Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 08

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ma si distinguevano con questo nome specialmente le bande composte la
maggior parte di soldati che avean abbandonate le bandiere per unirsi
sotto un capo, e rubar i paesi facendo quanti mali potevano.
Alcuni, armati d'un petto o corsaletto, chi con una cervelliera di
ferro, quali colle spade, chi con pugnali, chi con coltello, molti con
cappelli a punta, su quali svolazzavano penne e nastri, e quasi tutti o
sul petto o sul capo aveano l'immagine di qualche Madonna. Molti invece
di scarpe portavano sandali di pelle di capra, coi quali potevano
meglio reggersi ed arrampicarsi per le montagne.
Dei visi non è da dire. Veduti al lume di quella lanterna colle barbe
ed i baffi lunghissimi, incolti ed arruffati, parean demoni scatenati.
Un di costoro, gettata in terra la partigiana che teneva alla gola del
podestà, strappò ad esso ed al suo compagno l'arme d'accanto, e scosse
loro i panni per vedere se ne avessero altre nascoste.
Nel tempo di questa baruffa, lo spettro sbrigatosi dal lenzuolo, era
diventato uomo di questo mondo, e, conoscendo che non era tempo da
perdere, s'era arrampicato su pel campanile, e, seduto su una trave
attenendosi alle pietre che sporgevano dal muro, stava aspettando il
destro di scampare, e dallo scuro, non essendo veduto, poteva benissimo
osservare ciò che accadeva in chiesa.
Intanto il capo de' malandrini, giovane che poteva aver circa
diciassette anni, ma di terribile aspetto, robusto, con una cicatrice
che gli fendeva la fronte quant'era larga, e gli faceva il sopracciglio
più alto d'un dito, menò un calcio sotto le reni al podestà per
risolverlo ad alzarsi, mandando quel muglio di chi non ha gli organi
della parola. Non vi poteva esser un rimedio più pronto per guarirlo
dallo sbalordimento; s'alzò senza aspettare la seconda dose, e tratto
in un angolo con Don Michele, furon legati e guardati da alcuni di
costoro, mentre gli altri prendevano e contavan l'oro al lume della
lanterna. Ciò fatto, lo posero in una borsa di pelle che il capo aveva
alla cintola, ed usciron tutti, messisi in mezzo i prigioni, ai quali,
con quei cortesi modi che usa simil gente, dissero di camminare spediti
se non volevano assaggiar le punte delle loro daghe.
Dopo aver fatto mezzo miglio su per l'erta, in luoghi ove non era
traccia di sentiero, si fermarono, e bendaron gli occhi ad ambedue.
La paura avea fatto trovar la voce al podestà, che si raccomandava
piangendo come un bambino; e gli assassini se ne divertivano e lo
lasciavano fare.
Ma Don Michele, che a quella pausa pensò al peggio, disse fra denti:
Perdio ci siamo! Volle provare d'entrar in trattative per uscir loro
dalle mani; ma alla prima parola gli fu chiusa la bocca con un pugno
che gli cacciò due denti in gola. Non potendo nè vedere, nè parlare,
stava ad orecchie tese. Sentì i ladri che trattavan fra loro di
dividere il denaro ed i prigioni: gli udì parlar di taglia, e speculare
qual de' due paresse poterne pagare una maggiore. Fra varie voci che
parlavano diversi dialetti, tutti però italiani, ne avvertì una che
avea pronunzia forestiera e piuttosto tedesca; ma nel meglio delle sue
osservazioni si sentì prendere da molte braccia, e caricar sulle spalle
di due uomini che s'allontanarono dalla comitiva, senza che potesse
indovinare che direzione prendevano.
Il viaggio durò più d'un'ora, frammezzato da pause, duranti le quali
il portato era non molto gentilmente deposto in terra, ed i portatori
si riposavano. A Don Michele intanto fra il terrore, naturale anche
ad un uomo valoroso, di morire scannato come un cane da que' ribaldi,
i legami che lo stringevano, e l'angoscia di star sulle spalle altrui
posato sugli acuti canti d'un'armatura, cominciava ad increscer
fieramente questo giuoco.
