Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 07

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grande scorno nel vedere smentito l'evento appena l'era venuto narrando.
Agitando colla destra un suo acuminato cappelluccio in cui stavano
infisse due penne di vario colore, tenendo la sinistra nella cinghia del
giallo giustacuore che vestiva, balzava giù di gradino in gradino
maledicendo il messaggio, i Ducali e quei di Musso, tanto che giunto
_alla Casa del Maresciallo_ soffermossi un istante sulla soglia della
stanza delle guardie preso dal timore d'essere posto in dileggio dai
soldati. E fu così, perchè, sebbene entrassevi quattamente, appena
l'ebbero veduto: "Guarda, Coppo, gridò l'un dessi con cipiglio beffardo,
hai tu mai veduto una gazza col groppione tinto nel zafferano? Mirala!
essa ha passato il lago per cantare il mal augurio nel Castello, ma le
fallì la voce, e vorrebbe andarsene terra terra per non aversi
spennacchiata la coda". "Alto là, bel ragazzo (disse Coppo il
Bombardiere, uomo lungo e magro, che indossava una sdruscita casacca
color di piombo, e stavasi appoggiato alla porta d'uscita, di cui impedì
il passaggio ad Arighetto portando le braccia ai due grossi massi che ne
formavano gli stipiti), fermati un poco in questa stanza: siamo buoni
compagnoni, e tu non devi aver paura di noi: spiegaci un po' la cagione
perchè mai voi altri del di là del lago le bevete tanto grosse, e come
poi vi prenda fantasia di venire a venderle a noi, benchè le diate più a
buon mercato che un pezzo di miccia bagnata: m'immagino che qualche
giorno ci verrete a raccontare che il colle d'Olciasca va la notte in
giro per il lago come un barcone carico di legna!"
I soldati che avevano formato un circolo intorno ad Arighetto, diedero a
tali parole in scoppii di risa, e questo silenzioso, cogli occhi bassi
come un pulcino caduto in mezzo ad una truppa di galli, stette colà
prendendosi, senza far motto, tutte le beffe di che il venivano
tempestando, sin che ritrattosi Coppo dall'uscio, se ne andò
rapidamente, quasi non vedendo la scala, e riuscito al porto, entrò in
sua barca, e partissi con maggior fretta assai che non fosse venuto.


CAPITOLO QUARTO.
.......... Vedi uno cremesino
Ha il manto e la berretta, uno la bruna
Toga si affibbia all'omero, un stiletto
Brandisce questo, e quegli un'asta, e sovra
L'inculto capo ha la mural ghirlanda:
Chi fia colui ch'è sì sparuto e macro?
Perchè quest'altro la cotenna arriccia
E i mustacchi arronciglia? Infra lor tutti
Gagliardo in armi ed in feroce aspetto
Giganteggia Ugolin.
_Maltraversi e Scacchesi_, Rom. Poet.
di TEDALDI FORES.

Nella sala del Castello, appellata delle udienze, stava, come dicemmo,
il Castellano circondato da' suoi. Egli era seduto sovra un seggio cui
faceva baldacchino un ampio gonfalone di colore purpureo, polveroso e
traforato in più parti da palle nemiche; al di sopra di questo vedeasi
sospesa una campana di bronzo con cerchii d'argento, che chiamavasi la
_Martinella_, l'uno e l'altro de' quali arnesi venivano attaccati ne'
giorni di festa o di guerra all'albero maggiore del brigantino che
faceva in certo modo sul lago la funzione dell'antico Carroccio sì
famoso ai tempi delle repubbliche lombarde.
