Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 15

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steccato, poichè era segno che lo spettacolo stava per incominciare.
Passarono innanzi a loro i tamburi ed i trombettieri con bianchi
pennacchi sugli elmi, lietamente suonando, passò il Pellicione con sua
brigata d'archibugieri portanti corazza e celata, e venne alfine
Gabriele a capo alla sua squadra d'alabardieri posti in tutta armatura.
Il giovine Medici portava un elmetto d'argento liscio, lucido, con una
candida penna sul cimiero; aveva il corsale dello stesso metallo
profilato in oro, e vestiva il resto del corpo di panno cremisino
stretto alle braccia ed alle gambe, ma che s'allargava moderatamente
alle spalle ed alle coscie, ove era coltellato con bianche striscie di
drappo di seta: portava nuda nella destra la lunga spada, camminava
presto al pari degli altri, ma teneva gli occhi al suolo, e gli si
leggeva in volto una grave mestizia. Quando fu poco lungi dal luogo ove
trovavasi Falco, di cui egli non s'era punto accorto, ascoltò i soldati
che marciavano dietro a lui susurrare tra loro: _ecco Falco... ecco il
capitano della Salvatrice_.
Alzò Gabriele subitamente lo sguardo, e quasi trasognando vide quivi
accanto al suo valoroso liberatore la figlia di lui, il pensiero della
di cui non venuta colà era l'unica causa di sua tristezza. Orsola fu la
prima a vedere e riconoscere Gabriele, ed accennandolo a Rina che
attenta osservava al passar de' soldati del Pellicione: "Guarda, guarda,
esclamò, quel giovine signore che dormì nella nostra capanna!" e non
potè trattenersi dall'aggiungere: "oh come sta mai bene! esso mi sembra
le cento volte più bello d'allora".
Rina rivolse avidamente il capo ove accennava la madre, ed al
distinguere le care forme del giovinetto, al vedere il suo leggiadro
sfolgorare nelle armi tremò, impallidì ed appoggiossi al braccio di lei,
mal reggendo alla foga dei palpiti violenti. A quella vista Gabriele
rimase immobile un istante, ma incalzato dalla sorvegnente colonna de'
suoi soldati, fatto colla spada un saluto a Falco, che della mano
sorridendo glielo rese, dovette proseguire rapidamente il suo cammino
con una gioia in cuore che non avea più freno.
Allo squillo delle trombe, al battere dei tamburi, al vedere i soldati
dirigersi verso i padiglioni dello steccato, tutto il popolo s'avviò
quivi tosto accorrendo ed affrettando dalle abitazioni più discoste le
donne ed i fanciulli. Il Pellicione giunto al circo fece postare la
banda de' suonatori in apposito luogo, indi distribuì i suoi
archibugieri nella parte esterna delle tende onde sorvegliassero alla
quiete ed al convenevole collocamento di ciascuna persona secondo il
grado e l'età.
Gabriele pose il maggior numero de' suoi soldati in giro nell'interno
dello steccato a proporzionate distanze, e fece rimanere il restante
all'ingresso dello steccato medesimo aperto fra le due tende erette di
fronte al padiglione del Castellano. Dopo l'uscita delle due squadre
d'uomini d'armi della Fortezza ne discese Gian Giacomo seguíto non solo
dalla numerosa comitiva de' principali suoi comandanti e cortigiani, ma
avente seco eziandio un ospite riguardevolissimo il quale si era il
giovine conte Giberto Borromeo signore d'Arona. Arrivato il giorno
antecedente a Musso di ritorno d'una gita fatta in lontani paesi, aveva
voluto visitare Medici nel suo Castello, poichè da lungo tempo le loro
famiglie erano strette in amistà. Non è a dirsi quale onorevole
accoglimento venne a lui fatto da Gian Giacomo sì per i pregi personali
del conte Giberto, quanto per riguardo alla distinta nobiltà, ricchezza
e possanza di sua stirpe. Sottile e pronto com'era il Medici in
profittevoli ritrovati, la visita di quel personaggio gli suggerì
tostamente un progetto ch'ebbe poscia, sebbene non per lui, un ottimo
successo.
