio.... Il revolver non c'era più!
Fuori di sè, la misera tornò da sua madre; allontanò Mino; poi confessò
tutto, a voce rotta: confessò che mi aveva amato, che per me aveva
respinto Roveni, che odiava Roveni e che per salvare il padre doveva
cedere a Roveni! Disordinatamente ripeteva quel che Roveni le aveva
detto, le aveva scritto; dimandava alla madre in che modo dovesse
telegrafare.... — Sarebbe sua — purchè egli le salvasse il padre!
Eugenia, la debole Eugenia, per un istante si sentì attanagliata dal
dilemma: o il disonore del marito, o il sacrificio della figliuola....
Ma la fede sorresse ancora quella debole donna. Accarezzava, baciava
la figliuola per quietarla; le ravviava i capelli su la fronte e le
diceva, sublime: — Tuo padre è onesto e la sua onestà trionferà presto
o tardi! Tu non devi essere di chi usò questi mezzi per possederti!
Ah! Ortensia non cedeva; gemeva: suo padre era partito con un'arma!...
Eugenia sollevò gli occhi al Cielo, ad attingere il supremo coraggio,
e rispose sicura:
— Dio tratterrà la sua mano!
Contemporaneamente io, laggiù, sentivo il tempo volare attendendo
il Biondo; e me l'aspettavo con un pacco di biglietti di banca, e mi
chiedevo, sempre più ansioso, quanto mi mancherebbe a compier la somma
necessaria.
Con un sorriso tra i peli delle palpebre semichiuse e a fior delle
labbra rase il Biondo venne alla fine, seguito dalla Pulicreta.
Ella brandiva la rócca quasi ad attestare che non vi rinuncerebbe
sebbene fosse divenuta proprietaria, e stordita dall'avvenimento non
sapeva se dovesse rallegrarsi della compera o affliggersi perchè era
già fredda la minestra.
— Mi scuserà — disse il Biondo — se le ho fatto perdere la pazienza.
Cosa vuole? Sono avvezzo a far tutto adagio!
Esclamai, allegro:
— Il tuo difetto! Se non ci avessi pensato su tanto, adesso avresti una
dozzina di figliuoli. È vero, Rita? — Essa rise; ridevano ambedue....
Ma, e i quattrini?
— Zitto! — fece il Biondo. — Venga di qua con noi.
Mi condussero nella loro camera; e dopo essersi battuta entrambi
la punta del naso coll'indice, tesero la mano sotto il talamo....
Misericordia! Che vista! C'eran due casse da morto; non di quelle
piccole, per angioli; ma grandi, per due grosse creature com'erano
proprio la Pulicreta e il Biondo! Eran due belle casse di noce:
senza, dubbio i capolavori del Biondo. Ne trassero una in mezzo alla
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