Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 04

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assiso e rassicurato nel tuo navicello: la perdita d'un coraggioso è
sempre dolorosa e grave: questa del tuo compagno, ch'era sì valente, m'è
di doppia tristezza, poiché ne fui io la cagione".
"No, non vi rattristate, signor Gabriele; rispose Falco, in cui la
commozione svegliata dalla temuta morte di Grampo aveva già dato luogo
agli usati sensi d'intrepidezza: le palle, gli stocchi, i pugnali
allorché traforano un corpo non fanno che ciò a cui sono destinati. Chi
può pretendere tirar le reti e non bagnarsi le mani? e chi presume
d'accostarsi sovente agli archibugi e non riceverne mai un ruvido
saluto? Partire il più tardi possibile è tutto ciò che sì può sperare;
ma quegli a cui la polve di zolfo arse più volte i capelli, deve essere
convinto che il colpo che lo invierà per sempre nell'alto o nel profondo
gli verrà stando in piedi e il balzerà rapidamente a dormir nella terra.
Io ho veduti caderne così a mille in un giorno solo, e non erano
montanari che vestissero sdruscite casacche, s'avevano armature dorate
ed elmi sfolgoranti. Voi foste alla battaglia di Morbegno ed a quella di
Carate, in cui vostro fratello Gian Giacomo fece tanta strage di
Spagnuoli, pure immaginatevi che quelle non erano che scaramuccie a
fronte della gran giornata che fu combattuta, saranno ora dieci anni,
sotto le mura di Pavia. Il Re di Francia, vi comandava in persona, e fu
preso, come saprete, prigioniero, ma prima quasi tutti i suoi Baroni
caddero morti sul campo. Non vi potete raffigurare in qual numero
giacevano stesi nel fango colle finissime sopravvesti, coi pennacchii e
gli stendardi che poche ore prima ondeggiavano candidi come vele al
vento. Erano pur dessi padroni di castelli, avevano servi e destrieri in
gran numero, ma per essere fedeli alla spada, all'onore, rimasero uccisi
sulla nuda terra. Io era allora tra gli alabardieri, nè dir si può che
rimanessi ozioso od evitassi la mischia, perchè partii di là coperto di
sangue, pure nessun colpo fu vibrato sì giusto che mi ponesse a giacere
fra quei gentiluomini. Quando avrò tocco il momento prefisso dalla mia
stella, forse un colpo scagliato alla ventura mi coglierà come Grampo,
ma non permettino i santi che Falco cada senza il suo moschetto vicino".
Crollando il capo maestro Lucio senza levar gli occhi su l'uno o l'altro
di que' due, quasi ragionasse seco stesso: "Vedete, disse, come vanno a
rovescio le cose di questo mondo: vi son degli uomini a cui il sentirsi
un pezzo di ferro entrar nella gola o nel ventre non reca maggior briga
di quel che dia a me l'argomentare contro un licenziato; or perché a
questi tali che si vanno a pescare i malanni colla lanterna non sono
riserbati tutti i colpi d'archibugio, di colubrine, le dagate, le
lanciate, e che so io? Perché un povero Cristiano che non tratti altre
armi che quelle dipinte sui diplomi e i suggelli, non deve poter fare
due passi senza paventare d'esser colto da una botta che o metta nel
cataletto? Anche in Milano negli ultimi tempi era diventato difficile il
vivere in pace: non si voltava un cantone, che un Catalano o un
Lanzinecco non vi fosse addosso per rubarvi il berretto o la cappa; ma
pazienza, la pelle almeno era salva: qui all'incontro vi sono soldati
sulle spiagge, soldati nei castelli, artiglierie per le montagne, barche
armate sul lago, insomma se non t'ammazza l'uno, t'ammazza l'altro: e il
peggio si è poi, che se per isventura dai loro nelle mani, t'aggiustano
come un martire del Calendario. Oh meschino Tanaglia! quanti guai ti son
venuti addosso, e tutti per quattro parole d'un furfante che invidiava
il tuo sapere".
