Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 12

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il solo dei Comandanti di nave che fosse mancato alla pubblicazione
degli ordini che tra poco sarà fatta da Gian Giacomo per una generale
fazione".
"I preparativi che avrai veduto farsi, disse il Mandello accostandosi
con varii altri al soppraggiunto Falco, i molti uomini in cui ti sarai
scontrato, ti avranno fatto accorto che attendiamo in queste acque una
visita dei Ducali; ma che dico? tu devi saperne le novelle più fresche
di noi perchè vieni di giù verso Como?" "Io le so recentissime in fatti
(rispose Falco, e tutti l'accerchiarono bramosi in parte di mirare
d'appresso quel celebrato pirata, e in parte d'udire ciò che avesse di
nuovo a narrare), ma le ascolterete tra poco anche voi tutti più
estesamente che da me, perchè sono pervenute nella Fortezza con lettere
che ora si stanno nelle mani del signor Castellano".
"Dimmi Falco, gli chiese con istanza Gabriele, tramutata in fierezza la
dolce espressione del viso, sai tu se Alessandro Gonzaga sarà il
condottiero dei nostri nemici? Una vittoria ov'ei non vi fosse mi
sarebbe dolorosa al pari d'una sconfitta".
"Il loro ammiraglio sarà il signor Gonzaga senza alcun dubbio, rispose
Falco, poichè nessun altro capitano hanno i Ducali che valga più di lui
a sostenerne l'impegno".
"È vero, entrò dicendo Lodovico Bologna, che debbono essere in sì gran
numero, che per ciascuno di noi vi saranno dieci di loro?"
"Eh te le danno a credere grosse, si fece a rispondergli Domenico Matto:
quanti vuoi tu che siano, se non hanno che da sedici a dieciotto navi da
poter salire? A piedi per il lago non crederai che ci possano venire;
per i monti non v'è passaggio: dunque se fosse giunto a Como anche
l'esercito del Soldano, potrebbe starsene là a scalcinare le pietre del
Baradello, poichè più di due migliaia di loro, a dirne assai, non ponno
oltrepassare Bellaggio".
"Così avvenisse, parlò Falco, che non solo l'armata di Como, ma tutti
quanti sono i nemici avessero facoltà di salire sulla flotta, che almeno
distruggendola compiutamente non vedremmo più alcuno di quella razza
scellerata a comparire su queste sponde; ma credo che molti di loro,
invece di attenderci sulle acque, se ne andranno a molestare quei che si
stanno a Monguzzo ed a Lecco".
"Evviva loro! lascia, mio bravo _guerillero_, che ci vadano pure, gridò
Alvarez Carazon prendendo gioiosamente la mano di Falco. A Monguzzo c'è
Battista, buon soldato, sai tu, e furbo, che se ne ride del Moro di
Marocco; a Lecco me ne andrò io, e voglio vuotare tanti bicchieri quante
teste vedrò fracassarsi contro le barricate del ponte d'Adda: quando ci
ha da... (ed alzò il braccio con stretto il pugno e il pollice teso
accennando alla bocca) un Catalano porta sempre con se buona fortuna. Io
sono stato anni sono in un paese di là del gran mare che c'è dalle
nostre parti, in un paese strano, vi dico, dove l'oro è sparso a
bizeffe, ma dove non si trova una goccia di vino. Oh se vedeste che
razza di gente, che qualità di serpenti e d'animali si trovano colà! Gli
uomini e le donne vanno nudi, e non hanno che una fascia di penne
intorno ai lombi ed un'altra in giro sul capo; sono cani ostinati che
non vogliono saperne nè della croce nè di san Giacomo di Compostella,
per cui noi quanti ne potevamo incontrare, tanti ne ammazzavamo per
ridurli alla fede. Ora voglio contarvi un caso singolare che mi è
accaduto in quel paese, per farvi conoscere come un fiaschetto di Malaga
portato per accidente dal vascello abbia salva la vita a me ed a dieci
altri Spagnuoli. Entro un foltissimo bosco sulla riva d'un lago che
chiamano... aspettate... chiamano di Mexico..."
