Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 03

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Poveri abitanti del settentrione! Non sapete quanto valga quest'ora
sotto un bel cielo del mezzogiorno, in riva al mare mentre la natura
è ancora tutta nel sonno, e questo silenzio viene appena interrotto
dal sordo gorgoglìo dell'onda, che al pari del pensiero, non ebbe mai
riposo dal dì che fu creata, nè l'avrà finchè più non sia. Chi non s'è
trovato solo a quest'ora, chi non ha sentito sventolarsi presso il viso
l'ultimo batter d'ala della nottola matutina nel principiar del caldo
sulle belle coste del regno, non sa sin dove giunga la divina bellezza
delle cose create.
Lungo il muro del terrazzo cresceva una palma. Seduto sul parapetto,
le spalle appoggiate al tronco, e colle mani intrecciate reggendosi un
ginocchio, il nostro giovine soldato stava godendo momenti di quiete, e
l'aria pura che precede l'aurora.
La natura gli aveva concesso il prezioso dono d'esser per indole
propria spinto a quanto v'ha di bello, di buono e di grande. Un solo
difetto si poteva apporgli, se difetto si può chiamare, una soverchia
bontà. Ma nudrito da' primi anni fra l'armi, presto conobbe gli uomini
e le cose; la sua mente retta nel giudicare imparò qual limite si debba
porre alla bontà stessa onde non degeneri in debolezza; e la rigidità
che acquista sovente chi si trova fra continui pericoli, in un cuore
quale era il suo, divenne una giusta fermezza, degna e preziosa dote
d'un petto virile.
Il padre di Fieramosca, gentiluomo capuano della scuola di Braccio
da Montone, invecchiato nelle guerre che lacerarono l'Italia durante
il secolo XV non potè dare ad Ettore altro che una spada, e questi
da giovanetto credette il mestier dell'arme il solo degno di sè, nè
potè per molti anni aver pensieri superiori ai tempi in cui viveva,
nei quali la forza dell'armi non s'impegnava che ad accrescere la
riputazione e l'avere.
Ma crebbe il senno col crescer dell'età; e ne' brevi momenti che si
restava dal guerreggiare, invece di spender l'ozio in cacce, in giostre
ed in altri giovanili piaceri, ebbe cari gli studi e le lettere; e
conosciuti gli antichi autori, e gli onorati fatti di coloro che
avevano sparso il sangue in pro della patria e non in vantaggio di chi
meglio li poteva pagare, comprese quanto scellerata cosa fosse per sè
stesso il mestier dell'arme, se a guisa di masnadiere si faccia col
solo fine d'arricchirsi delle spoglie dei deboli, e non per la virtuosa
cagione di difendere sè ed i suoi dalle straniere aggressioni.
Nella sua prima adolescenza avea dovuto seguire il padre, che
importanti affari chiamavano in Napoli. Alla corte di Alfonso conobbe
il celebre Pontano, il quale, colpito dall'ingegno del fanciullo e
dalla bella disposizione del suo corpo, gli pose grandissimo amore; ed
accoltolo nell'accademia che, quantunque fondata dal Panormita, ha però
il nome di Pontaniana, prese ad ammaestrarlo con grandissimo studio,
e riportò, in contraccambio, dal giovane quel culto affettuoso che
produce la gratitudine unita all'ammirazione.
L'amore per le cose patrie e per la gloria italiana risvegliato dalle
eloquenti parole del suo maestro, non poteva rimaner tepido in un cuore
qual era il suo, e crebbe al punto di giungere al furore. Combattè
spada a spada con un gentiluomo francese, giovane maggior di lui
d'anni e di forze, perchè sparlava degl'Italiani, lo ferì e gli fece
confessare il suo torto, presente il re e la corte. Lasciata Napoli,
dopo varie vicende, incontrò i casi d'amore dei quali avemmo un cenno
dal prigioniere francese.