Gian Giacomo Medici, presso al suo trentesimosesto anno, era
vigorosissimo della persona, poderoso di braccio quanto altri mai, non
di troppo alta levatura, nè corpulento oltre il convenevole: nerboruto e
ben proporzionato delle membra, lasciava scorgere in esse tutta
l'attitudine che possedeva ai moti rapidi e vibrati. Il suo aspetto era
ben degno d'un capo d'uomini armigeri: atto ad atteggiarsi ad imperiosa
severità e fierezza, sapeva spirare ben anco intrepidezza ed indomabile
coraggio, cui aggiungeva a suo grado un far grave od affabile, non
dilicato, a dir vero, ma più che mai opportuno ad infondere rispetto
insieme ed amichevole confidenza a quelli che seco lui contrattavano.
Aveva neri capelli, corti e ricciuti come la barba e le basette, fronte
alta spaziosa, naso rilevato aquilino, arcuate e folte le sopracciglia:
lo sguardo appariva a primo tratto imponente, ma chi l'esaminava
accuratamente scopriva in esso quella sagace penetrazione di cui Medici
era in sì alto grado dotato, e di cui sapeva trarre mirabile partito in
ogni politica e guerresca circostanza. L'abito suo era semplice, e non
affatto cittadinesco in quell'incontro nè del tutto militare. Gli
copriva il petto un corsaletto d'acciaio terso, lucente, ma senza smalti
o rabeschi, aveva ampie maniche e braconi allacciati al di sopra del
ginocchio, di velluto bruno con striscie più nere; portava al fianco una
lunga spada con impugnatura larga e rintrecciata onde servire alla mano
di scudo, e teneva infissa obbliquamente nella cintura una pistola
abbellita con intagli d'avorio, arma pregevolissima e rara a que' tempi,
sebbene il congegno per iscaricarla essendo a ruota la rendeva incomodo
e complicato ordigno.
Siccome Gian Giacomo non chiudeva un animo soggetto ad essere
agevolmente sorpreso o sbigottito, non aveva prestata che poca fede
all'annunzio dell'imprigionamento del fratello Gabriele e del
Cancelliere, nè se n'era posto gran fatto in agitazione; ed abbenchè per
qualunque possibile evento avesse tosto ordinato a' suoi Capitani
andassero in traccia di loro per ricondurneli ad ogni costo, era
convinto che quella notizia fosse derivata da uno de' consueti abbagli
di Luca Porrino. Per ciò allorquando rientrarono in quella sala il
Mandello e il Pellicione facendo lieto viso, egli comprese all'istante
essere la triste novella già smentita, onde al giungere che quivi fece
Gabriele con sua comitiva, alzandoglisi d'incontro, girò intorno
sorridente il volto, quasi dir volesse ben mel sapeva ch'ei non era
preso.
Gabriele corso a lui affettuosamente l'abbracciò, e per suo invito
sedutoglisi d'accanto gli disse all'orecchio alcune rapide parole
accennando coll'occhio Maestro Lucio, che dopo essersi piegato in un
profondo inchino era rimaso immobile di fronte al Castellano, e Falco
che s'arrestò poco da esso discosto, e che sarebbe stato certamente di
là ripulso se, oltre il seguire Gabriele dappresso, col proprio contegno
fiero e sicuro non avesse persuasi gli astanti ch'egli sentivasi in
diritto di colà rimanersi.
"Cancelliere (disse Gian Giacomo a Maestro Tanaglia, dopo aver misurato
Falco d'uno sguardo indagatore), voi farete cosa graditissima a noi
tutti esponendoci con esatta narrativa il successo della vostra
spedizione col mio Gabrio, ch'essere dee stata per vero fortunosa se
diede luogo a strane dicerie".
Messer Lucio si dispose immediatamente a soddisfare quella inchiesta, e
fece il più minuto racconto di tutta l'accaduta ventura, esagerando ben
anco il periglio in cui s'erano trovati, e magnificando con molte
esclamazioni tanto il proprio coraggio quanto l'arditezza adoperata da
Falco per la loro liberazione: mano mano che progrediva narrando, gli
occhi del Castellano, de' suoi Capitani e degli altri personaggi ch'ivi
si ritrovavano, fermavansi con maggior curiosità ed attenzione sul
Montanaro di Nesso, le cui forme, l'abito e l'arme ben ne
caratterizzavano la forza e l'audace costume.
