Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 11

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vista di Musso ove accetterebbe la battaglia se la flotta nemica stesse
parata in ordinanza a presentarla, o l'assalirebbe nel Porto medesimo
del Castello se non ne fosse ancora uscita.
"Alonzo Canto con cento Spagnuoli, quattro bombarde e due colubrine
andrebbe a bordo della flotta sino a Bellaggio, ove, messo a terra,
occuperebbe il promontorio postando le artiglierie in modo da impedire
il passaggio alle navi di soccorso che potessero essere spedite al
Medici da Lecco. Tridelberg con duecento lanzinechi, tre bandiere di
cavalli, cinquanta _Lancie libere_, movendo per la Brianza, andrebbe a
sorprendere Monguzzo difeso da Battista fratello del Castellano; mentre
Rinaldo Lonato con altrettante forze assalirebbe Lecco dalla parte del
ponte, per tentare l'uno e l'altro d'atterrirne e vincerne le
guarnigioni, impossessarsi delle Rocche, o togliere almeno ogni
possibilità ai nemici di comunicazioni e d'aiuti.
"Nel frattempo que' Grigioni (di cui, come dicemmo, si trovava in
quell'adunanza un Commissario) i quali stavano in grosso numero
accampati presso il Lago di Chiavenna, penetrando per le valli
secretamente, apparirebbero sull'alto delle montagne di Musso il mattino
stesso stabilito alla battaglia, recando quivi quel numero d'artiglierie
che meglio potrebbero pei difficili cammini dei monti trascinare, e di
là fulminando il Castello, e scendendo a squadre sopra Domaso,
Gravedona, Dongo, e sopra Musso stesso, cercherebbero penetrare nel
Castello se ne venisse il destro".
Chiaro apparisce da tale progetto di guerra ch'era pensiero dei Duci
spagnuolo-ducali d'assalire le forze di Gian Giacomo partitamente sui
diversi punti in cui si trovavano sparse, per isolare quanto più loro
fosse possibile quelle che si stavano con esso lui a Musso, contro le
quali dirigendo il maggior nerbo delle soldatesche con impeto vigoroso
verrebbero costrette a cedere per la disparità del numero, e la
contemporanea moltiplicità degli assalti. Essi supponevano inevitabile
dei due casi l'uno: o il Medici prevedendo l'inoltrarsi della flotta
Comasca uscivale allo scontro colla sua da Musso, e allora mentre il
combattimento era nel massimo calore impegnato tra le navi, i Grigioni
calando dai monti penetravano senza ostacolo nel Castello indifeso, e
fattisene padroni, toglievano ogni speranza di ritirata e di rifugio al
Castellano, le cui milizie, sminuite dalla battaglia, scoraggiate alla
vista della caduta del vessillo Mediceo dalle sue torri, sarebbero
compiutamente fugate e tagliate a pezzi dalla flotta vittoriosa: o Gian
Giacomo, conscio anche dello accostarsi de' Grigioni, non osava
abbandonare le mura del suo Castello (chè dividere le proprie forze già
scarse a tanto impegno nol farebbe, credevano, il più imperito de'
condottieri), e allora la flotta investendo quella fortezza dal lago, li
Svizzeri dai fianchi e dalla sommità battendo accanitamente da ogni
parte, la diroccherebbero e ne farebbero un mucchio di ruine, sotto cui
rimarrebbero sepolti gli ostinati difensori.
Quanto s'avverassero questi micidiali supposti, lo apprenderanno tra
poco i nostri lettori: che se tra questi mai vi fosse alcuno edotto per
lunga esperienza nelle cose della guerra, nella quale tanti uomini
vennero educati al principio di questo secolo, pensando e rammentandosi
quanto il caso, la fortuna e la destrezza abbiano impero, più che
sull'altre umane cose, sulle vicende dell'armi, potrà con giusta lance
ponderare le esposte ducali previggenze ed estimarne la probabile
riuscita senza scostarsi gran fatto dal vero.


CAPITOLO SETTIMO.
_Gualtiero_. Ma dî, che fa Imogene?
Mi è fida ancora? d'ogni nodo è sciolta?
_Solitario_. Lasso... e pur pensi!
_Gualtiero_. A lei soltanto. Ascolta!
Nel furor delle tempeste,
Nelle stragi del Pirata
Quell'imagine adorata
Si presenta al mio pensier
Come un angelo celeste
Di virtude consiglier.