Ma allorchè da Carlo VIII fu messa sossopra l'Italia, e che l'armi
francesi la tenevano tutta in ceppi od in timore, si risvegliò in lui
più caldo l'amor patrio, vedendo quegli invasori voler farla da padroni
in Italia. Si rodeva udendo narrare le loro insolenze nell'attraversare
la Lombardia, la Toscana e gli altri Stati italiani. Quando si sparse
la fama della fiera risposta di Pier Capponi al re, e che questi aveva
ceduto, sfavillava per l'allegrezza portando alle stelle il valoroso
Fiorentino.
Caddero i reali di Napoli. Parve allora a Fieramosca di seguir la parte
di Spagna, per opporsi in qualche modo all'altra di troppo crescente
potenza, e perchè l'orgoglio spagnuolo gli sembrava meno insoffribile
della vana jattanza francese: poi un nemico che non poteva venire se
non per mare, gli parea da tenersi in minor conto; e stimava quando
colle sue armi fossero cacciati i Francesi, impresa meno malagevole
stabilire un buono Stato in Italia.
Al chiarore che si diffondeva dall'oriente svanivano a poco a poco e
si perdevano l'ultime stelle. Già il sole illuminava le più alte cime
del Gargano tingendole d'un roseo che si mutava in pavonazzo ne' seni
ombrosi dei monte, mentre il lido sottoposto, che girava a guisa di
mezza luna, congiungendosi al littorale ov'è posta Barletta, mostrava
col giorno crescente un ameno e diverso intreccio di valli e di colli
che scendevano a bagnarsi nel mare. I folti castagneti che sulle
vette già venivano indorati dal sole, diradandosi verso le falde eran
interrotti ora da prati verdissimi, ora da qualche pezzo coltivato. Qua
una frana lasciava biancheggiar il macigno, là il fianco d'un giogo si
tigneva di colori gialli, rossicci, secondo la natura del suolo. Il
mare ceruleo pareva immobile; se non che ribollendo sotto le rupi ne
cingeva il piede con una striscia di spume candidissime.
Nella parte più interna del golfo sopra un'isoletta che era congiunta
alla terra da un ponte lungo e stretto, sorgeva fra le palme e i
cipressi un monastero con una chiesuola ed un campanile, munito
all'intorno di torricelle e mura merlate, onde salvarlo da un primo
assalto di corsari e di Saracini.
Ettore mostrava guardarlo con passione grandissima, aguzzando le
ciglia, perocchè la nebbia, che a quell'ora copre le terre più
basse, gli permetteva appena distinguere i contorni dell'edifizio.
Coll'orecchio teso coglieva il debol suono della campana che annunciava
l'avemaria del giorno, ed era tanto attento che non udì la voce
d'Inigo, dal quale era chiamato in cortile: questi non ottenendo
risposta, salì.
--Dopo una giornata come quella di ieri--disse entrando sul
terrazzo--non ti avrei creduto alzato prima del sole.--
Chi ebbe mai pieno il cuore d'un solo pensiero grande e bollente,
sa quanto potè esser grato a Fieramosca il venir colto in quello e
costretto a lasciarlo. Si volse con un viso che non celava l'animo suo
interamente, e quasi Inigo s'avvedea d'esser giunto importuno. Ma
l'animo d'Ettore era troppo giusto ed amorevole per accagionare il suo
amico di questo disturbo involontario. Senza dar risposta precisa, se
gli fece incontro, gli strinse la mano, ed alla fine ritornando in sè
del tutto disse piacevolmente:
--Che buon vento mi ti conduce a quest'ora?
--Ottimo vento; e ti reco tal nuova che m'avrai da dar la mancia.
