Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 14

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sul far della sera parte a Rezzonico e parte in vicinanza delle basse
spiagge di Dervio.


CAPITOLO NONO.
Altri il fianco ristoppa alle sdruscite
Navi, e sarte rintegra e monche antenne
E lacerate vele..... Per le vie
Brulicanti frattanto e per le prode
Tale un gemer di rote, un incessante
Ire e redir di ciurme e di soldati,
D'armi, di carri e di navali arnesi,
Che l'udire e il veder mettean nell'alma
Diletto e meraviglia.
MONTI. _Il Bardo_, C. III.

Esploratori spediti sopra battelli, al far del mattino, verso Bellagio
riportarono che le navi ducali, in cui erano risaliti gli Spagnuoli che
occupavano il colle, avevano di notte tempo abbandonato quel lido
veleggiando alla volta di Como: Gian Giacomo dopo tale annunzio fece dar
l'ordine che tutti i suoi legni salpassero per Musso. Quando dalle torri
del Castello fu scorta la flotta vittoriosa ritornare a' suoi porti,
replicati colpi di bombarda la salutarono, ed al rumore di quelle salve
tutte le vicine popolazioni accorsero alla spiaggia per ammirare ed
accogliere i vincitori.
L'unica nave però che rientrò nel porto della fortezza si fu il
Brigantino del Castellano, il quale a fronte d'una tanta sostenuta lotta
movevasi ben anco spedito e sicuro, e mostrava di non aver riportata
alcuna dannosa frattura: gli altri legni d'ogni grandezza retroceduti
dalla battaglia toccarono il lido presso Musso là ove sorgevano i
cantieri dell'Arsenale, poichè fra essi alcuni, minacciando d'affondare,
necessitavano d'essere prontamente scaricati e tratti a secco, e gli
altri s'avevano tutti d'uopo di venire riattati a causa dei gravi
sconquassi del combattimento.
Presa terra, discesero tosto dalle navi gli uomini d'armi e le ciurme, e
vennero fatti calare i soldati Ducali che stavano prigionieri sui
conquistati legni, e tolta ad essi ogni arma, legati due a due, furono
col Nedena e gli altri loro Comandanti condotti da una squadra nel
Castello, ove si recarono pure i principali guerrieri Mussiani: si
trasportarono poscia a terra i feriti, che vennero collocati nelle case
e nei quartieri, e per ultimo si tolsero alle navi i corpi dei capitani
uccisi e si deposero entro un'antica chiesuola che sorgeva vicina al
lido, per recarli poscia coi dovuti onori al Tempio di San-Biagio di
Musso, e quivi dar loro convenevole sepoltura.
Al primo rivedersi e rimescolarsi degli uomini d'armi e dei rematori,
tanto fra loro che colle donne ed i terrazzani che non avevano presa
parte alla sanguinosa azione dell'antecedente giornata, nacque un lungo
e clamoroso gratularsi ed esultare per l'ottenuto trionfo, ed
insiememente un condolersi e piangere per i perduti e feriti amici o
congiunti.
Sulla sera venne dai banditori del Castellano promulgato l'avviso che il
domane sarebbonsi celebrate sacre pompe in rendimento di grazie ai Santi
protettori e ad invocazione dell'eterna pace agli estinti in battaglia,
e che il terzo giorno si sarebbero fatti giuochi e pubblici conviti per
festeggiare sì la navale che le altre riportate vittorie.