IL PIRATA, _Dramma_.

Rapida, rasente il lido una barca vogava alla volta di Musso prima che
la stella del mattino che brillava a filo delle nere vette dei monti
illanguidisse interamente nella luce della nascente aurora. Era la barca
di Falco in cui stavano con esso sei de' più fidi e valorosi tra' suoi
pirati da lui trascelti a commilitoni.
Sul breve margine arenoso che cinge il piede alla rupe di Nesso, due
donne, l'una all'altra d'accanto, miravano attente ed immote quella
barca che s'allontanava, nè di là si rimossero sin che non fu sparita
dietro gli sporgenti scogli della spiaggia, e sinchè non scomparve ben
anco dalla superficie delle onde la increspatura prodottavi dal battere
dei remi: allorquando le acque ridivennero piane ed oleose, nè giunse
più al loro orecchio la cadenza della voga, nè il bisbigliare dei
partenti tra loro, si mossero dal lido ponendosi a risalire a lenti
passi l'erto sentiero che guidava alla sommità della rupe. Erano Orsola
e Rina che discese dall'abituro ad accompagnare Falco al battello,
condotto colà dai compagni salitivi nella vicina Nesso, avevano a lui
dato un angoscioso ripetuto addio, poichè sapevano dover esso rimanersi
lontano assai più del consueto da che era divenuto Capitano di nave del
Castellano, come egli stesso aveva loro narrato ne' giorni antecedenti
appena si fu retrocesso da Musso.
In que' primi momenti di nuovo abbandono, mille pensieri tra consolanti
e tristi agitavano ad Orsola il cuore. Ora la di lei fantasia esaltata
per l'onorevole grado di che le ritornò fregiato il marito, e la cui
importanza ella non sapeva a se stessa ben definire, fecondando il
futuro di prosperi avvenimenti, si riempiva delle dolci illusioni di
potenza, di ricchezza, di vendette soddisfatte, di fortunato cangiamento
di sorte: ora la possibile necessità di questo stesso cangiamento le
incuteva una anticipata desolazione. Dolorosi pensieri le passavano
eziandio come lampi nella mente d'una sproporzione di stato tra lei e il
marito: Falco non era più il libero guerreggiante battelliero che dopo
avere spinta la sua temuta nave su tutte le acque e presso ogni lido del
lago, tornava colla preda alla patria rupe, unica meta de' suoi pensieri
e de' suoi fatti: esso ora s'aveva novelli rapporti di specie della
prima affatto diversi, il suo cammino rimaneva prefisso, le sue azioni
da un altrui comando dipendevano, quindi alla sede del potere che il
dominava tenere doveva rivolta la mente sua, e più nessuna attrattiva
s'avrebbero per lui, da sì importanti interessi divagato, la sua capanna
e la sua montagna. Orsola a tali idee sentì piombarsi in cuore un
sentimento di solitudine, che la prima fiata da che albergava colà le
fece rassembrare il suo casolare troppo isolato e discosto dalle
abitazioni degli altri terrazzani. Così trambasciata disse sempre
salendo alla figlia: "Vorrei, o Rina, che la nostra capanna si trovasse
più vicina alle case di Nesso, poichè anche tuo padre ha sospetto che il
rimanerci qui tanto solinghe possa esserci cagione di qualche sventura.
Egli adesso si starà molti e molti giorni in quel Castello di là su, e
noi ci rimarremo qui come perdute su questi scogli. Lo hanno fatto
Capitano di nave: ma forse che la sua vita sarà per tal modo più sicura?
O non sarà desso così esposto ai colpi d'un maggior numero di nemici? Ei
disse che verrà giorno in cui, scacciati dal lago tutti i Ducali,
scenderemo ad abitare un popoloso contado ove vivremo come castellane,
nè esso scorrerà armato pel lago fra rischii estremi... ma intanto...
egli è lontano... e noi qui sole..."
