Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 05

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dispiegava per lui sì nuove e dolci attrattive, che i passi, la voce, le
attitudini tutte di lei si stampavano nel più addentro del suo cuore.
Rina però ratteneva contegnosa i proprii sguardi, onde pochissime fiate
venne dato al giovinetto Medici d'affisarne le nerissime pupille, e
nessuna di quelle rare volte la rimirò senza vivamente arrossire, senza
provarne un palpito più vibrato, e sentirsi nel tempo medesimo divampare
d'ardentissima fiamma.
Messer Tanaglia, dopo aver contemplati a lungo gli emblemi trapunti: "La
cosa, esclamò tutto giulivo, è chiara come il sole: quegli che portava
l'armatura coperta da questo stemma era un Conte: ce lo dice
evidentemente la corona che sormonta lo scudo: ecco il cerchio d'oro col
rialzo di sedici punte con altrettante perle sovrapposte: questa è
_corona Comitis_, come scrissero tutti gli autori. Lo scudo ovale
spaccato in due campi bianco e verde, senza quarti, indica non essere
desso del genere delle _armi Pure di Parentado_ o _d'Origine_, ma bensì
delle _Agalmoniche_, ossia _Parlanti_, cioè allusive al cognome di
famiglia; e vedete appunto che il cognome lo troviamo espresso in questo
_pozzo_ delineato sul campo bianco, colore più nobile del verde, su cui
sta all'incontro dipinto un _pesce_, col quale ci viene indicato che la
famiglia ha dominio sulle acque. Si può quindi asserire senza tema
d'errare che il possessore dell'armatura e dello stemma era il _Conte
Pozzo_ o _Del Pozzo_ signore di qualche fiume o lago. Dite, Madonna
Orsola, non ho io côlto nel vero?"
"Nulla so di tutto questo, rispose Orsola con qualche sorpresa: d'altro
non mi rammento se non che Falco quando la recò qua su ne portò insieme
una lunga catena d'anelli d'oro, che cangiò ad Argegno con un sacco di
polvere d'archibugio che gli fu data da un mercante Svizzero". "Recò
pure allora, soggiunse vivacemente Rina, se ben vi ricorda, o madre, un
largo nastro colore di foglia d'ulivo su cui stava un bel ricamo, che il
padre disse ch'erano parole: voi non voleste mai che io me lo ponessi
dintorno, e lo donaste, son pochi giorni, a quel pellegrino che passò
qui sopra addomandando la carità".
"Era di certo la cintura della spada, disse Gabriele: e chi sa quanto
l'avrà tenuta in pregio il cavaliere che la portava, poichè non v'ha
dubbio che le parole che vi stavano marcate fossero opera d'una mano a
lui cara. Ne vidi molte di tali cinture fregiate di graziosi motti sul
petto de' nostri capitani d'armi, ad essi donate dalle loro donne: ma io
non ne ho portate mai che non fossero d'acciaio o di cuoio, poichè non
ho ancora trascelto verun colore, nè alcuna donna s'occupò sinora a
trapuntarmi un nastro".
E queste parole che a lui vennero la prima volta spontaneamente alle
labbra gli recarono un senso d'umiliazione che gli fece abbassare al
suolo lo sguardo; ma pensandovi, sentissi tosto contento dell'averle
pronunciate, e rialzollo più confidente e sicuro in volto a Rina, la
quale provò un ignoto compiacimento a quelle parole sì che per lo
innanzi non seppe più mai dimenticarle.
In questo punto rientrò Falco, che mestamente narrò l'occorso caso, per
il che Messer Tanaglia, obbliando gli scudi e gli emblemi, mostrossi con
tutti gli altri sommamente afflitto, di null'altro lungo il giorno
ragionando che della morte di Grampo, che per cause diverse riusciva a
ciascuno di grave cordoglio.
All'avvicinarsi della sera, essendo l'ora prefissa al partire, uscirono
per discendere a piè della rupe, ove il navicello di Falco venir dovea
da Palanzo. Il sole all'occidente mandava per mezzo a nebbioso velo
l'ultimo suo raggio che batteva sui monti e faceva pallidamente
rosseggiare le case e la bruna torre della vicina Nesso, intorno a cui
mille rondini giravano a volo. Mirarono tutti attenti al lago onde
vedere se la barca fosse giunta, ma non se ne scorgea alcuna che quivi
stesse o che venisse costeggiando a quella volta. Costretti per tal modo
ad attendere, Orsola approfittando di quel momento di dimora, condotto
Falco in disparte, caldamente il pregava non si tenesse troppo a lungo
assente, poichè aveva l'animo angustiato dal timore del ritorno dei
Ducali: nello stesso mentre Maestro Lucio guardava il viottolo per cui
doveva discendere provandosi a tentarne i primi passi.