Rientrato appena nel suo Castello il Medici, aveva con grandissimo
contento ricevuta dal fratello Agosto la notizia del felice successo
della spedizione del capitano Mattia Rizzo contro i Grigioni. S'erano
questi, come ben erasi preveduto, inoltrati strascinando le artiglierie
sino alla sommità dei sovrastanti monti, ma appena giunti colà, assaliti
imprevedutamente e con gran vigore e coraggio dai cacciatori e dagli
uomini d'armi del Rizzo, lasciato un gran numero di morti pei dirupi,
dovettero retrocedere precipitosamente abbandonando le artiglierie, che
essendo impossibile calarle al Castello, vennero dai guastatori
rovesciate nelle macchie e nei burroni, d'onde era assai difficile il
trarle intiere o servibili. Mattia Rizzo aveva però creduto prudente
partito il rimanere in agguato su pei monti, vegliando alla difesa dei
passaggi sin che il nemico non si fosse ritirato per intiero dalla valle
Zebiasca, il che però era certo dovere tosto avvenire, giacchè una gran
parte delle squadre della Lega Grigia, alla vista dello scompiglio
avvenuto pel riurto della loro vanguardia, sorprese da sommo terrore,
conoscendo per prova l'attività guerresca del Medici, avevano
retrocedendo già oltrepassata Bellinzona e s'avviavano all'interno paese
passando per le gole del Gottardo e dello Splugen. Faustissime vennero
pure le notizie da Lecco: i Ducali s'erano presentati in poderoso
aspetto innanzi a quelle mura; ma l'apparato delle fortificazioni, e il
modo con cui furono respinti da Alvarez Carazon i loro primi attacchi,
gli aveano fatti desistere dall'assalto, ed anzi con generale sorpresa
dei difensori la notte istessa s'erano inopinatamente tutti partiti.
Solo da Monguzzo non erano per anco giunte novelle, e siccome Battista
Medici, che quivi capitanava, soleva essere solerte e ingegnoso nello
spedire messi o corrieri a dare sue nuove al fratello anche frammezzo
agli imbarazzi che gli cagionava il nemico, l'attuale ritardo teneva
sospeso oltremodo l'animo del Castellano, per cui fece il giorno stesso
partire a quella volta due uomini de' più spediti affinchè gli recassero
avviso del come quivi andassero le bisogna.
Importava forte a Gian Giacomo di sapere eziandio se i Ducali
nell'abbandonare le posizioni di Bellagio non avessero o colà o in altri
prossimi luoghi lasciato alcun presidio, per cui sollecitò Falco, già
per sè assai desideroso di rivedere il proprio casolare, a recarsi a
Nesso, ma con espresso comando ritornasse tostamente al Castello
istruito di quanto avessero dopo la sconfitta operato i Ducali. Volendo
forzarlo a non procrastinare la tornata, gli fece premurosa istanza
riconducesse seco le proprie donne onde fossero spettatrici delle feste
che verrebbero nel terzo giorno celebrate: oltre a ciò Gian Giacomo
s'aveva in animo di fissare interamente presso di se la dimora di questo
suo nuovo Capitano, a cui aggiungeva doppia stima da che l'aveva veduto
sostenere nella battaglia una tanta parte, ed a cui sapeva essere
singolarmente dovuta la presa della nave ammiraglia ducale, non che la
salvezza una seconda volta del troppo intrepido ed arrischievole
fratello Gabriele, le quali due circostanze avevano deciso in precipuo
modo della vittoria. Per fare adunque completamente suo il valoroso
montanaro di Nesso, pensò servirsi della via tenuta nell'arruolarlo alle
sue bandiere, cioè mostrare di rimunerarlo, ma facendo ciò in modo che
le proprie larghezze estendendosi anche alla di lui famiglia, fosse
costretto per giovarsi del dono a trasportare la propria stanza a Musso.
Le sollecitazioni alla partenza e l'invito a ritornare colle donne
furono dal Castellano fatti a Falco alla presenza di Gabriele, il quale
tutto a que' detti giubilando in cuor suo, già più non sentendo nelle
membra il travaglio sopportato sul lago, seguendo Falco al porto, quivi
nell'abbraccio del congedo scongiurollo a non mancare alle richieste del
fratello, accertandolo ch'egli stesso non avrebbe presa parte alcuna ai
pubblici trattenimenti se quivi esso pure non era.