Alla fine pur si fermarono. S'udì lo strepito d'una grossa porta che
s'apriva. Entrarono, la porta chiudendosi di nuovo risuonò alle spalle.
Qui Don Michele fu sciolto, e, condotto pochi passi più avanti, ebbe
sbendati gli occhi e si trovò in una camera ove per uno spiraglio
entrava un po' di chiarore di luna. In una parete era una porta bassa
e nana, tutta ferrata di chiavistelli; fu aperta, ed una voce disse a
Don Michele «Va dentro.» S'abbassò egli per entrare, e mentre con un
piede innanzi tentava se vi fossero scalini, una spinta nelle reni data
col calcio d'una picca lo fe giungere più presto che non avrebbe voluto
al fondo di una scaletta, ed in modo che gli sarebbe stato impossibile
di trovar il conto degli scalini discesi. Un chiavistello che andò al
suo luogo cigolando, avvertì Don Michele che per la porta non v'era
speranza d'uscire.
Il luogo era oscurissimo. Cominciò col tastarsi la bocca che gli doleva
forte pel pugno ricevuto; ne ritrasse le mani bagnate (capì che dovea
esser sangue) e scoperse che d'allora in poi non dovea calcolar più su
trentadue denti, ma soltanto su trenta.
--Se il diavolo t'avesse strozzato te e tuo padre, com'era obbligo suo,
questi non sarebbero stati seminati alla macchia--disse rivolgendosi
colla mente a chi l'avea messo a quest'impresa.
Pure fece ogni opera per farsi animo, ed aperte le braccia tentò di
scoprire ove fosse. S'accorse che da una buca su in alto usciva un
debol lume, e gli parve sentir al di fuori frangersi contra il muro
l'onda marina. Tastando co' piedi trovò in un angolo il morbido d'un
po' di paglia; vi si sdrajò, e stette aspettando ciò che la fortuna gli
prometteva.
NOTE:
[7] Questa ragione onde aver la vita salva, ha, in oggi ancora, molto
potere sui così detti briganti della Campagna di Roma. Chi scrive
queste pagine conosce un uomo che in tal modo è campato dalla morte,
forse altrimenti inevitabile.


CAPITOLO DECIMO.

Il lettore avrà senza dubbio indovinato che lo spettro non era altri
che il caposquadra Boscherino.
Gli rimane a sapere come la banda de' venturieri si fosse trovata
pronta per turbare la frode ordita da Don Michele. Il fatto stava a
questo modo.
Don Litterio aveva una fante bella e fresca, per cagion della quale si
potea muover dubbi sulla illibatezza della sua fede conjugale. Questa
giovane dando retta ai sospiri quinquagenari del padrone, non era però
sorda a quelli d'un ragazzo di stalla che serviva in casa. Per la
catena di questo amore, il segreto del podestà, che doveva quella notte
andar a cavar un tesoro, venne scendendo fino allo stalliere.
Questi aveva amici alcuni uomini della banda di Pietraccio (tale era il
nome di quel masnadiere), ed aggiustò le cose in modo che se il tesoro
si trovava, venisse almeno in parte nella sua borsa, invece di scendere
intero in quella del suo padrone.
Ora innanzi che noi torniamo a Don Michele è necessario che il lettore
abbia notizia dei luoghi ove accaddero i fatti che siamo per narrare.
Sulla testa del ponte pel quale si giunge all'isoletta di Santa
Orsola, era eretta una torre quadrata, massiccia, simile a un dipresso
a quella che trova sul ponte Lamentano chi da Roma voglia andare in
Sabina. Il passo era chiuso da una grossa porta, da una saracinesca
che si lasciava cadere al bisogno, e da un ponte levatojo. Si saliva
per una scala a chiocciola ai due piani superiori ov'erano alloggiati
il comandante ed i soldati, e in cima v'era un terrazzo circondato da
merli, fra i quali si vedevano uscire le bocche di due falconetti.
