Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 19

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spavento: la lasceremo ben tosto qui sola, poichè l'alba non è lontana,
e fa d'uopo mettersi in cammino, attraversando la grotta per riuscire
dall'altra parte del monte e proseguire il nostro viaggio".
Mentre Falco così parlava, Gabriele e le donne guardavano attentamente
la vecchia, a cui il calore che intiepidiva le carni faceva sparire dal
viso e da tutto il corpo le rigide contrazioni prodotte dal freddo, e
per la sensazione di quel ristorante tepore vedevansi i suoi lineamenti
ricomporsi, gli occhi divenire poco a poco meno stravolti, sino al punto
che le riuscì così grato quel sollievo, che mirando la fiamma colle
spalancate pupille, sorrise, abbassando replicatamente la testa come
salutasse un ente animato che la beneficasse; e benchè quel sorriso e
quel moto avessero un indefinito carattere di demenza, si scopriva però
che venivano dal cuore. Ad un tratto si fece di nuovo sconvolta in viso,
raccolse le braccia al petto, i suoi occhi divennero vitrei ed immoti;
stette come aggruppata in se stessa, poscia allungò una mano lentamente;
la abbassò al suolo allargata, e fece l'atto di stringere alcun che di
morto e resistente e di sollevarlo, aprì poscia le dita ad un colpo e
rimase in quell'atteggiamento.
Un tetro pensiero assalì Falco a quell'atto, poichè gli richiamò
vivamente alla memoria il moto fatto da lei col braccio di Grampo steso
cadavere sul letto nel casolare di Palanzo e le parole che seguirono
quel gesto tremendo: i suoi tratti si fecero oscuri e mormorò fra i
denti:
"Ah vecchia maga, or ti ricordi del figlio! M'accorgo che ti sta
presente come quando lo ricopriva il lenzuolo inzuppato del suo sangue,
e tu lo vedi come allora sfigurato e irrigidito... Ma che pretendi? (ed
alzò la voce) Hai tu il potere di far risorgere i morti dal luogo ove
essi dormono? Puoi tu far apparire gli estinti in queste caverne?... Che
guardi?... Che ascolti? forse qualche spirito uscito dalle viscere della
terra, non visibile a noi, qui s'aggira e ti parla?"
"È ben la tua voce che io sento, o uomo di Nesso?" pronunciò Imazza in
tuono lento e sepolcrale; ma cangiando poscia affatto l'espressione del
volto, poichè la voce e la vista di Falco la richiamarono a passate
abituali idee, proseguì, con manifesto delirio della mente: "Sì... sei
tu... Oh ti conosco!.. è molto tempo che io non ti vedo. Il mio Grampo
non viene più con te?... egli non pronuncia mai il tuo nome: ma ora che
fa? dove sarà egli andato? oh Dio! non vorrei che s'incontrasse cogli
uomini di Como! Che si sia perduto per la valle, o l'hai tu mandato col
tuo battello lontano sul lago?"
Il guerriero Montanaro stette muto a tali inchieste; Gabriele stupì, e
Orsola disse:
"Il vostro figlio, o Comare, è al sicuro di tutti i pericoli di questa
terra: esso si trova certamente in un luogo dove non ha bisogno che
delle vostre preghiere, e dove chiede al Signore che vi conceda
misericordia".
Imazza non parve punto intendere questi detti, alzò lo sguardo a
Gabriele, e dopo averlo considerato a lungo, pronunciò le seguenti
parole con voce raddolcita, che annunziava un improvviso commovimento
dell'anima, il quale la ritornava alla ragione: "Chi sei tu, o giovine?
Tu non abiti certo nel nostro paese? Perche abbandonasti la tua casa?