Gabriele rimaso sotto il vecchio castagno da solo con Rina ardeva di
brama dirle alcune parole di saluto; ma tanta era la folla dei
sentimenti che il possedevano sì veementi e inusitati, che tutto il
calore del suo sangue concentratosi intorno al cuore, pareva avesse
tolto il potere al suo labbro d'esprimersi, poichè invano forzavasi a
pronunciar un sol motto; ma pensando che lasciare quella fanciulla senza
pur dirigerle un accento poleva aver taccia di villania, il che gli
sarebbe poscia riuscito dolorosissimo, riunito tutto il proprio vigore,
con voce mal ferma:
"Or mi debbo partire (disse; e Rina, nel cui volto vedeasi il mirabile
contrapposto dell'esitazione del pudore e della somma vivezza del
sentire, al suono di quelle parole alzò lo sguardo), ma mi rammenterò
pur sempre della casa di Falco e di chi mi ha tanto cortesemente
accolto: qui ebbi salva la vita e qui volerà ad ogn'istante il mio
pensiero".
"Voi che abitate un castello, rispose Rina dolcemente, un gran castello
lontano sul lago, come mai potrete ricordarvi di questo casolare? Forse
allorquando la vostra barca passerà innanzi a Nesso, guarderete a questo
tetto, sotto cui riparaste una notte, come noi miriamo le capanne poste
sui monti che ci difendono dalla pioggia".
"Se in quelle provaste ciò ch'io qui m'ebbi a sentire", replicò Gabriele
fatto più franco e sicuro dal parlar di Rina, "non riuscirebbevi agevole
lo scordarvene un istante: l'impressione delle ore qui trascorse mi sta
sì fitta in petto, che non è possibile che si cancelli giammai, e mio
unico desiderio non altro sarà, che di farvi almeno una volta ritorno".
Abbenchè di tali detti non fosse aperto a Rina tutto il significato,
s'accorse ella però che con tenero intendimento erano stati pronunciati,
poichè la fisonomia di Gabriele affettuosamente avvivata
nell'esprimerli, i di lui occhi fissi su lei con tutta eloquenza le
parlarono direttamente all'anima coll'evidente linguaggio dell'amore:
ella nè osò nè seppe rispondergli; solo rivolse in lui sì scintillanti i
proprii sguardi, che ogni argomento di parole sarebbe stato nullo al
confronto.
Spuntava intanto lambendo gli scogli della sponda l'aspettato navicello
che Trincone e Guazzo conducevano remigando. Quel debole raggio di sole
che aveva salutato il giorno era sparito, fosca cresceva la sera, e nubi
di bigio colore occupando tutto il cielo posavano sulle sommità dei
monti. Veduta la barca Falco affrettò alla discesa i due ospiti, onde
trarre vantaggio di quel barlume vespertino, strinse la mano alla
moglie, diede un bacio alla figlia e scese pel primo il dirupato
sentiero. Maestro Lucio poco frettolosamente il seguiva a causa del
torrente, il cui rumoreggiare gli tonava ancora all'orecchio; e dal
cader nel quale si assecurava piantando il piede con somma cautela sul
sasso: tal lentezza agio porgeva a Gabriele, che gli veniva d'appresso,
di soffermarsi ad ogni rivolto della strada a riguardare in su al piano
dell'abituro, sull'orlo del quale stavano Orsola e Rina, di cui però
discernevansi appena le forme.
Giunti in fondo alla rupe, sulle sabbie della riva, presso la quale
Guazzo e Trincone aveano condotto il navicello, entrarono in esso, e
dopo che Falco s'ebbe assicurato che erano stati posti gli archibugi e i
coltelli nel cassone, collocato su quello il suo moschetto, ordinò si
spingessero al largo. Allontanati che si furono un mezzo trar di
balestra, si fece loro udir da lontano un canto misurato in coro. "Tieni
qui ferma la barca, disse tosto Falco a Trincone, che parmi ascoltar
voci che siano della compagnia della Morte; essa si recherà Grampo a
seppellire nel prato del cimitero dentro la valle".
