Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 20

passava le ore narrando al giovine guerriero le sue passate armigere
vicende, e procurando coll'esempio de' proprii fatti di rendere più
indomito il di lui coraggio, che già s'aveva esperimentato di sì
vigorosa tempra. Orsola rivedeva ognora Gabriele con non minore diletto
di quello che lo facesse il marito: l'amabilità, la dolcezza, il
rispettoso suo contegno avevano guadagnato tutto l'animo di lei, prima
ben anco che si fosse esposto a gravi perigli per la loro salvezza; egli
era inoltre l'unica persona con cui dopo la cangiata dimora avesse
stretta confidenza; e siccome non ignorava i reciproci sentimenti della
propria figlia e di Gabriele, immaginava nei sogni ridenti della sua
fantasia compiti i loro ed i proprii voti, ed accertata per la sua casa
una splendida sorte, ahi! quanto dalla vicina realtà diversa.
Gabriele soleva, dato termine alle militari faccende, partire ogni
mattino dal Castello ed avviarsi là dove la sua venuta era ardentemente
sospirata. Appena egli poneva il passo sul punto dove la strada da mezzo
ai baluardi della Fortezza ed alle mura del porto sboccava aperta sul
lido, sapeva che uno sguardo vigilante riconosceva il suo berretto e il
mantello che lo involgeva, ed un cuore batteva con maggiore veemenza. Al
primo giungere alla casa di Falco, la vista della fanciulla, la cui
beltà riceveva maggiore risalto da un'animata purpurea tinta e dallo
sfolgorare delle pupille che svelavano l'interno giubilo di quel
momento, recava sempre al giovine amante un'impressione, che quantunque
le tante volte sentita e ripensata, sembravagli pur sempre nuova e
vivissima, sì che ne addoppiava l'affettuoso trasporto.
Assiso in quella casa presso un gran fuoco, che ardeva entro un cerchio
di pietre in mezzo ad una camera adorna delle sole armi del belligero
Montanaro, Gabriele ragionava intorno ai nemici, udiva avidamente gli
animati racconti delle gesta di Falco, pascendo ad un tempo gli sguardi
negli sguardi di Rina, e colmando in tal modo il suo cuore dei due più
preziosi alimenti della giovinezza, la gloria e l'amore. Partito di là
il mattino, vi ritornava sul cader del giorno, e allora, se era sgombra
e temperata l'aria, recavasi con Rina e la madre lungo la sponda del
lago, o rimanendo entro la casa stessa, faceva a Rina dai rotondi vetri
d'una gotica finestra, contemplare il lento e successivo degradarsi
della luce, e ottenebrato il vasto prospetto dei monti e delle acque,
miravano insieme il brillare in cielo degli astri scintillanti,
frammettendo sommesse parole d'amore, e talora mormoravano colla madre
le preci della sera a cui invitava l'interrotto squillare dei bronzi
delle torri lontane.
Oh come rapidi trapassarono quei giorni di pura inenarrabile felicità!
Venuti i primi di marzo giunse a Gian Giacomo avviso che nuove schiere
erano arrivate da Milano in Monguzzo al capitano Acursio, il quale aveva
già date tutte le disposizioni per muovere nuovamente contro Lecco, come
eragli stato ordinato; che il Vestarino, raccolte tutte le navi presso
Bellaggio, disponevasi a salpare alla volta di quella medesima Terra per
dar mano alla sua conquista. Il Castellano, sebbene avesse fatto
proponimento di non tenersi che sulle difese, pure sedotto
dall'occasione che stava per offrirgli il nemico di poterlo attaccare
navalmente, nel qual genere di combattimento sentiva quanto fosse
superiore ai Ducali, radunò i suoi Capitani, e fece loro aperto il suo
progetto che venne accolto con unanime applauso. Fu tosto spedito
secreto annunzio di quanto si era per intraprendere ai Capitani che
comandavano le navi Mussiane rimaste a Lecco, cogli ordini e le
istruzioni intorno ai modi che avessero a tenere onde mettere il
Vestarino co' suoi legni fra due fuochi nel momento che meno se lo
attendesse. Per poi determinare vie meglio il Comandante ducale ad
avviarsi per acqua colle truppe a Lecco, il Castellano comandò al
Mandello ed al Sarbelloni abbandonassero Varenna, il che giovavagli
eziandio onde accrescere gli equipaggi delle proprie navi cogli uomini
d'armi comandati da loro.