"Non dubitate, maestro Lucio, disse Gabriele: il soggiorno de' Ducali
sul lago non può essere ormai di lunga durata. Francesco Sforza non è
più in grado di mantenere gli stipendii agli uomini d'armi, e fu detto
che il De-Leyva è seco lui in contrasto e vorrebbe ritrarne i suoi
Spagnuoli; ma prima ch'essi si partano, mio fratello Gian Giacomo pensa
dar loro un addio, per cui molti abbiano a perder la lena di far
viaggio. Vedrai, Falco, in quel giorno se farò loro pagar caro il sangue
di Grampo e la minaccia di mozzarmi il capo come ad un assassino".
Così pronunziando, animato da tutto l'ardore guerriero che gli veniva
dal fervor giovanile, alzò baldanzosa la testa, portò la mano allargata
sul petto, e mosse vivacemente lo sguardo quasi ricercasse il nemico; ma
appena i suoi occhi girarono, vennero impensatamente ad affisarsi in
quelli di Rina, che ritta a lui dicontro teneva le pupille intente a
contemplare la leggiadria delle forme e la novità del vestimento di quel
giovine estrano. All'incontrarsi de' loro sguardi scese ad entrambi un
turbamento al cuore come se fossero stati colpiti da una subita
scintilla: ambedue abbassarono gli occhi al suolo; Rina, imporporate le
guancie, si ritrasse in disparte, e Gabriele ammutolito rimase nella sua
primiera meditativa attitudine.
Eransi intanto da Orsola disposte su rozzo desco rusticali vivande, e
collocatovi nel bel mezzo un vaso di vino tratto dalla botte accennata
da Falco; ed egli visto che s'ebbe compiuto l'apparato, s'alzò dal
focolare, invitando i due ospiti a prender parte a quella cena. Maestro
Lucio, che avea già più volte spinto lo sguardo di sfuggita a mirare che
stasse facendo la moglie di Falco, ed accortosi che disponeva la mensa,
avevala più volte accusata internamente della lentezza che vi
frapponeva, accettò tosto l'invito e andò a sedervisi, dandosi a
mangiare di que' cibi grossolani coll'ardore con cui avrebbe spogliato
un lauto convito. Gabriele e Falco ne imitarono più moderatamente
l'esempio: nel primo, mentre saziavasi l'urgente bisogno della fame,
ricorreva più limpido e brillante alla rinvigorita fantasia l'incontrato
sguardo di Rina, e svolgevagli mille dolci ed indefinite idee nella
mente; nell'altro le non tenui golate di vino fecero più fervido il
desiderio d'uno scontro coi Ducali, contro cui, oltre le antiche cause
di odio, l'accendeva in quell'istante il pensiero che per causa d'un
colpo da essi scagliato, non s'aveva a fianco un fidato compagno, con
cui solevano toccar le tazze animandosi a tracannare finchè vedeano a
secco il fondo di quel vaso.


CAPITOLO SECONDO.
Son della bara funerale ai lati
Con torchi in man pel nuovo di languenti
Due lunghi ordin d'uomini incappati
Che han nei cappucci le fronti dolenti,
I cappucci in due parti traforati
Apron le viste ai loro occhi piangenti.
LA PIA, _Leggenda di B. Sestini_.

Albeggiava appena in cielo il giorno ed ancor tutti nell'abituro di
Falco dormivano profondamente allorchè ne venne bussata con forza la
porta.
"Chi batte?" gridò Falco risvegliandosi istantaneamente, e sorgendo d'un
salto dal giaciglio su cui erasi coricato cogli abiti indosso:
"Son io; son Trincone (rispose quello che stava al di fuori); apri tosto
che t'ho a parlare".
