Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 09

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gli eran venuti seguitando, e, mandata innanzi la corte, s'eran fermati
a guardar lo sbocco della valle ov'è posta la chiesetta.
Ricevettero dalle mani de' birri due prigioni che avean avuto con gran
fatica, e li condussero alla torre ove comandava Martino Schvarzenbach.
Quando questi scese sotto il portone, i due sciagurati stavano in
mezzo ai soldati aspettando venisse aperta la prigione. L'uno era il
capo-banda Pietraccio, giovane feroce, di membra e d'aspetto come un
selvaggio, con un ciuffo scompigliato di capelli rossicci che gli
cadeva sugli occhi, e le braccia nude, lorde ancora del sangue del
podestà, strette sul petto da una corda che entrava nelle carni; aveva
lo sguardo basso e smarrito del lupo colto nel laccio. L'altra era una
donna alta di statura, di belle forme; il travaglio però, l'uso dei
delitti, la disperazione in che la metteva il suo stato presente, la
facevan parere maggior d'anni che non era realmente. Una ferita toccata
nel capo mentre si difendeva, le avea tolto di venir quivi altrimenti
che sulle braccia di due soldati. La lasciarono giù sul lastrico, ed in
quella scossa il rinnovato dolore della ferita le fece aprir gli occhi
e mandar un gemito profondo, mentre il sangue sgorgandole dalla fronte
le imbrattava il volto ed il petto. Il carcere ov'era stato Don Michele
venne aperto, e vi fu gettata con Pietraccio, così legati com'erano.
Sbrigatisi da costoro, i soldati tornarono verso la macchia, se mai
vi fosse da raccoglier altri prigioni. Fanfulla salì nella camera del
Conestabile, ed Ettore profittò di quel ritaglio di tempo per andare
alla foresteria.
Le due donne, che non l'aspettavano a quell'ora, rimasero nel vederlo,
e dopo le prime accoglienze udirono le cagioni che l'avean condotto
al monastero. Narrando la caccia data ai malandrini, disse loro che
insieme col capo era stata presa una donna, la quale, fatta testa
all'entrata d'una grotta ov'erano appiattati, avea feriti parecchi
birri, finchè da una roncolata sul capo era stata buttata in terra.
Ginevra commossa dalla sventura di costoro, volle andare a soccorrerli.
S'alzò, e preso ciò che stimava opportuno da un suo armadio ove teneva
più qualità di polveri e d'unguenti, che eran, come abbiam veduto,
stati talvolta adoperati anche in servigio degli stessi assassini,
pregò Fieramosca andasse dal Conestabile per la chiave della prigione.
Si mosse questi, e per la scala a chiocciola salito alla camera di
Martino, vi sentiva nell'avvicinarsi all'uscio uno stropicciar di
piedi, del quale non riusciva a capir la causa. Spinta la porta che
era socchiusa, vide Fanfulla nel mezzo con uno spadone a due mani che
avea tolto da un rastrello, giocando con esso come fosse un bastoncino.
Si schermiva, facea mulinelli, tirava stoccate, calava fendenti con
tanta velocità che la spada si vedeva appena in aria come una nebbia;
e se avesse avuto a difendersi contra un esercito non avrebbe fatto
altrimenti. Ettore che era per entrare, si rattenne sul piè di dietro
per non toccar qualche sfregio, e guardava sorridendo questa pazza
giostra, che l'altro seguitava non accorgendosi di essere veduto. I
colpi che ora tirava all'aria, pareva, per disgrazia del padrone di
casa, che non fossero andati sempre a vuoto. Fosse sbaglio o malizia,
uno di essi aveva terminato i lunghi servigi del mezzo barile che
giaceva sotto il letto, diviso in due parti come una noce, ed il
liquido che conteneva s'andava livellando nella parte più bassa del
pavimento.