"Il tuo navicello equivalse altre volte ad una mezza flottiglia", disse
a lui rivolto Domenico Matto, capitano di nave, figlio del valoroso
ammiraglio delle Tre Pievi, "e mio padre ti tenne sempre in conto di
espertissimo comandante da che fosti seco alla battaglia di Limonta".
"Questo è quello stesso, o signor Castellano, soggiunse Lodovico
Bologna, che fece salvi gran numero de' nostri, quando ceduta che ebbi
Chiavenna allo Zeller, nel ritirarmi colla mia banda fui sorpreso dai
Valtellinesi a Proveggia, ove saremmo stati tutti spinti ad affogarci
nel lago o nell'Adda, se la barca di Falco e alcune altre poche delle
nostre non fossero giunte in tempo facendo forza di remi onde
raccoglierci".
"Oh per la spada di san Michele! aggiunse il capitano Pellicione, non è
questo quel Falco sì noto della rupe di Nesso? Non ti sovviene, Alvarez,
di quel giorno in cui trovandoci sulla spiaggia di Sorico sotto l'olmo
dell'osteria a vuotarne una misura, egli ci venne e bevette con noi, e
quando fummo per partirne, sbucciati non so quanti ribaldi volevano
ammazzarci, e noi combattemmo contro di loro sì fattamente, che nacque
un parapiglia per tutto il paese? allora non fu pel modo con cui questi
seppe menare le mani, che noi rimasimo padroni del campo?"
"Non vuoi che men ricorda? m'ho ben presente come se il vedessi ancora,
ch'ei maneggiava quel suo moschetto e il pugnale come il più bravo
guerillas della Morena"; rispose con una voce fatta roca e strillante
dal lungo uso di bevere e gridare Alvarez Carazon disertore Catalano, il
più intrepido e spensierato uom d'armi che mai vi fosse, gran fidato del
Pellicione, che aveva corso del mondo assai e navigato per fino alle
nuove Indie allora recentemente scoperte, del qual viaggio, che s'aveva
a que' tempi del maraviglioso, esso non menava altro vanto fuorchè
d'aver quivi fatto macello di centinaia d'abitatori e rubate in gran
copia verghe e polvere d'oro e d'argento.
Falco, sorpreso al vedersi fatto scopo delle parole e
dell'interessamento di que' Capitani, e più di quello di Gian Giacomo
stesso che sempre fisamente il mirava, a lui rivolto con aspetto sicuro
e franco disse: "Voi trovate un pregio in me l'avere combattuto con
valore in varii scontri contro gente che essendo a me nemica è nemica
pure del signor Castellano; ciò a me non pare sia sì gran merito da
valermi le vostre lodi, perchè sappiate che mi stimerei uomo infingardo
e da nulla, se quelli contro i quali determinai di pugnare non mi
avessero a incontrare sempre munito di tutta la mia forza e di tutto il
mio coraggio".
Gian Giacomo avea più volte udito far menzione delle imprese di questo
suo spontaneo abbenchè picciolo alleato, ma non essendogli mai accaduto
di venire seco lui a colloquio o vederselo vicino, non avea potuto
contrarre con esso una perfetta conoscenza, al che non era per essere di
benchè minimo ostacolo la diversità del loro grado e potere; parve
quindi ad esso ottima sorte, che l'obbligo in cui trovavasi di dargli un
premio condegno al salvamento d'un fratello, gli offrisse occasione di
renderselo dipendente ammettendolo nel numero de' suoi, e di porgergli
ad un tempo mezzi più adatti ad adoperarsi con maggior efficacia in suo
vantaggio.