Disserrò Falco all'istante l'uscio di sua casa, ansioso d'intendere che
fosse avvenuto di Grampo; imperocchè Trincone, ch'era l'uno de' compagni
che l'avevano trasportato ferito al suo tetto, doveva di certo recar di
lui fresche novelle. Narrò infatti Trincone che giunti che si furono la
sera a Palanzo, Grampo non dava più segni di vita, ma depostolo in sua
casa, mercè le cure e gli unguenti di sua madre Imazza aveva riaperti
gli occhi e fatti tali contorcimenti delle membra da mostrare che il
sangue perduto non l'aveva esausto in tutto di forze, per cui egli
recavasi di fretta a Nesso alla Casa dei Malati a ricercare Frate Andrea
Cerusico, affinchè venisse a soccorrerlo dell'arte sua; e nel passare
per di là aveva voluto discendere ad avvertirne lui Falco, pel desiderio
che sapeva dover esso provare d'averne pronte notizie.
"Ben hai fatto, disse questi reso pago da quell'annunzio; corri a Frate
Andrea, e quando seco lui passerai qui su dalla via, mi darai voce, ed
io verrò seco voi a Palanzo".
Trincone partì, e Falco, rientrato nell'abituro, ripetè le parole di lui
ad Orsola ed agli ospiti suoi, che in que' pochi momenti eransi alzati
ed allestiti. A causa dell'ora tanto inoltrata della notte in cui si
trassero a riposo, e fors'anco per scrupoloso riguardo che i due
forestieri s'imposero verso le donne, quantunque si fossero coricati
nella più interna stanza, eransi posti a giacere colle vestimenta
d'attorno. Avevano dessi pensiero di dovere immediatamente partire, ma
Falco il tolse loro dicendo che non avrebbero fatto viaggio che
sull'imbrunir del giorno, avendo egli in animo di condursi a visitare il
ferito compagno. Il giovine Medici e Maestro Lucio si dichiararono
disposti a fare quanto meglio a lui fosse piacciuto, ed a seguirlo per
tutto ove venisse loro indicato, persuasi ch'egli avrebbeli ricondotti
in sicurezza nei dominii del Castellano.
Gabriele però di quella inaspettata dilazione annunziata al loro partire
s'ebbe la più viva compiacenza, poichè sentiva di già che a malincuore
abbandonava quell'ospitale abituro. La prima immagine a lui affacciatasi
appena tolto al sonno era stata quella che ultima l'aveva abbandonato la
notte, l'immagine cioè di Rina. Erano cessate la foga e l'agitazione
destate nel suo spirito dagli avvenimenti del giorno antecedente, e su
tutte quelle tumultuanti e spaventose impressioni una n'era surta
dominatrice che gli diffondea nel cuore una dolcezza nuova, lusinghiera,
che lo affezionava agli accidenti, sebbene disastrosi, dai quali era
stato colà condotto.
Non era una determinazione decisa, un'idea chiara, sviluppata che
Gabriele avesse concepito, e di cui rendesse a se stesso ragione; erano
immagini presentite, velate ancora e confuse, che lasciavano trapelare
una luce attraente e soave, qual egli non aveva mai traveduta da pria;
era una fibra del suo cuore non tocca mai per l'addietro, che appena
sfiorata rilevossi con un'armonia sì deliziosa, che nessuno de' suoi
consueti sentimenti sapeva raggiungere: erano quelli in somma i primi
battiti d'amore.