Tutto fu allestito in Musso colla massima secretezza, e l'avviso ai
soldati di partire sul far del giorno venne dato da Gian Giacomo Medici
quella sera stessa che il Vestarino lo diede in Bellaggio alle sue
squadre, il che egli seppe per mezzo d'avvedutissimi esploratori colà
appositamente mandati.
Gabriele era da poco rientrato nel Castello quando fu a tutti
significato il comando della partenza. Tale notizia fu per lui come un
colpo di fulmine, un gravissimo turbamento lo assalì, e quasi non
potendo persuadersene, corse alle camere del fratello, dalla cui bocca
ne ebbe la conferma: si ritrasse allora nella propria stanza di riposo,
e dopo essere stato seduto alcun tempo facendo molte amare riflessioni,
si diede a pulire le proprie armi e porle in assetto per vestirle il
mattino: ma l'elmo, la spada, la corazza che prendeva a vicenda Ira
mano, lungi dal risvegliare in lui lo spirito guerresco, gli aumentavano
in seno la mestizia e il terrore. Mille tristi presentimenti gli
ingombrarono il pensiero: gli si affacciò alla mente quella vecchia
donna apparsa in aspetto spaventoso nella caverna del Tivano, e le di
lei parole gli risuonarono all'orecchio in tuono magico, funesto:
sentiva che le maledizioni scagliate da quell'essere infernale contro
Falco e la sua casa involgevano esso pure, che era congiunto col cuore
sì strettamente a quella famiglia. Andava crescendo a tali idee il suo
tremore, e gli si fece insopportabile l'angoscia di doversi allontanare
da Rina, sebbene ciò non fosse che per breve spazio di tempo. Stanco,
affannato, appese le ripulite armi presso il capezzale e si sdraiò: il
sonno assopì ben tosto profondamente tutte le sue cure. Un fragore lungo
indistinto lo risvegliò; levossi esagitato: era il vento che fischiava
furioso contro le torri e le mura del Castello. Il suo lume ardeva
ancora ed era lontana l'ora del partire, ma esso più non potendo
sopportare le piume, pensò mettersi in arnese ed uscire di là. Il
languore e la tristezza lo opprimevano, ma alzato lo sguardo alla
parete, vedendovi la sua lucida armatura composta a trofeo, sentì
rinascere l'usato ardore delle battaglie: vestì l'armi prontamente,
s'avvolse nel mantello, e discese nel cortile del Forte. Era oscura
affatto la notte, ma pure vide nelle stanze di Gian Giacomo e dentro
tutti i quartieri del Castello splendere i lumi che indicavano stare i
soldati apprestandosi alla partenza: le sentinelle vegliavano ai loro
posti, le porte erano aperte, ond'egli potè senza difficoltà discendere
dal Forte agli ultimi baluardi ed uscire dal Castello.