Quando il Castellano entrò co' suoi seguaci e s'assise nel padiglione di
mezzo s'udì una generale acclamazione e reiterati applausi colle grida
di _Viva Medici_--_Viva Gian Giacomo_--_Viva Musso_ e gli alabardieri
alzarono tutti le lancie e le riposero al suolo. Gabriele, appena ebbe
compita la sua fazione del collocamento de' soldati, s'affrettò a
ritrovare Achille Sarbelloni, ed a lui confidò per quel giorno
l'ulteriore incarico del comando di sua schiera; e corse quindi in cerca
di Falco e di sue donne tolti a lui di vista dall'onda del popolo. Stava
Falco con esse in una delle ultime baracche tra una turba de' suoi
conoscenti, terrazzani di Nesso e d'altri luoghi vicini. Gabriele quando
li ebbe veduti s'aprì il passo sino a loro, e con replicati inviti e
preghiere costrinse Falco, la moglie e la figlia a togliersi di là e le
condusse nel padiglione che stava a fianco a quello di Gian Giacomo;
ove, con imperiosa voce fatto sgombrare da chi l'occupava il posto
principale, obbligò con dolce forza ad assidervisi Orsola e Rina,
entrambe intimidite e riluttanti per rossore a quell'inusato cortese
procedere; ed egli rimase presso a loro ed a fianco di Falco, che,
lasciato per la prima volta il suo fido moschetto, stava colle braccia
incrocicchiate, e gli arditi lineamenti del volto spianati e impressi di
contento, aspettando anch'esso non senza qualche ansietà la spettacolosa
rappresentanza il cui soggetto gli doveva andare tanto più a genio, in
quanto che sentiva d'avere contribuito per quanto era in lui alla
vittoria che ne dava cagione.
Vago, diverso, aggradevole era il prospetto della corona di gente che
stipata ne' padiglioni circondava quella spaziosa arena: si vedevano ne'
varii gruppi spiccare elmi, piume, berretti, cappucci e fratesche
coccolle; miravansi donne con abiti a maniche cadenti fregiati e
trapunti, altre con cinture nastri e gioielli sparsi per le treccie e
sulla persona, ed altre finalmente vestite di semplici tele o panni, ma
con vivaci colori e singolari costumanze. Il padiglione del Castellano
appariva fra tutti bellissimo: nel mezzo stava seduto egli stesso col
berretto piumato, il mantello alla foggia spagnuola sopra un sottabito
di raso ricamato in oro; gli pendeva al fianco una spada di brillantata
impugnatura con guaina coperta di velluto purpureo e d'aurea frangia:
alla sua destra stava il Borromeo, alla sinistra l'Altemps, il fratello
Agosto e il Cancelliere, e dietro e dai lati gli altri Capitani.
Datosi il segnale dalle trombe, tutti gli sguardi si conversero alle due
serrate tende da cui dovevano uscire gli attori della mimico-sacra
rappresentazione, detta in allora _Mistero_ costituente la parte
principale dello spettacolo; il di cui soggetto tolto dalle Scritture,
ed allusivo alla circostanza, era il Trionfo di Davide o la Morte del
Gigante Golia. Gli attori erano terrazzani di Sala, borgo prossimo
all'isola Comacina, esperti nell'eseguire tali specie di drammi perché
assueti a rappresentarne ogni anno nella chiesa di San-Giovanni in
quell'isola, a cui accorrevano spettatori da tutte le parti del lago, e
godevano quindi fama di valenti mimi.