La badessa del monastero, rivestita dei diritti baronali, vi teneva
alla guardia una compagnia di ottanta fanti fra picche ed archibusi,
guidata da un tal Martino Schvarzenbach tedesco, soldato di ventura, il
quale trovava più comodo lo starsi a grattar la pancia in quella torre
ben pagato e meglio pasciuto, che l'andar tribolando la vita sua in
campagna ed in guerra, ove avea conosciuto che il diletto di malmenare
e svaligiare i popoli, era spesso turbato dalla palla d'un archibugio
o dalla punta di una partigiana. Le sue tre passioni dominanti erano
lo star lontano dalle busse, il rubare, ed il bere tanto vin di Puglia
quanto ne poteva capire il suo stomaco, che su questo particolare
aveva poco da invidiare a una botte.
Queste sue inclinazioni gli si leggevano in viso; le due prime, in un
par d'occhi pieni ugualmente d'avidità e di codardia; l'ultima, in
un vermiglio vivissimo, che lasciando pallido il resto del volto si
concentrava tutto sulle gote e sul naso. Barba rada e del color di
quella d'un becco, labbra pavonazze, ed un corpo che sarebbe stato atto
a reggere alle fatiche della milizia se gli stravizzi non l'avessero a
quarant'anni ridotto floscio e spossato come avrebbe potuto esserlo a
settanta.
L'ufficio di costui si riduceva a chiuder la porta la sera. Gli
eserciti che guerreggiavano ne' contorni, non aveano mire ostili
contra il monastero, onde non era da guardarsi da loro. Le bande
de' venturieri che scorrevano il paese non avrebbero osato assalire
ottanta uomini chiusi in una buona torre con due falconetti. Ma v'era
poi un altro motivo che lasciava dormir sonni tranquilli a Martino
Schvarzenbach, quantunque circondato da costoro. Egli s'era condotto
colla badessa per guardare il monastero, ma non si credeva per ciò
egualmente obbligato ad esser il custode ed il difensore de' ducati,
dei fiorini, e dell'avere degli abitanti di quel contado o di chi
passava per esso. Come però alla scoperta non poteva andare a pescare
nelle borse altrui, aveva (per servirci d'una voce moderna) preso un
carato nella mercanzia esercitata da Pietraccio, e gli faceva spalla
aiutandolo co' suoi quando l'impresa lo domandava; nascondeva danari,
robe e persone eziandio ove fossero tali da poterne sperare una grossa
taglia.
Queste operazioni si facevano con tali cautele che le persone offese
a tutti avrebbero data la colpa fuorchè a Martino, che era soltanto
riputato il primo bevitore del paese.
In mano di costui era incappato Don Michele, il quale aveva passata
la notte fantasticando senza mai poter indovinare ove fosse. Alla
prim'alba sentì tre colpi d'artiglieria, quali si usavano sparare ogni
mattina dalla rocca di Barletta; s'ajutò alla meglio, e giunse ad
arrampicarsi alla feritoja dalla quale entrava il lume, ma lo spiraglio
era coperto in modo dall'edera che non si vedeva per quello altro che
un picciol tratto di mare. Soprastato così un poco, venne a passare
un battello pieno d'ortaglie, e conobbe quello che lo conduceva per
l'ortolano di Santa Orsola: allora fu quasi certo di trovarsi nel fondo
della torre che ne difendeva l'entrata.
Appena sceso dal luogo della sua scoperta, s'aprì la prigione e ne fu
tratto da due robusti mascalzoni che lo fecero salire nella camera del
capitano.