"Il tamburo, il tamburo, gridò il Mandello, uditelo, annunzia la venuta
del signor Castellano: ei s'arreca in questa sala per darci gli ordini
suoi e parteciparci le notizie venute da Como". Dolse ad alcuni di que'
Capitani più amici delle venture del vino che di quelle delle armi, che
la narrazione del Catalano venisse tronca, e più a lui stesso, che era
di natura cicalone, massime ragionando di fatti che lo risguardavano, ma
piacque al maggior numero che a quelle inutili ciarle preferivano il
conoscere quali fossero per essere le disposizioni che si darebbero dal
Medici loro capo e signore, sulla cui perizia delle cose guerresche
s'avevano somma fidanza, e tanto più nelle circostanze difficili, nelle
quali estimavano che la di lui sagacità s'addoppiasse a pro comune,
avendo l'interesse proprio a quello di ciascuno di loro strettamente
collegato.
Annunziato dai tamburi delle squadre del Forte, e preceduto dal Borserio
e dal Sarbelloni, entrò il Castellano in quella sala avendo al suo
fianco il confidente Pellicione, il fratello Agosto ed il conte Volfango
d'Altemps. Tutti i Capitani si raccolsero in cerchio intorno a lui
rimanendo nel più perfetto silenzio. Gian Giacomo, posata la sinistra
mano sull'elsa della spada, curvato l'altro braccio sul fianco, tenendo
ritta la persona ed alta la testa, col viso animato da straordinaria
energia e intrepidezza: "Miei Capitani, disse con voce forte e gioiosa,
vi do il grato annunzio che il secondo giorno che sorgerà sarà il dì
della tanto aspettata battaglia. Tutti i movimenti che si faranno dai
nostri nemici mi sono già perfettamente noti, e i più recenti avvisi non
mi lasciano ormai alcun dubbio anche sulle più minute particolarità del
piano di battaglia che verrà seguito dai Capitani Ducali. Il palesare a
voi ch'essi spiegheranno tutte le loro possibili forze per vigorosamente
assalirci, non è che dimostrarvi in qual alto conto ci tengono. Nostro
impegno però sarà il provare ad essi che si sono ingannati, credendoci
soltanto possenti e gagliardi: debbono venire da noi costretti a
stimarci a fronte loro invincibili. Tutte le nostre navi sono allestite,
i soldati pronti, e le bande delle nostre terre più discoste, già
pervenute a Musso e poste in armi, non attendono che l'istante del
combattere. Fuorchè cinque di voi che ho destinati a fazioni di terra, e
tu, fratello Agosto, che col conte d'Altemps ti rimarrai a comando ed a
guardia di questo Castello, gli altri tutti mi seguiranno ad incontrare
il nemico sul lago. Do frattanto ordine espresso che nessuno de' miei
comandanti possa uscire dalla fortezza se non dietro mio cenno o del mio
luogotenente (ed additò il Pelliccione), cui ho dato l'incarico
d'indicare a ciascuno di voi la nave e gli uomini che gli vengono
assegnati a condotta, il posto che gli converrà tenere ed i segnali cui
dovrà ubbidire nella battaglia. Tu, Alvarez, partirai quest'oggi stesso
