Falco della rupe; O, La guerra di Musso - 17

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accortissimo ed avido di gloria, ardeva di cimentarsi da solo contro il
celebrato dominatore di Musso, affinchè se il vinceva, come aveva
speranza, nessuno gli contrastasse o pretendesse dividere con lui gli
onori della vittoria. A differenza del Gonzaga e dello Speziano che
immaginarono complicati piani di battaglia, egli stabilì di non
disperdere sopra molti punti le proprie forze, ma di tenerle quanto più
poteva concentrate ed unite per assalire con una massa poderosa i
singoli luoghi che intendeva combattere.
La prima spedizione che immaginò fu contro Monguzzo: ne serbò il
pensiero con gelosa secretezza, e quando tutto fu pronto in Como, un bel
mattino fece spargere la voce che, per ordine del Duca, l'esercito
doveva ritornarsene la notte a Milano. Comandò si ponessero sopra i
carri le artiglierie, si tenessero preparati in duplice numero cavalli e
buoi pel traino di quelle, delle bagaglie e delle salmerie; ed i soldati
si ponessero in armi sul far della sera. Verso quest'ora, mentre
foltamente nevicava, diede l'ordine della partenza, e quando l'ultime
schiere, ed egli dietro a tutte, furono usciti da Como, volle se ne
chiudessero diligentemente le porte, onde nessuno di quelli che avevano
seguíto l'esercito potesse rientrarvi; e lasciato perfettamente
oscurare, raggiunto da espertissime guide, abbandonò la via verso
Milano, facendo volgere l'armata sulla strada della Brianza per riuscire
inaspettatamente al Castello di Monguzzo.
Gian Giacomo dal giorno della partenza dell'Ambasciatore ducale erasi
sempre rimasto tranquillo co' suoi nella propria fortezza di Musso,
riputandosi sicuro d'ogni nemica molestia per l'inopia in cui sapeva
trovarsi il Duca, e pel rifiuto de' nuovi soccorsi che gli venne
riferito essere al medesimo stato fatto dal De-Leyva, e specialmente per
la crudezza della sopraggiunta stagione che pareva dovesse frapporre
ostacoli insormontabili ad ogni movimento d'armata. Cominciò però desso
a provare vive inquietudini allorchè ebbe cognizione che la novella
giunta a Milano dei meditati sponsali del Duca con Cristina di Danimarca
aveva fatta rinascere la primitiva amichevole relazione del Generale
spagnuolo collo Sforza, ed i suoi sospetti del prossimo rinnovamento
della guerra divennero certezza quando gli fu riferito che s'avviava a
Como un forte esercito condotto da un nuovo comandante.
Nondimeno per quanto fosse esercitata ed acuta la sua previdenza, egli
non giunse ad immaginarsi che i Ducali moverebbero ad assalirlo nel
cuore d'un sì ruvido inverno, e ben lungi dal temerli, considerava che,
venuta la primavera, avrebbe recati ad essi gravi nocumenti sia colle
schiere tedesche dell'Altemps, sia colla propria flotta assai superiore
a quella dei nemici.
Mentre viveva in tale persuasione, ecco giungere a Musso un messaggiero
venuto rapidamente da Lecco colla nuova che s'erano vedute numerose
squadre Ducali dirigersi alla volta di Monguzzo. Gian Giacomo e la
maggior parte de' suoi supposero sulle prime che tale annunzio fosse
cagionato da panico terrore o dai falsi rapporti di qualche contadino;
ma a togliere loro ogni dubbio ne pervenne indi a poco un altro,
narrando che quel Castello, circondato da ogni lato, era aspramente dai
nemici combattuto. Il Castellano, benchè sorpreso da simile inaspettato
avvenimento, non si perdette d'animo; destò ne' suoi l'usato coraggio,
ordinò le difese ne' luoghi della costiera, e prese seco le migliori
squadre che gli rimanevano, navigò a Lecco, per di là recarsi a portare
soccorso al suo assediato Monguzzo. L'accorrere però ch'egli fece colà
riuscì vano, poichè nel mentre ch'approdava coll'armata al porto di
Lecco, giungeva al ponte presso quella Terra il capitano Mandello con
turbe di soldati fuggenti e sanguinosi, che s'erano colle armi aperta la
strada tra le schiere dei Ducali, entrati poche ore prima dalle breccie
nel Castello, e fattisine padroni, prendendo prigionieri il rimanente
del presidio e lo stesso Battista Medici, il quale mal riavutosi
dall'infermità cagionatagli dalle ferite, non ebbe campo in
quell'estremo caso di sottrarsi alle mani del nemico.