S'era questi alzato di poco, e stava di tutto scinto a sedere sulla
sponda del suo lettuccio avanti ad una tavola coperta ancora in
disordine degli avanzi d'una gozzoviglia. Un rastrello che girava
tutt'intorno al muro era guarnito di picche, d'archibugi a forcina, di
petti di ferro e d'altre armature. Guardò Don Michele, che entrava, con
un occhio che pareva stentasse a sollevare la palpebra rugosa e cadente
che lo copriva, e facendo col tacco d'uno degli stivaletti la battuta
sul pavimento gli disse:
--Devi sapere, Messer tu, che non so come ti chiami, che chi passa
la notte alla mia osteria paga cento fiorini d'oro da dieci lire
della zecca di Firenze, o se gli par meglio, di quella di San Marco.
Altrimenti una corda ed un sasso al collo ed un bagno in mare lo
salvano dal pagar lo scotto. Che cos'ami meglio?
--Quel che sarà meglio per me non lo sarà per te--rispose Don Michele
sostenuto.--Jer sera prendeste noi due, ma non eravamo soli nella
chiesetta. V'era chi non avete veduto; ed ha visto voi, e ti conosce,
ed a quest'ora in Barletta si sanno le vostre ribalderie, e presto il
bagno in mare toccherà a te a farlo, e non a me, se pure non trovassi
il modo d'impedire a tre o quattrocento Catalani o Stradiotti di buttar
giù a calci la porta di questa torre, o potessi indurli ad impiccarti
ad un merlo, invece di farti far pace coll'acqua, che, da quel che
vedo, assaggeresti per la prima volta.--
Quest'idea gli venne suggerita dalla vista di un mezzo barile, che il
Tedesco si tenea a capo al letto invece di santi e di croce.
La replica in tuono così alto fece rizzar la punta al conestabile che
tirandosi la berretta sugli occhi, disse:
--Se pensi d'aver a fare con un ragazzo, e spaventarmi colle tue
bravate, prima t'avverto che non ti credo, poi se anche venissero i
tuoi Albanesi, o chi diavolo hai detto, ho il modo di non temere nè
loro, nè il mare, nè il merlo.... e non so chi mi tiene che non ti
faccia attaccar per la canna ora proprio. Ma amo ancor meglio il suono
de' tuoi fiorini, che il gracchiar de' corvi che verrebbero a beccarti
gli occhi. Dunque a noi, veniamo al fatto: qui v'è da scrivere; fai che
venga il danaro, poi va col tuo malanno dove ti pare.--
Don Michele senz'affrettarsi a rispondere, lo guardava col ghigno di
chi non temendo nulla per sè, sta infra due, se debba prender la cosa
in canzone o sul serio. La stizza del capitano stava per mostrarsi, e
forse più che con parole, ma venne prima la risposta.
--Conestabile, i fiorini ti piacciono, il vino non ti dispiace;
devi essere un buon compagno. Già il buon soldato vuol esser così,
birbo, ghiottone, e poca divozione. Ora chi diavolo t'insegna a far
il cattivo? Senti, voglio che siamo amici. È vero che m'avresti a
pagar la nottata che m'hai fatto passare; e se non fosse.... basta
te la perdono, ed invece voglio farti guadagnare....--Qui si volse
guardando i due che l'avean condotto, e che ancora lo tenevano per
le braccia.--Dite, ragazzi, non avete da far niente, che mi state
alle coste come i ladroni a nostro Signore. Va', bello mio--disse
svincolandosi da uno, e dandogli per ischerzo della mano in sul viso;
e liberatosi dall'altro nello stesso modo:--Va', va' anche tu, non
serve; mi reggo da me. Andate a tener d'occhio intanto se compar
nessuno sulla strada di Barletta. Quanto ci vuole a dir due parole qui
a sua signoria! Già vedete che non ho arme accanto, e non fo conto
d'inghiottirlo a digiuno; diavolo! ci vorrebbe uno stomaco peggio del
vostro.--
I soldati che non meno di Martino si stupivano di tanta disinvoltura,
guardarono in viso al loro padrone per veder che cosa pensasse. Egli
accennò di sì col capo, ed uscirono. Ma trovandosi solo con Don Michele
stimò prudente l'alzarsi in piedi, e tenersi a portata della sua spada.