Avendo trascorsi i suoi verdi anni nei castelli, nelle rocche, o sul
campo tra uomini rudi e severi, che d'altro non s'avevano pensiero che
di ciò ch'era conforme a' loro guerreschi interessi, mai una parola
affettuosa era giunta al suo orecchio, nè mai gli si era offerto alcuno
di que' tratti che recano all'anima la soavità della simpatia, e lo
aprono all'effusione d'un gentile e delicato sentire. Con persone
d'altro sesso egli non avea mai avuto famigliare consorzio, e le sole
giovani donne con cui alcuna volta soleva conversare, erano le proprie
sorelle, che stavano in una casa foggiata a monastero in Musso, e
queste, d'età alla sua superiore, non davansi altra cura che
d'intrattenerlo di cristiani ufficii e di pratiche religiose, temendo
che le sue armigere occupazioni gli facessero porre in dimenticanza od
in dissuetudine i sacri doveri. Per il che eran sempre rimasti a lui
assolutamente sconosciuti i moti d'amorosa tendenza, o di tenera
affezione. Le forme e gli sguardi di Rina, ch'egli aveva colà pressochè
ad insaputa contemplati, avevano cagionato il suo primo palpito d'amore,
che in un intatto e puro cuor giovanile con tanto vigore s'addentra
possedendolo con intiero ed assoluto dominio.
Poco tempo dopo che Falco fu rientrato nell'abituro, Trincone ritornò
menando Frate Andrea, ch'era l'uno de' monaci che s'avevano in cura un
ospitaletto elevato da pia e facoltosa persona un secolo addietro nella
terra di Nesso per ricettare gl'infermi del contado, e veniva chiamato
la Casa dei Malati di santa Maria: diede quegli dalla strada un grido
chiamando Falco, e questi, postosi a spalle il suo moschetto, che non
abbandonava giammai, si fece a seguirlo.
Annuvolato tristamente era il cielo, e fosco appariva il mattino: larghe
zone di nebbia rigavano i dossi delle montagne, e riflettevano nelle
immobili acque del lago il loro cinericcio colore; le piante e gli
arbusti che fiancheggiavano il sentiero del monte vedeansi sfrondati ed
abbattuti dalla furiosa grandine della notte, ed in più luoghi frantumi
di macigni e sassi trascinati dalla correntia della pioggia lo avevano
ingombro.
"Foste chiamato per tempo a disastroso cammino (disse Falco a Frate
Andrea, che giva preceduto da Trincone) e n'avete a far buon tratto per
giungere al letto dell'infermo".
"Non è mai disastrosa, rispose il Frate, quella strada che dobbiamo
percorrere per recare la salute del corpo o dell'anima ad un nostro
fratello".
"Così avvenisse che poteste rendergli la prima, soggiunse Falco; ma temo
che nè le bende nè l'acqua del chiodo che portate abbiano a valere a
rimarginare la ferita che aprì a Grampo le canne della gola". "Sia pur
vero per volontà di Dio che l'opera delle mie mani non abbia ad avere
alcuna efficacia, rispose il Frate; ma voi mostrate poca fede dubitando
dell'effetto di quest'acqua miracolosa: non sapete quanti portenti ho
veduti co' miei proprii occhi operarsi per essa? quanti storpii
raddrizzati, quanti ciechi illuminati, persone giacenti da più anni
rinvigorite in poche ore? Ma fa d'uopo trovarsi mondi da gravi peccati,
ed avervi avuta sempre particolare divozione".
"Ohimè! il povero Grampo non deve dunque aspettarsene alcuna grazia,
disse Trincone crollando il capo: ci parlava sovente di gozzoviglie e di
vino, e l'ho veduto vuotarne delle tazze in gran numero; ma non mi so
che si risovvenisse pure una volta del viaggio che dobbiamo far tutti
per l'altro mondo".
"Sarà di lui ciò che ha disposto Quegli che sta là su, disse il Frate
alzando gli occhi al cielo: la sua misericordia è infinita, ed Egli può
attribuire qualunque mirabile potere a quest'acqua che fu benedetta col
chiodo miracoloso venuto da Terra Santa".