L'azione ebbe principio dall'uscire che fecero dalla tenda sinistra
alquanti uomini con certi strani abiti dintorno con che volevano
significarsi Ebrei, i quali, fatte varie militari evoluzioni per lo
steccato, s'arrestarono dinanzi alla tenda destra gridando e
schiamazzando: s'aprì allora anche questa, e ne apparve fuori una figura
altissima e voluminosa, era il gigante Filisteo, che indossava una
sopravveste rossa stretta al corpo a mo' dei Ducali, e s'aveva sulla
smisurata testa un elmo di latta: reggeva a due mani uno spadone
lunghissimo con cui avanzandosi a gran passi trinciava l'aria. Gli Ebrei
al suo avvicinarsi fuggirono scompigliati in ogni senso, e dopo molto
correre inseguiti da lui, rientrarono nella tenda d'onde erano venuti.
Allora il Gigante si condusse in mezzo all'arena e quivi si rattenne
appoggiato al suo gran ferro volgendo il capo superbamente dintorno.
Mentre esso si stava colà, s'aprì di nuovo la sinistra tenda, e ne uscì
un giovinetto vestito da pastore, che rappresentava Davide, il quale
girò l'arena mostrando di non avvedersi dei Gigante siccome questi di
lui, ma venuto al fine nel mezzo di essa il pastorello mirò Golia
facendo un atto di soddisfatta meraviglia come di chi trova quel che va
cercando. Il Gigante fe' cenno al pastorello s'allontanasse, ma questi
all'incontro diedegli segno d'essere venuto a disfidarlo. Golia
indispettito alzò la spada andando con ira verso di lui, ma il
giovinetto si ritrasse a moderata distanza, inginocchiossi invocando il
soccorso del cielo, indi alzatosi sciolse una corda che il cingeva, la
quale s'aveva nel mezzo la reticella che servire doveva di fionda, la
caricò d'un sasso, e ruotandola slanciò la pietra nella testa al
Filisteo, che dopo aver barrollato per alcuni istanti, cadde con gran
tonfo riverso al suolo: allora il giovinetto, piegate di nuovo le
ginocchia, rese grazie della vittoria al Signore, indi levò di mano al
Gigante il ponderoso ferro e con quello gli spiccò il capo, ch'era
artefatto e dipinto, e andava unito con cordicelle all'imbusto, entro
cui stava un uomo de' più alti e vigorosi che vedeva fuori per due buchi
praticati nella sopravveste. Al suo cadere erano accorsi dalla tenda gli
Ebrei, che giubilando alla vista della completa vittoria del pastorello,
lo levarono in alto sovra un seggio, infissero la testa di Golìa sur una
picca, e trascinandone pei piedi il corpo, fecero un giro trionfale per
lo steccato al suono di trombe e tamburi, e fra clamorosi applausi e
novelle grida di: Viva Musso, viva il Castellano, morte ai Ducali.
In seguito a tale drammatico spettacolo, che ben lungi dal sembrare,
come sarebbe avvenuto a' dì nostri, goffo e rozzo, fu tenuto da tutti
straordinariamente bello e interessante, si diede principio a giuochi di
corsa, d'assalto e di tiro al bersaglio. Primo fra questi fu il correre
al pallio, ch'era un'asta a cui stava appesa una collana, un pugnale ed
una veste, i quali oggetti dovevano appartenere ai tre primi tra i
gareggiatori che dopo varii prefissi giri pervenivano a toccare il
pallio. Dopo la corsa al pallio vi fu combattimento di lancia e spada,
senza punta e filo, tra varie coppie di disfidatori, e finalmente
piantato il bersaglio, fu lecito a ciascuno il trarre ad esso dapprima
colle balestre, poscia cogli archibugi, ottenendo i bersaglianti che
coglievano in bianco il premio d'un _cavalletto_ d'argento.