--Il vinsanto si svina tardi quest'anno--disse alla fine ridendo
Fieramosca; e Fanfulla, voltatosi alla voce, lasciò cadersi ai piedi
lo spadone, e si gettò rovescio sul letto con tante risa e tanto
schiamazzo che pareva impazzato.
--Che diavolo hai fatto, pazzo da catena? Guardate! guardate! è
mezz'ora che siam'arrivati, ed ha fatto più danni che un terzo di
Catalani in una settimana.... E Martino dov'è?--
Fanfulla finalmente si racchetò e disse:
--Era qui poco fa: e diceva che lo spadone a due mani non lo
sanno adoperare altri che gli Svizzeri e i Tedeschi; ed io gli ho
risposto ch'ei diceva il vero, e l'ho pregato m'insegnasse un poco,
e provandomi il meglio ch'io sapevo m'è venata fatta una tacca al
barilozzo (impiccato sia se l'ho fatto apposta) ed egli si è crucciato
da maladetto senno. Guarda che uomo bestiale!.... non vuol compatir
niente! e lo sapeva pure che noi poveri Italiani non sappiamo tener la
spada in mano! Insomma abbiam avute di sconce parole, e s'è partito
giurando e bravando. Com'avresti fatto? Senza curare di pigliarla con
uno schermidore par suo, gli ho mandato un _cancher_ alla lombarda, e
gli ho detto: Se volete scender nel prato avanti la torre vi farò una
tacca alla vostra zucca tedesca per mostrarvi che quella del barilozzo
è stata per isbaglio.
--E lui che cos'ha risposto?
--Che me gli levassi d'attorno che l'avevo fradicio.--
E finir queste parole, e voltolarsi sul letto ridendo, e mandando
per aria ciò che v'era, fu tutta una cosa. Il fatto stava appunto in
questi termini; ed il capitano non curandosi d'aver che fare con questo
diavolo, dall'altra parte trafitto all'anima per la perdita del suo
vino, era salito bestemmiando in tedesco su d'un palcaccio al secondo
piano ove s'era nascosto Don Michele. Da quella sua fortezza udendo
la relazione di Fanfulla alzava la voce tratto tratto per dirgli
villania, alla quale questi rispondeva con altrettanta in forma di
parentesi pur seguitando il racconto.
Fieramosca che non aveva l'animo a questi scherzi, entrato di mezzo,
non senza gran fatica li mise d'accordo. Martino scese, Fanfulla se
ne andò ridendo, ed Ettore che anch'esso durava fatica a non ridere,
vedendo il Tedesco che contemplava le due parti del suo barile
coll'occhio d'un avaro che trovi lo scrigno aperto e vuoto, espose
il desiderio di Ginevra d'entrare nella prigione, e con buone parole
domandò gli venisse aperta.
Il Conestabile intanto avea rizzati i due pezzi del barilozzo, e con
un panno che a modo di spugna andava inzuppando e poi spremendo con
diligenza ne' recipienti, procurava salvar le reliquie della sua
sconfitta. Intesa la voglia di Ginevra, diceva brontolando:
--Ecco! gli assassini trovano chi li soccorre, e un pover uomo che se
ne sta pe' fatti suoi, e non fa male nemmeno al pane, trova i matti che
gli mandano a sacco la casa.
--Ser Martino, mio caro, avete cento ragioni; ma vedete ch'io non ci ho
che far niente.
--Sta a vedere che ci avrò che far io; sono andato io a pregarli che
venissero a darsi buon tempo in casa mia!--
Fieramosca instava.
--Bene, bene, tornate fra mezz'ora, entrerete in prigione..... Che ci
possiate morir tutti--disse fra' denti; ma Fieramosca era già a mezza
scala, e non lo potè sentire.


CAPITOLO DECIMOPRIMO.