Perciò appena ho aspettato il giorno, ed eccomi a portartela. Sempre ho
avuto invidia alla tua virtù: oggi debbo averla alla tua fortuna. Beato
te, Ettore mio! T'è serbata dal cielo tal impresa d'onore che l'avresti
comprata, son certo, ad alto prezzo. Ebbene ti capita innanzi senza nè
spesa nè fatica. Sei proprio nato vestito!--
Fieramosca condusse in casa il suo amico, e fattoselo sedere in faccia
stava aspettando che gli annunziasse questa gran fortuna. Fu da lui
brevemente informato di quanto era occorso la sera innanzi, del modo
col quale egli avea preso le parti degl'Italiani, e della sfida
proposta. Quando venne a riferire le insolenti parole di La Motta, e
benissimo le seppe dire, balzò in piedi l'animoso Italiano, percotendo
su una tavola col pugno chiuso e cogli occhi scintillanti di fierissima
allegrezza.
--Non è--gridò--giunta a tanto ancora la miseria nostra che manchino
braccia e spade per ricacciare in gola a questo ladrone francese,
quanto in malora sua gli è fuggito di bocca! E Dio ti benedica la
lingua, Inigo, fratel mio (e stretto lo teneva abbracciato), e t'avrò
obbligo eterno della cura che avesti dell'onor nostro, nè in vita nè
in morte me ne terrò sciolto mai.--E le carezze per una parte, come le
profferte per l'altra, non avean fine. Quietato un poco questo primo
calore:
--Qui--disse Fieramosca--è tempo non di parlare, ma d'operare.--E
chiamato un servo, mentre l'ajutava vestirsi, veniva nominando i
compagni che si sarebber potuti sceglier a quest'impresa, pensando far
grossa compagnia più che potesse.
--Molti--diceva--sono i buoni fra noi, ma la cosa troppo importa;
scegliamo i migliori: Brancaleone. E uno. Non vi sarà lancia francese
che lo pieghi d'un dito, con quel pajo di spalle che ha ai suoi
comandi. Capoccio e Giovenale tutti e tre Romani: e ti so dire che gli
Orazi non tenevano la spada in pugno meglio di loro. E tre. Andiamo
avanti: Fanfulla da Lodi, quel matto spiritato, lo conosci? (Inigo alzò
il viso aggrottando un poco le ciglia, e stringendo le labbra, come fa
chi vuoi ridarsi a mente qualche cosa.) Oh lo conosci senz'altro! Quel
Lombardo, lancia spezzata del signor Fabrizio.... quello che l'altro
giorno galoppava sulla grossezza del muro del bastione alla porta a San
Bacolo....
--Oh sì sì!--rispose Inigo--ora mi ricordo.
--Bene. E quattro. Costui finchè avrà le mani le saprà menare. Io
sarò il quinto; e coll'ajuto di Dio farò il dovere. Masuccio--gridò
chiamando un famiglio--bada che ieri si ruppe la guiggia dello scudo,
falla aggiustare, e tosto; senti: alla spada grande ed alla daga
pistolese sia rifatto il filo, e.... che volevo dirti?.... ah! L'arnese
mio di Spagna è in punto?--Il servo accennò di sì.
Sorridendo Inigo a questa furia disse:--Non ti mancherà tempo a
metterti in ordine, che la battaglia non sarà nè oggi nè domani.--
A questo non pensava Fieramosca che si sentiva la febbre addosso, nè
avrebbe voluto tardare a trovarsi alle mani; e poco badando a quanto
dicea lo Spagnuolo, veniva rintracciando altri compagni, chè cinque gli
parea un numero scarso. E disse con gran voce:
--E dove lasciamo Romanello da Forlì? E sei. Lodovico Benavoli. Sette.
Questi li conosci, Inigo: gli hai veduti a lavorare.
--Masuccio, Masuccio!--
Ed il servo che era sceso risalì di volo.