"È singolare, diss'egli a Falco sorridendogli amichevolmente, che i
Ducali non abbiano mai pensato a distruggere un nemico così loro
formidabile come tu il sei: ed è ben d'uopo dire o che non ardiscono
cimentarsi teco, o che somma sia la tua destrezza nel sottrarti ai loro
perseguimenti. Ma tu non ignori di certo che non v'ha belva sì
guardinga, che aggirandosi tra boschi seminati di trabocchetti al fine
non v'incappi, e così può avvenire di te: giacchè se giungono una volta
a serrarti in mezzo alle loro navi, non devi aver speranza d'evitare
d'essere morto e disfatto col tuo navicello dalle bombarde Milanesi che
sono pur poderose. Però a scanso di tale sventura, che sarebbe a me
gravissima, tu salirai una delle mie navi e combatterai unito alla mia
flotta: ti creo Comandante di due _Borbote_[7] e della nave uscita testè
dall'arsenale di Musso, cui impongo sin d'ora il nome di _Salvatrice_.
Gabriele sceglierà cinquanta uomini della sua schiera i più destri e
capaci, e li porrà sotto il tuo comando, a questi tu aggiungerai quelli
fra tuoi che più ti piaceranno: il Cancelliere ti annoterà per stipendio
duecento scudi del brigantino[8] di cui ti faccio assegno, e d'ogni
preda che ti verrà fatto di prendere terrai tu una parte, darai un'altra
a me, e la terza a' tuoi soldati".
[Nota 7: Nome d'una specie di barche adoperate sul lago, adatte a
contenere milizie, artiglierie, ed ogni sorta d'ordigni da guerra.]
[Nota 8: Moneta su cui eravi improntato il Brigantino agitato dalle
onde, col motto: _Domine, salva vigilantes_, che si leggeva sulla prora
della nave stessa.]
Un mormorio, un susurrare universale sorse a tali parole, ed era
approvazione in alcuni, meraviglia nei più, e malcontento in altri
pochi. Approvarono coloro che o molto ligii al Castellano assentivano di
buon grado ad ogni suo volere, o propensi per Falco il vedevano
volonterosi di tal onore fregiato ed ascritto al loro novero:
maravigliava il maggior numero, e non senza giusta cagione, essendo
quella la prima fiata che Gian Giacomo accordava una sì importante
distinzione in un modo tanto spedito d'assoluta autorità senza
consultarne alcuno, e ciò che più sorprendeva, ad un uomo a lui presso
che sconosciuto: quei Capitani poi o Condottieri di minor conto che
aspiravano al comando della nave conceduta a Falco, sentitisi ferire
dalla preferenza data a quel rozzo montanaro, esprimevano con motti
sdegnosi il loro disgusto, nel che s'avevano pure in accordo alcuni i
quali, sebbene stessero colà come ribelli e banditi dalle Corti,
serbavano tutto l'orgoglio e la baldanza d'una superba nobiltà di cui
avevano fatto pompa in altri tempi. All'intendere quel misto favellío
Gian Giacomo rizzossi tosto in piedi, e copertosi iratamente il capo col
suo berretto di velluto rosso largo schiacciato, sormontato da lunghe
piume, vibrò d'intorno uno sguardo imperioso, e chiamati a se il
Pellicione, il Borserio ed Achille Sarbelloni, uscì a lenti passi da
quella sala entrando nel proprio appartamento.
Già incominciava il Medici a conoscersi sovrano, nè è improbabile che
nell'elezione di Falco in suo comandante, da lui fatta in quella
subitanea forma, oltre le cause suaccennate di suo speciale interesse,
avesse di mira d'esercitare un atto di potere con cui far palese che gli
altri non erano che suoi soggetti, e che egli a guisa dei Duchi e dei
Sovrani Signori poteva innalzare o deprimere chi più gli piaceva, senza
seguire altra volontà che la propria. Però non v'ha posto in dubbio che
pria d'arrischiarsi a tal atto e dar prova tanto aperta e decisa del
sentimento di sua possanza, egli avesse accuratamente fatto calcolo
d'ogni possibile conseguenza, e quindi conchiuso non potergliene
derivare danno di sorta, ma bensì utilità certa, poichè uomo di guerra e
d'armi come egli era, possedeva anche perfettamente quell'arte che
suolsi volgarmente chiamare Politica, e consiste nella conoscenza sicura
degli uomini e delle circostanze e nell'attitudine di preparare e
condurre, diremo così, le une e gli altri a seconda de' proprii
desiderii; arte senza di cui ben si può giungere a celebrità somma, ma a
sommi poteri e ricchezze non mai.