Appena si trovò sulla via dirigendosi all'abitazione di Falco, il suo
immaginare cessò dall'essere tetro ed affannoso e benchè non ricuperasse
la primiera calma, il suo dolore non era sì cocente come lo era stato
poche ore addietro, nè provava sentimento alcuno di terrore, quantunque
densa fosse l'oscurità, e il lago agitato da foltissimo vento frangesse
sì grosse le onde al lido da farle salire di quando hi quando a bagnare
la strada su cui egli camminava. Vide alfine un chiarore splendere anche
per entro le finestre della casa di Falco; affrettò ver essa i suoi
passi e vi giunse: allorchè poneva il piede sul limitare, gli pervenne
all'orecchio il rumoreggiare dei tamburi del Castello chiamanti col
primo segno a raccolta; esso battè frettolosamente la porta. Falco, a
cui pure era stato comunicato il comando della partenza e aveva già
indossato il suo giaco e la schiavina, riconosciutolo, venne ad
aprirgli, dicendo: "Ren venuto, signor Gabriele: voi foste più pronto ad
alzarvi dei suonatori di tamburo che stanno adesso sui baluardi battendo
la diana per farci camminare al porto. Vogliamo correre velocemente sul
lago, perchè sento un gran vento, e mi pare che spiri da tramontana: ma
lasciamolo fare, questo è il suo mese; andremo però con un sol quarto di
vela, perchè lo sbattimento delle acque mi indica che il lago è coperto
di montoni". "Dove credi tu che raggiungeremo i Ducali?" richiese
Gabriele tosto che fu entrato in casa.
"Se quest'aria si mantiene sempre favorevole, partendo noi subito
potremo raggiungerli fra Olcio e Mandello, poichè essi non lasceranno
Bellaggio prima che aggiorni perfettamente. Ma voi siete assai pallido,
mio signor Gabriele: che avete? forse la brevità del riposo... il
vento... il freddo?.. Rina, ove sei? vieni ad accendere il fuoco; e tu,
Orsola, reca un vaso di vino. Sedetevi qui: partiremo quando verrà dato
il secondo segnale; intanto riscaldatevi e bevete, che fa d'uopo
scacciare per tempo il gelo dalle ossa per fare una buona giornata. Sta
finalmente per cadere nel laccio anche il Vestarino, quella volpe
vecchia che ci aveva presi per tante galline: chi sa che non siate voi
destinato anche questa volta a decidere le cose facendogli fare la
stessa fine del Gonzaga?"
"Lo volesse il cielo! Il desiderio e l'opera per parte mia non
mancheranno; ma temo che non mi si presenti favorevole l'occasione",
Così rispose Gabriele a cui brillò sul volto un raggio d'ardimento che
dissipò per un istante la grave melanconìa che vi si vedeva impressa.
Salutò cortesemente le due donne che dalla stanza vicina entrarono in
quel punto colà, e deposto il mantello e su esso l'elmetto, s'assise
presso il focolare. Aveva le guance e la fronte coperte d'eccessivo
pallore, cui i neri capelli cadenti dai lati davano maggiore risalto; il
suo sguardo raccolto ed afflitto non s'animò di tutta la vita che
allorquando s'affisò sovra Rina, la quale apparve succintamente vestita,
colle rose del viso scolorite essa pure, e la capigliatura rigettata
senz'arte dietro le orecchie. Ella fece splendere la fiamma, e ritta
presso a quella, al mirare il giovine guerriero, allo scorgerne la
pallidezza e il dolore, tutti i suoi lineamenti annunziarono un'interna
prorompente ambascia, le di lei pupille s'inumidirono e natarono indi a
poco nelle lagrime, che forzavasi invano di trattenere.
Falco prese una delle tazze offerte da Orsola e la presentò a Gabriele,
che fingendo di delibarla la ripose; il montanaro tracannò all'incontro
la sua d'un sorso solo; riconfortatosi appena con quella bevanda lo
stomaco, s'alzò in piedi d'un balzo, perchè s'intesero i tamburi della
Fortezza suonare la seconda chiamata: "Oh che fretta! veniamo, veniamo:
attendetemi un momento, signor Gabriele: vado a prendere il moschetto e
due buoni pugnali e partiremo" Così dicendo recossi nella camera vicina
preceduto da Orsola col lume.