Gian Giacomo, accommiatando tutti quei che il seguivano, ad eccezione
del conte Borromeo, dell'Altemps, del fratello Agosto e del Sarbelloni,
uscì dal padiglione e recossi con essi loro nella casa in cui abitavano
le di lui sorelle colle cugine, ove per suo comando era stato disposto
un sontuoso pranzo.
Diede termine ai giuochi nel circo l'arrivo colà annunziato di quantità
di vettovaglie e botti di vino, recate entro barche dal Castello, da cui
appena scaricate se ne fece larga e pubblica distribuzione, per il che
erettesi prestamente nuove tende per tutto quel lido, nell'interno
stesso dello steccato i terrazzani colle loro donne e fanciulle
frammisti agli uomini d'armi, ai rematori, seduti in gran numero di
distinti crocchii, si diedero lietamente a mangiare e vuotar tazze, con
chiasso infinito di grida, di scoppii di risa, di canti e di evviva
diretti la maggior parte al Castellano, il cui rimbombare giungeva grato
e soddisfacente all'orecchio e scendeva al cuore dell'ambizioso Medici,
e si spandeva lontano per le sponde, annunzio ai discosti del festevole
universale tripudio che regnava sulla riva di Musso.


CAPITOLO DECIMO.
S'ei non potesse
Tutto staccare il suo pensier da un trono
Ch'egli alzò dalla polve?...
Un Duca ardente di conquiste, inetto
A sopportar d'una corazza il peso,
Che d'una mano ha d'uopo e d'un consiglio,
Al Condottier lo chiede, e gli comanda
Ciò ch'ei medesmo gl'inspirò.
MANZONI. _Il Conte di Carmagnola_. Att. III.

Nel tempo che durarono i giuochi, Gabriele rimasto sempre al fianco di
Falco e presso a Rina s'era beato delle più dolci e delle più soavi
sensazioni che sia dato provare all'uman cuore. Egli aveva tenuto
tenacemente attaccato lo sguardo alle forme dell'adorata fanciulla e
sentito nel contemplarle quel compimento di felicità che l'antecedente
vaneggiare di sua mente gli aveva lasciato intravedere possibile.
Meno subitanea per vero nacque la gioia nel seno della bella giovinetta
montanina. La novità del luogo, la varietà delle cose, la quantità delle
persone quivi raccolte recarono sulle prime somma confusione e
divagamento nello spirito di lei, che abituata alla solitaria quiete
della sua capanna e de' suoi monti, vedevasi per la prima volta in
simile rumorosa adunata. Lo splendore, la ricchezza delle armi e
dell'abito del giovine Medici, che tanto lo illeggiadrivano e ne
rendevano più nobile e interessante l'aspetto, avevano in essa fatta più
eminente l'idea dell'alto suo grado, e resa quindi maggiore una certa
impressione non mai cancellata in suo cuore, di vergogna, di soggezione
portata quasi sino alla temenza per l'affetto profondo per lui concepito
e per le illusioni a cui per esso s'era abbandonata, la qual cosa unita
allo sbalordimento cagionatole dal tumulto che la circondava, le teneva
l'anima oltremodo angustiata e sospesa. Allorquando però fu principiata
la mimica rappresentazione e tutti gli occhi degli spettatori,
compresivi quelli di Falco e della propria madre, furono rivolti
attentamente agli attori che comparvero nello steccato, Rina s'avvedendo
che quei soli di Gabriele stavano fisi immobilmente sovra di lei, provò
un sensibile alleggerimento al cuore e non seppe resistere ai desiderio
di girare lentamente il capo e sollevare, sebbene con assai di timidezza
e trepidazione, su di lui le pupille. Alla vista del fuoco,
dell'espansione, della vita di che mirò animati gli occhi ed i
lineamenti tutti di quel caro viso, si sciolse ad un tratto, come neve
al sole, ogni titubanza e turbamento che le serrava il petto, e
rimirandolo una seconda volta meno pavidamente, sentì scorrere più
libero per le vene il sangue acceso da quella fiamma che secreta ardeva
in lei con tanta forza.