Rattenne il rematore la barca, e il canto s'andava a poco a poco facendo
più distinto venendo pel monte dal lato di Palanzo; indi apparve da
quella parte stessa un chiarore prodotto da una lunga fila di lumi che
s'avanzava in tregenda or ripiegata, or distesa a norma della sinuosità
della montagna di cui percorreva la via. Erasi la sera fatta oscura del
tutto, per cui le bianche tuniche vestite da coloro che formavano la
funebre processione vedevansi distintamente lumeggiate dai cerei che
ciascun d'essi portava. Il salmodiare ne era monotono e lento come i
loro passi, ed a cagione della distanza tutte le voci mescendosi e
depurandosi, ne riusciva un canto aereo prolungato, il più che dir si
possa tristamente solenne. Pervenuto il funereo convoglio al ponte del
torrente, s'offerse più che mai distinto alla vista di Falco e degli
altri che stavano nella barca, poichè quel ponte sendo elevatissimo,
sorgeva loro di prospetto con una parte delle acque cadenti al di là
d'uno sporgimento della rupe. Una croce mortuaria precedeva la comitiva,
e poscia a due a due camminavano i confratelli; al loro passare sul
ponte il torrente ripercuotendo lo sfolgorare dei torchii, pareva una
larga lista di fuoco che si trasmutasse scendendo: ultimo veniva il
cataletto coperto da nero drappo, recato da quattro uomini a spalle;
varcato ch'ebbe il torrente, lasciata la via di Nesso, s'allontanò la
processione internandosi nella valle alla volta del cimitero.
Al passar del crocifisso e della bara que' del navicello si trassero i
berretti e concordemente recitarono l'orazione dei defunti, indi spariti
che si furono i lumi: "Povero Grampo! (esclamò Guazzo dando con Trincone
de' remi nell'acqua) è una cattiva nave che ti porta, che per qualunque
vento tira, non riconduce mai alcuno al suo paese".
"Ed io questa mattina, rispose Trincone, m'aveva tutta la fiducia che
l'acqua del chiodo di Frate Andrea l'avesse a risanare; ma nel bel
mentre che m'ero andato per lui a Nesso, la vecchia Imazza se lo lasciò
morire tra le mani, del che ebbi la più gran stizza del mondo". "Prendi
più il largo, attendi a non battere sì forte i remi, disse Falco, e
statti zitto, chè se vi fossero Ducali appiattati per le sponde, non ci
abbiano a sentire: questa notte dobbiamo vogare drittamente a Musso, nè
vuolsi gettare il tempo a cangiar colpi con loro".
Così detto, rimasero tutti silenziosi navigando per quell'oscurità tanto
quetamente, che appena un finissimo orecchio sarebbesi a poca lontananza
avvertito di loro, poichè s'avevano tal arte nel maneggio de' remi, che
gl'immergevano e traevano dall'acqua senza il minimo diguazzo o
sbattimento; e tal maestria riusciva ad essi sommamente vantaggiosa,
poichè davagli il mezzo di oltrepassare le navi nemiche, od accostarsi a
quelle che volevano assalire, senza che altri s'avvedesse della sorpresa
pria che avessero ottenuto il loro scopo.
Quell'equabile moto, il tenebrore e il silenzio che regnava d'intorno
rotti flebilmente dal lieve susurrìo del progredir della barca, fece che
ciascuno di que' tre che vi stavano assisi venissero assorti in profondi
pensieri.
La memoria di Rina e l'ansia del distacco suscitavano nel cuor di
Gabriele una guerra dolcissima insieme e dolorosa, ma d'un dolore pieno
di vita e d'entusiasmo come lo spirito della giovinezza. L'immagine di
lei gli stava innanzi viva come la realtà e rivestita di tutta luce. Ora
la ricordanza del suono di sua voce, dello splendor de' suoi sguardi lo
riempiva d'una gioia soavissima: ora l'accorgersi d'esserne tratto
lontano il colmava d'angoscia, la quale era tosto attemprata dalla
speranza che gli sorveniva di poterla rivedere. Attraversavagli eziandio
disaggradevolmente lo spirito l'austero precettare delle sorelle, la
severità di Gian Giacomo, l'indole de' coabitanti del Castello, tutto in
duro contrasto con que' suoi nuovi e dilicati pensieri, a disfogo del
quale sentiva abbisognargli la più cordiale effusione. Agitato da tal
rapida successione d'idee muto si stava, esalando di quando in quando un
sospiro che improvvisa commozione gli traeva dal petto.