Gabriele s'alzò dal sedile lentamente; un freddo sudore gli copriva la
fronte, s'accostò a Rina che stava come agghiacciata e immobile, le
prese la destra, e guardandola fisamente: "Addio, Rina, le disse, addio!
che le vostre labbra invochino dal cielo il favore di poterci ancora
rivedere". Diede la fanciulla a tai detti in uno scoppio di piatito sì
abbondante, sì rotto, che ben palesò come quelle parole le avessero
tocche le fibre più tese e sensibili dei cuore: coprì gli occhi colla
mano, che fu tosto inondata di lagrime, e con voce soffocata dai
singhiozzi rispose: "Potressimo noi non più rivederci? che dite mai? oh
Dio! è ciò possibile? Temete voi di non retrocedere questa sera con mio
padre dalla battaglia?"
"No, io non lo temo (rispose Gabriele straziato dal di lei crescente
affanno); tutto anzi mi fa sperare, e specialmente la forza delle vostre
preghiere...". Ma non potendo mentire al tremendo presentimento che
l'ingombrava, strinse a lei fortemente la destra, e coll'accento
d'un'angoscia disperata soggiunse: "Ma se mai fosse..? se una spada, un
colpo nemico... se io non dovessi insomma far più ritorno a voi?.. vi
ricorderete di me? pronuncerete soventi il nome di Gabriele, di quel
Gabriele che non sapeva vivere che per voi sola?" Si rizzarono pel
terrore a Rina le chiome, e "Oh cielo, gridò, non abbandonarmi!
Gabriele, uccidimi piuttosto che dir così". E cadendo con, ambe le
ginocchia a terra, esclamò: "Santa Vergine, se questa è l'ultima volta
che io lo debbo vedere, fate che prima ch'ei parta io rimanga qui
morta". S'alzò, e nel delirio dell'ambascia e dell'amore si slanciò ad
abbracciarlo, abbandonandosi colla persona sul petto di lui quasi
svenuta: Gabriele mirando lei posare la smarrita faccia sul suo
corsaletto d'acciaio, piegò ver quella con trasporto il capo e... il
rimbombo d'un colpo di cannone li fece trasalire. Rina rilevatasi corse
incontro alla madre che in quel mentre rientrava, frettolosamente nella
stanza con Falco che disse: "Presto partiamo: hanno dato l'ultimo segno,
è d'uopo affrettarci se non vogliamo essere in ritardo a salire le navi
e farci rimproverare dal signor Castellano". Gabriele ripose in capo
l'elmetto, si ravvolse nel mantello, pronunciò un addio, nè altro vide
nè udì colà eccetto un grido che lo ferì nel momento che oltrepassava la
porta.
Soffiava ancora furioso il vento e le acque del lago sospinte ed elevate
da esso avevano coperta interamente la strada del lido, per cui Falco e
Gabriele dovettero battere altro sentiero più elevato per giungere al
Castello. Pervenuti colà, videro, al chiarore delle fiaccole che
ardevano presso il porto, che le navi la Donghese e il Brigantino, oltre
varie Borbote, avevano già a bordo i rematori e tutti gli uomini d'armi,
non mancandovi che i Capitani, i quali stavano col Pellicione a terra
intorno al Castellano, che tutto coperto di ferro, ma senza penne sul
cimiero, andava comunicando i suoi ordini al fratello Agosto ed al
Cancelliere Tanaglia: quest'ultimo l'ascoltava con visibili segni
d'impazienza, perchè la zimarra che si serrava con gran cautela
d'intorno non valeva a difenderlo dagli acuti soffii del vento. Gabriele
e Falco comandarono tosto alle loro squadre salissero sul legno da
ciascun di loro capitanato, ch'erano l'_Indomabile_ e la _Salvatrice_, e
quando ciò fu fatto, s'accostarono essi pure come gli altri comandanti a
Gian Giacomo attendendo ch'ei si recasse sul Brigantino onde salire
anch'essi sulle proprie navi.
