Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 18

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mattino ad una squadra d'inoltrarsi per terra contro a quella del
Pellicione, e queste si scontrarono presso a Tramezzo, e fece un'altra
mettere dalle navi a sponda poco in su della terricciuola di
San-Giovanni lungi un miglio da Bellaggio, conducendola egli stesso ad
assalire questo borgo. Allorchè sopravvenne Achille Sarbelloni co' suoi
guerrieri al luogo della zuffa, i Ducali s'erano già impossessati delle
prime case entro le quali erano state poste le sentinelle avanzate dei
Mussiani, e vi si erano fatti forti. Sarbelloni gli assalì
vigorosamente, ma il sovrabbondante numero dei Ducali lo ributtò
uccidendogli coi moschetti alquanti uomini. Gabriele non potè come aveva
creduto discendere prontamente in suo soccorso dal bosco in cui s'era
cacciato per riuscire celatamente sul fianco del nemico: l'alta neve,
gl'incespicamenti e l'incontro che fece dentro la selva d'alcuni Ducali
che erano stati mandati innanzi dal Vestarino a modo di bersaglieri, e
per uno scopo eguale al suo, contro i quali dovette combattere a lungo
per sloggiarli da mezzo quelle piante, il trattennero gran pezza. Falco
fu quindi il primo a frenare i progressi del nemico: s'erano dessi
appena avveduti dell'accostarsi della Salvatrice, coperta per varii
istanti dalla nebbia e dal fumo ai loro sguardi, che provarono gli
effetti della sua terribile presenza, poichè vennero fulminati dalle
bombarde di questo legno caricate a scheggia con colpi frequentissimi
che fecero immensa strage. Difettando essi colà d'artiglierie, e non
sapendo come schermirsi da quelle offese, furono costretti parte col
Vestarino a retrocedere, parte a cacciarsi tra le case, e parte su pel
colle nella selva: questi ultimi s'incontrarono in quelli che
retrocedevano respinti da Gabriele, e collegatisi tornarono uniti più
furiosi all'assalto contro di lui. Falco veggendo i Ducali sbandarsi, nè
potendo più dirigere in pieno i suoi colpi, lasciò alcuni bombardieri
sulla nave per trarre al nemico se si presentava allo scoperto, e
balzato cogli altri uomini sui battelli, afferrò il lido e, ordinate le
schiere, piombò addosso a quelli che s'erano spinti nelle prime
abitazioni di Bellaggio.
Durò lunga pezza furiosissimo il combattimento corpo a corpo sulla riva,
dentro le case e su pel colle, e siccome anche dall'altra parte del lago
continuava la pugna, ambedue quelle sponde risuonavano di spessi colpi e
di grida. A poco a poco però il rumore della battaglia s'andò scemando e
allontanando dalla riva di Tramezzo, e gli spari d'archibugio rari e
dispersi indicarono che era piuttosto un inseguirsi che un combattere
regolarmente. Presso Bellaggio i Ducali vennero finalmente ricacciati
dalle case di cui s'erano sulle prime impadroniti; e mentre incoraggiati
dal Vestarino, ch'era ritornato con fresche truppe presso il borgo, vi
si spingevano con nuovo urto, Gabriele, sbaragliati gli oppositori del
colle, li prese di fianco e li costrinse a cedere il campo e ritirarsi
fuggendo.
Tolse ai Mussiani l'inseguire il nemico la neve che incominciò
foltissima a cadere, e il considerare che più oltre potevano essere
disposti agguati, per cui i Capitani richiamarono gli uomini d'armi
dentro la Terra, ricollocando le sentinelle e facendo formare duplici
barricate all'intorno di essa. Falco condusse di nuovo la _Salvatrice_
in porto, e poscia recossi cogli altri due Comandanti alla rocca degli
Stampa.