Falco gliene diede fede, e salito sul suo battello partì di là coi
quattro compagni, a cui per ordine di Gian Giacomo erano state date
alcune dozzine di scudi del sole, il che giovò mirabilmente a far loro
perdere la memoria d'alquanti tagli e maccature riportati nel combattere
per lui, ed a mitigare il rancore per la morte di due della loro banda
rimasti uccisi nell'assalto alla nave del Gonzaga, dell'uno de' quali,
ch'era Guazzo, doleva gravemente a Falco, perchè aveva perduto in lui
uno de' più fidi ed antichi compagnoni.
Le campane di San-Biagio, di San-Rocco, dei Cappuccini e degli
Agostiniani di Musso, quelle di Sant'Eufemia del Castello, di
Santo-Stefano e dei Riformati di Dongo e di altri monasteri vicini
suonando alla distesa di buon mattino annunziarono che in tutte quelle
chiese (nelle quali il Castellano aveva mandato, cogli ordini suoi, doni
e monete) si celebravano messe e si cantavano inni sacri in rendimento
di grazie all'Altissimo ed ai Santi per il favore accordato ai Mussiani
nella battaglia di Bellagio, che così dalla prossimità di quel borgo
venne denominato il navale combattimento da noi descritto
nell'antecedente capitolo. Accorrevano frettolose alle preci in ciascuno
dei nominati templi le popolazioni; ma dove mostravasi maggiore
l'affollamento era a San-Biagio, la cattedrale di Musso, che vedevasi
addobbata con gran pompa sì nell'esterno che al di dentro con paramenti
bruni a fregi d'oro, in trofei d'armi simmetricamente disposti lungo le
colonne e le pareti, nei quali riflettevasi la luce d'infiniti cerei
collocati sugli altari e sui gradi d'un catafalco erettosi nel mezzo.
Due ore avanti il mezzodì dalle altre chiese di Musso non che da quelle
di Dongo tutto il clero secolare coi canonici e vicarii, i frati cogli
Abati de' loro monasteri, e le scuole de' disciplini cogli stendardi e
le croci s'avviarono processionalmente a San-Biagio.
Gli uomini d'armi del Castellano, i lavoratori dell'arsenale e le ciurme
delle navi s'erano adunati essi pure lungo le strade e la piazza di quel
tempio, a cui poco dopo recossi Gian Giacomo col seguito de' suoi
Capitani, tutti in abito dimesso, poichè cingevano la sola spada, e
avevano tolte ben anco ai berretti le piume. Veniva con loro il
cancelliere Maestro Lucio Tanaglia che s'aveva poste un paio di calze
bigie, le migliori che s'avesse, un giustacuore di velluto nero, un
collare a lattuga stirato di fresco, ed era stato quel mattino più
d'un'ora sotto le mani di Mastro Pellucca barbiere del Castello per
farsi acconciare i capelli e la barba alla spagnuola, poichè doveva
pronunciare l'orazione funebre pei guerrieri rimasti estinti in
battaglia, che così gli era stato imposto da Gian Giacomo. Tutti i mali
che di consueto ei pativa, l'avevano assalito in un punto all'annunzio
di quell'inaspettato e difficile incumbente che gli fu dato la sera; ma
nel trambusto dello spirito una felice idea che passandogli pel capo gli
suggerì un esordio, ridestò il suo pristino vigore d'eloquio, e postosi
allo scrittoio, standovi sino ad avanzatissima notte, tanto fece che
venne a capo di stendere un discorso ch'ei credeva in ogni parte
perfetto. Quando il Cancelliere entrò nella chiesa frammezzo a tanti
Capitani d'armi, vedevasi sul suo pallido volto un non so che di
baldanzoso, che era a lui ispirato dalla supposizione che profondissimo
senso dovevano far i suoi detti su quell'uditorio, e che l'antico motto
_cedant arma togæ_ sarebbesi nuovamente per lui verificato.