Non si può descrivere quanto un tal fatto eccitasse lo sdegno e il
dolore nell'animo di Gian Giacomo, che, oltre la perdita di
quell'importante fortezza, oltre la prigionia del fratello, vedeva a
quali progressi con somigliante conquista s'aprivano l'adito i suoi
avversarii. Pensò a primo tratto di fare ogni sforzo per cercare di
ricuperare Monguzzo, ma lo scarso numero de' proprii soldati a fronte di
quello in che trovavansi i Ducali, siccome gli narrò il Mandello, lo
persuasero non essere avveduto consiglio l'esporsi nel pian paese a
campale giornata. Molti pensamenti e progetti volse egli nello spirito,
e comunicò in parte a' suoi Capitani, onde vendicarsi e riparare quella
perdita, pensando anche d'assalire la stessa Como, ma dovette
convincersi al fine null'altro allora potersi prudentemente disporre che
una difesa pronta e generale di tutti i suoi possedimenti del lago.
Mandò quindi avviso ad ogni banda lontana de' suoi soldati si radunasse
in Lecco, perchè ben previde che i primi tentativi del nemico verrebbero
diretti contro questa fortificata Terra; lasciò colà la maggior parte di
esse, e il rimanente ricondusse seco sulle navi a Musso, dove fece
accelerare l'assestamento della flotta, che accrebbe dei legni presi ai
Ducali nella battaglia di Bellaggio.
Il Vestarino, lieto fuor di misura pel felice successo della sua prima
intrapresa, ne mandò le novelle alla Corte di Milano, la quale fu tanto
più contenta e paga di tale evento, in quanto che lo stimava di decisiva
importanza, poichè le dava per prigioniero un fratello stesso del
formidabile Castellano, l'avere il quale poteva esserle mezzo
d'assicurare il progetto d'una pace più vantaggiosa. Il Vestarino,
lasciata metà dell'esercito a stanza nel Castello di Monguzzo sotto il
comando del capitano Ricciardo Acursio, ritornò coll'altra a Como,
meditando di dar subito mano alla presa di Lecco. Non vide egli un
ostacolo alla nuova conquista nella povertà del navilio Comasco; pensava
che le otto navi che sole rimanevano tuttora, fossero più che
sufficienti al parziale trasporto delle truppe, la maggior parte delle
quali voleva marciasse per terra, poichè aveva stabilito di evitare
colla massima cura ogni scontro navale. Per dare esecuzione al suo
disegno, formò de' suoi uomini d'armi tre distinte schiere: ordinò alla
prima di prendere i sentieri che alla sponda destra del lago, partendo
da Como, passano per Geno, Blevio, riescono a Torno, e di là, or
sull'alto dei monti, or rasente il lido, giungono a Nesso, e pervengono
sino all'estrema punta di Bellaggio; comandò alla seconda s'avviasse dal
lato opposto per la stradicciuola, più che mai alpestre anch'essa e
difficile, che tocca Cernobio, Moltrasio, arriva ad Argegno, e
progredisce per la Tramezzina; finalmente si pose egli stesso colla
terza sulle navi, ove erano state collocate tutte le artiglierie e le
necessarie munizioni da guerra e da bocca, veleggiando alla stessa volta
delle truppe di terra. Aveva dato avviso contemporaneamente al capitano
Acursio che movesse da Monguzzo per l'alta Brianza, si recasse a
prendere posizione presso il lago di Lecco, cercando d'impadronirsi dei
paesi più prossimi a quella Terra che si trovavano al di qua del lago,
ed in ispecial modo di Malgrate che sta ad essa di fronte. Duplice si