Venuta la sera, dopo aver preso abbondante ristoro, si ridussero essi
tre presso un gran fuoco, acceso in una spaziosa sala adorna d'armi e
dipinti antichi, e quivi Falco e Sarbelloni, vuotando di quando in
quando le tazze, riandando gli eventi della pugna, si congratulavano
seco medesimi della vittoria, scagliando imprecazioni contro il nemico,
e invitando all'allegria Gabriele che si mostrava mesto e pensoso.
Quand'erano più caldi in que' ragionamenti s'intese battere a colpi
replicati la porta: alcuni uomini d'armi del drappello che stava in un
camerone inferiore, accorsi a vedere chi fosse, vennero frettolosi nella
sala ad annunziare essere un frate che chiedeva con molta istanza di
parlare ai Capitani del Medici. Questi ordinarono entrasse, e Falco,
riconosciuto in esso lui frate Andrea della Casa dei Malati in Nesso,
sentì un gelo scorrergli per l'ossa, chè paventò un tristo annunzio, e
non s'ingannò; poichè appena entrato quel frate, che aveva la barba ed i
capegli scarmigliati, lacera e tutta bagnata la tunica, mostrando la
spossatezza di chi ha fatto lungo e disastroso cammino, disse con voce
tremante agli atterriti Capitani, che una banda di nemici giunti
improvvisamente in Nesso aveva cercato di penetrare nella Rocca, al che
si opposero a viva forza i terrazzani: ma che comparve colà ben tosto
una nave di Ducali, i quali scesi a terra, ed unitisi agli altri
assalirono e dispersero i più vigorosi, e penetrarono poscia nelle case
uccidendo e ferendo quanti ne trovavano, e incendiando casolari,
presepi, masserizie, per cui tutta Nesso era in fiamme; proseguì dicendo
che venuti alla Casa dei Malati fecero macello di tutti quelli che vi
trovarono, e ch'egli era scampato al loro furore fuggendo per la via dei
monti onde ricoverarsi a Bellaggio, essendo il giorno antecedente corsa
la voce ch'erano quivi pervenuti i soldati del Castellano.
Tremavano a tale narrazione per convulsi moti di rabbia i muscoli di
Falco, le sue labbra s'erano impallidite, e gli occhi di lui
tramandavano sinistri lampi: udì tutto, e non osò domandare della sua
donna e della figlia; s'alzò d'un balzo; prese il moschetto, indossò la
schiavina, e pronunciato un _addio_, s'appressò per uscire alla porta:
ma s'oppose al suo passaggio Gabriele, che fuori quasi dei sensi, con
voce disperatamente sicura disse: "Ecco a che ti condusse l'ostinato tuo
resistere alle mie istanze di abbandonare la rupe: essa forse a
quest'ora... Ma qualunque sia la sua sorte, aspettami; io debbo esser
teco, e perire con lei, o salvarla: così ho giurato irrevocabilmente al
Cielo!"
Falco restò muto a tali accenti, guardò quel giovine con occhio di
compianto, chè certo non era solo in quel punto che scopriva l'arcano
dell'amor suo, e quando Gabriele s'ebbe ricinta la spada che aveva
deposta, presolo per mano, uscì di là frettoloso. Achille Sarbelloni non
osò impedire nè frapporre indugio a quella dipartita, comprendendo
l'imperiosa necessità che l'aveva causata, e accorgendosi dai modi
assoluti con che que' due s'erano allontanati l'inutilità del
trattenerli.
Era nera la notte, cessato il nevicare, spirava gelido un vento che le
acque del lago frangeva alla sponda con reco mormorio: terra terra però
scorgevasi un debolissimo chiarore, prodotto dal biancheggiare della
neve, che faceva meno incerto il cammino ai due guerrieri, i quali
avevano a quell'ora abbandonata la Rocca Stampa. Falco andava innanzi
siccome esperto conoscitore di tutte le vie di que' monti, e Gabriele a
lui teneva dietro dappresso; camminavano a passi veloci quanto il
comportava il terreno, taciturni entrambi ed assorti in tormentosi
dubbii che li angosciavano e li affrettavano sempre più a giungere alla
meta.