per Lecco, conducendo colà bombarde e munizioni che ho già fatte
disporre sulla nave di Pirro Rumo; quivi il capitano Amadeo ti cederà il
comando del Castello e del ponte, che tu difenderai da tuo pari; siccome
il presidio di là giù è assai numeroso, farai salire trenta uomini sulla
nave di Pirro, che, retrocedendo ben tosto, raggiungerà con essi la
flotta. Tu, Luca Porino, ritornerai questa notte a Corenno, e di là ti
recherai con metà di tua schiera a munire il passo d'Olgiasca, e
manderai il Gatto col rimanente delle barche a Varenna, ove gli
ordinerai di fare trascinare le artiglierie sugli scogli, appuntarle
verso il lago ed adoperarle coll'usata bravura a tempo opportuno. Pietro
Polto si recherà con cinquanta Pievesi nel Castello a Gravedona, e
Lodovico Bologna a Rezzonico: là troverete armi e provvigioni; custodite
diligentemente il passaggio. Alla tua brigata di cacciatori, o Mattia
Rizzo, cui non piace lo starsi sull'acqua, ho prefissa un'incombenza
degna di te e di loro. Andrete sull'alto dei monti ad attendere al varco
non faggiani o camosci, ma orsi fieri e rabbiosi, cui son convinto non
cederete il dominio della montagna; quando starai per partire ti darò il
comando d'un buon drappello di uomini d'armi e di guastatori che ti
gioveranno all'impresa. Quanto volentieri, o Falco, darei a lui per
compagno anche tu stesso, poichè so qual terrore incutano ai Grigioni le
stelle lucenti del tuo berretto: ma non vo' privare la flotta d'un
comandante par tuo; tu devi nella battaglia rimanerti colla nave a
fianco di quella del mio Gabriele, e la _Salvatrice_, guidata da te, non
può smentire il suo nome".
Qui fece un istante di pausa, e tosto nacque un generale bisbiglio a
comento de' suoi detti, ma dato un segno colla mano e ricomposti tutti a
silenzio, riprese: "S'io presentemente dubitassi della vittoria avendo
voi per capitani, e per soldati uomini sì fidi ed esperimentati quanto
lo sono i nostri, farei il più manifesto torto al coraggio ed allo
splendido valore di tutti. La serie delle nostre battaglie fu una catena
di trionfi: questa, che sarà forse la più grande d'ogni altra, dee
coronarci della massima gloria, per cui può essere accertato l'assoluto
decadimento de' nostri nemici, l'ingrandimento della potenza di Musso
sul lago, e l'obbedienza dell'orgogliosa Como alle nostre bandiere".
In così parlando sfavillava di fuoco guerriero al Medici lo sguardo, e
pari ardore agitando i suoi Capitani, ad una voce applaudirono a' suoi
detti, gridando: "Viva Musso, viva Medici; morte ai Ducali", e tali
_viva_ vennero ripetute sin che Gian Giacomo, uscito dalla sala d'armi,
non si fu condotto di nuovo nelle sue stanze; dopo di che que'
guerrieri, abbracciandosi per contentezza tra loro e ripromettendosi
ogni buona ventura, si dispersero per il Forte, ove a tutto quanto
poteva ad essi abbisognare in cibi, bevande ed alloggiamenti era stato
per cura del Castellano abbondevolmente provveduto.