Hai tu colà tua madre? Perchè la lasciasti sola?... Essa ti aspetterà...
ti chiamerà... ritorna a lei... fuggi di qui! (aggiunse in tuono più
aspro e solturno) Tu non sai con chi ti trovi... Anch'io... anch'io
aveva un figlio, giovine, vigoroso come sei tu, e per causa di
quest'uomo io l'ho perduto... esso me lo condusse a morire: ed ora son
sola..." Qui le mancò la voce, ma subitamente si riaccese in volto,
stralunò gli occhi, drizzò verso Falco l'irto capo, contraendo convulse
le labbra, protese le braccia con adunche le dita, sì ch'esso e Gabriele
arretrarono inorriditi, e le donne si coprirono colle mani il volto, e
furibonda esclamò: "Perchè non posso lacerarti il cuore con queste mani;
perchè non mi è dato trascinarti con me nel sepolcro? Ma va! che s'anche
or ti salvi, tu non vivrai lungamente. Faccia il cielo però che prima di
morire ti possi mirare cader estinto dinanzi ciò che tu hai di più caro,
che il tuo sangue sia sparso con infamia e che nessuno de' tuoi abbia
altro fine che negli strazii e ne' tormenti".
Gabriele strinse tra le braccia Falco bollente d'ira a quell'imprecare
della vecchia, e tal atto dell'affettuoso giovine gli temprò lo sdegno,
per cui appena il rimbombo della rauca e stridente voce d'Imazza svanì
per quell'antro, il fiero Montanaro, fatto mite e calmo, guardolla con
occhio di disprezzo e pietà, dicendo: "Misera vecchia! il tuo spirito è
dominato da malefiche potenze: tu non sai ciò che dici; io ti
perdono!--Andiamo, lasciamola qui da sola a riscaldarsi più agiatamente
le membra, che fra poco la morte le gelerà del tutto".
Così detto, Falco accese una fiaccola che aveva contesta con resinosi
rami, e gettato a spalle il moschetto, procedette per quell'antro
innanzi alle donne seguíte da Gabriele che recava un'altra face;
abbandonando per tal modo colà la vecchia Imazza che soprapposte molte
legna al fuoco vi si rannicchiò nuovamente dappresso. Giunti al fondo
della prima grotta salirono pei dirupati scaglioni formati dal passaggio
di voluminose sobbalzanti acque ivi scorrenti la state, e s'internarono
nell'andito superiore più oscuro e ristretto. Progredendo per quella via
cavernosa che or ritorta or diritta, ma sempre ascendente, cammina per
le viscere del monte, udivano il rumore dei loro passi risuonare con
cupo e prolungato mormorio, e allo splendore delle loro faci che spesso
squassavano per rinvigorirne la fiamma, rompenti quell'eterna tenebria,
miravano variarsi la forma, il colore e l'ampiezza dell'antro per cui
s'avanzavano. Ora nella vôlta e nelle pareti ristrette e basse
nereggiava liscia l'ardesia; ora lo scisto verdastro cilestrino o
giallognolo rigato da fili d'acqua offriva l'aspetto d'un drappo steso,
di cangiante colore frastagliato da lucide striscie; in alcuni luoghi
strati di bianca marna formavano lunghe zone compatte, in altri
brillavano al lumeggiare delle faci mille e mille punte argentine nella
scabra arenaria: qui miravasi la vôlta vasta e piana formata d'un solo
masso di granito che spaccato dai lati in larghe fenditure presentava
enormi arcate sostenute da informi colonne fra cui s'apriva il varco ad
altri spechi; là perpetue stille gocciavano dalle acute stallatiti
pendenti dall'alto.