La cattura di Pietraccio e della madre era un accidente che poteva aver
gravi conseguenze per Martino, e turbare l'esecuzione dei progetti
di Don Michele: se n'erano fatta parola scambievolmente, ed erano
d'accordo che bisognava far fuggire l'assassino onde non venisse
condotto a Barletta, ove avrebbe potuto palesare la condotta tenuta
dal capitano. Ma il modo non era facile trovarlo senza che n'avesse il
carico chi lo dovea guardare.
Quando Fieramosca era venuto per ottener l'ingresso del carcere,
turbato com'era per la quistione avuta con Fanfulla, non potè così alla
prima giudicare se ciò potesse guastare od aggiustare le cose sue.
Ebbe però bastante talento per prender tempo confidando nell'astuzia
del suo nuovo amico, e risalì da lui sperando avrebbe trovato il modo
di sbrigarlo da quel viluppo. Quando Don Michele udì la domanda di
Fieramosca disse:
--Se l'avessimo pagato non ci avrebbe serviti meglio. Lasciate fare a
me, Conestabile, e vedrete se so lavorar pulito. Ma.... ricordatevi!
--Resta inteso, non occorr'altro. Però.... le monache....
--Le monache--rispose Don Michele ridendo--non le toccheremo; state pur
quieto. Ora datemi le chiavi della prigione ed aspettatemi qui.--
Prese le chiavi, scese al pian terreno ed aprì la porta pian piano:
tese l'orecchio, ed udendo che la madre ed il figlio stavan parlando,
si fermò sul primo scalino dei quattro o cinque che scendevano in
quella buca, di dove allungando il collo poteva vedere ed udire que'
due meschini.
La donna era stata deposta in terra col capo appoggiato ad una trave
che giaceva in un angolo, ma per l'angoscia essendole saltata una
febbre gagliarda, nel divincolarsi era caduta colla fronte sul tufo
umido del suolo, nè aveva avuto mai forza di rialzarsi. Il figlio,
colle braccia legate sul petto in modo che non poteva muover un dito,
s'era provato, ma inutilmente, d'ajutarla; alla fine per disperato se
l'era posto ginocchioni accanto, e girava l'occhio istupidito ora sulla
madre, ora per le mura.
La donna tentava ogni tanto di alzar la testa, ma era troppo debole
per farlo da sè. Con molto stento riuscì pure alla fine al figlio di
sottentrare con un ginocchio in uno di quegli sforzi, e così la venne
a rimettere nella sua prima posizione; ma questo moto le cagionò tanto
dolore che portandosi le mani al capo con un gemito prolungato disse:
--Maladetta la ronca del villan calabrese! Ma se il diavolo mi
lascia due minuti.... voglio che sappi una volta chi sei.... Che
varrebbe pregar Dio e i Santi? Veramente m'han dato retta quando li
pregavo!....--E qui, alzando a stento le pupille spente verso la volta,
profferì bestemmie da far rizzare i capelli in capo a tutt'altri che a
Pietraccio.
--Eppure (seguitò a dire mutando quella disperazione feroce in
un'altra più dolorosa ed egualmente profonda) eppure anch'io avevo
sperato nel perdono!..... quando cantavo coll'altre monache!.... Oh
maladetta l'ora che misi piè su quella soglia!... Ma che serve? Ero
del diavolo prima di nascere;..... ho provato a fuggirgli... ecco come
ci son riuscita.--E di nuovo alzati gli occhi al cielo, disse con una
espressione che non si può descrivere--Sei contento?--Poi volta al
figlio:--Ma se puoi uscir di qui..... se sei uomo..... chi è causa
della mia morte e della tua rovina arderà con me sempre, se i preti
dicono il vero. Quella notte, a Roma, ch'io ti posi a canto di Tor
sanguigna perchè ammazzassi quel gentiluomo, e tu, pazzo, gridasti
prima di dargli, e così ti presero e ti conciarono come tu sei.... Era
Cesare Borgia!.... Quando costui studiava in Pisa (stavo in monastero)
s'innamorò di me; io, pazza birbona! di lui. Sapevo io chi era?....