Gabriele, soddisfatto e gioioso di quanto avea ordinato il fratello in
favore di Falco, si tolse con questi dalla sala d'udienza, e volgendo in
cuore lietissime idee e soavi speranze, si fece a rammemorargli le
proposte del discorso tenuto il mattino tra loro, risguardanti il
traslocamento di sua famiglia dalla rupe di Nesso alla terra di Musso, e
gli disse che s'avviava a parlarne a Gian Giacomo, il quale avrebbe a
ciò pure di buonissimo animo e indilatamente provveduto.
"No, signor Gabriele, rispose Falco (la cui mente, ancorchè confusa e
quasi commossa da quel generoso procedere cui non aveva saputo
rifiutarsi, intravedeva però ch'era per costargli il sagrificio di sua
indipendenza, ch'ei teneva in sì gran conto, e di cui da tanto tempo
godeva), no: or più non conviene far di ciò parola al signor Castellano:
mi volle desso elevare molto al di là di quello cui io m'attendessi, e
sarebbe ora inopportuna ed ingiusta esigenza il pretendere che
s'occupasse più a lungo di me; grazie allo stipendio che m'ha prefisso
potrò trovare alla mia donna ed alla figlia una conveniente dimora, o
rendere sicura e difesa quella di Nesso. Pria di richiedere nuovi favori
a Gian Giacomo debbo contraccambiare quelli ch'ei m'ha già fatti: sarà
allorquando venuto a fronte al nemico colle navi e la squadra che voi
trasceglierete per me, facendo prova di mie forze unitamente agli altri
vostri Capitani d'armi, avrò contribuito a sconfiggerlo, che verrò a
richiedergli altri beneficii. Ora accertatelo del mio animo
riconoscente, nè vi date altro pensiero di me se non che di ordinare le
cose di modo ch'io m'abbia a trovare all'antiguardo nel primo fatto
d'armi che si disporrà contro i Ducali".
A tali inattese parole Gabriele fu preso da affannoso dispetto: vedea
svanirsi le concepite speranze dell'immediato stabilimento di Rina a
Musso, e quindi la probabilità di rivederla e di favellarle altre volte,
come ne nutriva ardente desío; frenossi però, e contenendo tutta in
cuore la smania, stretta una mano a Falco, amorevolmente guardandolo,
gli andò appresentando e descrivendo di nuovo colla maggior energia che
mai si potesse que' perigli che egli medesimo aveva palesato temere
potessero sovrastare alle sue donne, rimanendosi nel loro primiero
abituro: ma tutto fu vano. Falco andava col pensiero più minutamente
percorrendo gli inceppamenti e i legami di cui s'era lasciato cingere
coll'essersi fatto soggetto a non agire che dietro l'altrui comando: ciò
gli suscitava in cuore certa qual diffidenza verso il Castellano e
un'ira secreta contro se stesso per non aver saputo rigettare il titolo
a lui conferito; e però non voleva aumentarsi le brighe ed accrescere la
propria schiavitù col venirsi a porre interamente sotto la mano di
quello cui dovea ubbidire. La sua capanna, al cui soggiorno aveva poche
ore prime rinunciato volonteroso, gli ritornò alla mente come la più
cara e gradita dimora del mondo, e conobbe essergli assolutamente
necessario il conservarsela. In tale disposizione d'animo l'insistente
consigliare di Gabriele lo rese insofferente, per cui si rivolse a lui
con alterato viso ed aspra voce dicendo: "Voi non contate ancora
sufficienti anni per conoscere quanto costi ad un uomo l'abbandonare
quel tetto sotto cui riposò le cento notti unico padrone di se stesso e
di sue azioni, per trapiantarsi in una terra nella quale un altro è
Signore di lui e d'ogni sua cosa: l'orso stesso muore il verno di fame
sui gioghi del Legnone anzi che scendere al piano a farsi incatenare. Vi
basti che ogni opera mia sia d'ora in poi soggetta alla volontà del
signor Castellano, e non vogliate che io ponga in suo potere tutto