La voce d'Orsola s'affievolì a queste parole quasi non osasse proseguire
per tema di fare un'involontaria accusa al marito dell'averle
abbandonate. Rina nulla a lei rispose, se non che essendo allora giunta
sul piccolo piano ove s'alzava il loro abituro, soffermossi d'un tratto
perchè al di là del fosco dirupo vide sulle acque la barca del padre e
de' suoi compagni, e vivamente l'affisò mostrando di seguirla col
desiderio nel suo veloce corso; ma alzato lo sguardo per mirare verso il
luogo ov'essa era avviata, abbassò tostamente le pupille e rimase in un
atto di tenera mestizia. Col capo lievemente inclinato, colle nerissime
chiome che non ancora addirizzate ombreggiavanle le guancie, fatte
all'improvviso del candido colore dell'alba già sorta, e le ricadevano
morbidamente sul collo e sul seno, le cui perfette forme non erano punto
alterate dal corsetto e dal lino che il ricoprivano, coll'uno de' bracci
steso lungo la persona e l'altro raccolto al petto, essa rassembrava a
quelle angeliche sembianze che sogliono talora apparire ne' sogni di
un'anima che langue di pietà o d'amore. Ma questo pensieroso atteggiarsi
di Rina fu per dolore che l'assalì del lungo distacco del padre? fu per
consentimento all'agitata fantasia della madre? Ah no: esso palesava una
commozione del cuore più potente e secreta. Quante volte da breve
volgere di giorni mentre seduta sotto il vecchio castagno attendeva a
femminile lavoro, le rose del suo viso avevano subitaneamente
impallidito, l'ago s'era arrestato infitto a mezzo nella tela e i suoi
neri occhi parlanti erano rimasti fisi a lungo e immotamente al suolo!
Allora il suo spirito errava per le piagge del lago che gli alti monti
chiudevano al suo sguardo, allora l'immaginativa le creava un castello
ampio, sontuoso, fra tutti i di cui potenti abitatori però uno solo ella
scorgevane, d'uno solo le pareva distinguere i passi e le parole. Le
forme del giovinetto straniero le stavano incessantemente dinanzi,
poichè nulla che fosse bello e soave al cuore poteva avere per lei altre
sembianze che quelle di Gabriele, le quali avevanle infuso un sentimento
d'inesplicabile voluttà tanto per lei più puro ed arcano, in quanto che
sparita rapidamente la realtà dell'oggetto che ne era la causa, nella
impressione che in lei durava s'era frammista una melanconia che le
traeva l'anima soventi in quel vago misterioso della speranza, ove gli
affetti della terra sembrano tramutarsi nelle perenni gioie del cielo.
Distolse Rina dall'intimo immaginare la voce di Orsola, che pervenuta
alla capanna, dischiudendone la porta, esclamò: "Io m'ho il tristo
presentimento, e Dio voglia che si smentisca, che la venuta qua su di
quegli stranieri liberati da Falco ci debba essere cagione di qualche
gran danno! Ben ti sovvieni che per essi loro la comare Imazza perdette
l'unico figlio Grampo: chi sa quella maledetta vecchia quali stregamenti
ha fatto per vendicarsene. Il sole che sorge la coglie forse presso le
grotte della montagna intenta a fare sparire col suo bastone le orme
lasciate dalle unghie dei demonii che si saranno raccolti questa notte
intorno ad essa". Rina provò sommo spavento a tai detti, ed affrettossi
ad entrare nell'abituro rammentando alla madre che nè l'una nò l'altra
avevano ancora pronunciate le preghiere del mattino.
La barca di Falco correva intanto celeremente sulle onde. Stava desso
ritto presso la prora, appoggiato al suo moschetto, mirando i suoi
compagni pirati; due de' quali, che erano Trincone e Guazzo, remigavano,
e quattro stavano seduti ai lati del battello, tenendosi ciascuno
d'accanto il proprio archibugio. Questi, uomini tutti nerboruti e
infaticabili, mostravano visi fieri colla pelle arsa dal sole e dalla
polvere, vestivano casacche di lana di colore sanguigno serrate loro ai
fianchi da larghe cinture di cuoio, da cui risortivano impugnature di
coltelli e spuntoni; il loro capo era coperto da berrette brune pure di
lana, lunghe, ricadenti sugli omeri, sulle quali riponevano talora
larghi acuminati capelli che celavano ad essi metà del viso.