Di qual modo il Medici possedesse una compiuta conoscenza del piano di
guerra adottato dai Ducali, agevolissimo si è lo scoprirlo ove si ponga
mente al molto numero delle persone che ne dovettero essere poste a
parte. Le spie che Gian Giacomo manteneva in Como, oltre i partitanti
suoi che si stavano colà, avevano avuto cento mezzi d'essere esattamente
istruiti di quanto si tramava, e di trasmetterne quindi a lui le più
minute relazioni. Anche Battista mandava da Monguzzo a Como i suoi
esploratori, e da questi appunto avendo ricevuta la notizia del giorno
stabilito per l'uscita della flotta Comasca nel dì stesso che fu dai
Commissarii Ducali prefisso, spedì immediatamente il servo Daniello
Perego qual messo, colle lettere per avvertirne il fratello. Non
distraendo che pochissime forze, Gian Giacomo distribuendo nel modo da
lui accennato i suoi Capitani, provvide alla sicura difesa dei punti
principali de' suoi dominii sulle due sponde del lago. La più
considerevole di tutte per la qualità ed il numero degli uomini era la
spedizione ordinata a Mattia Rizzo donghese, spedizione importantissima,
perchè doveva impedire alle truppe della Lega Grisa d'occupare le
sommità dei monti, e di discendere quindi verso Musso o verso il
Castello. A norma dei comandi di Gian Giacomo, Rizzo dovea condursi
sulle alture della soprastante montagna, appiattare la squadra d'uomini
d'armi e di guastatori presso il luogo ove vedrebbe avviarsi
dall'opposta valle i nemici, e distribuiti pei dirupi circonvicini i
suoi cacciatori, pratici da lungo tempo di quelle ertezze, attendere il
giusto momento in cui gli Svizzeri si trovassero maggiormente
imbarazzati e stanchi dell'aversi tirate là su a sommo stento le
artiglierie, piombare loro addosso, e ricacciarneli in fondo. Viveva
certo il Castellano, che condotte le cose in tal maniera, la sorpresa,
la lassezza del nemico, le naturali difficoltà dei luoghi avrebbero
assicurato l'evento. Nella pugna navale s'aveva pure grande speranza di
vittoria, perchè fatto calcolo di tutti i suoi mezzi, gli risultavano
superiori a quelli dei nemici: Lecco e Monguzzo stavano nelle mani di
Capitani avveduti ed impavidi; quindi non dubitava quasi che il
complesso delle cose non fosse per essere a lui favorevole: per ciò
quantunque la necessità di provvedere a mille bisogna, d'ordinare, far
disporre, dirigere, esaminare le opere eseguite il tenesse in continua
agitazione e fatica, pure la mente sua mostravasi nè abbattuta nè
depressa nè agitata, che anzi ilare ed in lieto aspetto presentavasi a'
suoi capitani e soldati, gli uni e gli altri intrattenendo, più che non
fosse da pria assueto, con giocondi motti e famigliari richieste.
Quel giorno medesimo partì dal Castello, come venne ordinato, sulla nave
di Pirro Rumo, il capitano Alvarez per alla volta di Lecco: al
principiare della notte partirono pure i capitani Porino, Polto e
Bologna, ed in ora più avanzata Mattia Rizzo co' suoi cacciatori ed i
soldati. Verso il mezzodì del giorno seguente tutti i lavori d'attrezzo
e di carico intorno alla flotta erano compiutamente finiti, ed ogni
armamento messo in perfetto sesto, onde i capitani, i soldati ed i
rematori non si diedero altro pensiero pel rimanente della giornata che
di nutrirsi e starsi in riposo.
Gabriele, dopo avere passato il giorno intero insieme agli altri
Capitani, sul far della sera ridottosi da solo con Falco, gli disse che
pria di recarsi a giacere quell'ultima notte innanzi la battaglia,
voleva andare a prendere congedo da una persona che stava nel Forte, per
cui s'aveva molto affetto e stima, e questa si era il suo maestro,
Messere Lucio Tanaglia, di cui aveva esso pure conoscenza. Falco disse
che si rammentava assai bene del signor Cancelliere che non aveva
sdegnato di prendere asilo nella sua capanna, che si maravigliava anzi
di non averlo ancora incontrato nel Castello, e che lo avrebbe
volentieri accompagnato da lui onde dargli esso pure un cordiale saluto.
Il povero Maestro Tanaglia, dopo la fatale catastrofe da noi narrata, in
cui s'aveva avuta involontariamente una tanta parte, preso con frequenza
da tremiti, febbri e convulsioni, non era presso che mai uscito dalla
sua cameretta contigua alla cancelleria del Castello, se non per recarsi
in questa a stendere le ordinanze di Gian Giacomo, ciò che però gli
costava grandi sudori, poichè dopo un tiro di quella sorte, come diceva
desso, aveva perduta interamente la testa.