quanto m'appartiene, senza riserbarmi un solo asilo nelle mie montagne
ove ritornare ad intervallo a ristorarmi dalle fatiche come sono da
molti anni abituato. Giovine generoso! (continuò addolcendo lo sguardo e
la voce) se mai verrà giorno in cui siate preso d'amore per un luogo od
un oggetto, sentirete allora quanto riesca doloroso lo staccarsene, e
maggiormente allorquando vi si aggiunga la tema che ciò debba essere per
sempre".
Più profondo si fece a tali accenti il dolore nell'anima del giovinetto
Medici: le ultime parole pronunciate da Falco con certo lento patetico
modo, sì dall'asprezza delle prime diverso, dipingendo lo stato appunto
in cui trovavasi il suo cuore, suscitarono in lui una improvvisa ed
angosciosa tenerezza che gli tolse il potere di replicare. Alzò gli
occhi in volto a Falco, e in quei lineamenti abbronzati e duri su cui
appariva l'impronta della commozione lasciata da recenti idee, scorgendo
un non so che di regolare e di espressivo corrispondente ai tratti di
una beltà pura, celeste, di cui teneva l'immagine sì distintamente
scolpita in petto, una lagrima involontaria gli velò la pupilla, la
prima che dall'infanzia in poi inumidisse il suo ciglio.
Quel giorno stesso nella sala d'armi della Rocca Visconti, ch'era la
camera più adorna che vi fosse in tutti gli edificii della Fortezza,
siccome dipinta riccamente nella vôlta e nelle pareti coi fasti di
quella Ducale famiglia, fu per ordine di Gian Giacomo imbandita una
lauta mensa alla quale vennero convitati tutti i principali abitanti del
Castello.
Sedeva a capo al lungo desco Gian Giacomo medesimo, che era adornato
d'un mantelletto corto di broccato d'oro alla foggia spagnuola, di
grand'uso allora in Lombardia; alla sua destra stava Teodoro Schlegel di
Dares, Abate di Fristemburgo, già Vicario del Vescovo di Coira. Questo
vecchio personaggio, che sovra un sottabito di nero saio portava una
zimara di velluto pavonazzo orlata di bianco, infondeva, coll'aspetto
dignitoso e grave, riverenza e suggezione. Calva e rugosa erane la
fronte, bianca e folta la barba e gli occhi incavati; traspariva però da
tutto il suo volto una certa quale disposizione all'ira poco in accordo
colla carità e colla bontà evangelica debita nel suo stato, la quale
difettosa tendenza era a lui venuta forse dal lungo uso delle acri
dispute cui erasi dato in altri tempi con tutto il vigore della mente e
della parola. Nemico acerbissimo della Riforma che i Luterani
promovevano a tutta possa nella Svizzera, aveva sostenute contro di loro
pubblicamente ogni sorta di tesi in unione a varii Protonotari
Apostolici, e fatte dai pergami in odio agli stessi le più violenti
invettive; ma convinto al fine che le Diete Elvetiche assecondavano gli
sforzi de' Protestanti, procurò, favoreggiando le parti del Medici, di
dare il paese de' Grigioni in mano ad esso, sperando di trovare in lui
un valido alleato contro l'eresia. La sua trama però fu scoperta:
cercato a morte e forzato a trovare la salvezza nella fuga, si condusse
a ricovero nel Castello di Musso ove Gian Giacomo gli fece cortese
accoglienza, ben calcolando quanto poteva giovargli la costui secreta
influenza nell'andamento degli affari della Lega Grisa, che così
chiamavasi la confederazione de' Grigioni con altri Svizzeri tutti suoi
accaniti nemici. Viveva l'Abate una vita ritiratissima in quel Castello,
a null'altro dedito che a comporre una sua grand'opera in confutazione
del sì famigerato libro _Della Schiavitù di Babilonia_ pubblicato pochi
anni prima da Martino Lutero. Aveva desso l'incarico di celebrare ne'
giorni festivi i riti divini nella chiesa del forte di Sant'Eufemia,