Il fresco soffio del Tivano agitava la nera capigliatura che in folte
ciocche usciva a Falco dalla rete d'acciaio; sui suoi vigorosi
lineamenti stava l'espressione d'una fiera compiacenza per vedersi con
que' suoi fidi e valenti seguaci avviato ad assumere il comando di
grossa formidabile nave da guerra e d'una squadra regolarmente ordinata
alla milizia. I suoi pensieri non spiravano che combattimenti, gloria,
vendetta: una pugna contro i Ducali era certa, l'angosciava solo il
dubbio che si dovesse frapporre lungo indugio ancora a disporla. Di tal
dubbio si fece a parlare calorosamente a que' suoi, e Negretto il
Tornasco, il più giovane ed il più astuto che vi fosse tra loro, il
quale aveva avuta soventi volte l'audacia di recarsi nei luoghi tenuti
dai Ducali, e persino in Como, e d'ivi frammischiarsi con essi, lo
accertò che impossibile si era si tardasse a lungo a dare una battaglia,
poichè già da varii giorni i vassalli del Duca venivano incessantemente
vessati onde fornissero tutto quanto era necessario ad assestare le
barche da guerra ed a far gozzovigliare i soldati, il che ei sapeva per
averlo udito e veduto nei sobborghi di Como, dove aveva dato mano a
varii barcaiuoli ad appianare coi remi le cuciture ad un commissario
delle gabelle che voleva asportare ad uno di loro la vela e gli attrezzi
che teneva nel battello. A questi detti, che rallegrarono sommamente
Falco, passò poco d'ora che s'aggiunsero tali novelle che sgombrarono
ogni ombra di dubbio dal suo spirito.
Superata ch'ebbe la sua barca la punta di Bellaggio, ne apparve
un'altra, che venendo dal ramo di Lecco prendeva la stessa loro
direzione. Volsero tutti l'occhio a quella banda guardando acutamente
per distinguere chi vi fosse dentro, e vi scorsero due rematori ed un
uomo in arnese non rozzo colle piume cadenti sulla falda del cappello.
Falco ordinò a' suoi s'accostassero a quella barca, dalla quale giunti
che furono a portata di voce, venne gridato replicatamente: "Medici",
cui essi risposero pronunciando lo stesso nome, e poscia la raggiunsero.
Riconobbe Falco in essa un suo antico conoscente, Daniello Perego di
Lenno, servo e soldato di Battista Medici, fratello del Castellano, che
si stava con buona scorta d'uomini a Monguzzo: "Addio, Daniello, gli
gridò tosto, ben tornato sul nostro lago; come sta il tuo padrone? e
come vanno le faccende nel vostro castello?"
"Oh ti saluto, mio caro Falco e la tua bella compagnia (rispose l'altro
che all'amichevole di lui parlare rinvenne dall'assalto di paura che il
veloce accostarsi d'una barcata di simil gente gli aveva cagionato). Il
signor Battista sta ottimamente, e le faccende di Monguzzo sono sempre
andate benone sinora".
"È molto tempo che non vedete i camicioni rossi?"
"Sono già mesi che si stanno lontani dalle nostre muraglie più che gli
scudi dalle mie scarselle; ma adesso suonano cattive campane, e pare che
il diavolo ci voglia dare da travagliare. È per questo appunto che vado
a Musso: le nostre spie sono tornate ieri da Como, ed hanno narrate
grandi novelle, che il signor Battista mi manda con una lettera a
partecipare al signor Castellano. Non saranno bagattelle, si parla di
migliaia e migliaia d'uomini: ne sono venuti da tutte le parti; a Milano
non c'è più un soldato, li hanno mandati tutti a Como per piombarci
poscia addosso".
"Che vengano pure: qui si hanno buone braccia per sostenerli, disse
Falco".--"E buone bocche per dar loro il ben venuto", gridarono i suoi
pirati accennando gli archibugi.
"Vi dico, amici, proseguì il messaggiero di Monguzzo, che deve essere un
macello per terra e per acqua come quello accaduto ai tempi del Matto.
Che botte abbiamo menate allora! ed i nemici erano gente di Francia:
sono ben certo che se ne verranno ora date di somiglianti, si troveranno
a mal partito anche gli Spagnuoli, gli Alemanni e tutti in somma i
Ducali, se pure non hanno la pelle più dura di quei _Monseigneurs_. Mi
pare di vederlo il Matto co' suoi Pievesi quando lì, presso la sponda
che abbiamo oltrepassata adesso di Bellano, assalì quattro navi zeppe di
soldatoni grandi e grossi che rassembravano torri di ferro, e in meno
d'un'ora non ne lasciò uno vivo. I pescatori di Rezzonico, di Dervio, di
Menaggio e di tutte le terre d'intorno, accorsi al luogo del
combattimento, avevano due giorni dopo tratte dall'acqua una cinquantina
d'armature che, sebbene foracchiate e peste qua e là, furono vendute
sino a quindici cavallotti l'una; e mi ricordo di più che molti di que'
cavallotti li vinsi io a picchetto nell'osteria della Rocca Rusca".