Una notte venne a me.... Avevo una mia figlioletta di sette anni....
si risentì... dormiva in una cameruccia vicina.... lo vide scavalcando
per una finestra; si cacciò a gridare.... guai a lui se l'avessero
scoperto.... era vescovo di Pamplona di fresco,.... le gettò i cuscini
sulla testa.... e su colle ginocchia.... Mostro! io caddi in terra....
Giurami per tutto l'inferno, per la morte mia che l'ammazzerai; accenna
col capo che lo giuri... almeno questo...--
L'assassino cogli occhi orribilmente spalancati sulla madre crollò il
capo ed accennò che farebbe, ed essa levandosi dal collo una catena che
aveva sotto la camicia soggiunse:
--E quando gli avrai spaccato il cuore digli: Guarda questa catena....
sbattigliela sugli occhi.... te la rende mia madre... Non ho finito....
Oh un momento ancora! poi non ti temo... Quando mi riscossi, mi trovai
stesa sul lettuccio e tu sei... oh non posso dirlo.... accanto alla
povera Ines. Oh com'eri bella!... ed ora sei in paradiso!... ed io!
io! perchè ho d'andare all'inferno?...--Quest'ultime parole furono
accompagnate da un urlo che fece tremar la volta. Era morta.
Pietraccio non si commosse gran fatto; con guardo stupido pose mente
ai moti convulsi della madre. Quando la vide spirata, s'accovacciò
nell'angolo più lontano, come fa una fiera, che chiusa in gabbia con un
cadavere della sua specie, prova ribrezzo e lo sfugge.
Tutto quel racconto fatto interrottamente ed in una specie di delirio
non era stato inteso da lui se non in parte. L'idea che gli rimaneva
più viva, era che avea a vendicarsi di Cesare Borgia per più ingiurie,
ma principalmente, a parer suo, per essere stato ridotto ne' termini in
cui si trovava dalla barbarie di costui.
Il racconto medesimo aveva però ben altrimenti colpito lo sgherro del
Valentino. Chi avesse potuto vederlo in quel momento avrebbe creduto
che ogni parola di costei gli togliesse una porzione di vita, tanto si
veniva cambiando in viso. Quando la donna cadde sul pavimento, mancò
poco non accadesse a lui lo stesso.
Scese mal fermo sulle gambe, e colla mano che gli tremava tagliò le
corde che legavano Pietraccio. Fissò gli occhi un momento sulla catena
che già aveva al collo, poi disse:
--Or ora verranno a visitarti un gentiluomo ed una donna. Voglion
liberarti, ma che non appaja ciò sia opera loro. Sii accorto, e mentre
vorranno vedere se la donna si possa ancora ajutare, prendi la scala,
fuggi, e fa' di non esser colto; sei già condannato nella testa.--
Dette queste parole con grandissima fretta, come avesse avuto fuoco
sotto i piedi, gettò alla sfuggita uno sguardo di ribrezzo sulla donna,
lasciò il suo pugnale nelle mani di Pietraccio, ed in un lampo si trovò
nella camera del Conestabile. Si dirà a suo luogo quanto ciò che avea
veduto ed udito dovesse turbare anche un ribaldo par suo.
Il lettore forse dirà: Ma insomma non la finiamo mai con queste
malinconie di assassini, traditori, prigioni, morti, diavoli e peggio?
Se noi abbiamo indovinato la sua mente, egli con buona licenza non
ha indovinato la nostra che era appunto in questo momento di finirla,
mandar al diavolo Don Michele e Pietraccio e Martino (che a dirla in
confidenza cominciavano a divenir fastidiosi anche a noi), e pregarlo a
saltar nel bel mezzo della rocca di Barletta che troveremo assai mutata
da quando ci siam venuti l'altra volta con Don Michele.