Lunghi e pieni d'inenarrabile dolcezza furono gli sguardi di quegli
amanti, che una purissima voluttà invadea, quella tenera voluttà d'amore
a fronte a cui è gelido e fosco ogni altro diletto. Belli entrambi a
perfezione nelle loro giovanili forme, la varietà del loro vestimento ne
faceva più attraente e singolare la prossimità; Gabriele col piumato
elmetto d'argento, collo splendido corsaletto e la ricca spada offriva
l'immagine della forza ingentilita che contempla la schietta e semplice
bellezza rappresentata da Rina, il cui unico adornamento era un nastro
purpureo che le serpeggiava nelle nere e lucide treccie trattenuto da
uno spillone d'oro.
Terminati i giuochi del circo, Gabriele volle che Falco e le sue donne
prendessero ristoro di scelte vivande ad una mensa ch'era stata disposta
in uno de' più addobbati padiglioni per esso lui, pel Cancelliere e pei
più distinti Capitani d'armi. Colà venuti e sedutisi tutti intorno al
desco, nacquero tra i cibi e il vino i più fervorosi colloquii, e
rimbombarono là dentro ripetuti _evviva_ al Castellano come risuonavano
all'intorno. Falco, cui la vista dei singolari ed armigeri spettacoli
poco innanzi rappresentati avevano esaltato lo spirito, trovandosi fra
quel crocchio di cospicui guerrieri commensali che giocondamente seco
lui s'intrattenevano, vedendosi dalle cordialità del giovine Medici
pagato ad usura dell'affetto che per lui nutriva, lieto in cuore ed
animato andava esprimendo co' suoi franchi e robusti modi il suo
attaccamento alla causa del Castellano e la speranza che nutriva di
cooperare per lui a nuove e più clamorose vittorie. Orsola godeva alla
contentezza che leggeva in volto al marito, e frammetteva spesso qualche
suo motto alle semplici parole che Rina e Gabriele andavano tramutando,
e di cui essi soli però sentivano la vera espressione ed il valore.
I raggi del sole, rivolto al declinare, penetrando obbliquamente per le
aperture di quel padiglione, spandevano una luce calda rossiccia che
riflettevasi pei vasi, le tazze, il metallo dell'armi e degli
addobbamenti, e dava singolare risalto alle forme ed agli abiti di tutti
quei personaggi assisi quivi alla mensa. Lumeggiati da tal chiarore
apparivano più distinti e caratteristici i volti di que' guerrieri, ne'
cui pronunciati lineamenti stava improntata la fiera ed audace vivacità
dell'indole, fatta ancora più incontinente e decisa dai fumi del vino
senza parsimonia tracannato, che rendeva a molti rubiconde le guancie, e
faceva ad altri lucide ed ardenti come carbonchi le pupille. Giovin rosa
fra rudi arbusti era Rina in quel convegno; ma benchè non pochi dei
capitani vibrassero su di lei furtivi sguardi, nessuno ardì far pure un
cenno con atti o con parole che al pudore di lei potesse riuscire
offensivo, poichè oltre che i più s'erano avveduti dell'interessamento
di Gabriele per lei, era dello spirito dei tempi, che dominava anche
sugli animi più inverecondi, il non prorompere alla presenza di donne o
fanciulle in motti sconci od osceni.
Dopo alcun tempo da che durava quel convito, e da che i commensali,
consunte le vivande, non attendevano che al vuotare i calici ed al
novellare, s'udì elevarsi al di fuori un gran clamore con ripetuti
prolungati _evviva_. Erano applausi al Castellano che uscito dalla casa
delle sorelle si recava col Borromeo ed il rimanente di sua comitiva
alla volta dell'arsenale, con che soddisfacendo al desiderio dal Conte
enunciato di esaminare partitamente quel vasto edificio, famosa officina
d'armi e di navi, assecondava la propria mira che era di far nascere in
lui più grande ed energica l'idea della sua potenza per guadagnarne lo
spirito interamente.