A Falco, che erasi sdraiato presso la punta della barca, torbidi
pensamenti occupavano la fantasia: la veduta del trasporto di Grampo
aveva alla sua mente richiamato l'avvenimento del mattino, coi
pronostici e l'ira della vecchia comare; e sentiva nel rimembrarli
attenuarsi nell'anima tutta la propria vigoria, sopraffatto da un
terrore che, sebbene non fosse sì cupo quanto il primiero, non potè
essere però per lunga pezza dissipato. Non zittiva tutto in sè raccolto
Maestro Lucio, cui sembrava stesse parata a piombar su di loro, ad ogni
lieve rumore, una salva d'artiglierie; e ringraziava la notte che sì
fitta com'era toglievali alla vista degli Spagnuoli, di cui figuravasi
guernite le sponde. Stette per tal pensiero in angustie sino a tanto che
veduti sulla destra riva alcuni splendori che davano indizio esser quivi
luogo abitato, udendo dai rematori bisbigliarsi "Bellaggio", conobbe
trovarsi in paese amico, e benchè il navigar pel buio gli andasse poco a
grado, deposta quella maggior paura, lasciossi vincere dal sonno e a
poco a poco addormentossi profondamente; nè si risvegliò che allorquando
ricevette una forte scossa provenuta al navicello dall'urtar che fece
alla sponda.
Più di mezzo il suo corso avea già varcato la notte quand'essi giunsero
presso Musso. Non vollero attentare d'entrare colla barca nel porto per
avere di là ingresso al Castello, potendo ciò riuscir loro sommamente
periglioso, a causa della pratica che vigeva per gelosia di difesa di
trarre a bombarda su tutte le navi che s'accostavano senza essere state
precedentemente riconosciute. Falco volle che il navicello s'arrestasse
in un seno della spiaggia a convenevole distanza dai luoghi fortificati.
Tutto era oscurità e silenzio, e solo dai varii piani del Castello, che
appariva come un nero rialzo sul monte, scorgevasi da alcune finestre
apparire chiarore di lumi; ed a piè d'un lungo casamento poco discosto,
ed era l'arsenale di Musso, luceva un fuoco che mandava gran fumo e
faville. Falco ed i suoi, sbarcati che si furono, colà s'addrizzarono.
La sentinella che guardava lo steccato che circondava quel casamento,
riconosciutili amici, aperse loro il cancello, per cui entrarono in
vasto cortile ove i lavoratori destinati alla scôlta notturna, per
ricrearsi, alimentavano una larga fiamma abbruciando frantumi di rotte o
fracide navi: visto ch'ebbero Gabriele, gli furono rispettosamente
dintorno; ed ei fece tosto richiedere di Prospero Onallo genovese,
mastro de' fabbri e capitano dell'arsenale. Abbenchè questi si stesse a
riposo, udito ch'ebbe l'annunzio della venuta del fratello del signor
Gian Giacomo, persuaso fosse di ritorno da qualche spedizione lontana,
abbandonò le coltri, gli corse incontro procurando ad esso lui ed a chi
seco era, quel più cortese accoglimento che gli fu possibile, e che a
lui incumbeva siccome stipendiato del Medici, ed in ogni cosa da lui
dipendente.


CAPITOLO TERZO.
Forastier, che fermo il passo
Guardi in su l'alta fortezza,
Sappi ch'era alpestre sasso,
Squallor tutto ed orridezza;
Ma poi vinse la natura
Dell'artefice la cura.
Vedi là quei che costrutti
Son lavor sull'aspra schiena
A intervallo in su condutti?
È di forti una catena
Che la ripida montagna
Fino al termine accompagna.
IL FORTE DI FENESTRELLE,
_di G. Tagliazucchi_.

Allorquando tra i popoli arde accanita la guerra, nulla v'ha che
intentato si lasci che recar possa a vicenda distruzione e ruina. Ciò
che natura creava a pro' dei viventi, ciò che le arti e le scienze
rinvenivano a beneficio degli uomini, vien rivolto con assidua cura a
loro danno e sterminio. Avvenne per tal modo che le meccaniche e la
chimica affinando i metalli, perfezionarono e moltiplicarono colle armi
gli stromenti di morte, e gli astrusi studii degli astri, dei venti, e
la nautica ingegnosa servirono a guidare lontane nazioni a ricercarsi
sulla profondità dei mari, e scontratesi commettere battaglie più
tremende di quelle che mai si vedessero sovra solidi piani, quindi i
laghi e persino il placido corso de' fiumi divennero sanguinoso teatro
di guerre e di stragi.