Alle parole del messaggiero di Battista Medici l'aspetto di Falco
apparve animato da un sorriso di feroce gioia; il suo spirito guazzava
anticipatamente nella strage: "Ah sian rese grazie al cielo, esclamò; ci
siamo una volta! Che tutti i cavallotti che hai truffati in tua vita, o
mio caro Daniello, ti possano ritornare duplicati nelle tasche senza
farti paventare la corda o la ruota, per la buona novella che mi hai
data! Si farà finalmente ripassare il filo alle spade e si accenderanno
le micie delle bombarde e dei moschetti. Vedi questa lama quant'è
offuscata dal sangue e dalla ruggine? (trasse, così dicendo, ed alzò
l'uno de' due pugnali che portava infissi nella cintura) Non ti pare che
si mostri in grande necessità d'essere arrotata e ripulita? Pure è gran
tempo che attendo l'istante di porla alla cote: ora finalmente il giorno
è venuto, e voglio farla divenire più tersa e lucente dell'acciaio d'una
lorica da parata. Ma dimmi un po', le porte del vostro Castello di
Monguzzo sono massiccie e ben foderate? Polvere e ferro ne avete quanto
basta per non patire nella disputa coi nemici lo scorno d'essere i primi
a tacere?"
"I nostri ponti levatoi[12] sono pesanti e sodi al pari di grosse
muraglie, ed abbiamo due sotterranei del Castello ripieni di polvere di
zolfo e palle che comperammo dai Veneziani. Però la migliore provvigione
pel caso d'assedio venne fatta da me. Con una banda di trenta de' nostri
bravi archibugieri mi diedi a girare il paese a dieci miglia d'intorno,
e fatti radunare quanti buoi, maiali e pecore ho potuti trovare, li ho
spediti al Castello, dove stanno in parte salati e affumicati appesi nei
cameroni, e in parte vivi e ben pasciuti nelle stalle per fornirci carne
fresca quando i Ducali ci toglieranno d'andare a pranzare colle belle
massaie dei siti vicini".
[Nota 12: È noto che il ponte levatoio rialzato per mezzo delle travi e
delle catene che il sostengono, chiude la porta a cui dà ingresso a
guisa di battente.]
"Anche a noi piacciono i buoni bocconi e le belle massaie, disse
Passamonte altro de' compagni di Falco; ma ora ci conviene cangiare il
fumo delle vivande con quello delle artiglierie, e gli abbracciamenti
dell'amorosa con quelli delle mani di ferro dei nostri nemici".
Così ragionando e remigando insieme giunsero le due barche in vista di
Musso. Daniello, che da gran tempo non era quivi stato, "Oh ohe! gridò,
guarda, guarda il porto del Castello! che rumore, che chiasso si fa colà
su! Ih che selva d'alberi e d'antenne! quante navi si stanno di fuori!
le scorribiesse, i battelli e le piatte non si ponno contare: s'io non
m'inganno, quel legno più alto ed ampio d'ogni altro, tutto ben dipinto
ed adorno, è il Brigantino del signor Castellano?"
"Sì è desso, rispose Falco, e giuocherà tra poco colle barche Comasche a
chi s'abbia più dure le costole".
Pervenuti alle muraglie del molo, vennero dalle barche armate in guardia
riconosciuti, e quindi lasciati entrare nel Porto, ove procedendo
lentamente frammezzo ai numerosissimi navilii, toccata la sponda,
balzarono a terra, e s'avviarono alla volta del portone del Castello.
Chi può narrare quanto fosse colà il trambusto, il subbuglio,
l'affollamento dei rematori, dei soldati, degli artieri, l'ire il redire
sulla strada, ne' moli, dentro e fuori della fortezza, il gridare, lo
spingersi, il richiamarsi? Ad ogni istante giungevano nuove barche, e se
ne vedevano venire da tutti i punti: si scorgevano per tutto gruppi di
soldati ed operai affaccendati in mille guise. Varii di essi con curli e
puntelli facevano rotolare verso la sponda grossi cannoni e falconetti
di ferro e di bronzo, che altri calavano a stento con corde e cinghie
dai gradini del porto e collocavano sopra zattere, appositamente
costrutte, che li recavano alle navi, verso cui dirigevansi pure altre
picciole barche cariche in parte di sartiame ed altri attrezzi navali, e
in parte di barili di polvere, e cassoni di palle, e ferramenti che una
mano d'uomini che discendevano dai magazzini della Fortezza portavano a
spalle e deponevano alla riva. Tra le grosse navi la sola che stavasi in
mezzo al Porto si era il Brigantino, le altre sette, che s'avevano
sembianza di vascelli del mare, erano state condotte al di fuori onde
non ne stipassero colla loro mole l'interno, impedendo il libero
transitare delle navicelle che recavano ad esse gli oggetti d'armamento.