--Conestabile! m'hai domandato cento fiorini per mio riscatto: non
credevo di valer tanto poco, e per insegnarti a stimar i pari miei
te ne darò dugento! (Il Tedesco spalancava gli occhi, e gli veniva
l'acqua alla bocca): sì, dugento; e poi questo non sarebbe niente... Se
m'avessi faccia di saper servire con accortezza e fede..... ti vorrei
far una sorte da farti maravigliare, eh! Ma è inutile; bisognerebbe
essere svelto, saper parlare, tacere a tempo, insomma non aver quel
viso di pastinaca, e quegli occhi spenti che pajon pappa coll'olio.--
Martino al veder tanta sicurezza credeva di sognare, e gli passavan
per la mente mille idee d'aver forse in suo potere qualche principe
o qualche gran personaggio travestito: ma non potendo fissarsi su di
nessuna, e mal soffrendo di vedersi poco rispettato nella sua reggia,
rispose:
--Ma in nome di Dio, o del diavolo che vi porti, chi siete? che cosa
volete? Parlate, che sono stufo, e non sono il buffone di nessuno.
--Piano, piano, e colle buone, chè se la mi salta, non vi dico più
altro, e peggio per voi. Sappiate dunque...--
Un soldato, che entrò, interruppe Don Michele dicendo:
--Conestabile! si vede un polverìo sulla strada verso Barletta; pajon
cavaleggieri, almeno così dice Sandro, che ci vede più di tutti.--
Il Tedesco si scosse, guardò il suo prigione, che ridendo
maliziosamente disse:
--Io ve l'aveva detto. Ma non abbiate paura. Giudizio! e la finirà
bene. Va'--disse poi al soldato--e, se v'è nulla di nuovo, avviserai.
Dunque, come dicevo, dovete sapere che qui nel monastero v'è una
persona tenutavi da tali che non occorre mentovare, la quale amerebbe
meglio andar pel mondo a godersela senza aver sempre fra' piedi
moccoli e croci. Qui si tratta di lavorar pulito. Se una notte o
l'altra venisse una barca con cinque o sei giovanotti a levarla, ed
il Conestabile sentisse abbajar qualche cane, o qualche voce sottile
gridar misericordia (già lo sai, le donne gridano due ore prima
che si tocchino), non se ne sturbi, pensi che è stato un sogno, si
rivolti dall'altra parte, e seguiti a russare: e questo poco servigio
gli porterà, come venissero dal cielo, cinquecento zecchini nuovi
della zecca di San Marco, o se vorrà di quella del giglio; e poi,
forse una condotta migliore di quella che ha al presente con queste
bacchettone.--Il povero Martino, che fra tanti vizi aveva pure una
buona qualità, quella d'esser fedele a chi lo pagava, assalito da una
tale offerta si vide in procinto di perderla. Ma la legge che non vi
dev'essere al mondo cosa nè assolutamente buona, nè assolutamente
cattiva, lo salvò dal totale naufragio, e rispose coll'intenzione di
mostrarsi offeso; tuttavia le sue parole sonavano piuttosto rammarico
che collera:
--Martino Schvarzenbach ha servito Milano, Venezia e l'imperatore il
tempo delle sue condotte, e non ha mai tradito nessuno. La badessa di
Santa Orsola l'ha pagato a tutto dicembre del 1503. Se vostra signoria
è qualche... che so io.... qualche signore.... oppure fa gente per
qualche principe italiano, e volete condurmi: bene, discorriamola; vi
farò veder la compagnia: son cinquanta picche, e trenta scoppietti,
tutti dai venti ai quarant'anni, e per gli arnesi vedrete se manca
l'ardiglione d'una fibbia. Se restiamo d'accordo, al primo di gennajo
del 1504 verremo, se vi pare, a dar l'assalto al monastero, e le
porteremo via tutte fino alla cuoca. Ma prima di quel tempo, finchè mi
resta una carica di polvere, ed una lama di pugnale, nessuno toccherà
un capello nè alle monache nè all'ultima conversa.