era lo scopo cui il Vestarino mirava con que' combinati movimenti
d'armate: primo, d'avere in qualunque circostanza soccorso ed appoggio
nelle truppe che camminavano su ciascuna delle sponde; secondo, di
giungere con grosso numero d'uomini in un momento stesso al promontorio
di Bellaggio per impossessarsene, potersi quivi fortificare e discendere
più agevolmente verso Lecco a congiungersi coll'Acursio, e così assalire
da due parti quel Borgo, la cui conquista era d'alta importanza in
quella guerra. Aveva desso pure stabilito che le sue truppe che
s'avanzavano sulla riva sinistra del lago, giunte alla punta di Lavedo,
dovevano quivi alzare trincee e rimanersi in gran parte per difendere
quel passo, proteggere al bisogno la ritirata delle sue navi, e impedire
alla flotta nemica d'oltrepassare lo stretto.
Non rimase però questa seconda spedizione del Vestarino celata al Medici
come era avvenuto della prima: il mal successo di quella aveva fatto sì
ch'egli aumentò con efficaci mezzi la vigilanza e il numero delle sue
spie in Como, per cui appena il Vestarino ebbe date le prime
disposizioni pel nuovo piano d'attacco, egli ne ricevette a Musso
l'esatta novella, e radunati i suoi Capitani la partecipò loro.
"Questo maladetto Vestarino vuole adunque farci a forza mettere i piedi
nella neve? È veramente stanco dello starsi ad abbruciar legna sui
focolari di Como? Quanta baldanza perchè glie n'è andata una bene! Ma
per la spada di san Michele! s'egli ha risoluto di riscaldarsi al fuoco
della nostra polvere, può essere che si scotti la pelle in modo da
sentirne il bruciore per lungo tempo". Così esclamò con irata voce il
Pellicione, acuminandosi i mustacchi all'udire la relazione delle
disposizioni guerresche del Vestarino che uno spione venuto da Como
andava facendo alla presenza di Gian Giacomo e degli altri Capitani
nella sala d'armi del forte più elevato del Castello di Musso.
Gian Giacomo, che stava assiso in mezzo a loro sovra un seggiolone di
cuoio, dopo essere rimasto lungo tempo silenzioso, colle braccia
incrocicchiate al petto e gli occhi fissi al suolo in atto d'uomo che va
profondamente meditando, scosso al suono della voce, anzichè dal
significato delle parole del suo Luogotenente, a cui non sembrò punto
prestare alcuna attenzione, alzò su di lui lo sguardo con certa
espressione di rimprovero e di dispetto che era prodotto dalla serie de'
suoi pensieri, e non già da quella subitanea interruzione, e con tuono
d'ironia pronunciò:
"Vivremo persuasi tuttavia che sarebbero stati mal impiegati trenta o
quarantamila scudi per rimanerci almeno quest'inverno in riposo, e dar
tempo, se non altro, alle truppe tedesche di venirci a raggiungere? Se
davamo retta alle parole di quell'Ambasciatore del Duca avressimo
perduto Monguzzo in sì malo modo, sarebbe Battista prigioniero, e Lecco
in periglio? Io doveva sborsare sin l'ultimo mio soldo per istabilirmi
fermamente..." Troncò qui ad un tratto gli accenti che tradivano i suoi
secreti pensieri ed il suo intimo rancore cagionato dal riflettere a
quella nuova guerra che si presentava con sì formidabile apparato, e se
l'era tratta addosso per propria ostinazione, resa maggiore dal
consiglio de' suoi, e specialmente del Pellicione, a non volere accedere
a tutti i capitoli di pace ch'era venuto a proporre il Messaglia.