Riferita nel padiglione di Gabriele la causa di quei clamori, tutti di
là si partirono dirigendosi la maggior parte all'arsenale, ove si
recarono pure Gabriele medesimo con Falco, Orsola e Rina. Entrati questi
colà s'aggirarono buona pezza pei cantieri, per le sale delle arti e
degli armaiuoli; ma della vista delle cose ivi esistenti non si
compiacque altri che Falco, nella cui mente s'aggiravano di continuo
immagini di navi, di spade, di pugnali, d'archibugi: Orsola, troppo
semplice ed inesperta, nulla comprendeva intorno ai complicati ordigni
d'armamento: Gabriele e Rina, l'un dell'altro indefessamente occupati,
poca attenzione prestavano a quegli oggetti che al pari d'ogni altro più
prezioso e singolare del mondo non potevano produrre ad essi alcuna
impressione aggradevole, poichè ogni loro facoltà era assorta
nell'infrenabile sentimento d'amore.
Trascorso tutto l'arsenale, ne riuscirono all'uscita nel momento appunto
in cui vi perveniva da un altro lato Gian Giacomo co' suoi nobili
seguitanti. Gabriele, rompendo l'ala di popolo che difilata nel cortile
attendeva il Castellano al passaggio, si presentò a lui indicandogli
essere colà Falco, il quale si rattenne indietro con sue donne compreso
da soggezione e rispetto. Gian Giacomo cercò tosto avidamente collo
sguardo quel suo valoroso Comandante di nave, e scortolo l'invitò della
voce e della destra a farsi innanzi. Non potendo rifiutarsi a tal
dimanda, s'avanzò desso, abbandonando però tra la folta le donne; ma
Gabriele il quale, benchè si fosse rivolto a complimentare il conte
Borromeo, se ne avvide, disse istantaneamente al fratello che col
guerriero di Nesso erano venute la di lui moglie e la figlia. Gian
Giacomo costrinse Falco a condurgliele davanti, e venute queste pure
alla sua presenza, veduta appena la rara beltà della giovinetta, e
accortosi dall'arrossire improvviso di Gabriele cosa passasse in lui,
vibrò su di esso un rapido sguardo, ma così severamente espressivo e
penetrante, che il giovine Medici impallidì di tal maniera, che se non
era l'elmetto che gli ombrava parte del viso, sarebbonsi tutti i
circostanti accorti di quel subitaneo tramutamento di colore. Si volse
però tosto il Castellano con cortese modo alle donne, e dopo averle di
nuovo guardate, sorridendo a Falco amichevolmente, disse:
"Tali fiori crescono sulla tua rupe? e tu ne li volevi tenere celati? ma
non sai tu che di simiglianti si trovano radamente nelle pianure e nelle
città?--Che ve ne pare, Conte d'Arona? (chiese al Borromeo.) Il nostro
Luino, l'Oggionno o il Da Vinci non avrebbero ritratta questa fanciulla
per farne un'angioletta o un serafino da porre nella gloria sull'alto
d'una chiesa?"
"Io ho conosciuto un Gaudenzio da Varallo, rispose il Borromeo, che
facendo ottimi dipinti e statue per le sacre cappelle del suo monte
soleva prendere a modello le donne Fobellesi, che quanto a perfezione di
forme portano il vanto fra le donne italiane, ma son convinto che
all'occhio di quel pittore questa fanciulla non sarebbe apparsa punto
inferiore alle stesse sue predilette montanine Valsesiane".
"Quant'essa leggiadra, riprese Gian Giacomo, altrettanto valente è il
padre suo. Questi è quel Falco abitatore della rupe di Nesso, quello il
cui nome suona così terribile ai nostri nemici. Due volte ei sottrasse
Gabriele ad imminente pericolo di morte; e fatto comandante d'una nave
dell'antiguardo della mia flotta, diede nell'ultima battaglia le più
segnalate prove di destrezza e coraggio, per cui l'ho caro e lo stimo
siccome uno de' miei più prodi guerrieri".