Su per dirupi, giù per vallate, dentro sfrondate selve attraversano
macchie e torrenti, ora sostenuti dalla congelata neve, ora per i clivi
sprofondando co' piedi in essa, ma destri e infaticabili vincendo mille
ostacoli, oltrepassano gli eretti scogli di Grosgaglia, valicano il
torrente di Villa, e trascorsa al di fuori Lezzeno occupata dai Ducali,
pervengono sul monte all'alto della punta della Cavagnola. Appena giunti
al di là del profilo della montagna, da cui si scorgono le acque di
Nesso, ferì i loro sguardi un chiarore inusato che illuminava d'una luce
rossiccia tutto quello spazio: s'arrestarono essi ad un tratto su
quell'eminenza colpiti da terrore a tal vista: ardevano i casolari di
Nesso ardevano altre Terre vicine; e le fiamme alte sventolanti,
rompendo la tetra oscurità dell'aria, spandevano una tinta di sangue
sulla neve dei monti circostanti e facevano rosseggiare le acque in cui
si riflettevano, e sulle quali alcuni legni Ducali correvano in diverse
direzioni, lumeggiati pur essi da quel lume funesto.
Falco erasi soffermato e stava immobile appoggiato al suo moschetto
mirando quel tremendo spettacolo: luccicavano allo splendore
dell'incendio il suo giaco di maglia e la rete d'acciaio, ed i suoi
lineamenti, improntati d'una selvaggia fierezza, prendevano dal colore
delle fiamme un aspetto sì straordinario, che avrebbesi potuto
rassembrarli a quelli d'uno spirito infernale apparso a contemplare una
scena di desolazione. Splendeva pure la lorica sul petto a Gabriele che
s'era arrestato a lui vicino, ma nel suo viso scorgeasi tuttavia un non
so che di pietoso ed umano che faceva bello su quel volto il dolore.
"Guardateli, esclamò Falco coll'accento della rabbia più intensa;
guardateli quei lupi iracondi e vigliacchi! essi vogano e s'aggirano per
queste acque contenti di ciò che hanno fatto. Fuggono la mattina innanzi
a noi cacciati dalle nostre palle e dai nostri ferri, e vengono sulla
sera ad infuocare le abitazioni senza difesa e ad uccidere le donne e
gli inermi terrazzani. Ah sgherri incendiarii, assassini! Ma guai a voi,
se avete poste le mani su di esse! Falco respira ancora, e le punte de'
suoi pugnali entreranno tante volte ne' vostri cuori quanti capegli
avrete torti a loro".
"Il piano della tua rupe è oscuro, disse con ansietà Gabriele;
certamente la tua capanna non fu veduta; essa non arde, ed è d'uopo dire
che i Ducali non vi pervennero ancora: affrettiamo i nostri passi, e
giungeremo a sottrarre le donne prima che i nemici se ne avveggano".
Si mossero immantinenti, e giù per la china del monte, risalirono l'erta
al di sopra dell'affuocata Nesso, udendo i gridi ed i lamenti disperati
dei miseri abitatori, di cui alcuni vedevansi fuggire pei sentieri del
monte sottraendosi così alla rabbia dei soldati, i quali in gran numero
coperti di ferro, nude le spade, s'aggiravano, intorno a quelle ardenti
e crollanti ruine sterminando chiunque degli abitanti a loro
s'affacciava.


CAPITOLO DUODECIMO.
Minacciose le fiaccole ardenti,
Son degli astri ne' cieli roventi;
Su la nube la nube ricade,
Ed i venti--con lunghi lamenti
Van dicendo "ritorna chi fu".
Tu sei pallida pallida;
Tu sei tremante e tacita,
Chè l'aleggiar de' spiriti
Nell'aere già senti,
E l'appressar terribile
E lo gridar de' spenti
Di morte annunziator.
DIODATA SALUZZO. _Ipazia_, poema.