I marcati e severi lineamenti del volto del Castellano si fecero più
oscuri e indegnati, quasi rimproverasse a se stesso quelle imprudenti
rivelazioni dell'animo suo, che l'incertezza e il pentimento d'una
perduta occasione agitavano; ma ciò non fu che un lampo, e tale che non
se ne avvidero i suoi Capitani medesimi, i quali si stavano pensando tra
loro stessi con istupore al significato di que' suoi detti che non
sapevano comprendere, poichè erano i primi usciti dalla sua bocca che
indicavano titubanza, e davano sospetto in lui di timore. Egli balzò
subitamente in piedi, scosse il capo quasi volesse dissipare una
vertigine che l'avesse assalito, e rianimando il volto coll'usata
espressione autorevole e ardimentosa, riponendo sulla fronte il
berretto, disse: "Avete tutti, o miei Capitani, inteso quanto ci narrò
questo nostro fedele esploratore? Ebbene, che ne dite voi? Dobbiamo
attendere il temerario Ducale a piè fermo, oppure credete più utile
partito il recarsi ad affrontarlo sul lago e pei monti e respingerlo
pria che s'approssimi di più alle mura delle nostre fortezze?"
L'importanza della domanda, il modo confidenziale insieme e imponente
con cui fu pronunciata, attirò tutta l'attenzione dei Comandanti d'armi
e Consiglieri del Castellano, che compresi dalla gravità dell'inchiesta,
stettero qualche istante in silenzio, alcuni col capo piegato al suolo,
altri colle mani appoggiate all'impugnatura della spada, altri colle
braccia raccolte al petto in atto di meditare una conveniente risposta,
e primo di tutti a rompere il silenzio fu il Mandello che così
s'espresse: "Io per me porto opinione essere di maggiore convenienza
l'attendere il nemico dentro le nostre fortificazioni. Operando in tal
modo noi lo costringiamo a sopportare da solo tutta l'inclemenza ed i
disagi di questa rigida stagione: esso dovrà rimanersi accampato allo
scoperto, dovrà superare immensi ostacoli per cercare d'accostarsi ai
nostri baluardi, innanzi ai quali, vanamente tentando di conquistarli,
deperirà consumando le sue forze sotto i colpi che noi da luogo comodo e
sicuro a lui scaglieremo".
"Pensa, o Mandello, a ciò che dici! rispose a lui il Pellicione: non ti
sovvieni di quanto t'accadde a Monguzzo? non eravi colà freddo, neve e
quante mai altre intemperie può avere l'inverno, e pure, sebbene essi di
fuori, e tu di dentro, dimmi un poco chi è stato il più forte? È ben
vero che Monguzzo si può chiamare una bicocca in paragone de' nostri
forti del lago; ma, per la spada di san Michele! comunque sia, non
bisogna lasciarsi chiudere in gabbia che il più tardi possibile, e prima
di concedere loro di guastare colle artiglierie le nostre mura, dobbiamo
mostrare che siamo abituati al freddo al pari di essi, e sappiamo
camminar per le nevi e pei ghiacci con maggiore prontezza e facilità di
loro".
"Sono anch'io del tuo parere, disse Achille Sarbelloni, perchè rifletto
che ci sarebbe di vergogna e di danno il lasciar credere ai nemici che
noi non abbiamo il coraggio di assalirli, il che darebbe idea d'una
diminuzione notevole delle nostre truppe o della svanita nostra
prodezza, e se loro concediamo d'accostarsi ai nostri Castelli, essi
metteranno a sacco e distruggeranno ben anco le Terre e le case a cui
non possiamo prestare difesa".