L'acqua di cui essi ragionavano veniva recata dal Frate in un secchiello
di rame argentato che aveva la forma d'un lungo bicchiere allargato alla
sommità, nel cui manico erasi passata una cordicella. Quest'acqua, che
veniva considerata qual santa reliquia di portentosa virtù, attingevasi
nel lago il giorno di San Giovanni Battista, e portavasi al Borgo di
Torno, dove nella Chiesa dedicata a tal Santo celebravasi una solenne e
sontuosa festa, e quivi vi veniva immerso per qualche istante un chiodo
che una pia credenza indicava per l'uno di quelli che avevano servito
alla crocifissione del Redentore, recato dalla Palestina da un
Arcivescovo Alemanno condottiero di Crociati, il quale, giunto a Torno,
non potè per furore di procella allontanarsene finchè non ebbe deposto
nella Chiesa quel prezioso ferro trasportato con tanta cura dalle sacre
contrade di Gerusalemme[3].
[Nota 3: Tatti, _Stor_.]
Seguendo quei tre il sentiero più breve pe' boschi, lasciando Careno ed
altre Terre alla destra, pervennero in brev'ora a Palanzo: internatisi
per una stradicciuola in quel paesetto formato d'ammassati montaneschi
abituri, giunsero alla porta della rustica casupola di Grampo. Presso a
quella stava Guazzo in mesto atteggiamento confabulando con due
confratelli Della-Morte, che così appellavansi i membri d'una religiosa
compagnia di cui era incarico il recare i trapassati a sepoltura.
Quando Guazzo ebbe veduti que' tre sorvegnenti, "È tardi, esclamò con
malinconica voce: altro non rimane a fare per lui che porlo sotto
terra".
Trincone, maravigliato, fece un atto di dispetto vedendo così delusa la
sua aspettativa, e accorgendosi d'aver gettati vanamente i passi; il
Frate abbassò lo sguardo al suolo chinando il capo, e incrocicchiando le
braccia sul petto recitò una preghiera; Falco, compreso da dolore,
"Lasciatemi entrare, gridò in tuono che palesava insieme l'ira e la
pietà: voglio almen vederlo un'ultima volta; voglio promettere sul suo
corpo di mandare più d'uno di quelli che lo hanno ucciso a dormire un
sonno eterno come il suo".
In una stanza di ruvide pareti, sotto una volta annerita dal fumo, e che
prendeva scarso lume da un elevato finestrello, giaceva sovra un letto
di tavole il cadavere di Grampo ricoperto per metà da un lenzuolo: la
sua gola era fasciata da bende tutte intrise del suo sangue, che
trascorsogli sul nudo petto in più striscie vi si vedeva nero e
raggrumato. Di fianco al letto stava assisa una vecchia donna, tenendosi
a due mani appoggiata ad un bastone, cogli occhi fissi immobilmente su
quel sangue: i denti di lei battevano di tratto in tratto tra loro, e le
membra tremavano per convulsivo movimento: era Imazza sua madre.
Entrato Falco là dentro seguito da Frate Andrea e da Trincone,
accostatosi lentamente al letto, vi si rattenne; posò a terra il
moschetto, e sovrapponendo all'estremità della canna ambedue le mani, su
quelle appoggiando il mento, rimase taciturno a contemplare d'uno
sguardo, fatto per tristezza fosco e socchiuso, la salma d'un compagno
d'armi, poche ore dianzi sì vigoroso per gioventù e salute, già fatto
immoto insensibile.
A piè del capezzale inginocchiossi Frate Andrea, il quale, alzata colla
destra la croce che andava unita al rosario che gli pendeva dalla
cintura, intuonò le litanie ed altre preci pei defunti, cui rispondeva
Trincone, postosi parimenti co' ginocchii a terra: rilevatosi il Frate,
appressossi ad Imazza, che non aveva mai tolti gli occhi dal volto del
proprio figlio, nè sembrava per anco essersi accorta della presenza di
quegli estrani, e come era suo ufficio e costume in simiglianti
circostanze per alleviarne il dolore, e distorla da quell'intenso
pensiero, cominciò con voce lenta e pietosa a così dirle: "Il Signore
non volle concedere che io giungessi a tempo di confortarlo colle sante
parole della Chiesa, o di lavargli la ferita coll'acqua mirabile che
recai meco a quest'uopo; ma non paventate per questo, o madre, anzi
abbiate viva speranza che egli sarà stato accolto nella schiera degli
eletti, e l'interno pentimento delle proprie colpe gli avrà fatta
vincere la guerra col nemico infernale che sta preparato a tutti
assalirci negli estremi momenti: fors'egli a quest'ora prega per voi e
per noi tutti; ed attende tra l'anime purganti che colle nostre orazioni
lo liberiamo dalle fiamme..."