Nè la ridente Italia, perpetuo campo di bellicose imprese, offrendo
numerosi arringhi ad ogni sorta di lotte armigere, poteva andar esente
dal contemplare nel proprio seno anche pugne navali. Più e più volte il
Leon di San Marco inalberato sulle sue repubblicane navi risalì il Po ad
azzuffarsi colla vipera de' Visconti o sola, od innestata negli stemmi
Sforzeschi: l'Adige, l'Adda portarono barche guerriere, e sull'onde di
Garda e del Verbano galleggiarono intere flotte. Ma fra l'acque che si
stendono a specchio degli Insubri monti, quelle su cui il furore
belligero si dispiegò più fiero ed ostinato si furono pur sempre le
Lariane. Oltre gli indigeni abitatori, tra cui durarono continue
discordie, i Romani, i Longobardi, gli Elvezii e le genti Ispane,
Galliche ed Alemanne pugnarono navalmente sul lago Comasco: qui si
sfidarono da inveterato odio sospinte le fazioni Guelfe e Ghibelline: e
come i mari di Panama e del Messico ebbe pure questo lago i suoi
filibustieri, e furono i Cavargnoni, che sbucciati dai dirupi delle loro
montagne lo occuparono per alcun tempo mettendo ogni luogo che
assalivano a ferro ed a fuoco.
Ma dopo secoli di guerre colà combattute era serbata la gloria ad un
privato cittadino dell'allora dominante Milano, di creare su quel lago
forze navali sì numerose e imponenti, che tali per l'addietro non
s'erano vedute giammai, e costringere i suoi nemici a disporne
altrettante onde combatterlo e frenarlo. Fu questi, come ben si
comprende, Gian Giacomo Medici, la cui flotta composta di moltissimi
legni avrebbe potuto in que' tempi veleggiare temuta anche sul mare.
Nulla aveva egli posto in trascuranza onde le sue navi riuscissero di
grossa portata e fossero con solidità ad un tempo e prestezza costruite
ed armate: e potè per l'impegno e i mezzi da lui adoperati al
perfezionamento di quelle fabbricazioni avere dai proprii cantieri il
celebre Brigantino di cui ci accadrà sovente far parola.
Fece desso erigere arsenali in varii siti, e chiamativi uomini periti
nelle arti marinaresche per dirigerne le opere. Il più vasto però e il
più d'artefici ed attrezzi provveduto era quello di Musso, siccome
prossimo al Castello, e perciò con maggior facilità difeso e
sorvegliato. Maestro Onallo il Genovese, che, come vedemmo, n'era
capitano, lo aveva conformato a perfetta simiglianza degli arsenali di
mare. Era quello un edifizio di non molta larghezza, alquanto lungo, e
in varii scompartimenti diviso, ciascun de' quali conteneva un'officina
d'arte diversa, spettante all'armeria od alla nautica. Quivi erano
macchine a sega per le travi, telai per le vele, attorcigliatoi per le
gomene e il cordame minore, fucine pei fabbri: quivi scortecciavansi gli
olmi ed i pini per alberatura, e bollivasi la pece e il catrame per
calafatare i navilii. Trovavasi in quell'arsenale il quartiere degli
spadai, de' fabbricatori delle alabarde, degli archibugi e d'altre
simili armi da braccio, non però di quelli delle grosse artiglierie,
alla costruzione delle quali richiedevasi tanto dispendio e sì gran
numero d'operatori, che appena i più gran re e le possenti repubbliche
ne possedevano le fonderie: e infatti il Medici aveva le sue artiglierie
comperate in parte dai Veneziani, e in parte conquistate ai Francesi.
Dal lato del lago dove il lido scendeva con insensibile pendío nelle
acque eranvi molti casotti schiusi di fronte, in cui stavano
appuntellate sovra congegni di travicelli le barche in costruzione, le
quali condotte che erano a compimento, venivano lanciate nel lago,
lasciandole scivolare sovra un piano di curli all'uopo apprestati.