"E dove lasciate, aggiunse il capitano Domenico Matto, l'inutilità a cui
si ridurrebbe, o piuttosto la distruzione a cui verrebbe condannata la
nostra flotta, colla quale più che in qualunque altro modo abbiamo tante
volte fiaccato l'orgoglio del Duca e de' suoi alleati, e fatta
sventolare vittoriosa la vostra bandiera, o Castellano, per sino al
cospetto delle mura di Como? Sì: disponete una guerra aperta e decisa
nella maniera che i nemici hanno l'ardire di provocarla, e noi
dimostreremo che anche trovandoci in poco numero sappiamo affrontarli
dovunque, e li prendiamo a scherno se osano venire al paragone
sull'acque".
Gli altri Capitani che quivi erano adunati in consiglio, o fossero
realmente d'avviso conforme agli ultimi tre, o anche tenendo
all'opinione del Mandello non osassero ad essi di contraddire (perchè
nelle cose ove havvi rischio e periglio, l'opinare per prudenti partiti
ha sempre aspetto di pusillanimità e di vigliaccheria) null'altro
esposero che il proprio assentimento in brevi parole; per lo che Gian
Giacomo, cui riusciva aggradevole quel fervoroso e franco inclinare alla
guerra che lo faceva più certo del coraggio e delle disposizioni de'
suoi, e ciò che assai gli importava del non avere ad essi recata
sinistra impressione le parole a lui inavvedutamente sfuggite, levò alto
la testa, guardò alteramente, e alzando l'indice in atto di minaccia,
crollando il capo, così s'espresse, accompagnando i detti con fiero
sorriso: "Ah Vestarino, Vestarino! tu non hai bene pensato al passo che
movesti, e la tua mente affascinata da una stolta vanagloria t'ha fatto
scagliare la pietra al leone in riposo, ed il leone si desta: tu non hai
calcolata la velocità de' suoi passi, e la forza delle sue mascelle;
ascolta il suo ruggito! guai a te se t'aggiunge! Tu pagherai a caro
prezzo la tua temerità! Sì, Capitani, accetto il consiglio del maggior
numero di voi: riprenderemo immediatamente le armi; questo è ciò che
meglio conviene a uomini nati al combattere come noi siamo. Se col gelo
e le nevi escono in campo i Ducali che sono fanciulli a nostro paraggio,
che non dobbiamo essere capaci di far noi? Andate, disponete i soldati:
darò tosto gli ordini onde sia allestita la flotta e munita di tutto
l'occorrente. Domani saprete quali fazioni s'avranno ad intraprendere, e
mostrerete ben presto, come il desiderate, all'imprudente comandante
nemico chi siamo noi e cosa sappiamo operare".
Usciti di là i Capitani, chiamate a raccolta ciascuno le proprie
squadre, che stavano nelle rocche del Castello e ne' quartieri di Dongo
e di Musso, esposero i voleri del Castellano facendo che mettessero in
pronto l'armi e gli arnesi per partire al primo annunzio: le navi furono
tratte dai cantieri e dal porto, fornite d'ogni cosa necessaria al
veleggiare ed al combattere, e caricate d'abbondanti vettovaglie. Il dì
seguente cominciò il movimento delle schiere secondo i comandi che
venivano dati da Gian Giacomo.
Siccome egli aveva certezza che i Grigioni non si sarebbero mossi ad
assalirlo perchè conosceva l'impraticabilità delle strade del loro paese
in quella stagione, e perchè sapeva positivamente che gli uomini della
Lega s'erano ritirati ne' loro casolari delle alpi, non fece appostare
che piccoli drappelli a guardia de' luoghi eminenti, e lasciò poche
soldatesche a Gravedona, a Sorico, e nell'altra parte allo sbocco della
Valtellina per trattenere gli Svizzeri in caso di discesa tutto quel
tempo necessario ad accorrere egli stesso al riparo. Mandò di nuovo il
capitano Bologna a Rezzonico; spedì il Mandello a Varenna, e diede ad
entrambi quel maggior numero d'uomini ohe gli fu possibile nella
scarsezza in cui si trovava di truppe, di cui alcune dovette pur
lasciare nel Castello di Musso sotto il comando del fratello Agosto.