Il cortile, le logge erano tese di parati in seta di tutti i colori
con ghirlande di mortella e d'alloro, che formavano festoni e cifre;
e tutte le bandiere dell'esercito pendevano ondeggianti dai balconi
e dalle finestre. La turba composta di spettatori oziosi e d'uomini
che s'affaccendavano a metter in ordine l'apparato, brulicava,
ora stringendosi, ora allargandosi per le scale, pel cortile, per
le logge. Soldati, operai, servitori, ragazzi andavano e venivano
carichi d'attrezzi, di scale, di suppellettili d'ogni sorta, per
fornir la mensa od adornar il teatro. Entravano grasce, frutta,
vini, cacciagioni, di che i primi della città e dell'esercito a gara
presentavano il Capitano di Spagna. Era un andare e venire, un gridare,
un chiamarsi; in conclusione, un disordine inestimabile.
Quando la campana della torre suonò quattordici ore comparì in cima
alla scala esterna il gran Capitano con tutti i suoi baroni; e
l'allegrezza che sentiva di riveder la figlia (una staffetta giunta
poco prima per annunziare il suo arrivo l'avea lasciata a tre miglia da
Barletta) avea voluto mostrarla nella gala del suo vestire e di quello
del suo corteggio.
Sopra una vestetta di drappo d'oro riccio portava una cappa di velluto
pavonazzo acceso, foderata di zibellino, ed in capo una berretta
compagna. Da un bellissimo zaffiro che serviva di fermaglio spuntava
un pennacchio lungo poco più d'un palmo, ma interamente composto di
perle fine infilzate in fili d'acciajo, e ondeggiava leggiero sulla
fronte come fosse di piuma veramente. La spada ed il pugnale colle
guaine parimenti di velluto pavonazzo scintillavano di gemme, e sul
petto a sinistra avea una spada ricamata in rosso, che era l'insegna
dell'ordine di San Yago.
Trovò a piè della scala una mula bianca catalana coperta sino a terra
d'una gualdrappa di seta pavonazza cangiante, trapunta d'oro; messosi
in sella, il suo seguito montò a cavallo, e tutti insieme si mossero
per andare incontro a Donna Elvira.
Prospero e Fabrizio Colonna, vestiti di sciamito rosato, e pieni di
ricami d'argento, cavalcavano, a' suoi lati, due cavalli turchi, i
più belli che si fossero visti da gran tempo in Italia. I due cugini,
oramai oltre la virilità, stavano su quelle alte selle di velluto
frenando gli slanci de' loro cavalli in atto così bravo, che ben
apparivano que' gran soldati che erano, ed i migliori condottieri che
contasse allora la milizia.
Nella turba che seguiva si notava all'aspetto accigliato e robusto
Pedro Navarro, inventore delle mine, usate con tanta fortuna
all'espugnazione di Castel dell'Uovo. Diego Garcia di Paredes, l'Ercole
di quel tempo, il quale non usando quasi mai coprirsi d'altro che di
ferro, e neppur avendo in pronto abiti da comparire in tal giorno,
aveva limitata la sua gala a far sì che le sue armi fossero meglio
forbite del solito, ed a togliere il più feroce di parecchi cavalli da
battaglia che aveva. Era un gran stallone calabrese preso al capestro
da poche settimane, alto, membruto e nero come un corvo, senza pelo
d'altro colore.
Il solo Paredes avrebbe osato e potuto cavalcare questa bestia
selvaggia, che avvezza fra i boschi, trovandosi ora fra tanto popolo e
tanto romore, s'era imbizzarrita, sbuffava e schiumava come un leone.
Ma la statura del cavaliere, la sua grave armatura e l'ajuto d'un
freno lungo mezzo braccio che insanguinava la bocca al cavallo, glielo
facevan soggetto, e dopo aver fatti nel muoversi cento strani salti
(e nessuno era tardo a dargli luogo), prese il savio partito di non
stimarsi più forte di Diego Garcia, che inchiodato fra gli arcioni
rideva di quegl'inutili sforzi.