Batte forte il cuore ad entrambi mentre a rapidi passi salgono l'erto
sentiero della rupe. Pervengono finalmente sul picciol piano dietro il
casolare, s'avvicinano a questo, la porta è chiusa, l'interno è muto, nè
luce alcuna trapela dalla finestra e dagli spiragli. Falco bussa la
porta; chiama prima sottovoce, poscia chiaramente, ma nessuno risponde;
ne scuote i cardini, ma resiste perchè saldamente serrata. Gabriele non
sa che pensare; ambedue rimangono silenziosi investigando col pensiero
che mai potesse essere avvenuto delle donne.
"Qui i Ducali non sono montati di certo, disse Gabriele, perchè non
avrebbero lasciato incolume il tuo abituro: quindi io spero che tua
moglie e la figlia alla vista dei nemici e dell'incendio si saranno
poste in salvo cercando rifugio in qualche casolare della montagna".
"Le capanne dei pastori, rispose Falco, sono disabitate a cagione delle
nevi, ed esse non avevano pratiche colle genti d'intorno. Non so
immaginarmi dove mai possono avere rivolti i loro passi... E se mai
(aggiunse con fuoco) avessero nel fuggire dato ad essi nelle mani?..."
"Come mai saperlo? esclamò Gabriele: terribile incertezza!...
Vedi?...molti Ducali si sono raccolti sul lido; scendiamo giù verso le
case dove il fuoco è già spento, e tentiamo spiare se mai le avessero
prese, onde adoperare tostamente ogni mezzo per liberarle".
Calarono così dicendo frettolosi dalla rupe al sentiero per entrare nel
borgo, quando Falco, guardando verso il ponte del torrente, vide un uomo
che cautamente s'avanzava su di esso: s'arrestò, osservò attentamente e
disse con ansia a Gabriele: "Quello è Negretto il Tornasco: egli saprà
sicuramente darci qualche indizio intorno alle donne". E portando la
mano alla bocca per dirigergli la voce, gridò: "Tornasco, Tornasco!"
"Falco". "Sei tu?" "Son io". "Sai nulla?" "So tutto". Le mie donne..?"
"Son esse che mi mandano: ora ti dirò ogni cosa". S'avvicinarono gli uni
all'altro a rapidi passi, e Negretto narrò con spedite parole che
trovandosi in Nesso nel momento ch'erano quivi giunti i Ducali, fu de'
primi a combattere contro di loro, ma che forzato a cedere fuggì dal
Borgo allorquando cominciava l'incendio; che però avendo voluto essere
spettatore di ciò che avveniva, s'era postato sul monte poco in su del
sentiero che entra nella Valle del Noce; che dopo alcun tempo vide al
chiarore delle fiamme due donne che venivano a quella volta, e ch'ei
riconobbe per la moglie e la figlia di Falco, onde tosto discese verso
di esse, offrendosi a scortarle nella loro fuga; che le medesime lo
pregarono invece istantemente andasse per la via de' monti a Bellaggio,
perchè sapevano ch'era quivi giunta la nave di Falco, cercasse di lui, e
lo avvertisse che per sottrarsi all'imminente periglio esse recavansi,
per quella valle alla Cappelletta dell'Eremita nel bosco di Zelbio, che
quivi sino al mattino lo avrebbero atteso, e che di là non sarebbero
retrocesse se non quando si fossero affatto allontanati i nemici. Falco
e Gabriele, respirando contenti, e giubilando per quel fortunato
incontro che dissipava il funesto dubbio che aveva sino allora oppresso
i loro spiriti, ringraziarono replicatamente il Tornasco, e presero
tosto cammino insieme ad esso su per l'erta onde passare il ponte del
torrente, vicino a cui s'apre l'ingresso della Valle del Noce.