--E voi, ser Martino, credete che non sappia qual è il dovere d'un
par vostro? Credete che avrei faccia di proporvi una ribalderia come
codesta? Non mi conoscete. La persona di cui si tratta, non è nè monaca
nè conversa, ed ha tanto che fare col monastero, quanto ci ha che fare
il mezzo barile che vi tenete al fiato: Dio vi benedica! e ben si vede
che siete un uom dabbene, e sapete che quando si può andar a bell'agio,
è matto chi corre; quando si può dormir al coperto con mezzo bicchier
di buon greco, è pazzo chi dorme alla frasca, a stomaco freddo; e chi
può guadagnarsi cinquecento fiorini senza una fatica, coll'onor del
mondo, e colla grazia di Dio, deve pensare che queste fortune non
cascano in bocca ogni giorno come i fichi fiori.... Ora se volete
far senno, sarem d'accordo; e risolvete, chè questi cavaleggieri non
dovrebbero tardar molto.--
La virtù di Martino, come quella della maggior parte dei galantuomini,
era capace di transazione, onde rispose:
--Quando non si trattasse di monache, sarebbe un altro discorso.--
Mentre Don Michele, pensando se dovesse allora svelar a Martino qual
era la donna che intendeva rapire, soprastava alquanto prima di
parlare, una mischia insorta all'uscio della camera fra due soldati ed
una vecchia, interruppe il loro ragionamento.
--C'è il diavolo che ti strangoli, gobba maledetta; c'è chi ci
dev'essere, ed il conestabile ha altro in tasca che dar retta a te.--
Così gridava uno di que' soldati, tentando di impedir l'ingresso ad una
vecchia di picciola statura, scrignuta e con due occhi di madreperla
orlati di scarlatto. Era più che mezza entrata, ma il soldato la teneva
ancora afferrata dove il collo s'attacca al busto, tirando la pelle
in modo che le torceva la bocca tre dita da quella parte. La vecchia
dette nella mano che la teneva una graffiata con certe ugne d'acciajo,
e fu di qualità da farsi tosto lasciar libera; e cadendo come una molle
scoccata addosso a Don Michele, al quale s'attenne, scansò un pugno
mandatole dietro, che se la coglieva, poveretta lei.
--Piglia su, figlio d'un canonico--diceva, volta al soldato, che,
succhiando il sangue della graffiatura, guardava la vecchia come il
mastino guarda il gatto che gli ha pettinato il grifo;--piglia su; e se
ti ci provi un'altra volta, avrai peggio.
--E tu, brutta strega, riprovati a venir quando son di guardia.....
Sandro mio sia benedetto (e queste parole le diceva ripiegando il
labbro inferiore indietro sui denti per imitar la voce della vecchia)
lasciami entrare in monastero..... appena un momento che faccia motto
alla forestiera, che mi dia un po' di fila per Scannaprete che è
ferito, un po' di polvere per Paciocco che ha la febbre.... Un po'
di canchero (rifece la voce naturale) che ti strozzasse te e chi ti
manda! Torna, torna, e ci avrai gusto. Mi possano strappar la lingua
dalle canne, come il Valenza, che Dio gli dia bene, la fece strappare
al ribaldo del tuo padrone, se non ti mando coll'orazion che ti meriti,
strega della notte di San Giovanni.--
La vecchia avrebbe avuto materia per rispondere e non infrangere una
delle leggi fondamentali del codice femminile, quella d'esser sempre
l'ultima a parlare; ma avea fretta di dir cose che importavano, onde
volse le reni a Sandro con quell'atto di scherno che si può più
immaginare che descrivere.