Il conte Borromeo, come tutti gli altri astanti, andava contemplando
curiosamente Falco, a cui l'ardito portamento, la fierezza, sebbene
alquanto mitigata, della guardatura e dei lineamenti, il giaco di maglia
che portava sotto la schiavina da rematore, i pugnali infissi nella
cintura, e la rete d'acciaio che gli copriva il capo davano il più
marcato aspetto d'un formidabile pirata. Il Conte s'era maravigliato
alle prime nel vedere il Medici accogliere con segni di tanto favore un
uomo di quelle sembianze, ma udite quest'ultime parole: "Vi sono anche
sul nostro lago Maggiore, disse, molti Locarnesi ed Intraschi che
adoperano con somma perizia tanto il remo quanto l'archibugio, ma dirò,
o Castellano, che nessuno può stare a petto di costui se giunge a
meritare sì aperta lode da un condottiero d'armati come voi siete".
"Egli non è ammirato soltanto da me: tutti quelli che salirono la flotta
dovettero palesamente convenire del suo valore. Or permettetemi, nobile
Borromeo, che mentre facciamo la via alla zecca di Musso, che mi diceste
vi piace vedere, io m'oda da lui la relazione del compimento d'un
incarico che gli confidai".
Uscirono così parlando dal cortile dell'arsenale: precedeva il conte
Giberto coi principali capitani del Medici, veniva poscia questo stesso
avente Falco a sinistra, e dietro Gabriele con Rina e la madre.
"Ebbene, che mi narri dei Ducali?" chiese Gian Giacomo a Falco con bassa
ma ansiosa voce.
"Sono tutti accovacciati dentro le mura di Como", rispose questi
sommessamente esso pure.
"Non lasciarono presidii? non munirono rocche? non devastarono od
incendiarono Terre?"
"No. I colpi che loro appoggiammo presso Bellaggio gli stordirono ed
ispaventarono in modo, che fuggendo tutti precipitosamente, non si
credettero in luogo di sicurezza che quando videro frapposti tra essi e
noi i baluardi e le torri di Como".
"Credi tu, mio Capitano (pronunciò Gian Giacomo abbassando maggiormente
la voce e stringendo il braccio a Falco presso la mano) che noi non
saressimo capaci di scambiare le nostre palle colle loro sotto le mura
stesse di Como? che ci sarebbe impossibile il farli sloggiare anche da
quella città? Il Baradello è stato da essi medesimi distrutto, ed i
bastioni ora esistenti non sono sì alti e massicci da non potervi far
breccia o montare colle scale all'assalto".
"Castellano (rispose Falco, sovrapponendo con calore la sua destra mano
a quella del Medici che gli stringeva il braccio, poichè quella proposta
fatta in tuono confidenziale infiammandogli la mente, il fece dimentico
d'ogni differenza di grado), datemi la vostra parola che il più presto
possibile ci condurrete innanzi a Como, ed io vi giuro, che se una palla
non mi trapassa il petto, pianterò pel primo la vostra bandiera sul
baluardo del porto di quella città".
"Parleremo di ciò in altri momenti", a lui rispose freddamente Gian
Giacomo ritraendo la propria mano, poichè gli parve improprio quel
calore e quella famigliarità con cui il montanaro s'era espresso: "e
appunto affinchè io possa aver agio di favellare con te ogni volta che
ne avrò piacimento, tu devi determinarti a rimanere qui meco colla donna
e la figlia, e rinunziare alla tua abitazione della rupe. Quella casa
che vedi là sulla destra al principiar dell'altura, apparteneva al
traditore Filippo Tressano; ora è posseduta da me e trovasi vuota
d'abitatori, io te ne faccio un dono; va ad albergarvi con tua famiglia,
poichè ho brama decisa che tu non ti discosti mai da Musso se non per
mio comando".