Divise poi il corpo più grosso d'armata in tre schiere: la prima più
numerosa montata sopra cinque navi volle condurre egli stesso alla
difesa di Lecco; la seconda con tre navi destinolla a presidiare
Bellaggio per impedire ai nemici di impossessarsene; mise la terza sotto
i comandi del Pellicione, onde per la via di terra che fiancheggiava il
lago pervenisse a Menaggio e di là inoltrandosi incontro alla colonna
dei Ducali, che veniva sulla strada della Tramezzina, togliesse loro
l'avanzarsi e si opponesse al ricongiungimento di quella coll'altra che
progrediva sui legni per isbarcare a Bellaggio: delle tre navi destinate
a guernire questo paese aveva il comando supremo Achille Sarbelloni che
saliva la Donghese; le altre due erano la Salvatrice e l'Indomabile
capitanate da Falco e da Gabriele.
Falco, dopo quel dì delle feste per la vittoria, ritornato colla moglie
e la figlia alla sua capanna della rupe, aveva durato alcun tempo nella
determinazione già fatta, ed espressa a Gabriele, di recarsi a dimorare
in Musso; ma poscia veggendo interamente acquetate le cose della guerra,
allontanati tutti i nemici, sgombro il lago d'insidie, pensò
soprassedere a quella risoluzione, e non abbandonare il suo abituro sino
a tanto che non fosse trascorsa l'invernata. Il Castellano l'andò più
volte affabilmente rampognando del suo ritardo nel non approfittare del
dono della casa a lui fatto, ma veggendo irremovibile la costui
ostinazione, e non avendo urgente bisogno dell'opera sua, lo lasciò in
pace al fine, concedendogli agisse a suo grado. Invano pure Gabriele lo
sollecitò innumerevoli fiate ed in tutti i modi a trasferirsi presso a
lui stabilmente, che fermo il Montanaro guerriero nella gelosa custodia
della propria indipendenza, e legato di troppo tenace affetto ai siti
nativi, non volle cedere mai alle di lui istanze, il cui secreto scopo
era, approfittando della prossimità, indurre il fratello ad accordargli
Rina. Per lo che irrequieto il giovine Medici, nel quale si faceva ogni
dì più ardente la passione che l'infiammava per la bellissima abitatrice
della solitaria rupe, avendo avuto il comando da Gian Giacomo di recarsi
una fiata a Rezzonico, un'altra a Bellano per militari faccende, non
seppe trattenersi dallo spingere la sua corsa ambedue le volte insino a
Nesso all'abituro di Falco, poichè quivi soltanto poteva trovare calma e
sollievo all'agitato suo cuore. Andando colà s'infingeva cercare di
Falco, che aveva quasi certezza di non ritrovare, poichè sul finire
dell'autunno, infastidito della tranquillità che regnava d'intorno,
andava co' suoi compagni sino nelle acque di Como a molestare i Ducali.
Gabriele, accolto ed ospitato cortesemente in quel casolare da Orsola,
passava alquante ore felici in compagnia di Rina, ora dentro la casa,
ora seduto accanto a lei sotto il fronzuto castagno che ne ombrava la
soglia, La leggiadra fanciulla, fatta meno pavida e di meno austero
riserbo da poi che aveva più volte seco lui conversato, rispondeva alle
sue parole con semplici ma sì vivi ed affettuosi modi, che tutto
appalesavano il rapimento soave del suo spirito per la cara presenza del
giovine guerriero. Questi, benchè inebriato di gioia, sentivasi commosso
sino alle lagrime, quando, coll'accento delle tenere e dolorose memorie,
ella gli narrava l'ansia dei lunghi giorni trascorsi in aspettarlo, e la
perduta speranza del rivedersi. Oh felici! e si rivedevano ed erano
dappresso, e non le sole parole, ma l'anima che traspariva per gli
occhi, e l'atteggiarsi spontaneo delle persone, l'una ver' l'altra
dolcemente inclinate, era ad entrambi certo e prezioso argomento
d'amore, che gli appagava con perfetta inesprimibile delizia.