Tutte portavano un grand'albero per le vele, s'avevano banchi laterali
per i rematori, erano munite di áncora, e sebbene racchiudessero un
ponte solo per le artiglierie, portavano otto cannoni da quaranta libbre
di palla, che gl'imperfetti metodi delle fusioni di que' tempi,
rendevano di peso maggiore di quelli che attualmente hanno un calibro da
sessanta.
Ognuna di queste navi aveva allora in faccende tutta la propria ciurma
per il caricamento: una parte di questa cogli argani e le gomene era
occupata a tirarsi dentro armi, casse, munizioni, levandole dalle
zattere e dai battelli che mano mano venivano inviati dal Porto; altri
affaticavano a riporle nelle batterie, sui carretti e calarle nella
sentina, e i più destri finalmente arrampicati sull'albero e per le
antenne, rannodavano le corde, le faceano scorrere per le puleggie,
ravvolgevano le vele e disponevano in somma tutto quanto indispensabile
riesce al governo spedito e sicuro d'un pesante navilio.
Venivano pure collocate bombarde e colubrine sulle Borbote e sulle
Piatte, che erano barche di mezzana dimensione, ma assai basse e quasi a
fior d'onda: le scorribiesse, le lancie, i navicelli non importavano
lavoro di sorta, poichè non erano destinati che a contenere drappelli di
schioppettieri, e di un corpo d'armati creato dal Medici, terribile
specialmente nelle guerre sui legni, che si era di guastatori ed
incendiarii.
Il Brigantino, opera, come accennammo, quasi maravigliosa dell'arte
delle fabbricazioni navali, si stava nelle acque del porto già in tutto
allestito e pronto al pari d'un arcionato destriero a slanciarsi nella
battaglia. Era desso un legno più ampio ed alto degli altri tutti, ma
costruito con sì perfetto disegno, che mostravasi tanto snello
all'occhio e leggiero, come lo era sommamente infatti a proporzione di
sua mole, che si sarebbe detto nel suo cammino non fendere ma survolare
alle onde: unico tra le navi del lago aveva due ordini di batterie,
guarnito ognuno di quattro cannoni e quattro colubrine, e portava cento
uomini d'armi e trenta rematori; pure, ad onta di tanto carico, era
stato fatto con arte sì fina, che ogni soffio d'aria il faceva
viaggiare, ed alla mano dei rematori e del pilota obbediva e volteggiava
con un'impareggiabile agevolezza. Dei venti e delle tempeste si prendeva
giuoco, poichè nel massimo fortuneggiare del lago soleva Gian Giacomo
uscire su di esso dal porto di Musso, e dirigersi e pervenire là ove
meglio gli andava a grado, con istupore sommo degli abitatori della
costiera che accorrevano a contemplarlo. Era sui fianchi dipinto d'un
colore rossiccio a bande nere, e sulla prora portava scritto il motto:
_Domine, salva vigilantes_. Conteneva una splendida stanza pel
Castellano che ne era il comandante, ed altre adorne camerette pei più
distinti capitani che vi salivano seco. Quando usciva a giornata, presso
all'albero di mezzo, sul quale spiegavasi il gonfalone Mediceo,
erigevasi un altare, al di sopra del quale s'attaccava la campana detta
la _martinella_; quivi dal Parroco del Castello in grand'abiti
sacerdotali facevansi continue preghiere onde ottenere dal cielo
prosperità e vittoria[13]. Nè una tale pia costumanza, imitata dall'uso
del Lombardo Carroccio, era stata da Gian Giacomo stabilita a solo
religioso fine: aveva desso calcolato ben anco quanto aumentasse
l'ardore dei combattenti, e gli eccitasse in caso di sconfitta a
disperata difesa il pensiero di far trionfare e di proteggere un santo
segno ed una sacra persona che stavano come palladio nel centro delle
schiere.