La vecchia Imazza, volgendo la testa, diede uno sguardo sì torvo al
Frate, che gli troncò sulle labbra la parola, e con un raggrinzamento di
mascelle che aveva sembianza di un truce ghigno: "Liberarlo dalle
fiamme! disse: Qui è gelo: toglietelo dal freddo che lo agghiaccia, fate
che si levi da sè, e che questo non sia come piombo freddo e greve".
Così pronunciando alzò un braccio del morto, e lo lasciò cadere
rimettendosi a guardarlo fisamente.
"Sento" disse Falco, abbandonando d'un subito la sua posizione, e
prendendo la mano di Grampo ricaduta sul letto, "sento che è fredda e
rigida come se fosse rivestita d'un guanto di ferro; ma chi di noi avria
potere di riscaldarla? Se valesse immergerla nel sangue, ciò non sarebbe
un disperato rimedio; ed io giurerei su questa mano istessa di versarne
più di quanto ne facesse bisogno a tal uso. Ma tutto pur troppo è vano
quando la terra deve stendersi su di noi come un pesante mantello. Per
ciò compiango, o Imazza, il vostro dolore, poichè avete col figlio
perduto tutto ciò ch'era a voi caro al mondo: egli solo consolava i
vostri vecchi anni, e ne alleggeriva la gravezza: ora che farete voi
della vita? gli occhi vostri non sapranno su chi posarsi, nè la vostra
lingua a chi parlare. Ascoltate la voce di Frate Andrea: questi uomini
del Signore cercano di gettarci una corda di soccorso quando più non
abbiamo nè vele nè remi per accostarci alla sponda".
Imazza a tai detti dimenava il capo con ira, e: "Che parli tu? rispose,
a che venisti? Perchè tocchi quella mano? Non fu per esser teco, che
Grampo venne colto da un colpo ch'era a te destinato? Non fosti tu che
il conducesti alla morte? Attendi, attendi a consigliare le tue donne,
che forse non andrà a lungo che un cadavere più sformato di questo starà
nel loro casolare, se pure non avverrà che in vece delle donne ci
saranno dintorno i lupi ed i corvi".
"Taci, maledetta strega!" gridò Falco torbido e minaccioso in volto,
stringendo a pugno la destra, ed alzandola verso di lei; e ben avveniva
che l'avrebbe malamente percossa, tant'era l'ira che l'assalse e
l'acciecò a quel malaugurato presagio, se frate Andrea, messosi tra
loro, adoperando pacifiche ed autorevoli parole, non avesse sedato quel
bollore di rabbia, sì inopportuno e sconvenevole in tal luogo e in tal
momento in cui tutti i pensieri da null'altro essere dovevano compresi
che da tristezza e pietà. La vecchia donna chinò il capo sul petto, più
non pronunciando alcun accento, e Falco rimase parimenti muto, volgendo
nell'anima le più tetre e desolanti idee. Quella predizione fattagli
alla presenza d'un morto da una femmina che dicevasi aver conoscenza
dell'avvenire per mezzo di sortilegii ed altre diaboliche arti, lo aveva
colpito sì fattamente, che un gelo gli corse per l'ossa, e risentì uno
straordinario sentimento di terrore. Nelle battaglie, negli assalti, nel
calor delle mischie la morte aveva sempre avuto per lui un aspetto,
direm quasi, eroico e glorioso, nè altra cosa eragli rassembrata che un
rapido compimento della vita: là dentro la ristrettezza dello spazio, la
scarsezza del lume, la vista d'un cadavere insanguinato, il viso e la
voce sinistra con cui Imazza aveva pronunciate quelle parole, tolsero al
suo spirito ogni vivace ed energico slancio, e v'infusero nere tremende
idee come se gli fosse stato svelato uno spaventoso secreto.