Venuto il tristissimo verno, Falco era tornato al Castello di Musso
quando appunto giunse colà la notizia dei nuovi preparativi di guerra
per parte dei nemici e dell'assalto di Monguzzo. Retrocesso colla flotta
dall'infruttuosa spedizione fatta a Lecco per accorrere alla difesa di
quel Castello, egli accettò con molto contento il comando di recarsi
sulla Salvatrice carica di soldati ad impedire al nemico di pervenire a
Bellaggio insiememente alle schiere condotte da Gabriele e da
Sarbelloni.
Allo spuntare d'un freddo mattino salparono le navi del Castellano dal
porto di Musso: era il lago coperto da una folta nebbia che toglieva ai
naviganti ogni distinta vista del legno in fuori su cui ciascuno
veleggiava e delle acque per poco spazio dintorno; l'altre navi che
solcavano di conserva le onde, si scorgevano in forma offuscata e
confusa, e le più lontane non si vedevano affatto. I soldati armati
grevemente stavano parte raccolti sul cassero cogli archibugi caricati,
parte vicini alle bombarde, silenziosi e disposti al combattere ad ogni
cenno che indicasse essere prossimo uno scontro col nemico. Alcuni
battelli leggieri, su cui stavano uomini espertissimi de' luoghi,
correvano a forza di remi dinanzi alle grosse navi e colle grida
indiziavano il cammino ai piloti di quelle. Giunta la flotta nelle acque
di Varenna, quattro navi col Brigantino e l'altre minori barelle volsero
le prore verso Lecco, e i tre prefissi legni vogarono dritto a
Bellaggio. Mentre questa squadra s'avanzava all'accennata punta
diradossi la nebbia e, sollevandosi, lasciò scorgere il promontorio e
gli altri monti che fiancheggiano il lago biancheggianti di neve; le
acque apparvero d'un colore più bruno-cilestrino a causa di quella
candidezza delle montagne fra cui stavano rinchiuse.
Falco, che incappucciato nella sua schiavina stava ritto sul bordo della
_Salvatrice_, la quale veniva innanzi a tutte, mirando attentamente per
iscoprire ove si trovasse il nemico, fu il primo a vedere, non senza
rabbia e dispetto, le navi Comasche già lontane che si ritiravano dietro
il dosso di Lavedo. Egli fece i segnali a Gabriele e ad Achille
Sarbelloni che s'avanzassero coll'_Indomabile_ e la _Donghese_
disponendossi a inseguire il nemico; ma que' due Comandanti gli
accennarono di dovere arrestarsi, poichè loro fazione si era non altro
che occupare e difendere Bellaggio.
Falco, benchè cupido di combattere, non osò trasgredire gli ordini del
Castellano, che tali erano appunto; fece trattenere la nave a poca
distanza da terra, e fatto esplorare se vi fossero Ducali pel borgo,
saputo che non ve n'erano, discese egli colle proprie schiere, e quindi
Gabriele e Sarbelloni sul lido. Gli abitatori, benchè dolenti per quella
comparsa d'armati che doveva far scena di battaglia la loro terra,
dovettero accoglierli nelle case, ove si distribuirono piantando
artiglierie, ed affortificando i siti più eminenti circonvicini, ed in
ispecial modo la sommità del colle, ove eravi un palazzo a modo di
rocca, di proprietà in allora degli Stampa.