dopo i quali chiudevasi solitario nella sua cameretta, e siccome non
parlava che la lingua alemanna, veniva lasciato colà in pace da tutti, e
ben anco da Maestro Lucio, che desideroso sulle prime d'appiccicare con
lui relazioni onde aver pascolo di scientifici ragionamenti, avendogli
diretta la parola in latino, ne venne sì stranamente da lui rabbuffato,
che da quel punto ad esso non pensava come se nemmeno fosse quivi
esistito. Il Castellano però, che aveva le sue mire nel tenerselo
affezionato, non trascurava occasione per mostrargli considerazione e
stima, invitavalo a tutte le principali adunanze de' suoi, e facevaselo
seder d'accanto al posto d'onore siccome vedevasi a quel convito.
D'intorno alla mensa fra gli altri capitani d'armi sedette pure Falco
qual nuovo eletto all'onorevole grado di Comandante di nave, e benchè i
suoi rozzi panni e la rete a nodi d'acciaio che gli copriva il capo il
facessero, quanto all'abbigliamento, dagli altri distinguere, a nessuno
però mostravasi secondo nella franchezza e sicurtà del contegno.
Allorchè consumate le vivande vennero recate nuove anfore di vino, ed i
calici girarono ricolmi nelle mani de' commensali, si ripetè più volte
da tutti acclamando il nome del Castellano, come solevasi fare alle
mense de' gran personaggi, il che dicevasi _gridare il nome del nobile
convitante_; si fecero in seguito gli evviva a Gabriele ed al
Cancelliere Messer Tanaglia pel prospero ritorno dalla loro perigliosa
spedizione. Messer Tanaglia, ringraziando umilmente, lesse in
contraccambio un suo brindisi, in cui era espresso in durissimi versi un
invito a Bacco a discendere dall'Olimpo e venire colà onde sedersi
accanto al dio Marte e temprare l'ardor suo guerriero e quello delle
altre deità delle battaglie che gli facevano corona; col qual dio Marte
è chiaro alludeva a Gian Giacomo, e colle altre divinità a' suoi
Capitani. Era allora sì comune il mitologico linguaggio, che quantunque
assai pochi di quel convegno avessero qualche tinta d'erudizione, pure
presso che tutti di leggieri concepirono il senso di quell'allusione, e
come che fra i vapori e l'esaltazione del vino la mente degli uomini
anche rozzi è facilmente colpita da immagini poetiche e dalle non
complicate allegorie, così riuscì di generale aggradimento il brindisi
del Cancelliere, del che egli s'ebbe attestato in un clamoroso battere
di palme che successe alla declamazione enfatica con cui recitò gli
ultimi suoi versi. Cessato l'applauso, alzossi Gabriele, e levando in
aria la coppa, gridò: "Alla salute di Falco mio liberatore"; Gian
Giacomo, assecondandolo, porse la sua e toccò ripetendo le stesse parole
guardando Falco con gioioso sorriso; tutti allora ne imitarono
l'esempio, e la sala rimbombò del nome del valoroso abitatore della rupe
di Nesso, del novello Capitano, del Condottiero della _Salvatrice_. Quel
suono unanime di lode di tanti guerrieri penetrò l'animo del fiero ed
armigero Montanaro, e scuotendolo sì l'esaltò, che videsi brillargli in
volto un vivissimo contento che tutti obbliare gli fece i rancori che
s'erano in lui antecedentemente destati: vuotò anch'egli la sua tazza
alla salute ed alla gloria dei Medici e di tutti quei prodi compagni
d'armi. Terminato il convito, Falco recossi dal Castellano, e da lui
chiese ed ottenne concessione di ritornare per alcun giorno al proprio
abituro, onde mettere a parte le sue genti di quella nuova destinazione
e trascegliere alcuni de' suoi pel servigio della nave; preso indi
congedo da Gabriele, salì il proprio navicello, e quella notte stessa
fece vela con Trincone e Guazzo alla volta di Nesso.