I quattro che battevano quello strano e cupo calle contemplavano con
istupore misto a meraviglia, fatta maggiore dalle tremende idee di che
erano stati poco prima agitati, il variato succedersi di tanti ciechi
ravvolgimenti, dai quali non avrebbero creduto potere riuscire mai
all'aperto, se Falco stesso non avesse assicurato d'averli altre volte
percorsi, ed egli medesimo pensando ai timori ed all'esitanza che
dovevano naturalmente durare nel cuore di quelli ch'ei conduceva per una
sì lunga sotterranea via, rallentò d'alcun poco il passo, e rompendo pel
primo il silenzio, disse:
"Se fossimo andati tanto all'ingiù quanto siamo saliti per questa
strada, io credo che saressimo già arrivati dove si comincia a vedere il
fuoco a trasparire dalle porte della casa dei dannati; ma finalmente per
quanto sia grosso il monte dentro cui camminiamo, m'accorgo che
l'abbiamo quasi attraversato. Vedete quest'altra grotta che s'interna a
destra: essa si apre in forma di pozzo in mezzo al piano del Tivano, da
dove entrano le acque quando si sciolgono le nevi, e trascorrendo per
queste gole sboccano in parte dalla caverna per cui siamo entrati nella
valle del Noce, e in parte nella Valle del Lambro dalla caverna per cui
usciremo, ed alla quale ora siamo vicinissimi".
"Perchè non si ponno scavare sì lunghi e profondi i sotterranei dei
nostri castelli? pronunciò Gabriele; oh allora daremmo cattivo giuoco
all'inimico in caso d'assedio, e se per isventura si cedesse
all'assalto, potremmo per tale strada condurre in salvo le persone che
non saprebbero aprirsela col ferro alla mano, e serbarci anche nella
sconfitta ciò che abbiamo di più caro e prezioso!"
"Ah, rispose Orsola, che la Madonna ci guardi dall'essere mai costretti
a praticare simili sorta di cammini! Chi sa chi passa di solito qui
dentro; chi sa chi va svolazzando colle ali di pipistrello per i luoghi
che abbiamo lasciati dietro a noi e ci segue da lontano spiando i nostri
passi! Io per me non mi sento il coraggio di volgere indietro la testa.
Avete osservato che qualità di siti? In un luogo è tutto nero, in un
altro tutto bianco e giallo, e per sino coperto d'argento. Non ponno
essere stati che i demonii e gli stregoni che hanno fatti questi buchi;
ed io sceglierei piuttosto di camminare cento anni sulle bragie, anzichè
trovarmi da sola nel luogo ove abbiamo acceso il fuoco e dove s'è venuta
a sedere la comare di Palanzo, perchè essa sta ora certamente in mezzo
un circolo di diavoli. E non sentiste la vecchia strega quali parole
pronunciò per rabbia e quali imprecazioni ci ha scagliate perchè stavamo
colà a sturbare la sua tresca cogli spiriti maligni a cui ha venduta
l'anima sua?"
"Non temete pe' suoi detti, o Madre: la Vergine di Nobiallo ci protegge:
Ella che ha fatto giungere prima del tempo da noi sperato le persone che
ora sono con noi, saprà pure sventare i nefandi presagi della trista
vecchia: io so che a pregarla di cuore quella santa Madonna concede
sempre le grazie che le sono richieste". Così disse dolcemente Rina, a
cui le parole poco prima proferite da Gabriele avevano recato una
consolazione soave, confortatrice, che il tetro luogo in cui si
ritrovavano punto non sminuiva; e Gabriele a lei con entusiasmo: "Quando
pregano gli angeli, o Rina, sorridono i cieli, e beato chi è l'oggetto
dei loro voti". Così pronunciando le si mise accanto, poichè la grotta
che s'andava allargando il sofferiva, e posò lo sguardo sul volto di lei
nel momento che veniva investito da una luce purissima azzurrina che
penetrava dall'ampia apertura della caverna a cui erano finalmente
pervenuti.
Falco, gettata al suolo e spenta la fiaccola come fece Gabriele: "No,
non mi sono ingannato (disse con voce forte e contenta), benchè siano
scorsi molti anni da che feci questa via. Eccoci all'uscita della famosa
caverna del Tivano: ora scenderemo nella valle del Lambro, passeremo il
monte a Magreglio, e caleremo a Vassenna: questo è il cammino che
facevamo prima che il signor Gian Giacomo fosse padrone di Lecco, poichè
in quelle acque potevansi gettare le reti a buone tinche; ma era d'uopo
tenersi al largo dal capo di Bellaggio e da Limonta, ove stavano sempre
appostati i mastini per darci la caccia".