Allorchè il Castellano si fu nel tempio, i Sacerdoti intuonarono alcuni
canti Davidici, a cui tutti gli astanti risposero in coro: indi gli
_Avviatori_ della processione fecero sfilare al di fuori, secondo i
gradi e la dignità, le compagnie, i frati, i preti, indi Gian Giacomo a
capo de' suoi Capitani, poscia i soldati e quindi tutto il popolo d'ambo
i sessi. La sacra comitiva s'avviò alla Chiesuola del lido, in cui erano
stati depositati i cadaveri dei capitani Borserio e Romeo Casanova, i
quali posti in cassa e coperti da ricchi strati vennero levati a spalle
da sei soldati, e portati alla Cattedrale dopo una lunga circonflessione
dei seguitanti sulla spiaggia, perchè il Castellano volle che quel
funebre corteo passasse innanzi alla casa posta poco fuori di Musso,
nella quale stavano le sue sorelle Margherita e Clara colle cugine Lucia
e Cecilia Sarbelloni, che con alcune matrone milanesi menavano quivi una
così severa vita da farle credere soggette all'austerità d'una regola o
d'un voto, e non persone libere e secolari siccome esse erano. Uscirono
queste nobili donzelle esse pure dalla loro abitazione coperte da fitti
veli, e si posero in coda al convoglio entrando in San-Biagio, ove il
popolo, che le stimava e riveriva altamente per l'esemplarità dei
costumi e la consanguineità col Castellano, benchè stipato oltremodo,
fece largo comprimendosi onde lasciare che liberamente si recassero al
luogo consueto ad esse prefisso. Deposte sul catafalco l'arche
contenenti le mortali spoglie dei due guerrieri, e collocatosi Gian
Giacomo in apposita adorna scranna, intorno a cui eranvi quelle de' suoi
fratelli Agosto e Gabriele, del Sarbellone, di Volfango d'Altemps, del
Pellicione e del Mandello, si diede principio alla solenne funebre
messa, giunta la quale alla lezione degli evangelii venne sospesa, ed
adagiatisi i Sacerdoti, il Cancelliere Tanaglia salito in eminente
posto, non senza qualche veemente batticuore, poichè in quel momento la
sua audacia l'aveva abbandonato, fattosi universale silenzio, si diede a
recitare con voce cattedratica e un po' nasale il preparato funerale
elogio.
Non aveva di certo la sua orazione un nobile incominciamento al pari di
quella che venne poco dopo scritta da monsignor Giovanni Della Casa per
Carlo Quinto, che così principia: _Siccome noi veggiamo intervenire
alcuna volta, Sacra Maestà, che quando o cometa o altra nuova luce è
apparita nell'aria, il più delle genti rivolte al cielo ecc._, la quale
orazione non vi sarà alcuno fra' miei lettori (parlo di quelli che
sedettero il loro buon paio d'anni sulle panche della rettorica), il
quale non l'abbia udita magnificare altamente, e forse senza prendersi
poi cura, vedete negligenza! di ponderarla colla dovuta gravità da capo
a fondo. Non si potrebbe asserire però che il dire di Maestro Lucio
fosse affatto palustre, giacchè oltre la naturale facondia aveva avuto
campo di formarsi su ottimi modelli, poichè di que' tempi le belle
lettere in Milano s'avevano molti e valenti coltivatori. L'eloquenza era
più che mai in fiore, siccome lo prova patentemente un libro impresso in
quell'epoca che ha per titolo: _Breve tractato de portare il scuffiere
sotto la beretta con gratia ed legiadria, composto per me Bernardino
Rocca_[14]: nè la poesia tenne mai più elevato seggio, poichè il prete
Francesco Tanzio, in una sua prefazione ai componimenti _dell'arguto et
faceto_ poeta Belinzone dedicati al duca Lodovico Sforza, dovette dire:
_Che io credo non solo la Cantarana et il Nirone, ma tutti dui i navilii
siano diventati de l'acqua di Parnasso_[15].