Il Castellano andava ripetendo le più precise istruzioni al fratello
Agosto che lasciava come di consueto al comando del Castello di Musso, e
gliene raccomandava caldamente l'esatto eseguimento: i suoi gesti ed i
suoi lineamenti non avevano però quell'impronta decisa, imperante,
ardimentosa che era ad esso lui abituale e che pareva s'addoppiasse
all'avvicinarsi del cimento: appariva in lui all'incontro
un'inquietudine, un'incertezza che sembrava diffondersi anche sugli
altri guerrieri che il circondavano. Dopo avere parlato a lungo e
ripetute più volte le stesse cose? conchiuse dicendo al fratello Agosto:
"Se mentre noi siamo nelle acque di Lecco accadesse mai che il nemico
s'approssimasse a questa sponda da qualch'altra parte, fa incendiare
l'arsenale, fa entrare i lavoratori nella Fortezza, mettili in armi per
servirtene alla difesa; ricordati di tenere, colle artiglierie più
basse, sgombre di navi Ducali le acque del porto per agevolare al
ritorno il nostro reingresso. Voi poi, Cancelliere, chiamerete a
conferenza il Maestro della mia Zecca, gli ordinerete di desistere dal
far coniare, rivederete i suoi conti, e farete trasportare tutto l'oro e
l'argento nel Forte. Prima però vi recherete alla casa di Musso da mia
sorella Margarita onde narrare ad essa la causa della mia partenza,
persuadendola a stare di buon animo, e sia vostra cura il far disporre
in Castello nella Rocca di Sant'Eufemia un quartiere convenevole a lei e
all'altre mie parenti e persone che seco si trovano, ove dovrete
condurle in caso di pericolo; e ciò farete pure coll'altre donne che
appartengono a' miei Capitani, le quali, abitando in Dongo o in Musso,
desiderassero rifuggirvisi".
Ciò detto, s'avviò col Pellicione dal braccio del molo al ponte del
Brigantino; gli altri Capitani discesero i gradini del porto e dai
battelli montarono alle navi. Gabriele pria di mettersi in acqua
abbracciò il fratello Agosto che quivi rimaneva, e strinse senza parlare
la mano al Cancelliere, che sbalordito dal vento, e colla mente confusa
dalle tante ricevute incumbenze, non s'avvide di lui che quando era già
con Falco sul lago, fece ad esso un saluto a due mani, cui il giovine
rispose, poscia sì tolse di là, e rientrato nel Castello risalì alle sue
stanze del Forte borbottando fra i denti: "L'ho sempre detto io che
vogliono finirla male per forza! Dov'è il giudizio a partire con un
vento di questa sorta che mette il lago sottosopra come un pentolone che
bolle? Di loro veramente non me ne importerebbe gran fatta; sarebbero
tanti pazzi furiosi di meno a questo mondo: mi duole per quel povero
ragazzo che trascinano alla mala fine: egli è un bravo figliuolo pieno
d'ingegno e di buon cuore; peccato che perda il suo tempo dietro la
figlia di quel barcaiuolo dalla rete in capo venuto a star là giù!