[Nota 13: Missalia, _Vita di G. G. Med._]
Dentro la Fortezza non era chiasso minore del Porto: siccome Dongo, e
principalmente Musso, erano ingombre delle truppe del Castellano già
tutte chiamate e raccolte dai contadi, dai borghi, dalle rocche ove si
stavano alla spezzata, accresciute da bande paesane, in ispecie Pievesi,
uomini intrepidi, ed amici del Medici, i capitani, i capi-bandiere, e
tutti i condottieri insomma di quelle truppe s'erano recati nel Castello
chi per comando di Gian Giacomo, chi per proprie bisogna, e non pochi
per curiosità e passatempo. Tutti questi andando su giù per le scale,
passando dall'una all'altra Rocca, e spargendosi pei baluardi, pei
terrapieni, gridavano, schiamazzavano con infinito rumore. Di essi pochi
vestivano l'intera armatura, il maggior numero s'aveva corazza, o giacco
di maglia, col resto dell'abito di saio o panno: vedevansi elmi piumati,
cappelli a larghe falde, e berretti di cento foggie: colori e forme
d'abbigliamenti e d'armi se ne scorgevano d'ogni specie per la molta
varietà delle bande di che constava l'armata del possente Castellano.
Quando Falco s'avanzò co' suoi sei compagni verso la gran porta del
Castello, gli uomini d'armi che vi stavano a guardia si schierarono al
primo vederli ponendosi in atto di vietar loro il passaggio; gente
armata d'ogni aspetto ne passava per di là a tutti gl'istanti, ma una
mano d'uomini in sì fiera sembianza da masnadieri non se n'era loro
giammai offerta. Falco, ponendo il piede sotto la vôlta del portone,
s'accorse tosto che il farsigli incontro delle guardie colle alabarde
abbassate, e il loro guardare minaccioso era causato dall'inusitata
presenza de' suoi; ei s'arrestò senza arretrare però d'un passo, e con
un sorriso di sprezzo "Che! esclamò, vi facciamo noi paura? noi poveri
montanari vestiti di lana a voi soldati coperti di ferro? Ma paura o no,
vi dico che saprei e potrei condurre questi miei camerata sino alla
presenza del signor Castellano, il quale son certo non ci farebbe occhio
sì torvo come ci fate voi. Però, onde abbiate a rimanervi qui più
tranquilli, mi vi recherò da solo, riserbandomi a condurre questi nel
Forte, allorchè v'avranno in altro modo persuasi che molti fra quelli
che vi entrano liberamente non sono migliori di loro".
Si volse quindi a' suoi che, fermatisi in semicerchio dietro a lui cogli
archibugi calati a mezza persona, mostravano nel volto e
nell'atteggiamento la capacità e la pronta disposizione ad eseguirne
ogni cenno per qualsiasi arrischiato colpo, e guardatili colla fiducia
d'un'antica intelligenza: "Andate, disse con fermo accento, ma orecchio
alla chiamata; e non perdete la mia barca di vista".
Parve che que' sei sparissero, tanto fu la prontezza con cui, obbedendo
a quegli che tenevano per loro capo, s'allontanarono di là,
frammischiandosi alla folla di gente che ingombrava il porto. Le guardie
rimasero attonite a tal fatto, e deposte le alabarde diedero facoltà a
Falco di entrare nella Fortezza, il che egli fece raggiungendo Daniello
Perego che l'aveva frattanto preceduto. Pervenuti al Forte di Gian
Giacomo, il messaggiero di Battista Medici dovette spiegare al Capitano
che ne guardava l'ingresso chi fosse ed a che venisse, e quindi fu
diretto alle stanze del Castellano; e Falco, riconosciuto e salutato
qual Comandante, venne condotto, come n'espresse il desiderio, ove
trovavasi Gabriele, che era nella sala d'armi del Forte dove stavano
raccolti quasi tutti i capitani.
Il giovinetto Medici, scorto che s'ebbe appena il suo liberatore, il
guerriero montanaro di Nesso, gelò tutto, indi arrossì per un palpito
secreto di contento: gli corse incontro e l'abbracciò con tal atto
affettuoso e riservato ad un tempo, che appalesava un sentimento d'amore
e di rispetto maggiore assai di quello inspirato dalla semplice
confidenziale amicizia che esistere poteva tra loro. "Quando è utile o
desiderata la tua presenza, gli disse, si è certi allora che tu giungi,
o mio Falco; qui pensavamo con premura a te, perchè se più tardavi eri
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