--Il mio cavallo da battaglia, Airone, quello che m'ha donato il signor
Prospero, abbia paglia ed orzo quanto ne vuole; e prima che entri il
caldo lo farai trottare alla volta un'ora, e vedi come gli stiano i
ferri.--
Nel dare questi ordini si stava vestendo; il servo gli porse la cappa,
e messasi l'arme accanto ed in testa un cappello con una penna azzurra,
disse ad Inigo:
--Son teco. Prima d'ogni altra cosa si vuol ragionare col signor
Prospero, poi si farà motto a Consalvo pel salvocondotto.--
Così avviatisi per istrada seguiva nominando or l'uno or l'altro
degli uomini d'arme che potessero fare al caso. Nè si soddisfaceva
d'alcuno così alla prima: di tutti esaminava minutamente lo stato, le
forze, il valore, la vita passata, onde non venissero a sì gran fatto
se non uomini provati. Di Brancaleone romano teneva gran conto sopra
ogni altro, perchè lo conosceva molto uomo dabbene, di gran core e
di maravigliosa gagliardia; gli piaceva il suo fare serio ed alieno
dall'allegria spensierata degli altri compagni, e sentiva per lui
un'amicizia, che molte volte l'aveva condotto al punto di svelargli i
suoi casi colla Ginevra: ma un certo ritegno, e forse la mancanza di
occasione a proposito, l'avean impedito. La sua famiglia e gli antichi
suoi essendo stati ghibellini avevano a Roma tenuta sempre la parte
colonnese, ed ora nella compagnia del signor Fabrizio egli era capo
di certe lance spezzate, e molto bene attendeva a questa come ad ogni
altra bisogna di guerra. Era costui di mezzana statura, largo di spalle
e di petto, di poche parole, e solo intento al suo uffizio: tenace ed
ostinato nel seguire ogni suo divisamento, e non avendo al mondo altro
pensiero che quello d'ajutare e far vittoriosa la sua parte colonnese,
a petto della quale tutto a lui pareva nulla; per sostener questo come
ogni altro impegno si sarebbe fatto tagliare a pezzi mille volte.
Ettore ed Inigo doveano passar davanti all'uscio suo per andare dai
Colonna: lo trovarono appunto fermo che dava ordine a certi suoi
cavalli, e colla spada scinta, avvolta la cintura all'elsa accennava ai
famigli ed ai ragazzi di stalla, facendosi intendere colla minore spesa
di fiato che fosse possibile. Fieramosca l'invitò seco per ordinare
tal faccenda, che, espressa con parole caldissime, fu ascoltata da
Brancaleone senza scomporsi, nè mutar viso. Disse solo brevemente
avviandosi cogli altri due:
--La prova fa credere i ciechi. Quattro stoccate a modo mio e poi ci
riparleremo.--
E questa fiducia non era braveria: chè più volte già s'era trovato
chiuso in campo franco, e sempre n'era uscito ad onore.


CAPITOLO QUARTO.

Le ingiuriose parole di La Motta e la disfida che n'era stata la
conseguenza, corsa in presenza di più di venti persone, non poteva
esser rimasta segreta, e n'era oramai sparsa la fama per tutto
l'esercito e per la città. Inigo, coi due Italiani, presentandosi alla
casa di Prospero Colonna, trovarono che quivi non era altro discorso;
e già cominciava a comparire il fiore della gioventù italiana, che a
lui concorreva come a suo capo, per intendere in che modo s'avessero
a governare. Vennero ad uno ad uno tutti quelli che avea nominati
Fieramosca, e molti altri; sicchè in breve spazio di tempo furono una
cinquantina. Le parole erano molte e grandi, ed ognuno mostrava negli
atti e nel volto quanto gli cuocesse l'ingiuria ricevuta. Parecchi
fra gli Spagnuoli che la sera innanzi s'eran trovati a cena, e che
avean fatto motto ai loro amici italiani, si erano qui condotti, e si
mescolavano fra loro ripetendo or questa or quella delle parole tanto
d'Inigo quanto dei prigionieri, e facendo osservazioni, proponendo
partiti, o citando esempj, attizzavano un fuoco che già troppo bene
ardeva per sè medesimo.