Pervenuti al ponte, il guerriero Montanaro si rivolse per dare un ultimo
doloroso sguardo al suo luogo natío fatto scopo del nemico furore, ed al
suo casolare che paventava di non dover più rivedere; ed ecco appunto
che scorge in quell'istante un grosso branco di soldati salire con
fiaccole accese verso la rupe, gridando, tumultuando, e facendo udire
tra infernali grida i nomi di _Falco_, di _Pirata_, di _Musso_. Si
volsero a quel rumore anche il giovine Medici e il Tornasco, e videro i
soldati ascendere al piano della rupe, atterrare a ripetuti colpi di
scure la porta dell'abituro, entrarvi ed uscirne caricati d'ogni arnese
e masserizia, dividersi le più minute, accatastare il rimanente sul
piano stesso e darvi fuoco. Falco, furibondo a quella vista, si slanciò
per discendere, scagliarsi in mezzo a que' distruttori di sue cose e
vendicarsi; ma Gabriele e il Negretto a tutta possa il trattennero,
dissuadendolo da tal atto in cui avrebbe posta a grave repentaglio e
vanamente la propria vita. Il Montanaro s'acquetò per un momento, ma
allorchè vide un gran fumo uscire a densi globi da tutte le aperture di
sua casa, e subito dopo manifestarsi le fiamme ai quattro angoli di
essa, non volle lasciare inulta quella barbara intrapresa: discese
alquanto pel sentiero, appuntò il suo moschetto, e trasse un colpo su
quella turba di Ducali, che, urlando di gioia, pascevano avidamente gli
sguardi nelle fiamme divoratrici. Due di essi caddero, ferito l'uno,
l'altro ucciso; e mentre tutti gli altri, storditi a quel colpo
inaspettato, miravano per iscoprire d'onde fosse partito, Falco
riguadagnò il ponte, e salutato di nuovo il Tornasco che si separò da
loro, entrò con Gabriele nella Valle del Noce.
Orsola e Rina dopo avere camminato assai per il sentiero che rimonta la
valle, e che l'obbliqua posizione, i seni del monte e i rami delle
grosse piante che il fiancheggiavano avevano riparato in parte dalla
neve, rendendo così meno disastroso il trascorrerlo nel buio della notte
a chi com'esse l'aveva tante volte praticato, giunsero finalmente nel
bosco di Zelbio, ove internandosi alcun tratto ritrovarono la
Cappelletta dell'Eremita, e v'entrarono. Era questa una picciola rotonda
aperta sul davanti, guasta allora e spoglia d'ogni arredo, ma dove altre
volte si vedeva un altare con varie immagini sculte in legno, custodite
e mantenute in venerazione da un Eremita che s'era costrutto in quel
bosco una cella. La moglie e la figlia di Falco si assisero colà l'una
presso all'altra, cercando col rinserrarsi i panni che avevano indosso
di difendersi alla meglio dal rigore del freddo notturno. Oltre lo
sgomento che durava nel loro spirito pel funesto avvenimento che le
aveva costrette a fuggire fra le tenebre in quella dirupata valle,
quando cessarono dal camminare e si videro solinghe sotto quella
ristretta volta dentro un antico disabitato bosco, furono assalite
altresì da un terrore che aveva più antica origine nei loro cuori. In
fondo di quella valle trovansi le vaste e profonde grotte del monte del
Tivano, che le popolari tradizioni fecero sempre albergo e convegno di
enti spaventosi e malefici [19]: quivi, secondo l'opinione di que'
montanari, recavansi in tregenda dai luoghi più lontani maghe e
stregoni, che uniti ai demonii che sbucavano dalla terra, dopo lunghe
infernali tresche formavano gli incantesimi, e preparavano filtri e
simboli fatali. Le due donne, allorchè concentrate in se stesse
cominciarono poco a poco a riflettere che si trovavano in prossimità di
quel tremendo luogo, provarono in tutta la forza il sentimento della
paura, che è tanto più potente quanto più è indefinito e misterioso il
soggetto che lo cagiona. Quell'oscurità, quel silenzio, il fantastico
aspetto che prendevano ai loro occhi i neri tronchi delle piante che
sorgevano presso il limitare dell'edifizio ove s'erano ricoverate, tutto
insomma aumentava in esse l'angustia del cuore e la tema.