Il dar de' martelli, il rintronar delle incudini e de' percossi fianchi
delle navi, lo stridere delle seghe e delle lime, il gridare de'
lavoratori, il rumoreggiare universale annunziarono di buon mattino
l'operosità che per tutto regnava in quell'Arsenale. Maestro Onallo,
disceso dalle sue camere, accompagnando Gabriele e Messer Tanaglia,
mentre attraversava con loro le officine, veniva incessantemente
circondato dai capi delle arti, dai sovrastanti, dai custodi de'
magazzini che avevano a richiederlo intorno alle opere fatte, o
addomandavano istruzioni per quelle da intraprendersi: ma egli ne li
faceva scostare non porgendo orecchio ad alcuno, intentissimo a prestare
ogni ufficio di cortesia a que' due che disponevansi a partire di là.
Gabriele aveva già fatto ricercare di Falco, dicendo che non sarebbesi
di quivi allontanato senza di lui, onde questi dopo aver avuto una
mattutina conferenza con Trincone e Guazzo, se ne stava attendendolo
alla porta dell'arsenale, appoggiato a suo moschetto. Quivi venuti
presero commiato dal Mastro Genovese, che sino alla soglia li volle
seguire, e si misero di compagnia sulla strada del Castello.
Il vento del lago che suol spirare da tramontana dal far del giorno sin
presso a mezzodì, e chiamasi _Tivano_ (forse dal corrotto accozzamento
delle due francesi parole _petit vent_ perchè non soffia mai nè furioso
nè gagliardo), aveva quel mattino scacciate le nuvole e i nebbioni di
che era stata tutta ingombra l'atmosfera il dì antecedente. Splendeva
quindi limpido il giorno, e le montagne spazzate e nette innalzavano le
loro acute sommità dorate dai raggi nascenti del sole, disegnandole
sovra l'azzurra vôlta del cielo, le acque del lago leggermente
increspate dalla brezza mattinale, riflettendo il sereno dell'aria,
mostravansi cilestrine, qua e là più vivacemente screziate da alcun
raggio solare che trapassando pel vano delle valli veniva a dardeggiar
su di loro.
Gabriele con Falco e Messer Tanaglia andavano di buon passo sulla strada
che costeggiando il lago correva dritta verso il Porto del Castello,
presso il quale era l'entrata comune alla fortezza. S'incontravano per
quella via gran numero di persone, ed erano soldati, barcaiuoli,
contadini e contadine con canestri e provvigioni di pollami, di
granaglie, di frutti che recavansi al Castello, o da questo ne venivano
per varie bisogna al borgo di Musso. Vedevansi pure gli abitanti d'altri
paesi guidando bestie con alte some venire a mercanteggiare in quella
Terra, ch'era allora la Capitale della costiera; miravansi altresì
ricchi signori che vi si conducevano a diporto montati sovra cavalli
doviziosamente bardati, su varii de' quali sedevano in groppa donne o
fanciulle strette in abiti eleganti alla foggia dei tempi: fra mezzo a
questi camminava alcun viandante e pellegrino costretto a battere quella
strada onde evitare le vessazioni del viaggio per barca: e siccome
l'opposta sponda e tutte le alture dei monti erano occupate da vedette e
da guardie, e difese dalle artiglierie, non rimaneva alcun libero
passaggio per chiunque avesse d'uopo oltrepassar Musso, sì movendo verso
l'Alpi che procedendo alla volta di Como, fuorchè quella strada medesima
praticata sulla riva. Passava questa a piedi del Castello sotto un lungo
arco di massicce mura che formava una gran porta detta la _Porta di
Musso_, la quale appoggiava il suo fianco sinistro (guardandola dalla
banda di Musso) all'ultimo baluardo del Castello, ed il destro alla
muraglia del porto, per cui la strada correva per lungo spazio tanto al
di qua che al di là di quell'arco fra ruvide e grosse muraglie
ristretta. Presso la Porta di Musso, che era munita da ambi i lati da
battenti coperti di lamina di ferro, e rafforzati interiormente da travi
stavano sempre gabellieri e uomini d'armi, gli uni destinati a
riscuotere le tasse delle mercanzie che di là transitavano a norma delle
gride bandite dal Medici, gli altri per esaminare i salva-condotti de'
passeggieri più ragguardevoli e notare chi si fossero ed a che
venissero.