Potrebbe sapere a quest'ora tutto il trattato dell'inquartatura e delle
fascie negli stemmi semplici e figurati. Ma pazienza! s'ei trascura
d'approfittare de' miei insegnamenti, peggio per lui: non fa però male a
nessuno: il male chi lo fa veramente è suo fratello. Ha paura che quei
di Como e delle montagne vengano qui, e lui va ad inzigarli a bella
posta per farveli venire: tutti pensano che bisognerebbe starsene quatti
quatti, attendere ai fatti proprii e lasciar tranquillo il mondo, e il
suo bel gusto invece è di stuzzicare il vespaio..! E poi che maniera è
questa di far alzare un galantuomo all'ora dei gufi, e tenerlo lì a quel
vento che schianta gli alberi, per darci l'incarico di rivedere i conti
del Maestro della Zecca, che fa più colonne di numeri che non siano
corde in una nave e confonderebbe co' suoi scartafacci il capo ad
Archimede? L'andar giù nel monastero delle sue sorelle tanto non mi
dispiace: quelle brave signore hanno certe paste dolci, e certe
sucomelate eccellenti per lo stomaco... Uf!.. uf! che vento! sta a
vedere che mi precipita giù da queste lunghe scale così diritte! Oh! se
potessi lasciarti una volta, maledetta montagna, con tutti i tuoi sassi
e muraglie e bastioni e torri che ti stanno addosso, e non vedere altre
pietre che quelle ammucchiate in Milano per la fabbrica del Duomo,
potrei dire almeno di morire contento! ma temo che non ci sarà mai
verso, o Tanaglia, che ti possi sconficcare di qui. Eccole là le navi,
son già lontane, e vanno che il diavolo se le porta: il lago è tutto
bianco di schiuma; manco male che io mi trovo sul sodo: il giorno va
spuntando; è meglio che mi ritiri subito nella mia stanza per dormire un
paio d'ore, se oggi ho d'avere la forza da fare tante cose".
Veleggiavano i legni del Medici rapidamente, abbenchè sobbalzati dalle
onde che scagliavano i loro spruzzi a bagnare per sino la sommità delle
vele: correva innanzi a tutti il Brigantino veloce e snello come un
generoso destriero che anela ad essere il primo a giungere alla meta.
Quel celere moto ridestò tutta la primiera energia nell'animo del
Castellano; egli conobbe che l'elemento su cui si trovava, davagli sommo
predominio sui Ducali, e ne agognò ardentemente la prova. Oltrepassato
Rezzonico, ordinò alle sue navi radessero la sponda destra, per
mantenersi a sopravvento di quelle dell'inimico, caso che queste non
fossero ancora partite da Bellaggio:, giunto però a chiara vista di
quella terra, fatto accorto non esservi più alcun legno Ducale colà,
contento di ciò, fece drizzare a mancina le prore, e tagliando ritto,
per quanto lo concedeva la forza del vento, entrò a gonfie vele nel lago
di Lecco.
Il Vestarino allorchè stabilì il progetto della presa di Lecco, aveva
fatto riflessione che nel condurre quell'intrapresa impossibile quasi si
era l'evitare una pugna navale, se non con tutta la flotta del Medici,
con quella parte almeno che stanziava nel porto di Lecco medesima.
Qualunque però fosse la sua ripugnanza ad affrontarsi coi Mussiani
sull'acqua, vedendo la necessità di coadiuvare dalla parte del lago il
capitano Acursio che doveva agire da terra, determinossi ad esporvisi.
Allorchè però ebbe sentore che il Castellano divisava di accorrere cogli
altri legni onde prenderlo in mezzo, non volendo pur desistere
dall'intrapresa, pensò al modo di togliere ai Mussiani il vantaggio che
avevano sull'acqua, combattendoli anche da terra. La notte che
precedette il dì della battaglia egli partì con tutta la flotta da
Bellaggio alcune ore prima che Gian Giacomo partisse da Musso, benchè
avesse fatto spargere la voce che non sarebbesi fatto vela che al
mattino: si recò con tutto il navilio a Mandalo, grosso borgo che sorge
alla metà circa del ramo di Lecco; quivi fece recare dalle navi a terra
il maggior numero delle bombarde, e le fece postare in tre differenti
luoghi, formandone altrettante batterie a varie distanze: lasciò quindi
dappresso a ciascuna di queste una quantità sufficiente di artiglieri
con abbondanti munizioni, e distribuite due schiere d'archibugieri per
entro le case di Mandello, si trattenne con tutte le navi sfilate sulla
sponda presso quel paese.