Il fiore della gioventù italiana veniva di conserva coi baroni
spagnuoli. Ettore Fieramosca cavalcando fra i suoi due amici più cari,
Inigo Lopes de Ayala e Brancaleone, portava un mantello di raso azzurro
ricamato in argento, lavoro e dono delle donne di Santa Orsola. Aveva
grido d'esser il primo dell'esercito nel maneggiare un cavallo. Quello
che aveva sotto, color di perla coi crini scuri, donatogli dal signor
Prospero, era stato addestrato da lui con tanto studio, che pareva
capisse senz'ajuto di briglia o di sproni tutti i voleri del suo
signore.
Pareva che Fieramosca avesse il dono di far sempre la prima figura in
ogni cosa e fra tutti ovunque si trovasse.
Perfetto nelle forme del corpo, ne mostrava la gentile struttura con un
vestire stretto alla carne, che in ispecie alle gambe ed alle coscie
non gli faceva una piega, tutto di raso bianco; ed era tanta la sua
bellezza, la grazia nell'atteggiarsi, che, passando la cavalcata per le
strade, le turbe guardavano lui solo, e di lui solo si maravigliavano.
Il giovane s'avvedeva di questo trionfo, ma quasi fra sè arrossiva di
cogliersi in un pensiero che appena si vuol perdonare all'altro sesso.
In ultimo venivano gli scudieri di questi capi; e, come voleva l'uso
in allora, ogni signore procurava avere a' suoi servigi uomini di
diverse nazioni; e più erano barbari e strani, più s'apprezzavano:
onde si vedevano Spahis turchi colle corazzine a squame, le storte ed
i cangiarri: uomini del regno di Granata armati di zagaglie moresche,
sagittarj tartari, e questi erano due staffieri di Prospero Colonna
vestiti di colori vivacissimi cogli archi ed i turcassi d'argento.
V'erano negri venuti dall'alto Egitto armati di lunghi dardi; e le
barbare fisonomie di questa gente contrastando co' visi europei,
formavano un quadro pieno di vaghezza e di varietà.
La mossa di Consalvo fu salutata dallo sparo di tutte le artiglierie
che guernivano le torri e gli spaldi del castello, e dalle campane
sonando a distesa. Fra tanto frastuono spiccava di tempo in tempo
lo squillo delle trombe ed il suono degli strumenti, producendo
un'armonia, se non perfettamente d'accordo, almeno tale da esprimere
l'allegrezza marziale che animava l'esercito.
In questa giunse l'avviso al gran Capitano che il duca di Nemours co'
suoi baroni era già entrato in Barletta; onde fermatosi mandò alcuni
de' suoi ad incontrarli, e pochi momenti dopo i Francesi comparvero al
lato opposto della piazza.
Il duca vedendo Consalvo smontato, e che veniva ad incontrarlo,
scavalcò, e dopo essersi ambedue stesa la mano con gentile accoglienza,
il Francese disse cortesemente che stimerebbe gran villania se,
invitato ad una festa, venisse a disturbarla, come sarebbe accaduto
se per cagion sua si ritardasse d'un momento al padre di riabbracciar
la figlia. Conoscendo che s'andava ad incontrarla, pregava gli fosse
concesso venire con essoloro, non dubitando che se la guerra li
rendeva nemici, non volesse il Capitano spagnuolo tenerlo pel primo di
quanti pregiavano in lui il valore, l'ingegno e l'altre sublimi sue
doti. Non si poteva non esser cortese a tali parole. Risaliti i due
capi a cavallo, s'avviarono i primi, ed il seguito tenne loro dietro
alla rinfusa, usandosi scambievolmente que' modi cortesi de' quali i
Francesi in ogni età sono stati sempre i maestri.
A poco più d'un miglio fuor della porta il corteggio si fermò, vedendo
comparire da lontano la schiera che scortava la lettiga di Donna Elvira.