Entrati in un corritoio ed ascesa una picciola scala, Gabriele e Falco
giunsero all'uscio ben chiuso del Cancelliere, ove il primo battendo
moderatamente, per risparmiare inevitabili domande disse tosto con
chiara voce: "Aprite, Maestro, che sono Gabriele, venuto a darvi la
buona notte". Dopo pochi istanti si fece sentire uno strascico di
pianelle, e s'udì levare la spranga e dischiudere il chiavistello, indi
apertasi lentamente la porta, apparve Messere Tanaglia tenendo una
lucerna nella sinistra mano, facendo della destra scudo al lume verso di
sè e riverbero sugli entranti: "Siete voi Gabriele?" pronunciò con una
voce stentaticcia, sporgendo la testa verso di lui per meglio
riconoscerlo, ma la ritrasse tosto indietreggiando due o tre passi,
esclamando spaventato: "Ohimè! chi è là! cosa volete! sono ammalato!
andate via". E la causa di tale suo terrore fu la vista di Falco ch'ei
punto non riconobbe. Così avviene talora ad un timido cittadino, che
posando per avventura in albergo da villaggio ode raschiare alla mal
ferma porticella della stanza assegnatagli, ed ei s'affretta ad aprire
credendo sia un figliuoletto dell'oste o il domestico gatto aspettatore
dei minuzzoli della cena, ma vede all'incontro affacciarglisi un gran
mastino con occhi rossi, con collare a punte di ferro che entra snodando
la lunga coda leonina.
"Ma che! disse Gabriele, voi v'intimorite? non conoscete dunque Falco,
il nostro amico, il nostro liberatore?" "Sì, son io, signor Cancelliere,
che vengo pel desiderio di dargli un saluto in memoria di quella notte
passata nel mio abituro, e vederlo anco una volta prima di domani, in
cui tante conoscenze verranno troncate". "Ah! siete voi quel... quel
brav'uomo di Nesso, vi ringrazio, vi ringrazio: entrate pure, sedetevi
là: perdonatemi se non v'ho ravvisato alla prima, è colpa del lume che
suole alterare le fisonomie". Entrarono Falco e Gabriele, e messere
Tanaglia, serrata di nuovo diligentemente la porta, posò la lucerna
sullo sporto d'un leggío che sosteneva un gran libro in pergamena tutto
dipinto a stemmi e simboli araldici, indi si assise nel seggiolone che
vi stava dappresso, fattisi sedere a rincontro i due venuti a visitarlo.
Lo scarmo viso fatto più pallido dal poc'anzi concepito spavento, la
barbetta ed i capegli incolti, una zimaraccia nera che, sdruscita e
rattoppata in più luoghi, sembrava scritta d'arabiche cifre, davano a
Maestro Lucio il vero aspetto d'un negromante, e pareva che non gli
mancasse che la magica bacchetta con cui toccando quel gran libro che
gli stava allato far nascere incanti e prodigii. E ben può dirsi che a
Falco passassero somiglianti idee pel capo, poichè appena si fu colà
seduto, girati gli occhi a quel volume, intorbidossi in volto, e li
ritraendo quasi con orrore, avrebbe forse cercato d'uscire tosto di là,
se mirando Gabriele, dalle belle e soavi sembianze di questo giovinetto
atteggiate ad una placida calma, ed all'espressione di un sentimento
affatto opposto al terrore, non gli fosse stato all'istante dissipato
dallo spirito, troppo agevolmente suscettivo di strani e pregiudicati
pensieri, ogni sospetto di stregoneria. Maestro Lucio, ben lungi
dall'immaginare quali cose intorno a lui si volgessero nella fantasia di
Falco: "Dunque domani, pronunciò con voce un po' tremola ma pacata, è
proprio vero che vi deve essere battaglia? Già me lo avevano fatto
supporre le lettere di richiamo ordinatemi giorni sono dal signor
Castellano ai condottieri di truppe delle vallate, e l'affaccendamento
in cui vedeva dal mio finestruolo tutta la gente del Castello e del
Porto. Chi sa quanti poveri meschini vi lasceranno la pelle! però non
dico che non s'abbia a fare, anzi è una cosa necessaria,
necessariissima: fate assai bene a darla ad intendere a quei prepotenti
di Ducali: così Dio volesse, che li costringeste una volta a starsene in
pace". "No, no, non vogliamo pace, l'interruppe Falco, sinchè uno solo
di loro rimane sulle sponde di questo lago".