--Se non ci mettete le mani voi (parlava al conestabile) vuol esser un
bel ballo: su alla macchia è stato l'inferno stanotte. Son tornati gli
uomini, che mancava un'ora a giorno. Conducevano quel brutto cristiano
che prendeste jer sera.... Vergine! pareva un morto di tre giorni. Ma
gli è durata poco la paura. Pietraccio l'ha sparato come un capretto da
latte.
--Come?--disser Martino e Don Michele, parlando tutt'e due in una
volta:--hanno ammazzato il podestà? perchè? dove? come?....
--Che volete che vi dica? Vergine mia benedetta! Pietraccio voleva
fargli capire che pagasse non so quanti ducati di taglia: e già
sapete senza lingua come s'ha da far intendere? Quello stava cogli
occhi fissi, invetriti, più di là che di qua. Allora il padrone gli
scrisse ciò che occorreva su un foglio, voleva che lo leggesse.
Peggio. Pareva la statua di San Rocco alla cappelletto di Belfiore.
Pietraccio allora tre o quattro ceffatoni sul viso, ma di quelli! Non
ci fu verso. Alla fine la gli è saltata..... e sapete quando la gli
salta!.... Il coltello a soprammano qui alla bocca dello stomaco e
giù, giù, l'ha scucito fin sotto la cintola (già pel coltello non c'è
che dire, bisogna lasciarlo stare; fa vergogna agli uomini vecchi).
Insomma che volete? è un ragazzaccio: Gliel'ho detto tante volte
alla madre;--Ghita! il ragazzo s'avvezza troppo fastidioso colle
mani..... ma non gli si può metter giudizio.--Queste nuove ed il
modo di raccontarle colpirono, quantunque per motivi diversi, i due
ascoltatori, sicchè non trovaron parole per rispondere.
Seguitava la vecchia:--Insomma ora finisco e me ne vado, che ancora
sono in piedi da jeri. C'eravamo messi per dormir un'ora; ecco Cocco
d'Oro correndo: su, su presto, il bargello, la corte!.... Ci alziamo:
che volete? Stavano già sotto Malagrotta e venivano per le poste: noi
a gambe su per la montagna. Ora sono tutti chiusi nella grotta di
Focognano senza un pane o un sorso d'acqua, e per la macchia saranno
da 200 fra birri e soldati; e Dio faccia che qualcuno degli uomini non
abbia la mancia prima delle feste. Dunque su, fate presto, cercate la
via di rimediare.... avranno trovato il podestà ammazzato.... Vergine!
che precipizio vuol essere! E--dice Ghita--di non vi scordare che lassù
non c'è da rodere, e perciò subito che potete mandategliene.
Al fine di queste parole vide sulla tavola gli avanzi della cena, e,
presili con prestezza e senza domandar licenza, si empiè il grembiule
di tozzi, di pezzi di carne, di frutta, versò in una zucca che portava
a tracolla il vino che restava: bevve quello che non vi potè capire, e
forbendosi la bocca col dosso della mano, se n'andò, data una spinta
a Sandro per levarselo d'innanzi, senza dire a quei due nè asino nè
bestia.
Martino si trovava con troppi affari in una volta, e la sua testa non
vi reggeva. Con una mano alla barba e l'altra dietro le reni, camminava
per la camera scuotendo il capo e soffiando. La subita mossa delle
genti da Barletta l'ammoniva a prestar fede a Don Michele, che l'aveva
preveduta tanto sicuramente, e gli facea pensare che fosse realmente
quell'uomo d'alto affare che diceva.
Prima di tutto decise d'aggiustarla con lui, onde non lo scoprisse
quando capitasser quelli che andavano in traccia degli uccisori del
podestà. Così, deposta ogni superbia, e mezzo raccomandandosi, gli
disse che l'avesse per cosa sua, promettendogli che l'avrebbe ajutato
nella sua impresa.