La vista di quella moltitudine di persone che percorrevano quella via,
produsse la più piacevole impressione a Maestro Tanaglia. Le strette di
cuore da lui provate nella burrascosa vicenda recentemente trascorsa
facevangli trovar gradito il vedersi ritornato ad un luogo il cui
soggiorno gli era sembrato da prima pesante e noioso. L'imponenza del
Castello dentro cui stava per riprendere le sue cancelleresche faccende,
la sicurezza che inspiravano quelle mura, i belligeri apparati, i molti
uomini pronti e interessati a difenderlo, fornivano al suo spirito un
più che evidente e vantaggioso raffronto coi gravi perigli ch'ei per
esperienza sapeva che s'incontravano in ogni altra dimora. Felicitavasi
quindi in cuor suo, ed era forse la prima volta che sinceramente il
facesse, di godere la protezione del Castellano, aver la confidenza di
lui, tener parte attiva nel regime del suo dominio. Così pensando,
camminava con più lentezza e gravità, volgendo con importanza il capo a
dritta e mancina a quelli che gli passavano d'appresso: ricomponendosi
l'abito alla persona, e col palmo della mano lisciando i capelli che da
tre dì non aveva potuti assettare.
"A ben riflettere, diceva tra se, dovrei pur chiamarmi fortunato, solo
che potessi evitare di seguire quello spensierato di Gabriele, che nelle
sue spedizioni incappa sempre in qualche malanno. Nel Castello, dopo
Gian-Giacomo, non son io forse il primo personaggio? tutta questa
canagliaccia non deve dessa star sottoposta agli ordini e alle gride che
vengono scritte da me? Il Mandello, il Borserio, e quel manigoldo del
Pellicione mostrano di tenermi in poco conto perchè io non aguzzo la
stambuchina al par di loro a danno del mio prossimo; ma quello che dà i
saggi pareri a Gian Giacomo sono io, e senza di me nulla si fa
d'importante. Anche il Cancelliere Morone non sapeva menar che di penna,
eppure il Duca se lo aveva più caro che venti comandanti di squadre, e
Carlo l'Imperatore darebbe mezze le gemme della sua corona per averne un
paio degli uomini di quella fatta. È vero ch'io non conosco le teorie
della _Ragion di Stato_ al pari di lui, ma egli non possedeva al pari di
me l'alta _Scienza Blasonica_, proclamata da tutti non meno di quella
utile e gloriosa. Oh! se si trattasse una volta la pace, e che questi
soldati cessassero dall'assordar tutto il mondo non parlando che
d'ammazzamenti e di guerra, comincierei ben io ad alzar la voce e darmi
a divedere per quell'uomo che sono".
Così fantasticando ei proseguiva il cammino, e nello stesso mentre Falco
teneva con Gabriele ragionamenti ch'erano per questi del massimo
interesse, sebbene l'armigero montanaro punto non ne dubitasse. La
triste disposizione di spirito destata in Falco la sera antecedente,
s'era in lui protratta la notte, e gli aveva l'animo ingombro di mille
dubbiosi pensieri, e come suol avvenire che i sentimenti profondi e
angosciosi ci risvegliano in cuore più vivo l'affetto per le persone
lontane cui andiamo congiunti con nodi di sangue o d'amore, così accadde
che quasi tutt'i pensieri di lui furono rivolti alla sua rupe, poichè
mai tanta pena aveva altravolta provata nell'essere discosto da sua
moglie e dalla figlia. Sapeva per fatto fin dove era capace di spingersi
l'accanimento de' nemici, e ben immaginava di quanto doveva aver
avvelenito ed acceso il loro desiderio di vendetta l'ultima intrapresa
da lui contro di essi condotta: però sembravagli che gravissimo periglio
sovrastasse a quelle donne se sole e indifese rimanevano più oltre nel
loro isolato abituro, considerando che la naturale difficoltà del luogo
era troppo lieve riparo a proteggerle contro la rabbia d'uomini feroci
che si fossero dati a rintracciarle. Restarsi sempre seco loro onde
difenderle, era per lui impossibile, poichè la sua vita dipendeva
interamente dall'esercizio delle proprie forze nel modo che le aveva
sino allora esercitate: unico rimedio alla sicurezza loro gli si
appresentava adunque il trovare ad esse un asilo, in luogo dalle ostili
incursioni più validamente guardato. Tal progetto d'abbandonare il
soggiorno della terra nativa, che Falco era venuto raffigurando la notte
come una dolorosa e necessaria risoluzione, gli si riofferse il mattino
sotto più evidente e meno spiacevole aspetto, alloraquando trovossi
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