"O certo, certo, ripigliò messer Tanaglia, diceva per dire..."
"State pur lieto, Maestro, l'interruppe Gabriele, perchè passato domani
non udirete sicuramente per lungo tempo altri spari d'artiglierie che
quelli che si faranno per allegrezza o per festeggiamento".
"Così desidero appunto che avvenga, rispose il Cancelliere, perchè in
tal modo non ci occorrerà più di far mettere a pericolo la vita dei
nostri amici, o Falco, per venire a trarci dalle unghie di quei birbi
che ci avevano proprio aggrappati come leprotti da mettere allo spiedo.
Mi ricordo ve' di quella notte così fatta. Che burrasca! e quel dirupo
per cui mi faceste salire? Oh! se non era la vostra brava figliuola a
farmi un po' di lume, per me era spedita: ma, a proposito, come sta
quella bella fanciulla? e sua madre è ella ancora sì spedita e
rubiconda?"
Una scintilla che tocca ed incende non produce sì grande e rapido
effetto, come tale inchiesta al cuore di Gabriele: un indomabile
commovimento lo scosse, sudò tutto e si coprì di rossore, poichè
sembravagli che il Cancelliere gli avesse letto nell'anima, giacchè
aveva pronunciate le parole che egli ardeva di proferire e che pure non
aveva osato mai di fare. Cogli sguardi scintillanti di desiderio, le
labbra semichiuse per l'intensa attenzione, raccolse la risposta troppo
breve di Falco che disse: "Lasciai Rina e sua madre oggi a mattino sane
e vigorose, e tali spero ritrovarle al mio ritorno alla rupe".
A queste succinte parole, ma che pure contenevano il nome di lei
pronunciato dal padre, parve a Gabriele rivederla, accostarlesi, e sentì
un prezioso soddisfacimento al cuore, per cui rimase assorto nelle più
care e deliziose idee. Falco si restò muto anch'egli e pensoso, ma per
assai differente cagione, e volendosi distrarre dalle angosciose
riflessioni che lo assalirono, s'alzò per chiedere commiato al
Cancelliere.
Levossi da sedere questi pure, e Gabriele già da tanti sentimenti
intenerito, pria d'uscire, abbracciollo con affetto figliale, dandogli
con voce quasi rotta dal pianto l'addio. "Addio, rispose non senza una
sincera commozione Maestro Tanaglia, addio, mio caro figliuolo: che
Sant'Ambrogio vi protegga nel giorno di domani: ricordatevi di non
esporvi troppo; abbiate giudizio; tornate sano e salvo dal vostro
maestro, che se il cielo gli dà vita e quiete ha ancora molte e molte
cose da insegnarvi, che sin ora per le altre vostre faccende si sono
dovute mettere da parte. Addio voi pure, mio Falco (e si strinsero
amichevolmente la mano), abbiate cura di questo giovane; non lasciatelo
precipitare, e se me lo ricondurrete bello e robusto come ora si trova,
vi formerò e vi regalerò lo stemma di vostra famiglia". Falco pronunciò
un maschio addio, e presosi per mano Gabriele, il guardò con una fiera
sicurezza che tutto esprimeva l'interesse e la premura che prometteva a
quello, alunno del Cancelliere, e fratello del suo Signore. Uscirono
così entrambi dalla cameretta di Maestro Tanaglia, che udirono
rinchiudere tostamente, e pei porticati ed il cortile del Forte, già
fatto silenzioso ed oscuro, pervennero alle loro stanze di riposo.


CAPITOLO OTTAVO.
Cadon le schiere d'ogni orgoglio emunte,
Difese invan dall'orrida mitraglia
E dal filo dei brandi e dalle punte.