Veniva in compagnia di Vittoria Colonna figlia di Fabrizio, la quale
divenne poi moglie del marchese di Pescara, e si rese cotanto chiara
per fortezza, per virtù e per ingegno. Scavalcato Consalvo, corse ad
abbracciare la figlia, che era scesa dalla lettiga, e se la tenne
stretta chiamandola più volte _Hija de mi alma_[8], e colmandola di
carezze che contrastavano mirabilmente colla matura gravità d'un tanto
uomo.
Ettore ed Inigo erano stati scelti da lui a servir di scudieri alla
figlia, onde vennero avanti conducendo una chinea per farla salire in
sella. Il giovane italiano piegò un ginocchio a terra, e la donzella,
posando leggermente sull'altro la punta del piede, si pose a cavallo
con tanta grazia che più non si poteva vedere. La fronte pallida di
Fieramosca si tinse d'un legger vermiglio, quando nel rizzarsi gli
furono rese grazie da Donna Elvira con un tal sorriso, e con un volger
d'occhi, che mostravano quanto avesse cara la scelta di un così bel
giovane a suo scudiere.
L'indole di costei (forse n'era cagione la soverchia tenerezza del
padre) non avea per avventura la maturità di senno che si potrebbe pur
trovare in una giovane di vent'anni. Il cuor caldo e la vivace fantasia
non erano in lei sempre temperate da quel giudicar retto, tanto
difficile a trovarsi in ambo i sessi, e che pure, dopo la virtù, è il
più prezioso giojello dell'anima.
La sua amica Vittoria Colonna univa a questa dote l'acutezza ed il
brio d'un prontissimo ingegno. Quantunque ambedue si dovessero dir
belle egualmente, non si sarebber però potute trovar due bellezze
d'un carattere più dissimile. Gli occhi sfavillanti di Donna Elvira,
il suo frequente sorriso, forse cagionato in parte da un intimo senso
che l'avvertiva d'esser così più bella, piacevano sulle prime; ma le
forme grandiose e veramente romane della figlia di Fabrizio, il suo bel
volto, simile a quello immaginato dagli scultori greci per figurare
le Muse, un certo raggio divino che le balenava fra ciglio e ciglio
s'insinuavano ben altrimenti nel cuore, generandovi un affetto ed una
maraviglia che si cancellavano difficilmente. Un occhio sagace avrebbe
forse creduto scorgere in lei una tinta d'orgoglio. Se v'era, la sua
virtù seppe dipoi vincerlo e volgerlo al bene.
NOTE:
[8] Figlia dell'anima mia.


CAPITOLO DECIMOSECONDO.

Ritornata la comitiva in Barletta scavalcò alla rocca. I nuovi ospiti
vennero allogati nelle migliori stanze; e, scioltosi il corteggio,
ognuno si preparò alle cacce ed alle giostre che dovevano aver luogo
nella giornata.
Sulla piazza era stato eretto uno steccato con gradinate e palchi
di legname all'intorno, ornati quanto più s'era potuto, ed in certi
rimessini appropriati a tal uso si guardavano da più giorni tori,
giovenchi e bufali selvaggi destinati allo spettacolo allora tanto
gradito agli Italiani, ed al quale non isdegnavano prender parte i
primi fra i signori. In questo luogo medesimo, che era sterrato e ben
adatto, doveva seguire la giostra; onde già era pieno di popolo in ogni
parte, ed i tetti, le finestre, tutti i luoghi elevati si vedevano
guerniti di spettatori. I sergenti ed i donzelli con farsetti a diversi
colori, spazzata ed innaffiata la piazza, aspettarono l'arrivo di
Consalvo.
Egli giunse ben tosto con tutti i suoi, avendo alla destra il duca di
Nemours, ed alla sinistra Donna Elvira. Fatto il giro dello steccato,
smontò ad un palco più grande e meglio addobbato, ch'era in uno dei
lati, e fra gli evviva e le grida che il popolo dona facilmente allo
sfoggio delle vesti, all'oro, ed all'altre gale, sederono tutti, e fu
dato il segno di lasciare il primo toro.