Allo spuntar dell'alba seppe da un messo, che venuto per i sentieri dei
monti aveva attraversato il lago in faccia a Mandello, che l'armata
dell'Acursio, la quale partita il giorno antecedente da Monguzzo aveva
accampato la notte a Civate, scendeva a marcia forzata contro Lecco: a
tal avviso staccò immediatamente una squadra di cinque legni e la fece
inoltrare verso Lecco. Il capitano Pirro Rumo, cui era stato dal Medici
affidato il comando supremo delle quattro navi e delle altre barche che
stavano nel porto di quel borgo, già istruito da Gian Giacomo di quanto
avesse ad operare, trovandosi pronto cogli uomini d'armi sui legni,
vedute appena spuntare da lungi le vele Ducali, fece avvertito Alvarez
Carazon, che capitanava il presidio, attendesse gelosamente alla difesa,
e dati i segnali si mosse incontro alle navi di Como. Il vento quivi era
mite, perchè soffiando da tramontana era riparato in gran parte dai
monti della Valsasina, per cui i Mussiani, benchè s'avanzassero a forza
di remi, molto non istettero a trovarsi a gittata di bombarda dai
Ducali, e incominciarono infatti tostamente a fulminarli.
Giungeva Gian Giacomo in quel punto alla vista di Mandello, e mirando da
lungi i suoi legni azzuffarsi coll'inimico, e la parte più grossa della
flotta del Vestarino ferma innanzi a Mandello, presuppose tostamente
qual fosse lo scopo del suo avversario nel tenersi in quella posizione,
e calcolò ad un tempo non esservi altro partito da prendere che
oltrepassare Mandello, gettarsi sulle poche navi Ducali che stavano
combattendo contro le sue, affondarle o trascinarle a forza a Lecco, e
quivi scendere a terra per dar mano al Carazon a respingere l'Acursio.
Trovavasi, quando concepì tale disegno, ad un tiro e mezzo di cannone
superiormente a Mandello: il comunicò sull'istante al Pellicione, il
quale fatti dare i segnali alle altre navi che seguissero con somma
prontezza il Brigantino, comandò alla ciurma di questo progredisse a
tutta spinta di vele e di remi alla volta di Lecco. Inoltraronsi
velocemente i legni Medicei per alcuni minuti, ma una colonna di fumo
che s'alzò alla sponda di Mandello e una palla che cadde nell'acqua a
poche tese dalla prora del Brigantino diede avvertimento ai Mussiani che
il passaggio sarebbe stato contrastato. Ciò non per tanto le navi
s'avanzavano; allora una seconda scarica, da cui vennero lacerate varie
vele, scheggiato il bordo ed uccisi due uomini della nave stessa di Gian
Giacomo, persuasero questo intrepido condottiero essere perigliosissimo,
e non senza certezza di grave danno, l'arrischiarsi colle navi ad un
passaggio sotto il tiro retto e vicino di tante bombarde Ducali, che
essendo postate a terra, agevolmente coglievano in pieno, come erane un
saggio l'ultima scarica sebbene obbliqua e lontana. Vedendo rotto il suo
piano, ordinò si calassero le vele e si retrocedesse lentamente a forza
di remi, senza rivolgere le prore per mirare qual esito s'avesse il
combattimento dell'altra sua squadra che si trovava al di là di
Mandello. Vide esso e tutti i suoi con sommo soddisfacimento, dopo breve
spazio di tempo da che durava la pugna, una delle navi Ducali azzuffate
colà avvolgersi nelle fiamme e incenerirsi, e poco dopo le altre
retrocedere verso la sponda di Mandello, e Pirro Rumo inseguirle.
Essendo per quella fuga dei Ducali cessato il tuonare delle artiglierie
sul lago, s'udì un rimbombo lontano bensì e leggiero, ma più pieno e
seguito, che annunziava essere incominciata una regolare battaglia anche
a Lecco.