Il dì seguente al sorgere dell'aurora, resa fosca dai nebbioni che
ingombravano tutto il lago ed i monti, s'udì un lontano trarre
d'archibugi che destò e pose in allarme i Capitani ed i soldati del
Medici che stavano in Bellaggio; accorsero le schiere armate alla sponda
ed alle navi per vedere che fosse, ma la nebbia, che come un fitto velo
copriva ogni cosa, impedì che scoprissero ove precisamente accadeva il
combattimento, che ben però arguirono essere ingaggiato sulla sponda di
prospetto presso Tramezzo fra la schiera del Pellicione e la colonna
nemica. Falco, impaziente di recarsi a combattere, corse in traccia di
Gabriele e di Sarbelloni, e trovatili nel palazzo Stampa, dove in una
gotica sala stavano deliberando in proposito, disse loro con gran
premura: "Udite, udite! i nostri di là del lago danno già la mattinata
ai camiciotti rossi; essi rompono loro il digiuno con qualche cosa di
più solido che i migliacci e le ricotte: e noi che credete voi che
abbiamo a fare? starcene qui colle mani alla cintola ad udire il suono
senza prender parte alla festa? No, per l'anima mia! sarebbe questa
un'indegna viltà. Voi, signor Capitano (e si volse al Sarbelloni),
rimanete qui coi vostri uomini in guardia di Bellaggio; io ed il signor
Gabriele passeremo il lago, e favoriti dalla nebbia, giungeremo quando
meno se la pensano alle spalle dei Ducali, prestando così una mano al
capitano Pellicione a trattare come si merita quella canaglia".
Sarbelloni esitava ad acconsentire a tale proposta, poichè il comando
era di mantenersi in quella posizione; e non voleva esporsi al pericolo
di perderla dividendo, contro il divieto, le forze: Gabriele aderiva in
cuor suo al progetto di Falco, ma non osava proferire un parere
contrario a quello che poteva esporre il Sarbelloni, a cui il Castellano
gli aveva comandato d'obbedire, siccome più provetto ed esperimentato di
lui. Intollerante il belligero Montanaro delle dubitanze e del silenzio
di que' due: "A che perdiamo inutilmente il tempo, esclamò battendo
focosamente col suo moschetto il suolo: ordiniamo alle truppe
d'imbarcarsi, e voghiamo all'altra riva prima che tutto sia finito;...
ma che c'è?... ascoltate... colpi... nuovi colpi... vicini... i nemici
son qui... assalgono il borgo... presto, corriamo, non c'è tempo da
perdere, chiamiamo tutti gli uomini e scendiamo loro incontro".
Queste ultime parole furono pronunciate da Falco pel tuonare improvviso
d'una scarica d'archibugi che s'intese tanto fragorosa e distinta che
indicava non essere stata fatta più lontana delle ultime case di
Bellaggio. I tre Capitani scendendo rapidamente decisero in brevi detti
qual ordine ciascuno dovesse tenere. Gabriele cogli armati di sua truppa
prese il cammino d'un bosco sul colle superiore alla borgata; Sarbelloni
recossi al luogo ove era cominciata la zuffa; e Falco, fatta salire la
sua schiera parte sulla _Salvatrice_, parte sui battelli presi nel
porto, costeggiando il lido, si recò a sostenere il combattimento dal
lago.
Il Vestarino aveva il giorno antecedente avuta notizia per mezzo di sue
spie che la flotta del Medici uscita da Musso s'avanzava verso
Bellaggio, per lo che egli, che s'era prefisso d'evitare ogni pugna
navale, non avendo potuto a causa della nebbia vedere la direzione presa
dalla maggior parte della flotta all'altura di Varenna, s'era ritirato
colle proprie navi dietro la punta di Lavedo già antecedentemente da'
suoi soldati fortificata: venuto in cognizione però che soli tre legni
erano quelli giunti a Bellaggio, benchè sapesse in pari tempo che una
divisione di Mussiani si avanzava lungo la sponda dalla parte di
Menaggio, pentito di non essersi prima impadronito del promontorio
Bellaggiano, pensò di farlo immantinenti. Aveva per ciò ordinato quel
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