Frate Andrea fece nuove esortazioni e preghiere, quindi annunziando che
gli era necessità ritornarsene al suo convento di Nesso, chiese
commiato, ed uscì dalla casa di Grampo; Falco, gettato un ultimo sguardo
sul corpo dell'amico, seguì il Frate, e ordinato a Trincone e Guazzo si
trovassero sul far della sera col navicello a piedi della sua rupe,
abbandonò Palanzo, riprendendo cammino verso il suo casolare.
Annuvolato era ancora il cielo, e soffio di vento non avvivava l'aria,
nè increspava la faccia del lago, che da nessuna barca appariva solcata,
onde melanconica se ne offriva la veduta dall'alto del sentiero tra le
selve del declivio del monte, pel quale Frate Andrea e Falco
retrocedevano. Camminò quest'ultimo alcun tempo meditabondo, recando
sotto il braccio il suo moschetto colla bocca a terra, tenendo una mano
fra i panni, e piegata al suolo la testa: a poco a poco però l'aria
aperta, la vista delle montagne e delle acque, quantunque non lucenti
per sole sereno, gli ritornarono i suoi abituali pensieri: sparve la
tetraggine che lo aveva invaso, rimproverò a se stesso come una
fanciullesca debolezza e una vigliaccheria quel momento di terrore da
cui s'era lasciato sopraffare, rammemorò le tante sue passate imprese,
si ricordò gli ospiti che lo attendevano, l'onore e la fama che gli
sarebbero derivati riconducendoli liberi a Musso, pensò alla probabilità
d'una gran battaglia che il Castellano darebbe ai Ducali, in cui sariasi
diguazzato nella strage; ed a tali pensieri gli ricomparve sul volto
l'usata ardimentosa espressione, gettò sull'omero il moschetto, e
sentissi necessità di favellare per mantenere le sue idee in quel
confacevole andamento. Si rivolse per ciò al Frate che gli veniva da
lato, e dopo vario parlare intorno ai fatti di quella guerra: "Chi fu,
gli disse, quegli tra voi della casa di Nesso che venne chiamato alla
rôcca di Reginaldo Rusca il Ghibellino onde sanarlo quand'ebbe il
braccio fracassato da una bombarda nel combattimento navale presso
Como?"
"Fu Ambrogio da Milano, rispose Frate Andrea, che da poco tempo ritornò
alla sua città onde prestare assistenza ai pellegrini della Commenda:
egli guarendo il Rusca profittò al nostro convento di Santa-Maria
duecento scudi di Musso di quei del Triulzo, chè tanto aveva fatto voto
quel ferito di sborsarne risanato che fosse".
"Pagò riccamente la cura, soggiunse Falco: ma che non avrebbe egli speso
per tenersi il suo braccio, e non essere chiamato Reginaldo il monco?
Giurerei che s'avrebbe tolto d'andare a Gerusalemme a piedi, e avrebbe
dato tutto il suo ai frati ed ai poveri. Ma in vero ei del suo brando
faceva grand'uso: io il vidi quel giorno della battaglia, poco prima che
venisse colpito, saltare dalla nave del Matto, che comandava i legni di
Musso, entro una barca comasca, e menar colpi sì vigorosi, che in poco
tempo n'ebbe spaccato l'albero, ed ammazzati non so quanti, indi balzare
in una scorribiessa, e ritornarsene tra i nostri gridando d'allegria".