[Nota 14: Prato.]
[Nota 15: _Cantarana e Nirone_, o _Nilone_, così chiamavansi due fosse
interne della città, dall'ultima delle quali prese nome una contrada
detta tuttora _Nirone di San-Francesco_, ed è vicina al luogo ove
sorgevano la chiesa ed il monastero dedicati a tal santo, ora cangiati
in una magnifica caserma.]
Pronunciata dal cancelliere l'orazione funebre, venne continuata la
celebrazione della messa, terminata la quale fra i canti sacri alla pace
degli estinti, si tolsero dal catafalco le bare, ed aperto il sepolcro,
che era prossimo ai gradini dell'ara maggiore, vennero in esso calate e
chiusevi col pesante cippo: uscirono poscia tutti dalla chiesa
attendendo ansiosi quel prossimo dì, in cui un gaio e festevole convegno
doveva compensare i tristi ma doverosi e solenni ufficii di quel giorno.
Falco ritornato alla sua rupe mandò i suoi compagni sulle sponde destra
e sinistra del lago al di qua di Bellaggio, ordinando loro, ed in
ispecie al Negretto il Tornasco, di recarsi in tutte le terre prossime
alla spiaggia a spiare se vi fossero rimasi in esse camicioni rossi,
come ei diceva, ossiano soldati ducali, e quindi recargliene le nuove il
domane in Nesso, ove egli giunto salì bentosto al proprio casolare. La
di lui inaspettata comparsa portò somma contentezza all'anima di Orsola
e di Rina, che da tre giorni stavano fra la paura e l'angoscia, poichè
avendo desse veduto con somma loro sorpresa e spavento passare per
quelle acque la numerosa flotta Ducale, e udito il lontano rimbombo e
confuse narrative della battaglia datasi presso Bellaggio, non che
dell'immensa strage d'ambe le parti ivi commessa, tremavano che Falco,
avendovi avuta necessaria parte, non vi fosse rimasto ferito, o
prigioniero, o ben anco ucciso. L'ardito guerriero montanaro rimproverò
loro que' dubbii e quelle paure, siccome effetto di debole animo
femminile, e ripetè per rianimarle in somiglianti casi la massima assai
divulgata in quella pregiudicata ignoranza di tempi, e a lui fatta cara
e probabile dal trascelto periglioso modo di menare la vita, che, cioè,
a ciascuno era prefisso dalla propria costellazione o pianeta il fatale
momento, e che alle umane forze non era dato nè anticiparlo nè evitarlo,
ed essere quindi vano ogni studio di precauzione e difesa, ed inutile
l'angosciarsene. "Per ciò, diceva, vuotando una tazza e prendendo il suo
moschetto per ripulirne gli ordigni da fuoco, per ciò anche il povero
Guazzo ha seguíto il figlio della vecchia Comare di Palanzo all'altro
mondo, mentre io che esposi la testa ed il petto a dugento palle più di
lui non ho avuto ben anco la più piccola graffiatura".
"Ne sia ringraziato il Santo Crocifisso! (disse Orsola non istraniera in
tutto al fatalismo adottato dal marito, ma la cui molta sensibilità la
rendeva incapace dell'apatia che esso voleva ispirarle per farla
tranquilla) e possa sempre avvenire così sinchè io sono in vita, e sin
che questa nostra figlia non abbia trovata una casa ed il braccio d'un
uomo che come il tuo la difenda e sostenga".
Falco a tali detti della moglie, che coincidevano perfettamente co' suoi
pensieri, lasciò cadersi a piedi il moschetto, alzò commosso lo sguardo
sulla figlia, e tra intenerito e sdegnoso "Per l'anima di mio padre,
esclamò, che io dovessi essere pascolo dei pesci o dei vermi pria che
questa fanciulla si stesse in un abituro posto frammezzo agli uomini e
custodita dai lupi e dai nemici meglio che qui non sia?--No, non
sarà.--Ti cercherò io un asilo in luogo tale che si dovranno sfasciare
mura e porte di ferro anzichè vi regnino quelli che potrebbero per odio
mio godere nel tormentarti".