Toccata in questo mentre la soglia della caverna, s'offrì loro innanzi
apertissimo il vasto prospetto e della valle e dei monti circostanti,
tutti egualmente coperti di neve, e di cui le acute sommità splendevano
più abbaglianti disegnandosi nel fondo azzurro del cielo colorate in
lieve tinta di rosa dai primi raggi del sole nascente che le investiva.
Il gelido spirare della brezza mattinale, che aveva prodotta la serenità
dell'aria, recò sulle prime molesta sensazione ad essi loro che si erano
per molte ore aggirati entro quelle caverne, in cui, come suole in tutti
i sotterranei vacui, l'aere rinchiuso è sempre mite; ma avendo eglino
presa tostamente la via a discendere, il rapido mutare dei passi a cui
forzavali la pendente balza che al basso della valle declinava, fu
bastevole a temperare in loro l'effetto della rigidezza dell'aure.
Snella e leggiera calava Rina da quell'erta innanzi a tutti, l'orme
stampando appena sulla congelata nevosa superficie del terreno: quella
candidezza, quella luce effusa sfolgorante le destò nello spirito una
viva, completa gioia, che l'incendio, i perigli, il terrore e le tristi
ombre passate cancellavale interamente dal pensiero. Gabriele, non meno
ratto e pronto di lei, le scendeva dappresso; a passi più tardi e
alquanto dai giovani discosti discendevano Orsola e Falco impegnati in
particolari ragionamenti, battendo però le pedate da essi loro segnate.
Il giovine Medici contemplava sempre più rapito la vaga fanciulla che
procedeva sì spedita innanzi a lui, e che ad ogni rivolta del sentiero
alzava ad esso le pupille, movendo a lei più vicino sì ch'ella
intendesse agevolmente le sue parole. "Per voi, bella Rina, disse, i
sassi, gli sterpi, le nevi non sono di maggiore ostacolo al camminare
velocemente di quello che lo siano ad altri le distese pianure, e son
certo che i cacciatori delle nostre montagne potrebbero invidiare la
vostra rapidità quando inseguono le camoscie. Io per me non vorrei
essere spedito come siete voi ad altro fine che per potere seguirvi
sempre dappresso anche tra i ghiacci e le nevi de' più scabri monti".
"Non avreste d'uopo d'affrettarvi per raggiungermi, poichè io
rallenterei i miei passi dovunque fossi per attendervi"; rispose Rina
suffusa di lieve rossore le guancie: e guardandolo poscia teneramente,
aggiunse con ingenua ed animata espressione: "Non solo m'arresterei per
aspettarvi, ma appena vi vedessi scenderei a voi incontro colla maggiore
rapidità. Oh se la prima volta che veniste al nostro casolare di Nesso
non ne foste più partito, vi sareste recato con me ne' bei pascoli della
mia montagna: io v'avrei guidato nei tanti ameni luoghi sparsi per la
valle ove vanno i pastori, e saremmo andati insieme sull'alto del monte
ad una vetta da dove si vede quasi sino al vostro castello: mia madre
sarebbe venuta molte volte con noi, perchè vi ha tanto caro anch'essa, e
dopo quel giorno che ci foste così cortese nella vostra festa di Musso
abbiamo parlato insieme mille volte di voi; e, credetemi, desiderava
essa pure che mio padre ci avesse condotte colà, per abitare nella casa
ove voi volevate che fossimo andate quella sera. Ah! se ciò avveniva noi
si saremmo veduti ogni giorno, e non avrei pianto tante volte, nè
sarebbe venuta una notte come quella trascorsa da farci quasi morire di
spavento".