Gian Giacomo conoscendo di quanto nocumento gli riusciva il rimanere
inoperoso col fiore delle forze che comandava in un momento per lui sì
decisivo, stette un istante pensieroso sul ponte del Brigantino, poscia
gridò: "A terra, a terra: date i segnali d'avvicinarsi a terra: fa
d'uopo sbarazzare ad ogni costo la sponda di quelle batterie, e passar
oltre strascinando le loro navi con noi". Quest'ordine fu subitamente
comunicato, e tutti i legni del Medici si rivolsero all'istante verso il
lido di Mandello, più in qua però di quella Terra un mezzo miglia
all'incirca. Le bombarde delle batterie Ducali avevano frattanto diretto
il loro fuoco contro i legni di Pirro Rumo, che inseguendo le fuggenti
navi era pervenuto dall'altra parte a giusto tiro, ma quegli arditissimo
ripostava avanzandosi gradatamente. Il Vestarino scorgendo la flotta del
Medici accostarsi a terra, ne penetrò il divisamento, e per opporvisi
ordinò fuoco continuo anche da quel lato. Medici si diede a fulminare
terribilmente da' suoi legni esso pure, e mentre i Ducali trovavansi in
grave confusione perchè molte delle loro barche venivano fracassate
dalle palle mussiane contro il lido stesso presso cui erano, Gabriele,
Falco e Sarbelloni alla testa delle loro schiere presero terra, istruiti
di quanto avessero ad operare, lasciando nelle navi i soli bombardieri,
che trattisi al largo, continuarono, siccome il Brigantino, a sostenere
il fuoco contro i Ducali.
Le tre bande di soldati Mussiani, appena afferrato il lido, s'avviarono
per esso verso Mandello, condotte dai loro capitani, e riuscirono
rapidamente nel piano che si stende con lieve declivio dalla alpestre
valle di San-Giorgio al lago, sul qual piano sorge il Borgo. Giunti in
aperto terreno, i tre Capitani si divisero, Sarbelloni dirigendosi ad
espugnare una batteria formata in vicinanza al lago, Falco un'altra
postata su un picciolo promontorio più discosto, e Gabriele avviandosi
dentro Mandello per recarsi ad assalire quella che era eretta appena al
di là delle case. Mentre veniva tentata una tale audace intrapresa,
tutti i soldati del Vestarino che stavano sulle navi, vedendo la
micidiale ruina che cagionavano ad essi i colpi diretti dalla flotta
Medicea, balzavano disordinatamente a terra per trovare difesa dalle
palle nemiche dietro le mura delle abitazioni, onde sì grande regnava
colà la confusione aumentata dal rumore e dal fumo delle batterie
traenti incessantemente contro il Castellano, che i drappelli d'uomini
d'armi Mussiani venuti a terra pervennero presso Mandello prima che il
Vestarino, che se lì attendeva, fosse avvertito del loro accostarsi.
Piombato inaspettatamente il Sarbelloni addosso agli artiglieri che
tenevano vivo il fuoco della batteria più prossima al lago, gran parte
ne uccise, gli altri fugò prima che alcun'altra schiera giungesse ad
opporglisi; tanta agevolezza non ebbe Falco nel suo conquisto, poichè
essendo stato veduto da quelli che stavano in alto, anzichè potesse
giungere al luogo ove erano piantate le bombarde, ebbe più colpi tratti
a scaglia che diradarono la sua banda; ma pure montando accanitamente
all'assalto innanzi a tutti, percosse col suo moschetto i Ducali fra i
carri stessi delle artiglierie. Il giovine Medici, giunto co' suoi
presso le case di Mandello, si scontrò in varii soldati Ducali che,
discesi pei primi dalle navi, venivano disordinatamente per trovare
rifugio; non potendoli evitare, piombò loro addosso e ne fece macello.
Più uomini erano corsi intanto frettolosissimi ad annunziare al
Vestarino che il nemico stava alle porte di Mandello, e si rendeva
padrone delle batterie: il Vestarino fu non poco sorpreso da tanta
audacia e prosperità del nemico, ma non si smarrì d'animo: fece suonare
a raccolta, e mentre chiamava ad ordinanza i soldati dispersi pel lido,