Appena terminato quest'accordo si sentì lo scalpitar di molti cavalli
che entravano pel ponte, ed una voce chiara e forte come una tromba,
che chiamò più volte: Conestabile! Schvarzenbach! Scese questi, e
trovò che Fieramosca e Fanfulla da Lodi lo aspettavano alla testa di
molti cavalleggieri.
Il lettore si ricorderà forse d'aver veduto il secondo annoverato fra i
campioni italiani.
Fra quanta gente d'arme contasse l'Italia non v'era l'anima più
disperata di costui. Per ogni leggiera cagione, e senza cagione più
spesso, metteva la vita a qualunque rischio. Senza pensieri, non
attendeva che a darsi buon tempo, ed al bisogno menar le mani. Agile
come un leopardo, tutto nervo, e d'un corpo snello e ben complesso,
pareva che la natura, sapendo che in quello doveva abitare un'anima
temeraria sino alla pazzia, avesse avuto cura di formarlo in modo che
potesse essere atto a resistere alle prove più perigliose. Figlio d'un
uomo di Girolamo Riario, s'era trovato fra l'armi fin dall'infanzia, ed
era stato al soldo di tutti gli Stati d'Italia, perchè ora per risse,
ora per disubbidienze, ora per propria incostanza sempre gli toccava
andar in traccia di nuovi padroni. I Fiorentini erano stati gli ultimi,
e s'era fuggito da loro per questo fatto.
Stando a campo alle mura di Pisa fu dato un assalto, nel quale, se
Paolo Vitelli, capitano per la Repubblica, non avesse fatto sonare a
raccolta e rattenuti, perfino colle ferite, i soldati fiorentini che
erano pieni d'ardire nel seguire il primo vantaggio, Pisa al certo si
prendeva quel giorno; e la condotta del Vitelli tacciata a Firenze
di tradimento, fu poi, come ognun sa, la cagione della sua morte.
Fanfulla, sempre alla testa de' primi, era giunto su per una scala ad
abbracciar un merlo; rotando la spada s'era fatto largo; già stava sul
muro, e tanto menava colpi, stoccate e botte da disperato, che per poco
gli altri avrebbero avuto campo a seguirlo.
In questa si suona a raccolta, ed è lasciato solo. Non si poteva dar
pace di doversi ritirare; pure scese fremendo, mugghiando per la rabbia
fra una tempesta di dardi, sassi, archibugiate che non gli fecero un
male al mondo, e sano e salvo tornò al campo correndo come un pazzo,
e dicendo villania a quanti incontrava. Nel padiglione del capitano
erano i commissarj fiorentini col Vitelli a consiglio: saltò Fanfulla
invelenito in mezzo a loro, e chiamandoli traditori, cominciò con un
bastone che avea raccolto a scaricar su tutti, senza guardar nè a chi
nè come, nè dove, una grandine di legnate e calci e spinte e pugni; e
tra che egli era robustissimo, tra che quelli non se l'aspettavano,
li mise in tanto scompiglio, che si trovarono in terra malmenati e
sottosopra, prima che potessero conoscere chi fosse l'autore di quelle
busse.
Dopo una tale impresa, senza dir addio, come si può pensare, saltò a
cavallo; ed era già lontano dal campo quando quei capi rimessisi in
piedi pensarono a farlo pigliare.
Lasciati così i Fiorentini s'era condotto con Prospero Colonna, ed ora
si trovava in Barletta col resto della compagnia.
L'avviso recatovi da Boscherino che il podestà era stato preso dai
venturieri, dato in modo che non cadessero sospetti sopra di lui, avea
messo in moto il bargello colla sbirraglia di Barletta, i quali s'erano
drizzati verso la montagna. Fieramosca e Fanfulla con alcuni cavalli
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