"Lasciate che io chiami anzi avventuratissima la passata notte, rispose
Gabriele, poichè per gli avvenimenti che sono accaduti ho finalmente
certezza che voi non abiterete più lontana dal mio castello, ed oltre
che resta così appagata la più ardente brama la quale da che vi conobbi
ho costantemente nutrita, sento che si fa più probabile l'adempimento
della viva speranza di farvi mia, d'avervi sempre al mio fianco,
onorata, adorata come l'oggetto da cui dipende ogni bene della mia vita,
la quale apprezzo unicamente per voi".
"Dunque potrei io entrare anche nel vostro castello, venire liberamente
in cerca di voi, anzi abitarvi colà sempre insieme?" Così esclamò Rina
con trasporto, fermandosi a piè della discesa ove erano giunti,
rimirando Gabriele con tutta la commozione d'un tenero abbandono; ma
portando lo sguardo sul di lui splendido corsaletto d'acciaio: "Ditemi,
aggiunse con mesta e più affabile voce, se il Cielo mi concedesse di
divenire vostra, vi mettereste voi ancora d'attorno questo ferro,
prendereste sempre le armi per andare e combattere, lasciandomi sola
come ci lascia mio padre per tanti e tanti giorni? Ah no! io vorrei
piuttosto avere la consolazione di vedervi un istante solo ogni giorno
nella mia capanna, che dimorare nel vostro castello coll'angoscia di
sapervi lontano ed a fronte dei soldati nemici".
"Se i santi il concederanno, avrà pur fine una volta questa guerra!" le
rispose il giovine Medici con melanconico accento, poichè pensò al
rinvigorire che anzi faceva più accanita in que' giorni; ma l'angelico
sguardo dell'amorosa fanciulla non patì che il suo spirito
s'addolorasse, onde tosto riprese con voce d'affettuoso contento: "Sì,
deporremo le armi, e liberi e sicuri non attenderemo che ai sollazzi,
alle feste, ai tornei, a passar l'ore l'uno all'altro vicino, e a
passeggiare insieme pei campi dei colli e sul lago".
"Prendete la via a sinistra, pel calo già fatto nella neve, che andremo
a passare il torrente su quel tronco d'albero che ne forma il ponte".
Così gridò Falco dall'alto, poichè veduti i due giovani sostare in
colloquio, credette il facessero per incertezza del cammino che avessero
a prendere: e quelli si misero per l'indicata strada sempre sì
dolcemente favellando, che tutta quella via dirotta e disagiata per le
nevi e i sassi parve ad essi più deliziosa che i fioriti sentieri d'un
ridente giardino.
Tragittato il ponte e fatto gran tratto di cammino per quella valle,
costeggiando il fiume Lambro e rimontando verso le sue sorgenti,
passarono presso le diroccate mura del Castello di Barni, indi montarono
a Magreglio, ove nel casolare d'un povero pastore presero cibo e riposo.
Di là per un dirupato sentiero che serpeggiando sul monte s'accosta alla
grotta detta la Menaresta, in cui sono le misteriose scaturigini del
Lambro, fiume ch'è tutto della bella terra Lombarda, formato dall'acque
colà fluenti a brevi intervalli, oltrepassarono la montagna che
fiancheggia a ponente il lago di Lecco, e scesi a Vassenna, che era già
d'assai inoltrato il giorno, noleggiata una barca, vi salirono, e Falco
ordinò ai rematori vogassero alla volta di Musso.