Questa brigata stava, parte per la soglia del portone e dispersa nel
cortile, parte in una sala terrena, ove i fratelli Colonna solevano
dar retta ai loro uomini quando bisognava, e sbrigare gli affari
della compagnia. Vi splendeano appese al muro le loro armature messe
d'oro molto riccamente, con finissimi intagli, forbite e lustranti
come specchi. Si guardava in questo luogo la bandiera della compagnia
sulla quale era ricamata la colonna in campo rosso, col motto _Columna
flecti nescio_, la quale pure si vedeva dipinta sugli scudi, che
coll'altr'arme disposte convenevolmente all'intorno occupavano quasi
tutte le pareti. In fondo due cavalletti grossi di legno sostenevano
l'intere armature de' cavalli con loro selle e gualdrappe di bel
velluto cremesi, fregiate dell'impresa di loro casato, e le ricche
briglie tutte ornate di ricami d'oro, degne di tanto onorati signori.
Sei falconi incappellati e legati ad una catenella d'argento eran
posati sopra una stanga in traverso ad una finestra, con un monte di
attrezzi da caccia, della quale era frequente l'uso fra la nobiltà, e
si teneva proprio spasso dei signori e de' gentiluomini.
Dopo alcuni momenti comparve sulla porta il signor Prospero Colonna, al
quale ognuno fece luogo e riverenza; ed egli venuto avanti e salutando
con nobil contegno, s'adagiò sopra un seggiolone di cuojo rosso a
bracciuoli, in capo ad una tavola che era nel mezzo, dove tenea lo
scrittojo, ed accennò cortesemente a ciascuno di sedere.
Era vestito d'una cappa di sciamito nero rabescato, con una grossa
catena d'oro al collo, dalla quale pendeva sul petto un medaglione
dell'istesso metallo, lavorato sottilmente a cesello. Portava una
daghetta in cintura d'acciajo nero martellato; ed in questo schietto
vestire, la sua mirabil presenza, il volto d'una tinta pallida ed un
po' brunetta, con alta fronte che mostrava esser sede di fortezza e di
senno non ordinarj, inspiravan quella riverenza che si tributa più alle
doti dell'animo, che ai favori della fortuna e della nascita. Aveva
ciglia folte, barbetta alla spagnuola, ed un mover d'occhio tardo e
risguardato, che lo dava a conoscere autorevole e potente signore.
L'occasione presente pareva ed era a lui di grandissima importanza, non
solo perchè ne andava l'onore dell'armi italiane, ma perchè l'esito di
questa fazione, nelle attuali circostanze ove fra due re potenti con
incerta fortuna si combatteva, potea produrre gravi conseguenze per
lui, per la sua casa e per la parte colonnese. Il vincere una disfida
che avrebbe certamente fatto gran romore, dava molta riputazione agli
uomini suoi ed alla sua bandiera; perciò, dei capitani spagnuoli e
francesi qualunque restasse vittorioso, avrebbe alla conclusione avuto
maggior riguardo ad offenderlo e maggior interesse a tenerselo amico.
A tutti è noto inoltre, quanto in terra di Roma fosse ostinato il
contrasto fra la parte colonnese ed orsina, che malcondotte entrambe
dalla forza e dalle frodi d'Alessandro VI e di Cesare Borgia potevano,
o coi soccorsi stranieri o col proprio valore, ajutate da qualche
felice occasione, pensare a rifarsi; onde se v'era mai stato tempo da
dover tenere l'invito della fortuna ed afferrarla pe' capelli, era
questo sicuramente.
Conosceva il sagace condottiere gli spiriti bollenti di Fieramosca,
e quanto potesse in lui sete di gloria ed amor di patria: vedeva che
da' suoi discorsi erano spesso infiammati gli animi de' compagni
a mostrarsi Italiani, e sentì quanto poteva a quest'ora ajutare
coll'esempio, e coi detti accendere vieppiù quel divino ardore che
rende l'uomo pari alle grandi imprese.