Falco, confuso e sorpreso da quel dono inaspettato, rimase alcuni
istanti in forse, mal sapendo se dovesse rendergliene grazie, o
apertamente rifiutarlo, poichè non fu invaso che dall'idea, occorsagli
troppo tardi un'altra volta, del sacrificio della propria indipendenza e
dell'amore del luogo natio, e mentre raccozzava parole di scuse per
temporeggiare a decidersi, essendo tutta la comitiva pervenuta in Musso
alla porta della zecca, il Castellano troncò a lui sulle labbra ogni
detto, pronunciando rivolto a Gabriele: "Tu che devi amar Falco, e so
che l'ami più che alcun altro dei nostri, tu ti assumerai la cura di
provvedere quanta fia d'uopo per rendere abitabile la casa di Tressano
che ho data a lui: fa ch'egli vi trovi tostamente quanto può desiderare
per rimanervi comodamente con sua famiglia, e quanto può valere a
compensarlo dell'abbandono che lo costringo a fare del suo abituro di
Nesso.--Addio, Falco... addio voi donne; d'ora innanzi noi ben ci
potremo più frequentemente vedere". Così dicendo s'accostò al conte
Borromeo e lo scortò nell'entrata dell'edificio ove si coniavano le sue
monete.
Falco rimase immobile e pensoso alcun momento presso la porta di quel
fabbricato, poscia dirigendo la parola a Gabriele che gli si era
accostato premuroso d'udire le sue risoluzioni: "Ho deciso, esclamò:
accetto il dono che m'ha voluto fare il signor Castellano: lascierò la
mia capanna della rupe e verrò a stabilirmi in Musso. Nessuno osi dire
però che io mi sono condotto a questo passo per desiderio di dimorare in
una grossa Terra all'ombra d'un potente castello: no, per l'anima mia:
se Falco si stacca dal suo vecchio nido, se si decide a non rivedere più
mai i sassi e gli alberi della sua montagna, è solo per amor tuo, o Rina
(e mirò la figlia con uno sguardo da cui trapelava il vivo paterno
affetto frammisto al dolore del sacrificio a cui, in suo pensiero,
quell'affetto il forzava); per te soltanto io darò un eterno addio alla
mia rupe; rinunzierò interamente alla libera disposizione di me stesso
per procurarmi la certezza che il piede d'un ribaldo nemico non possa
calcare inosservato il sentiero che guida al casolare dove tu dimori e
vendicarsi di me nel tuo sangue".
Invaso Gabriele a tali espressioni da inesprimibile contento: "Così
operando, disse, tu confermi e dài finalmente esecuzione a quanto ti eri
proposto allorchè mi conducesti libero a Musso: allora dicesti che
volevi, prima di chiedere altri favori a Gian Giacomo, aver combattuto e
vinto i Ducali; la sorte ci ha assecondati, e come tu bramasti, il dono
di mio fratello non è che un premio meritato dal tuo valore. Rimane a me
solo l'obbligo presentemente di dimostrarti la mia gratitudine, e il
farò occupandomi all'istante del fare addobbare d'ogni arredo la casa
dei Tressani, che i nostri soldati spogliarono di tutto nel dì che
Filippo ci si chiarì traditore". Ciò detto s'incamminava già frettoloso
a ricercare uomini ed artieri onde dessero mano sul momento a disporre
alcune camere della casa in modo d'essere quella notte medesima
abitabili, riservandosi a procurare con miglior ordine e diligenza le
altre cose necessarie nella susseguente giornata. Ma il guerriero
montanaro richiamandolo il trattenne, poichè sebbene si fosse risolto di
cangiare luogo di dimora, non voleva che tale sua deliberazione avesse
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