"Fa d'uopo però dire, replicò il Frate, che perdendo un braccio fu
ancora l'uno de' meno sventurati tra molti che trovaronsi a quel fatto,
perchè m'ho inteso narrare che le bombarde e gli archibugi comaschi e
ducali abbiano allora fatta gran strage dei soldati del Medici, e la
nostra casa dei malati fu ripiena per più mesi di uomini che si colsero
ferite più gravi di quella del Rusca. Abbiamo però speranza che le cose
quanto prima tornino in pace, poichè un cappuccino di Domaso venuto al
convento narrò che il Medici ha in animo di rendere il Castello di Musso
a quei di Milano, i quali alla fin fine ne sono i veri padroni, e così
finirà ogni guerra, e gli Spagnuoli se ne andranno pei fatti loro, e
insieme ad essi anco gli Svizzeri, il cui soggiorno in questi paesi è
pestifero, poichè discesero dall'Alemagna certi preti che si sono messi
tra loro predicando false dottrine, e dicendo ogni male dei frati, delle
monache e, che Dio li confonda! per sino del papa; per cui se avessero a
rimanere costì più a lungo, e venisse a spargersi quella zizzania tra i
nostri, e mettervi radice, chi sa qual immensa rovina potrebbe
derivarne".
"Che vadino al loro malanno gli Spagnuoli e gli Svizzeri questo può
facilmente avvenire, ma che il Castellano renda Musso, che lo dia ai
Milanesi dopo averlo difeso per sì lungo tempo, ed esservisi fieramente
nicchiato come un orso sul Legnone, è la più gran pazzia il solo
immaginarlo!" Così disse Falco con un lieve risentimento di sdegno, che
la placidezza e mansuetudine con cui l'udiva Frate Andrea gli fecero
tosto deporre: "Non abbiate timore, proseguì quindi pacatamente, se ne
andranno, sì, e non avranno campo di spargere la falsa legge, e di
ripetere bestemmie in quella loro lingua del demonio: sul brigantino del
signor Gian Giacomo stanno bombarde e colubrine da squarciare i fianchi
a qualsiasi nave, e ben anco ad una torre, se ne verrà il caso. Una sola
giornata che si possa fare, ma lunga e di buon cuore, spazzerà il lago
da quei cornacchioni, come il vento ripulisce il lido dalle foglie".
Movendo tali ragionamenti, pervennero al torrente di Nesso, valicato il
quale, Falco discese al proprio casolare salutando il Frate, che
rispostogli: "Dio vi salvi" si mise sul sentiero alla volta del
convento.
Maestro Lucio aveva nel frattempo fatto un'importante scoperta, con cui
si era difeso dall'ozio e dalla noia due suoi mortali nemici. Dopo
d'essersi persuaso, dando un'occhiata dalle finestre, che il terreno
d'intorno non lasciava luogo ad alcuna gradevole passeggiata, frugatosi
invano negli abiti per vedere se mai a caso s'avesse posto qualche
opuscolo nelle tasche, nulla trovando a far di meglio si diede ad
esaminare i brani d'armatura che stavano appesi per quella stanza.
Guardatili pressochè tutti, e scorto, con gran sua soddisfazione, in più
d'un d'essi conservata l'impronta della fabbrica degli Armorari
Milanesi, venne alla fine il suo sguardo a cadere sovra una panciera di
ferro da cui dependeva un lembo di sopravveste di seta ricamata: il
sollevò con garbo, e qual fu il suo contento osservandovi tutto intiero
effigiato uno stemma gentilizio! non ne prova forse altrettanto un
navigatore d'ignoti mari alla scoperta d'un'isola vasta e feconda:
staccò quel lembo con ogni precauzione, lo stese accuratamente sur una
tavola, e vi si pose a meditare mettendovi tutto l'intelletto onde
arguire il significato degli emblemi, e scoprire a chi appartenesse.
Gabriele, abbenchè si fosse assiso al suo fianco, poca attenzione
porgeva allo sfoggio di dottrine Blasoniche che desso veniva facendo
applicandole all'interpretazione di quello stemma; la sua mente era
tutta occupata di Rina, verso cui li suoi occhi si volgevano
incessantemente, poichè, si stesse seduta, o fosse essa in moto,
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