A lui dunque si volse cominciando a parlare: disse già in parte
conoscere l'accaduto, ma voler ora udirlo più distesamente, onde si
potesse prender subito un partito. Ettore espose il fatto magnificando
le parole d'Inigo dette in favore della nazione italiana: quand'ebbe
finito, il signor Prospero alzandosi in piedi, parlò così:
--Illustri signori! Se voi non foste quelli che siete, ed io per la
compagnia avuta con esso voi in tante battaglie non avessi esperienza
dell'alto valor vostro, crederei fosse mestieri rammentarvi, come i
nostri avi per le loro virtuose operazioni fecero salir tant'alto la
gloria della patria che l'universo ne restò abbagliato; nè poterono
le tenebre e le sventure di dieci secoli spegner gli ultimi raggi di
tanta luce. Come costoro che d'oltremonti ora vengono a bersi il sangue
italiano, e non contenti, aggiungono lo scherno all'offesa, tremavano
allora al solo nome romano. Vi direi che tant'oltre è giunta omai
questa loro sfacciata insolenza, che dopo d'avere strappato, e con
quali arti sallo Iddio, la gloriosa corona che faceva Italia regina
dei popoli, ed era stata compra con tanti sudori e tanto sangue, par
loro non aver fatto nulla finchè ci vedono una spada in mano ed una
corazza sul petto, e vorrebbero torci perfino di poter combattere e
morire in salvazione dell'onor nostro. Vi direi: Su dunque: andiamo,
corriamo tutti; si piombi su questi ingordi ladroni sprezzatori d'ogni
diritto; e ben veggo nei vostri sguardi che le mie parole sarebber
tarde a fronte delle spade italiane..... Ma invece..... l'ufficio
di condottiero, duro pur troppo in così grave occasione, mi comanda
di porre un freno al vostro valore, e m'è forza il dirvi che tutti
non potrete combattere, e converrà concedere a poche spade la gloria
della nostra vendetta. Il magnifico Consalvo, dovendo con forze minori
sostenere i diritti del re cattolico, non consentirebbe che il sangue
de' suoi soldati si spargesse per altre cagioni. Per dieci uomini
d'arme otterrò, spero, salvocondotto e campo franco. Senza metter tempo
in mezzo, vado, ed ottenuto che l'abbia, ritorno. Intanto ognuno di
voi scriva su un foglio un nome: a Consalvo la scelta. Ma prima dovete
giurare di stare a quanto verrà da lui stabilito.--
Il discorso fu accolto con un bisbiglio d'approvazione, e tutti
giurarono. Furono scritti i nomi e dati al signor Prospero, il quale
alzatosi da sedere, venne alla porta, ove due famigli gli tenevano
apparecchiata una mula: vi salì, ed accompagnato da que' soli due
s'avviò alla rocca.
Dopo una mezz'ora, che parve un secolo all'impaziente ansietà di que'
giovani, ritornò; e scavalcato, entrò nella sala terrena rimettendosi
ciascuno al luogo di prima: il silenzio e l'espressione degli occhi
fissati tutti sul barone romano, mostravano quanto fosse la smania di
conoscer la scelta, e la speranza d'ognuno d'averla favorevole.
--Il magnifico Consalvo--disse alla fine il signor Prospero, cavandosi
di seno le carte e deponendole sulla tavola--si chiama grandemente
soddisfatto del virtuoso proposito vostro: è certo che al vostro valore
sarà questa facile impresa: concede salvocondotto e campo franco per
dieci uomini d'arme; e non è stato piccol travaglio condurlo a questo
numero: solo vi si piega per l'importanza del fatto.--
Spiegato allora il foglio che conteneva i nomi degli eletti, lesse i
seguenti:
--Ettore Fieramosca.--Questi, vedendosi nominato il primo, strinse con
allegrezza il braccio di Brancaleone che gli sedeva accanto, mentre gli
occhi di tutti si volsero a lui mostrando che nessuno credeva potergli
contendere il primo posto.--
Romanello, da Forlì.