Seppero navigando da uno de' barcaiuoli che quel mattino stesso
sull'alba s'era udito dalla parte di Lecco un gran rumore di spari di
bombarde che aveva continuato sin presso al mezzodì, dal che Falco e
Gabriele arguirono essere accaduto uno scontro tra Gian Giacomo ed i
Ducali, onde chiesero premurosamente se si fossero vedute grosse navi
retrocedere di là, e se si fosse parimenti inteso in quel giorno
rimbombo d'artiglierie dalla parte di Bellaggio. Il Barcajuolo rispose
che non eransi veduti passare che pochi battelli provenienti da Lecco, e
che s'era ben sentito dire da alcuni pescatori di Menaggio che il giorno
antecedente s'erano in quelle sponde azzuffati quei di Musso con quei di
Como, ma che nulla s'era quel giorno udito che annunziasse essere
avvenuto un combattimento presso Bellaggio: questi detti misero di buon
animo tanto il Montanaro di Nesso quanto il giovine Medici, poichè
entrambi pensarono che non essendo retrocessa alcuna nave del Castellano
da Lecco, fosse indizio che egli avesse riportata vittoria, e sperarono
ad un tempo che la sconfitta da essi data nel giorno antecedente al
Vestarino sulla sponda di Bellaggio fosse riuscita a lui così funesta da
rendergli impossibile un nuovo attacco contro quel punto.
Ciò che avevano immaginato trovarono con sommo giubilo essere il vero
appena giunsero al Castello di Musso: colà Gabriele narrò al fratello
Agosto rimasto al comando della Fortezza, tutto l'evento, e senza nulla
celargli della passione che lo animava per la bella figlia di Falco,
raccomandò caldamente essa e la madre alle sue cure. Le due donne
presero stanza nella casa di Filippo Tressano, già da Gian Giacomo
donata al Comandante montanaro, che Gabriele aveva da gran tempo fatta
fornire d'ogni necessario arredo. Vedute allogate in comodo e sicuro
albergo Orsola e Rina, il giovine Medici e Falco, completamente
ristorati, risalirono sulla barca che li aveva colà condotti, e
pervennero a notte avanzata in Bellaggio, ove raccontarono il tutto al
capitano Achille Sarbelloni che era stato ansiosamente attendendoli.


CAPITOLO DECIMOTERZO.

Flebil vista a mirarsi
Sulla terra stillar vile e negletto
Il tronco, onde Ellesponto anco paventa:
Atro il bel volto e sparsi
I crin fra il sangue, e del feroce aspetto
La bella luce impallidita e spenta!

CHIABRERA, _Ode in morte di Astore Baglione_.

Gian Giacomo Medici aveva riportata una nuova vittoria che poteva
riuscire terminativa delle contese se avesse avuto soldati in
sufficiente numero da potere conseguire tutti i vantaggi a cui apriva il
campo. Venuto colle navi a Lecco, seppe che il nemico erasi già
impossessato della prossima terra di Malgrate; prese quindi i necessarii
concerti col capitano Alvarez Carazon che comandava il suo presidio di
Lecco, ed il secondo mattino da che quivi era giunto s'accostò coi legni
a Malgrate, ed assalì quel borgo furiosamente vincendo ogni resistenza a
lui opposta dai Ducali. Ricciardo Acursio capitano di questi sostenne
con ogni sua possa il combattimento per mantenersi in quella posizione,
nutrendo sempre la speranza che fosse da un istante all'altro per
sopraggiungere il Vestarino o dal lago o da terra a recargli soccorso
colle sue squadre. Ma questo condottiero Ducale avendo tentato invano,
come abbiamo narrato, di impadronirsi di Bellaggio occupato dai
Mussiani, dai quali anzi venne respinto, non osò nè credette prudente
oltrepassare quel punto ed entrare nel lago di Lecco; per cui l'Acursio
rimasto solo colà, assalito anche di fianco dal Catalano colla
guarnigione di Lecco, fu forzato, dopo grave perdita, a darsi colle sue
genti a vergognosa fuga. Se Medici avesse in quel frangente potuto
inseguire a lungo i nemici, certa cosa è che avrebbe distrutto
interamente l'armata dell'Acursio, ripreso Monguzzo, minacciata Como, e
mandati a vuoto tutti i piani ed i progetti del Vestarino; ma nulla di
tutto ciò fu dato a lui operare, non avendo esso voluto inoltrarsi
dentro terra colle poche bande d'uomini d'armi che si trovava avere, le
quali traevano il loro maggior nerbo dall'appoggio delle navi che
sfilate alla sponda avevano colle artiglierie tanto coadiuvato all'esito
della pugna. Rimase pago però a quanto aveva ottenuto, munì Malgrate, e
sapendo dagli esploratori che l'Acursio rientrato in Monguzzo non poteva
per lunga pezza essere in grado d'intraprendere alcun fatto offensivo,
tornossene sul Brigantino a Musso, onde invigilare alla miglior difesa
del Castello e delle prossime sponde e per aumentare le sue bande
reclutando uomini per quelle terre.