La sua mente volgevasi nel così parlare al già concepito progetto
d'abbandonare la rupe per istabilire sua dimora in Musso, e questa idea
richiamógli alla memoria la parola data di quivi condurre le sue donne
ond'essere spettatrici delle feste, e parvegli tornasse assai opportuna
la loro presenza al suo divisamento. Raccontò quindi ad esse gli eventi
e l'esito felice della guerra, soggiungendo che dovendosi per tale
prospero successo dare in Musso pubblico spettacolo, aveva divisato che
v'avessero ad intervenire, e si disponessero a partire all'alba della
posdomane. Tale proposta recò non poco stupore ed imbarazzo ad Orsola,
che da molti anni usata a non staccarsi da quel casolare della rupe se
non per recarsi alla chiesa di Nesso, alle Terre ed agli abituri delle
montagne vicine, ignorava quasi cosa si fossero pubblici spettacoli,
specialmente col concorso di uomini ricchi e possenti, come ve ne aveva
allora in sì gran numero a Musso; però la brama di seguitare il marito e
di conoscere que' luoghi e quelle persone di cui Falco soleva sì
frequentemente intrattenerla, le fecero caro quell'invito e sollecita
d'acconsentirvi.
Rina a quell'annunzio avea mirata in volto la madre collo sguardo
attento, interrogante, di chi udendo cosa straordinaria e nuova, ne
chiede conferma a quegli in cui per costume ha intiera fidanza: quando
vide la madre dopo un istante di titubamento alzare gli occhi ver' lei
con certa espressione di compiacenza, quasi dir volesse che assecondava
volenterosa le richieste del marito, ella abbassò i suoi al terreno,
suffuse le guancie di un vivo rossore. Il pensiero di rivedere l'oggetto
di sue arcane speranze, l'oggetto ch'ella s'aveva sempre presente come
l'immagine d'un sogno prediletto che si conosce non potere diventar mai
vivo e reale, ma che pure forma la soavità della vita; il convincimento
di rinovare quella dolcissima impressione d'un sentimento che, sebbene
vago, indefinito, era tutto per lei, abbenchè non le facesse ancor
presentire l'appassionamento più positivo, direbbesi, e concreto che
nasce dalla lunga contemplazione e dal consorzio dell'essere amato:
tutte queste cose scossero l'anima di Rina in sì fatto modo, ch'ella
sarebbesi per l'eccesso della gioia slanciata nel seno del padre e della
madre sua, se la natura stessa di que' pensieri timidi e peritosi
fattala temente di disvelarli, non l'avesse rattenuta e resa muta ed
immobile.
Il giorno seguente Falco discese a Nesso, e quivi ritrovati i suoi
compagni, seppe da loro che in nessuna delle Terre o dei borghi
d'entrambe le sponde del lago i Ducali avevano lasciati presidii, e che
anzi que' drappelli e spizzichi di soldati nemici che vi stavano
dapprima, udito l'esito della battaglia, temendo di cadere nelle mani
del Castellano, s'erano affrettati o pei sentieri del lido o nelle navi
a ritornarsene a Como. Avute queste novelle, Falco comandò a due di loro
si trovassero allo spuntare del dì venturo ai piedi della sua rupe colla
sua barca perchè voleva recarsi a Musso.