Ettore Giovenale, romano.
Marco Carellario, napoletano.
Guglielmo Albimonte, siciliano.
Miale, da Troja.
Riccio, da Parma.
Francesco Salamone, siciliano.
Brancaleone, romano.
Fanfulla, da Lodi.
Chi si fosse trovato presente, senza conoscere nessuno di persona,
avrebbe facilmente potuto distinguere dal viso contento coloro che
la sorte destinava alla nobile impresa. Il volto sempre pallido di
Fieramosca si tinse d'un bel vermiglio, e nel parlar che faceva ai
compagni, i baffi castagni che gli vestivano il labbro tremavano, e
facean conoscere quanto fosse forte la commozione interna che provava.
I suoi pensieri più cari trovavano alla fine occasione di produrre
opere degne di loro. Finalmente, diceva in cuor suo, potrà una volta
il sangue italiano scorrere a miglior fine che a sempre difendere gli
stranieri invasori. Se alcuno gli avesse detto allora «vinceranno i
tuoi, ma tu vi morrai» si sarebbe chiamato contento mille volte: ma
v'era pure speranza, e quasi certezza di vincere, e goder la vittoria;
e pensava, dopo questa, come sarebbe stato il ritorno pieno di gloria,
di feste e d'allegrezze (quanto è raro che l'uomo preveda il vero!):
immaginava le lodi, l'onore eterno che ne verrebbe all'Italia ed al suo
nome, e quanto i suoi più cari andrebbero orgogliosi per cagion sua. A
questo punto un pensiero che gli sorse dal profondo del cuore, passò
come una nube, ed oscurò un momento la gioja che gli splendeva sul
volto: forse sventure passate fecero sentire al suo cuore l'acuta spina
di funeste rimembranze: ma durò un momento. Poteva egli allora aver
altra cura maggiore di quella della battaglia?
Prospero Colonna era stato scelto da Consalvo a maestro del campo,
il che gl'imponeva l'obbligo di mandare il cartello della disfida,
di metter a cavallo i suoi, di vedere che nulla mancasse loro di ciò
che potea procurare la vittoria, d'aver l'occhio finalmente che si
combattesse dalle due parti a buona e giusta guerra.
Si parlò prima di tutto del giorno e del luogo da fissarsi. Erano
i primi del mese: fu stabilito si combatterebbe dopo la metà, onde
rimanesse tempo largo ad allestirsi. Quanto al luogo, si sarebbe
mandato uomini esperti a scegliere il più conveniente.
Dopo di ciò si stese il cartello, che fu scritto in francese, e
consegnato a Fieramosca ed a Brancaleone onde lo portassero al campo
nemico quell'istesso giorno. Disposte così le cose, si volse il signor
Prospero ai dieci eletti, e disse loro:
--L'onor nostro, cavalieri, è sul filo delle vostre spade, e non saprei
immaginare qual più degno e sicuro luogo si potesse trovargli. Ma per
questo appunto conviene che giuriate di non entrare da oggi al dì della
battaglia in alcun'altra impresa, onde non porvi a rischio di riportar
ferite, o d'incontrare impedimento che potesse quel giorno togliervi
d'essere a cavallo: e ben vedete, se ciò accadesse, non importa per
qual cagione, quanto la nostra parte ne rimarrebbe vituperata.--Parve
ad ognuno troppo ragionevole questa antiveggenza, nè vi fu chi negasse
accettar sopra la sua fede la condizione proposta.
Intanto la maggior parte di quelli che vedevano con rammarico non aver
ivi più nulla che fare, s'era andata dileguando alla sfilata. I soli
dieci erano rimasti. Anch'essi, quando fu consegnato il cartello a
Fieramosca, sgombrarono la sala; e questi accompagnato da Brancaleone
s'avviò a casa per esser presto a cavallo e condursi al campo francese.