S'abbracciarono strette l'una l'altra, e "Ohimè, incaute! esclamò Orsola
con voce smarrita, perché mai siamo noi venute così presso alla montagna
del Tivano? perché non abbiamo scelta un'altra strada meno pericolosa?
chi sa cosa avverrà di noi in questo luogo!" Rina, a cui la tenerezza
manteneva la mente in uno stato di continua esaltazione, e s'aveva
quindi l'immaginazione ardente, e suscettiva di più profonde
impressioni, senti a questi accenti della madre frizzarsi una punta al
petto, onde serrandosi a lei più strettamente, e nascondendole il volto
in seno: "Madre mia, proferì tremando, fuggiamo, retrocediamo, usciamo
da questo bosco prima che si avveggano di noi! guai se si accorgano che
stiamo qui sole, potrebbero prepararci le più gravi sventure!"
[Nota 19: Chiamasi anche al dì d'oggi _Buco di Nicolino_ (sopranome che
si dà in que' paesi al Diavolo) una grotta in forma d'un gran pozzo che
vaneggia in mezzo al Piano del Tivano, e nell'interno del monte ha
molteplici comunicazioni con altre caverne.--Vedi Amoretti, _Viaggio ai
tre Laghi_.]
"Ah Santa Vergine, soccorreteci! disse Orsola: fate che presto spunti il
giorno, e che noi rimaniamo intanto illese dalla potenza dei nemici
infernali, come v'è piaciuto di salvarci da quelli di Como, che l'ira
vostra confonda e disperda!... Ma facciamoci coraggio, o Rina: io spero
che il Tornasco, che abbiamo incontrato, giungerà prima dell'alba a
Bellaggio, e sono certa che se Falco è colà, in poche ore verrà a
raggiungerci in questa valle: altrimenti ne usciremo, e cercheremo da
noi una strada verso il lago per recarci a Musso".
"A Musso sì!" pronunciò Rina rilevandosi inanimita come da un magico
tocco "per rimanere colà, per non più scostarci da quel Castello?-Ma,
ohimè! o madre, udite! mi pare d'intendere rumore di pedate: qualcuno di
certo s'avanza pel bosco!"
Stettero quasi senza trar fiato ascoltando perché si fece per la selva
sentire distintamente un veloce mutare di passi diretti a quella volta;
ma ad entrambe fu per balzare dal petto il cuore trasportato dalla gioia
improvvisa quando udirono la robusta e sonora voce di Falco far
rintuonare la valle dei loro nomi. Esse risposero subitamente alla
chiamata affacciandosi unite all'ingresso di quel diroccato edifizio:
Falco riuscì in quel punto fuori dall'intricamento delle piante,
precedendo Gabriele che lo seguiva per quell'oscurità con un palpito
veemente di speranza: le donne gli vennero incontro, non dubitando che
la persona che seco era, e che distinsero al suono dei passi, fosse il
Tornasco, od altro de' suoi compagni montanari. Quando però furono
dappresso, Rina s'accorse tostamente al contorno delle forme che
s'intravedevano a quell'ignoto anche nelle tenebre, che esso non era
l'uno de' rozzi seguaci del padre; quando poi sentì il di lui respirare
gentile e un po' affannoso, un dubbio, un lampo le passò per la mente, e
il di lei cuore aveva già sobbalzato ripetutamente prima che Falco
dicesse ad Orsola: "È venuto meco il signor Gabriele, che da valente e
generoso giovine, com'egli è, allorquando udì il disastro di Nesso, si
dispose ad affrontare con me anche i più gravi pericoli, se fosse stato
d'uopo, per liberarvi dalle mani feroci dei nostri nemici".