Quasi contemporaneamente al suo ritorno a Musso giunse la notizia che i
Grigioni, eccitati da messi e lettere del Duca e del De-Leyva,
incominciavano a muoversi ed adunarsi dandosi posta a Chiavenna: tale
novella, sebbene riuscisse grave al cuore di Gian Giacomo, pure non lo
fece smarrire, poichè aveva poco addietro ricevuto un foglio da suo
cognato il Conte d'Altemps, in cui lo avvisava avere assoldato il numero
convenuto di schiere tedesche, ed essere queste pronte a mettersi in
cammino alla volta d'Italia al primo aprirsi della stagione onde unirsi
a lui. Per tutto ciò il Castellano pensò attenersi frattanto
strettamente al sistema di difesa, e lasciare che il nemico agisse:
richiamò quindi il Pellicione da Menaggio, in cui s'era tenuto
scaramucciando quasi giornalmente col nemico, che occupava da quel lato
tutta la Tramezzina sino alla Cadenabbia; richiamò pure da Bellaggio
Achille Sarbelloni, Gabriele e Falco, lasciando così libero ai Ducali
d'impadronirsi di quel borgo; il che fecero immantinenti. Rafforzò però
il presidio di Rezzonico, e mandò Sarbelloni col Mandello a Varenna,
tenendo seco gli altri colle navi a Musso.
Trascorse pressochè interamente il febbraio senza che giungesse avviso
al Castello d'alcun movimento nemico, talchè sembrava che tanto il
Vestarino quanto i Capi della Lega Grisa fossero accordati
nell'attendere che al Medici pervenissero gli aspettati soccorsi pria di
nuovamente cimentarsi con lui. Il Castellano nel frattempo adoperava
ogni mezzo per raccorre soldati dalle tre vicine pievi e dai dintorni,
ma l'opera sua e quella de' suoi capitani poco profittava, poichè era
già troppo grande il numero di quelli periti in suo servigio, ed i pochi
robusti terrazzani che ancora rimanevano si rifiutavano di prender parte
ad una guerra che non aveva mai fine, e nella quale s'avevano quasi
certezza di dovere rimanere sagrificati. Non potevansi adoperare le
lusinghe dell'oro per accrescere la leva, poichè quivi il danaro non
soprabbondava in modo da farne scialacquo, tanto più ch'era d'uopo
trovarsene ben provveduti pel momento che sarebbero giunte le truppe
Alemanne: servirsi della forza e delle minaccie era un mezzo forse vano
e certamente pericoloso e provocante le defezioni; onde fu forza a Gian
Giacomo lo starsene alle difese e collocare ogni sua speranza nei
sussidii del Cognato. Egli rimproverava soventi a se stesso, e nei
secreti colloquii anche al Pellicione, il non avere accettato il
trattato di pace fattogli proporre dal Duca; ma agli altri suoi Capitani
parlava con tanta fiducia di se e di loro, e con tanto dispregio delle
armi ducali, che l'eloquente e in apparenza veritiero suo dire manteneva
in essi un'audacia ed una sicurezza ch'egli era ben lungi dal dividere.