S'armarono ambedue così alla leggiera con giaco e maniche ed una cuffia
di ferro, e preso con loro un trombetta si avviarono alla porta a
San Bacolo, che rispondeva verso il nemico. Alzata la saracinesca ed
abbassato il ponte, uscirono in un borgo che, abbandonato in quel
trambusto dagli abitanti, era stato mezzo distrutto ed arso dalla
licenza delle soldatesche d'ambe le parti. Di qui la strada prendeva
per certi orti, poi usciva all'aperto, e per giungere al campo era
qualche ora di cammino. Nel passare pel borgo, Ettore s'abbattè in
certe povere donne, mezzo coperte di cenci, che traendosi dietro per
mano, o recandosi in collo i loro bambini cascanti dalla fame, andavano
frugando per quelle case abbandonate, se mai fosse sfuggita qualche
cosa all'ingorda avarizia de' soldati che le avean messe a sacco. Il
cuore del giovane faceva sangue a questo spettacolo, e non potendo
dar loro ajuto non poteva nemmeno sostenerne la vista, onde punse il
cavallo, e di trotto si dilungò sin fuori all'aperto.
L'insolita allegrezza che l'aveva ravvivato pensando alla prossima
battaglia, fu per questo, in apparenza lieve accidente, ritornata in
altrettanta mestizia, risorsero più forti i pensieri delle miserie
d'Italia, e lo sdegno contro i Francesi che n'erano autori. Non potè
nascondere a Brancaleone, che gli cavalcava accanto, la pietà che gli
destavano i mali di quelle meschine; e quegli che in fondo era buono e
caritatevole uomo, quantunque paresse ruvido pel continuo trovarsi in
mezzo ai rischi e al sangue, le compativa e si dolea dei loro affanni
insieme con lui.
Vistolo Fieramosca in questa disposizione d'animo, gli diceva crollando
il capo:
--Ecco i bei presenti che ci recano questi Francesi; ecco il buono
stato che ci portano!.... Ma se posso una volta veder questa razza di
là dall'Alpi....--E voleva dire: faremo in modo di sbrigarci anche
dagli Spagnuoli; ma si ricordò che era al loro servigio, e, rompendo a
mezzo la frase, finì con un sospiro.
Brancaleone pensava più alla parte colonnese che al bene della sua
patria, e non poteva entrar pienamente nei sentimenti del suo amico; ai
quali però partecipando in qualche guisa, ed a suo modo, rispose:
--Se quest'esercito si potesse metter in rotta, non passerebbe forse
molto tempo che avremmo ad assaggiare il vino del signor Virginio
Orsino; e le cantine del castello di Bracciano vedrebbero una volta
come son fatte le facce de' cristiani: e Palestrina, Marino e
Valmontona, non vedrebbero più il fumo del campo di que' suoi ribaldi;
nè sarebbero più desti a ogni tratto da quel maledetto grido, Orso!
Orso! ma.... non si paga ogni sabato!--Da questa risposta conoscendo
Ettore che se Brancaleone s'univa a' suoi desiderii, era però ben
lontano dal concordare interamente con lui quanto ai motivi, tacque;
e camminarono per buon tratto di strada senza che il silenzio venisse
rotto da nessun dei due.
Il trombetta li precedeva d'un'arcata.
Non avrà il lettore scordati i cenni del prigioniere francese circa gli
amori di Fieramosca. I suoi compagni che ne udivan parlare per la prima
volta, si dolevano di questi suoi dispiaceri, e per l'affetto che gli
portavano, e perchè in una brigata di giovani si soffre malvolentieri
chi non mette del suo per mantenere ed accrescere il buon umore. Ora
mentre in quella mattina si trattava l'affare della disfida a casa del
signor Prospero, si bisbigliò di questi suoi casi, che vennero anche
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