Gian Giacomo attendeva ne' giorni di cui parliamo, l'esito d'un
avvenimento ch'essere dovea per lui della massima importanza. La fortuna
e lo stato suo che tanta avevano sembianza di stabilità e grandezza agli
occhi di tutti, punto non ne offrivano a' suoi proprii, poichè, uomo
accortissimo e delle umane vicende sagace ed esperimentato conoscitore,
sapeva quali leggieri cause fossero spesso bastevoli a rovesciare più
grande dominio che il suo non fosse. Aveva egli per tre volte veduto i
Francesi occupare il Ducato di Milano con potenti eserciti, e tre volte
esserne scacciati: aveva mirati gli Svizzeri e gl'Imperiali entrare
vittoriosi in Milano stessa, ed indi a poco venire astretti ad
abbandonarla; di tre Duchi a lui contemporanei, due sapeva esserne morti
in Francia, prigioniero l'uno, l'altro privato, e il terzo, ch'era
allora regnante, starsi ciecamente soggetto alla volontà di Carlo V. Ben
è vero che questa catena di successi e rovesci aveva porta a lui
l'occasione di farsi forte e grande, ma gli presentava pure un troppo
evidente quadro del destino che attendeva chiunque avesse colle sole
armi a sostenere od ampliare il proprio dominio.
Due nemici assai più potenti di lui gli stavano ai lati, i quali non
poteva sperare fossero mai per accordargli pace: il primo era il Duca
soccorso dagli Spagnuoli, il secondo i Grigioni confederati con altri
Cantoni Svizzeri formanti, come dicemmo, la formidabile Lega Grisa. Ei
combatteva arditamente contro entrambi, e il valore suo e de' suoi, gli
stratagemmi, l'audacia somma l'avevano fatto sempre trionfare di loro,
per cui era pervenuto ad ottenere alla propria dominazione la fama e
l'aspetto d'una solida signoria che, ispirando confidenza e tema nelle
sue forze, aveva creato uno spirito di vassallanza nei soggetti, come
appariva nel gran numero accorso a stanziare a Musso ed in altre sue
vicine terre del Lago.
Ma la guerra si prolungava, le battaglie succedevansi incessantemente, e
Gian Giacomo considerava che l'armi non verrebbero deposte da' suoi
avversarii, sin che non avessero distrutta dalla radice la sua potenza,
la quale usurpatosi un posto in mezzo a loro, doveva riuscire all'uno ed
all'altro fatale se l'avessero lasciata più ampiamente distendere o
consolidare. Vedeva quindi di non essere in grado di sostenere tal
perpetuo combattimento, conoscendo troppo esigui i suoi mezzi a fronte
di quelli degl'inimici che erano inesauribili, siccome nazioni già da
secoli costituite e popolose: ogni vittoria era per lui una perdita, ed
i più piccoli vantaggi della parte contraria gli recavano colpi funesti.
Possedeva, è ben vero, oltre la regione del lago da Colico sino a Lecco,
da Gera a Brienno, anche molta parte di Brianza con Carate, Incino,
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