Trovavasi però in quel Castello una persona sul cui animo le belle
parole di _nuovo potente esercito_, di _vittoria strepitosa_, di
_conquiste_, d'_ingrandimenti_, proferite ad ogni tratto dal Medici, non
producevano alcun salutare effetto, ispirando invece tutt'altro che
tranquillità, e questo si era il povero Cancelliere, Maestro Lucio
Tanaglia. Ristabilitosi alquanto in salute, non soffriva desso più di
convulsioni, e non aveva avuta altra causa di secreto rancore, prima che
ricominciasse la guerra, fuorchè il silenzio da tutti serbato intorno
all'orazione da lui pronunciata nella chiesa di San-Biagio di Musso per
la morte dei capitani Borserio e Casanova. Ogni qual volta frugando
nelle sue carte gli venivano sott'occhio i fogli su cui era steso quel
discorso che rileggeva a squarci, "Oh! che razza di gente, andava
dicendo tra se, oh che ignoranti! un'orazione di questa sorta, degna non
di que' due barcaiuoli, ma degli almiranti della flotta genovese e
veneziana, beversela su da pappagalli come se fosse stata la storiella
d'un pecoraio! Ah se io ne avessi recitata una simile trent'anni
addietro in Milano ai tempi del duca Moro! sarei stato chiamato subito a
Corte, ed i padri predicatori di tutti i conventi avrebbero fatto a gara
per averne una copia; ma sono spariti quei bei tempi: qui poi non se ne
parli! in questo luogo l'occuparsi ad esporre cose ornate e belle è
veramente un _projicere margaritas ante_... (e si guardò d'intorno) sì
_ante porcos!_"
Quando seppe che nel fitto verno si rinnovavano le ostilità, ch'egli
aveva credute terminate per sempre, sentì rinascere in cuore tutte le
passate inquietudini; veggendo poi retrocedere il Castellano da Lecco, e
il Pellicione, Gabriele, Falco, Sarbelloni dagli altri punti, istruito
che i Ducali trovavansi a Bellaggio e presso Rezzonico, mirando
prendersi le più serie misure di difesa in quella medesima Fortezza pel
caso d'assedio, le sue ambascie e la sua paura giunsero al colmo "Il
signor Castellano, vostro fratello (diceva a Gabriele quando saliva a
ritrovarlo nella sua stanzuccia del Forte) va ripetendo che i Ducali
sono vigliacchi e buoni da nulla, che perderanno Como, che spariranno
dal lago, ed altre novelle di tal natura; ma essi frattanto hanno preso
Monguzzo, e non sono che a quattro passi da queste porte: ciò è tanto
vero, che si veggono ogni giorno trascinare bombarde sui bastioni del
Castello, perchè si teme che ci vengano a fare una visita. Ora come
ell'è questa faccenda? In sostanza chi è che vince e chi è che perde?
Voi siete un giovine prudente e con voi posso parlare: credetemi, vostro
fratello non sarà contento sino a che non ci avrà fatte schiacciare le
ossa sotto queste mura. Dovrebbe, per bacco! averla capita una volta,
che il Duca è un can grosso, e che quegli altri là su delle montagne non
canzonano essi pure: perchè non fare una buona pace, che è la cosa più
comoda del mondo? perchè volersi proprio ostinare a trarci tutti nel
precipizio?"
Il giovine Medici porgeva disattento l'orecchio alle tristi ripetute
elegie del Cancelliere, le quali non producevano altro effetto
sull'animo di lui che di passare come una striscia nubilosa sulla serena
faccia del cielo. Assorto in un'idea che lo rendeva felice, possibile
non era che lo sgomento penetrasse nel suo spirito, improvido d'ogni
infausto avvenire: ciascun giorno egli vedeva Rina, ciascun giorno
s'intratteneva seco lei lungamente, nella sua nuova abitazione di Musso,
e appagamento maggiore ei non sapeva sperare. Falco l'accoglieva colà
come proprio figlio, anzi soventi di lui ricercava, perchè nel forzato
riposo di quei giorni di tregua, non sentivasi soddisfatto se non quando
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