Che in mezzo ad esse rapido si scaglia
E tronca e fora e penetra e calpesta
Sin che l'ultime file apre e sbaraglia;
Poi sotto la vulcanica tempesta
Assal col brando nella destra eretto
De' grossi bronzi la trincera infesta.
GIANNI. _La Battaglia di Marengo_.

Fittissime regnavano le tenebre, chè prossima non era ancora la luce
mattinale di quel dì ventun agosto 1531, allorchè una fiaccola brillò
all'improvviso sull'alto della torre del Forte; subito dopo
l'apparizione di tal lume partì un colpo di bombarda dalle batterie
delle _Case del Marasciallo_ poste a piè del Castello. Un suonare
rapidissimo di tamburi eccheggiò dietro questo segnale, ed il
rumoreggiare di que' ripercossi strumenti di guerra si diffuse in pochi
istanti dal Forte alle Rocche, da queste al Porto e dal Porto alle
strade della vicina Musso e di Dongo. Cento e cento lumi si accesero e
si sparsero ben tosto per tutta la Fortezza, lungo il lido, e sulle
navi, poichè nessun uomo fu tardo ad allestirsi e porsi in armi al
battere di quella diana. Tutti i Capitani, precedentemente istruiti di
quanto avessero ad operare, uscirono dal Castello e si posero ciascuno a
capo della squadra per condurla al Porto mano mano che veniva sgombrato,
e farla salire sulle navi o grosse o minori secondo che ne avea ricevuto
il comando.
Il Pellicione ed il Borserio con varii capi-bandiera e sergenti, postisi
innanzi a tutti presso le sponde, sopraintendevano allo ordinato
imbarcarsi de' soldati ed alla regolare distribuzione di essi sopra la
flotta. Due grandi fuochi accesi sulle opposte estremità dei moli
spandendo un chiarore rosseggiante, rischiaravano tutto il Porto, le
acque ed i legni ivi adunati, e davano comodità alle schiere di salire
dalla ripa ai battelli, da questi agli elevati bordi delle navi, senza
che nascessero confusioni, abbagli o sventure.
Falco trovò vicini al Porto i suoi sei compagni e seco li condusse sulla
_Salvatrice_, su cui montò pure una banda eletta di cinquanta uomini
d'armi che Gabriele pose sotto il suo comando, pria di ascendere colla
propria brigata la nave _l'Indomabile_ che sorgeva accanto alla
_Salvatrice_.
A capo dell'ultima schiera che uscì dal Castello apparve fra mezzo a
numerose ardenti fiaccole Gian Giacomo, coperto d'intera armatura,
coll'elmo lucentissimo sormontato da bianche penne. A fianco a lui stava
il vicario del Castello, Teodoro Schlegel, abate di Dares, in auree
vesti sacerdotali, preceduto da varii camilletti in bianche stole, l'uno
de' quali recava un crocifisso d'argento, ed un altro la sacra
_martinella_ da sospendersi all'albero del brigantino: davanti ad essi
procedeva un gonfaloniero armato che portava il gran vessillo mediceo
coll'asta dorata. Il brigantino era stato, per quanto il concedeva il
basso fondo delle acque del porto, accostato al molo, ove la ciurma
aveva gettato un ponte mobile onde renderne comodo l'accesso, togliendo
la necessità di salirvi dai fianchi; entrarono da tal ponte nella nave
il Castellano, il Vicario coi chierici, il Pellicione e gli altri
capitani che seguivano Gian Giacomo, e finalmente il gonfaloniero con
tutti i soldati. Quando il supremo comandante trovossi a bordo del
brigantino, i rematori levarono il ponte che l'univa al molo, e
cautamente sospingendolo, lo mossero e uscirono dal porto.