All'alba infatti del nuovo giorno Orsola e Rina assettate
convenevolmente alla loro foggia le chiome, e indossate le vesti che
s'avevano più splendide, chiuso diligentemente il loro casolare,
discesero con Falco al lago, ed ivi si posero nel navicello guidato dal
Trincone e dal Tornasco, sostituito da Falco per remigante all'estinto
Guazzo. Pervenuta la loro barca nelle acque di Bellaggio, Falco ed i
rematori indicarono alle donne il luogo della battaglia, distinguendo i
siti ove erano accaduti i principali avvenimenti del conflitto sulle
navi, i di cui resti erano già stati dalle onde dispersi, gettati al
lido, o raccolti dai naviganti e dai pescatori.
"Là, disse Falco accennando col dito verso il promontorio, là le nostre
borbote s'ebbero il primo ruvido saluto dalle bombarde che i Ducali
postarono sulla collina: qui incominciò l'attacco, e qui, ti sovvieni
Trincone, l'_Indomabile_ e la _Salvatrice_ mandarono a lavarsi nelle
acque non pochi di quegli sporchi camiciotti rossi: qui il bravo
capitano Borserio lasciò la vita con tutti i prodi che montavano il
_Busto di ferro_: là combatteva Gian Giacomo, là fu preso il Nedena, e
un poco più in giù il signor Gabriele saltò nella nave dell'ammiraglio
Gonzaga. Quanto mi sarebbe doluto se non avessi potuto giungere a tempo
di trarlo d'impaccio! Appena fu sbarazzato da quelli che il serravano
d'appresso, ei mi cadde nelle braccia bianco, od Orsola, come la tela di
tue maniche, e sfinito in tutto di forze: che valente giovine! quanto si
dimostrò coraggioso! ei non cessò mai dal combattere sin che la giornata
non fu vinta, ed egli stesso, a dirla vera, fu che la vinse, poichè esso
fu quello che uccise il Gonzaga, e fu dietro suo ordine ch'io ti
comandai, o Tornasco, di salire l'albero della nave, e calare la
bandiera ammiraglia".
"Sì è vero, rispose il Tornasco, mi ricordo quand'egli te lo disse, ed
io e il Sordo montammo rapidamente per le scale di corda a porre le mani
addosso a quel bastardo d'un biscione d'argento[16] che sventolava là in
alto con in bocca un uomo, come se indicasse di voler fare un boccone
anche di noi".
[Nota 16: Allude allo stemma Visconti che si vedeva negli stendardi
sforzeschi.]
Orsola udiva ammirata tali e più estesi parlari intorno alla zuffa,
prendendovi però in cuor suo pochissimo interessamento, poichè alla fin
fine pensava dessa gliene era uscito salvo il marito, e tanto a lei
bastava; ma così non avveniva di Rina, a cui que' racconti facevano ora
agghiacciare, or ardere il sangue, poichè le parole, l'espressivo
gestire del padre e la propria fervente fantasia le mettevano innanzi
quadri veri e vivi che le agitavano ogni fibra del cuore. Poco innanzi
il finire del loro navigare diede diverso e più dolce e pacato corso
allo immaginare della bella montanina l'apparire che le fecero alla
vista le torri ed i baluardi del Castello, che s'alzavano a scaglioni
sull'erta montagna, e lo sventolare su di esso dei vessilli medicei, il
cui purpureo colore e le palle d'oro spiccavano gradevolmente ai fulgidi
raggi del sole mattinale. S'era Rina assai volte raffigurata nella
propria mente la forma di quel Castello, ma s'accorse al vederlo quanto
la fantasia l'avesse condotta lungi dal vero, poichè nulla s'aveva
presupposto che ne eguagliasse la vastità, l'imponenza e l'altezza,
nulla pure dell'ampia e popolosa borgata che gli stava vicina, onde
piena di meraviglia e di segreto contento mirava con occhio attonito
quelli eretti edificii che facevano dal lago sì superba mostra.
Procedeva rapida la barca a quella volta scorrendo sulle increspate
acque del lago, e non pure le due donne, nuove a quella veduta, ma Falco
stesso ed i compagni rematori non poterono astenersi dal riguardare con
molta ammirazione le forti e grandiose mura della residenza del
Castellano, che sembrava quel giorno aversi un non so quale festivo
aspetto, di cui era causa il duplicato numero delle bandiere piantate
sulle torri e sui baluardi.