Sparì ogni tenebria dagli occhi di Rina in quell'istante, e le parve
vedere come di pieno giorno l'adorato viso del suo guerriero, provando
all'anima la dolcezza che dagli sguardi di lui le suoleva
immancabilmente derivare; pari fu il contento del giovine Medici, nel
cui spirito subentrò all'angosciosa incertezza una tranquillità ed un
appagamento inesprimibile.
Il Montanaro di Nesso aveva nell'antecedente cammino convenuto con
Gabriele del proprio torto, nell'essersi rifiutato sempre ad andare a
prendere dimora in Musso, lo che stabilirono tra loro avrebbe fatto
immantinenti: quindi pensando al modo di condurre le donne a Musso senza
farle passare vicino ai nemici, Falco disse ch'ei conosceva una strada
da cui avrebbero potuto recarsi al lago di Lecco, ove imbarcarsi per
Musso, senza retrocedere dalla valle del Noce in cui s'internavano; ma
soggiunse che a causa delle alte nevi, era d'uopo passare il monte che
chiudeva quella valle per una via inusitata e strana, cioè dentro le
profonde caverne che perforavano la montagna stessa. Gabriele rispose
che se per le donne non v'erano colà pericoli od oggetti di spavento,
s'offriva pronto a seguirlo dovunque. Falco lo accertò che correva bensì
voce che quivi apparissero streghe e diavoli, ma ch'egli aveva fatta
altre volte co' suoi compagni quella via, e che nulla mai gli era
accaduto incontrare che gli recasse danno o terrore. Questa
determinazione presa con Gabriele fu da Falco comunicata alla moglie, la
quale, restia per alcun poco ad aderirvi, fu finalmente convinta, o
piuttosto forzata, dalle parole e dalla volontà del marito, la cui
scorta unita a quella del giovine guerriero le temperava in gran parte
nell'animo la paura, che a pensare a quel tremendo luogo tutta
l'invadeva.
Procedettero tutti insieme, guidando Falco gli altri, per quel bosco,
usciti dal quale, e sempre rimontando la valle per via più aspra, e in
quell'oscurità difficilissima, vennero in luogo dove restringendosi è
chiusa dalle erette spalle del monte, ingombro d'alte piante. Quivi
salirono un breve tratto, e trovaronsi alla bocca d'una spaziosa caverna
tutta ingombra all'entrata da grossi alberi e sfrondate boscaglie. Le
donne si strinsero intimorite a Falco, scongiurandolo a non por piede
colà; ma egli cercando con animate parole dì dissipare il loro terrore,
raccolse un fascetto di rami, lo strinse insieme, e coll'esca del
moschetto, avendolo acceso a guisa di fiaccola, entrò intrepidamente
nella grotta obbligando la moglie e la figlia condotte da Gabriele a
seguirlo.
Levò alto quel lume, mirò d'intorno, e null'altro si presentò al suo
sguardo che lo sterminato masso in che era incavato quell'antro:
continuando con vivaci e risoluti detti a togliere dal seno di chi lo
seguiva ogni temenza; raccolse molti frantumi d'alberi diseccati che
erano sparsi sul suolo, li radunò in una catasta, intorno alla quale
fece assidere le donne e Gabriele, e colla fiaccola v'appiccò fuoco.
Splendette ampia la fiamma investendo d'una luce viva il sasso
giallo-rossiccio che formava la vôlta e le pareti laterali di quella
caverna, riflettendosi sugli ineguali e rotti scaglioni che ne
costituivano il fondo, il quale alla superiore estremità s'internava con
un nero sprofondamento. Mentre, seduti intorno a quel fuoco sovra pietre
dalla vôlta stessa cadute, quei quattro ivi venuti, le cui ombre si
proiettavano in gigantesche proporzioni sul pavimento e sulle scabre
pareti, stavano ragionando dei tristi avvenimenti di quel giorno, giunse
al loro orecchio come un lontano e lieve rumore di pedata che venendo
dal fondo dell'antro destava un tenue ma cupo rimbombo. Colpiti da quel
suono, divenuti all'istante silenziosi ed immobili, attentamente
ascoltarono, ed il rumore di que' lontani passi andava facendosi più
distinto, indicando che alcuno dall'interno di que' recessi s'avanzava.