Il Borserio, che, montato sul _Busto di ferro_, aveva il comando
dell'antiguardo della flotta, veduto il brigantino movere al largo
sventolando il vessillo alla sommità dell'albero, diè il segnale della
partenza, e tutti i legni sì grandi che piccioli che componevano la
flotta di Musso, spiegate le vele e dati i remi alle acque, salparono di
conserva con infinito mormorío delle onde percosse e rotte da tante
prore.
Le aure notturne spirando da settentrione favorivano il veleggiare verso
mezzodì della classe medicea, per cui al primo diradarsi dell'oscurità
essa era di già pervenuta all'altura di Rezzonico, e quando il sole,
spuntando dietro i monti di Lecco, vibrò i suoi primi raggi sui liquidi
piani del Lario, illuminò quella flotta, che, passate le acque di
Sasso-Rancio, progrediva a gonfie vele ver' quelle di Menaggio. Giunta a
poca distanza da questo borgo, un susurro improvviso si diffuse su tutte
le navi, e ad un segnale dato dal brigantino, ripetuto dal _Busto di
ferro_, si rattennero i remi, si ravvolsero le vele, e tutto il navilio
mussiano arrestossi disposto in lunga fila siccome aveva viaggiato.
Era apparsa la flotta ducale, che, sprolungandosi tra Bellaggio e la
Cadenabbia, s'avanzava lentamente a forza di remi, avendo l'aria di
fronte. Distavano a quel primo vedersi l'una dall'altra le due flotte
nemiche un miglio e mezzo all'incirca. Gian Giacomo Medici fece
soprastare le sue navi un buon quarto d'ora, attendendo l'accostarsi dei
legni ducali, ma sembrandogli che punto non s'inoltrassero, tant'era la
tardità con cui procedevano, trovandosi esse sotto-vento, diede ordine
a' suoi d'avanzarsi, ma a soli remi e senza foga. Quando però ebbe viste
le navi comasche essere giunte presso il capo del promontorio di
Bellaggio, fece dall'albero del brigantino porgere di nuovo il segno
della fermata, ed altrettanto venne comandato ai ducali dal Gonzaga, che
saliva la nave ammiraglia. Dopo questo secondo movimento le flotte si
trovarono discoste un giusto tiro di cannone, ma per alcun tempo nessuna
di esse volle incominciare l'attacco. Spiegato era il mattino, il sole
ora splendeva in piena luce, ora appariva leggiermente velato dalle
nebbie che posavano sulla sommità degli erti monti: azzurrine,
ondeggiate stendevansi le acque che si frangevano mormoranti contro i
numerosi legni che sostenevano. Le due armate, collocate paralellamente
l'una all'altra di fronte, si guatavano immobili e silenziose in
aspettativa ciascuna che l'altra desse principio al combattimento.
Le otto grosse navi medicee stavano d'un bel tratto distanti fra loro,
poichè negli intervalli erano frapposte le borbote e le piatte, alcune
però delle quali tenevansi in una seconda fila formata dalle
scorribiesse e dai battelli. Il purpureo vessillo colle palle d'oro che
sventolava sull'albero del brigantino, il quale sorgeva torreggiante in
mezzo alle altre navi, avrebbe sufficientemente indicato che desso
portava quegli che capitanava la flotta, se Gian Giacomo stesso, che
tanto il suo quanto il nemico esercito riconoscevano alla splendidezza
dell'armi ed alle candide piume del cimiero, non si fosse tenuto
costantemente colla spada impugnata sull'alto della prora; intorno a lui
si stavano i suoi principali capitani, ed una fitta schiera d'eletti
soldati guarniva i bordi di quella nave, nel centro della quale vedevasi
eretto l'altare, che, essendo su un palco elevato d'alquanti gradini,
era veduto da lungi in uno col sacerdote che, prostrato innanzi ad esso,
adorava l'argentea croce, a cui gli assistenti in bianche stole ardevano
incensi. Tra i molti uomini però di che si vedevano guerniti i ponti
delle altre grosse navi, e piene le barche minori del Castellano, pochi
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