Pervenuti alla sponda, fermarono la barca poco lungi dalla fila dei
legni reduci dalla battaglia, tratti per gran parte in secco, e scesi a
terra Falco, Orsola e Rina, si volsero ver' Musso per avviarsi di là al
Castello. In mezzo al piano formato dal lido, che si stende a mezzodì
dalle ultime case del borgo al torrente Carlazzo, era stato costruito
uno steccato a foggia di circo, intorno al quale, onde difendere gli
spettatori dai cocenti raggi del sole, vedevansi alzati estesi
padiglioni, alcuni riccamente addobbati, uno in ispecie con palchi e
sedili distinti riserbato al Castellano, altri formati con tele listate
in bianco e azzurro, o con vele sostenute da pali, ed altri finalmente
con sole frascate di rami d'alberi trecciati insieme. Presso l'entrata
di tale steccato sorgevano due grandi tende circolari perfettamente
chiuse, guardate da un uomo d'armi ciascuna, poichè quivi entro stava
quanto servir doveva allo spettacolo.
D'intorno a questo steccato, lungo il lido, e per le strade di Musso,
vedeasi una moltitudine di gente convenuta colà da tutto il circostante
paese per aver parte ai pubblici sollazzi indicati a quel giorno. Gli
uomini e le donne di ogni condizione mostravansi più ornate del
consueto, e miravansi quivi congiunte svariatissime e singolari foggie
di montaneschi e civili vestimenti tutti in allora pittoreschi e
bizzarri.
Orsola camminava per quella folta a fianco del marito, e Rina di essa
lei, che, stordita da tanta varietà di persone e d'oggetti facendo atti
di meraviglia ad ogni passo, chiedeva di ciascuna cosa il nome e la
ragione, e Falco, tolto alla naturale ruvidezza dall'aspetto di
quell'universale tripudio, cordialmente la compiaceva: Rina
all'incontro, procedeva raccolta e taciturna. Aveva dessa all'uscire dal
navicello tolti gli occhi con libera e pressochè infantile curiosità ai
primi guerrieri in cui si scontrò, il cui ferreo abbigliamento riusciva
per lei strano a mirarsi, e questi arrestatisi d'un tratto l'avevano
fisata in volto con sì spavalda ed eccessiva insistenza, ch'ella dovette
ben tosto convincersi non essere a lei convenevole il guardare
smodatamente ai passeggieri, e contemplando di preferenza gli ornati
delle case, e trovavasi al di fuori di Musso osservando alle navi, al
porto, e specialmente al castello, sentissi lo spirito invaso ed
occupato da nuove indefinite sensazioni che le tolsero ogni volontà e
potere di prestare attenzione agli altri oggetti.
Quando essi tre giunsero a breve distanza dalla gran porta del Castello,
udirono un rumoroso eccheggiare di trombe e di tamburi che veniva di là,
ed era una banda di suonatori che precedeva due drappelli d'uomini
d'armi che, guidati l'uno dal Pellicione, l'altro da Gabriele, erano
destinati a guernire lo steccato onde mantenervi la quiete e il buon
ordine, ed onde dare certa qual più dignitosa ed armigera apparenza a
quella numerosa adunanza, guarentendo ad un tempo la sicurezza e il
rispetto che esigeva il Castellano, il quale aveva quel trattenimento
ordinato, non senza lo scopo d'intervenirvi ben anco qual sovrano che si
reca tra i vassalli a ricevere gli applausi d'un riportato trionfo. Al
suono de' militari stromenti che indicava il procedere dei soldati,
Falco si ritrasse colle sue donne da un lato della strada, presso la
muraglia del porto, divisando di ricondursi dietro di essi allo
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