Balzarono tutti in piedi, e Falco pel primo, che sollevò il moschetto
piantandosi in attitudine di scagliare il colpo; Gabriele gli si pose a
lato sguainando rapidamente la spada: dietro a loro rimasero le donne
l'una accanto all'altra. Appena s'erano dessi così atteggiati, che ecco
sul ciglio del più elevato masso che chiudeva in parte il fondo di
quell'antro comparire una figura femminile, appoggiata a due mani ad un
bastone, che l'incerto chiarore che là perveniva fuor disegnandola
dall'oscura cavità che dietro le stava, davale aspetto di straordinaria
e fantastica apparizione. Gelò a quella vista il sangue per terrore
anche nelle vene dell'intrepido Montanaro, che come gli altri che seco
erano pensò che quello uno si fosse dei tremendi abitatori della caverna
comparso a punire gli audaci colà penetrati. Di grado in grado per i
rialzi sporgenti negli smisurati scaglioni calò l'apparsa vecchiarda, e
giunta al piano della grotta s'avanzò verso il luogo ove quei quattro si
stavano immobili ed atterriti. Era dessa Imazza, la vecchia comare di
Palanzo, che all'accostarsi dei nemici a quella terra aveva abbandonato
anch'ella il proprio abituro, ed era per la Valle del Noce venuta colà,
penetrando per un altro ingresso nella caverna, ove soleva
frequentemente venire, e dove gli abitatori di que' monti supponevano
stesse in consorzio cogli spiriti maligni. Vedendo dalle oscure latebre
in cui s'aggirava, splendere lontano il fuoco sotto la più spaziosa
vôlta, essendo pressochè intirizzita dal freddo, s'avviò per riscaldarsi
verso di quello. Andò dritto colà, e senza nemmeno guardare in volto a
chi vi era già vicino, coricò al suolo il suo bastone, e si rannicchiò
presso la fiamma stendendo verso di essa ambe le scarne mani.
Allorchè Falco e le donne la riconobbero, sebbene non riuscisse ad essi
gradita la sua presenza colà, pure essendo dessa loro comare, mirandola
lacera ed abbrividita, lasciarono che s'accostasse a quel fuoco,
sembrando troppa crudeltà il non concederle che sgelasse le membra.
Gabriele guardava con occhio di meraviglia e di ribrezzo quella vecchia,
il di cui strano aspetto annunziava una strega uscita quasi per incanto
dal seno del monte, e mirando Falco e le donne, rimise il ferro nella
vagina, non sapendo però rendersi ragione nè del loro silenzio, nè della
calma ritornata sui loro volti nel momento che la vecchia approssimatasi
s'accosciò quivi senza proferire parola.
Falco comprendendo dall'incerto movere degli occhi del giovine Medici
chè volesse chiedere, bramando rassicurarlo inclinò il capo verso
l'orecchio di lui, e con voce sommessa come di chi parla alla presenza
d'uno che sonnecchia o vaneggia, disse:
"Questa è una donna di Palanzo: è la nostra comare Imazza: la madre di
quel Grampo che rimase ferito a morte la notte che foste liberato dai
Ducali. Essa conosce questa grotta assai meglio di noi, poichè si dice
che da anni ed anni vi sia solita venire ogni notte; non vi saprei
spiegare da qual parte è ora penetrata, poichè le vie da essa praticate
sono ignote a tutti: non vi potrei dire neppure cosa sia qui venuta a
fare. Se non vi si è ritirata per fuggire anch'essa i Ducali saliti a
Palanzo, sarà venuta per trovarvi certi amici che il Cielo ci guardi
dall'incontrare giammai. Comunque sia, noi non dobbiamo prenderne
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