Il bisbiglio delle turbe, e le contese che in casi simili nascono
fra gli spettatori dalla gara d'occupare i migliori posti cessarono
all'aprirsi del rimessino. Si lanciò nell'arena un gran toro, tutto
nero il capo e le parti anteriori, colla groppa d'un bigio scuro:
snodando la coda andò buon pezzo qua là a salti, finchè, veduto che da
quel luogo non era uscita, si fermò aggirando l'occhio sanguigno con
sospetto, e spargendo colle zampe d'avanti l'arena.
In quel mentre i visi e gli occhi di tutti si volsero verso un angolo
della piazza al rumore cagionato dalla rissa di due uomini, della quale
non si conosceva la cagione. Per farla nota al lettore ci conviene
tornare alle donne di Santa Orsola per un momento.
La sera in cui Fieramosca annunziò loro ch'era stabilito il
combattimento contra i Francesi, Ginevra non fu la sola che tremasse
all'idea del pericolo cui egli si doveva esporre. Zoraide anch'essa ne
rimase atterrita. Una natura altera ed animosa va spesso unita a cuore
di difficile accesso; ma se alfine pur v'entra amore, quanta rovina!
Essa non conobbe pace, nè riposo, nè sonno da quella sera. Passava i
giorni sempre in un sol pensiero, sempre aggirandosi colla mente nelle
medesime idee senza poter lasciarle, e neppur materialmente occuparsi
di cosa alcuna di seguito; soltanto, ma per brevi momenti, sedeva al
telajo lavorando ai ricami del mantello destinato ad Ettore, e, tosto
alzandosi passava le ore o seduta al balcone, e senza che la sua mente
v'avesse parte, veniva svellendo i pampini o le frondi che vi facean
ombra; o talvolta usciva sollecita, come dovendo far cosa che molto
importasse, e poi, quasi dimentica di sè, andava allentando il passo
e si fermava cogli occhi volti al suolo, sempre cercando esser sola,
e fuggendo più di tutto gli sguardi della sua amica, che ogni momento
le pareva dovesse scoprire ciò che più d'ogni altra cosa bramava tener
segreto.
Ginevra per parte sua non era meno agitata di lei, e forse i contrasti
ch'ella soffriva avevano cagioni anche più potenti e vaste. L'affetto
ch'essa provava pel giovane italiano, prodotto e nutrito da una
intrinsichezza antica, e dagli obblighi che gli aveva grandissimi, era
fatto ora più intenso dal frangente in cui si trovavano, dall'idea che
forse una morte gloriosa l'avrebbe troncato per sempre, e dal virtuoso
rimorso (giacchè nulla più dei gravi ostacoli suole accender la mente
ed il cuore), che l'ammoniva esser obbligo suo tentar ogni via per
ritornar col marito, ed allontanarsi da quello che, malgrado la loro
scambievole virtù, la teneva sull'orlo del precipizio. Si ricordava
d'aver promesso a Dio ed alla Santa del monastero di palesare ad Ettore
la risoluzione presa di abbandonarlo: trovava scusa di non averlo fatto
nel riflettere che il giorno in cui doveva annunziargliela le era
venuto dicendo della sfida; ma sentiva pure dentro di sè che, se questa
causa poteva farle perdonare una dilazione, non dovea però mai toglier
l'esecuzione del tutto.
Oltre questi pensieri, che già abbastanza la travagliavano, le era
sorto nella mente un doloroso sospetto sul conto della sua amica.
Le donne hanno un senso intimo, direi quasi un istinto che le guida
ad iscoprire l'amore anche quando più si cela nel fondo del cuore.
Ginevra s'avvide presto che Zoraide non era più quella di prima.
Indovinava anche troppo la cagione dei suo cambiamento. Le due amiche
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