Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 07

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lo divideva da lei per sempre, il secondo gli sembrava colpevole; e poi
come fare a nascondere qualche cosa a quella che era avvezza a leggere
tutti i suoi pensieri?
Così, sempre fra due, giunse all'isola: non aveva ancora risoluto
nulla, quando trovò la Ginevra, e costretto dalla circostanza a
decidere pel sì o pel no, s'attenne provvisoriamente al secondo
partito, dicendo fra sè stesso, penseremo poi.
--Son venuto tardi stasera--disse egli, salendo la scala,--ma abbiamo
avuto un gran da fare oggi, e vi sono gran novità.
--Novità!--rispose Ginevra--buone o cattive?
--Buone--e coll'ajuto di Dio fra qualche giorno saranno anche
migliori.--
Giunsero sulla spianata avanti la chiesa: all'estremo ciglio ove lo
scoglio cade a piombo nel mare v'era un muricciuolo per riparo, alcuni
cipressi in circolo, in mezzo ai quali era piantata una croce di legno,
e tutt'intorno molti rozzi sedili.
Adagiatisi ivi ambedue al raggio argenteo della luna, che già vinceva
la luce purpurea del crepuscolo, Fieramosca prese a favellare.
--Ginevra mia, rallegrati; oggi è stato giorno di gloria per l'Italia
e per noi, e se Dio non nega favore alla giustizia, sarà principio
di gloria maggiore. Ma ora fa mestieri adoprar fortezza: oggi devi
mostrarti tale da servir di esempio alle donne italiane.
--Parla--rispose la giovane guardandolo fisso, come per istudiare la
sua fisonomia, e leggervi anticipatamente qual prova s'aspettasse da
lei:--son donna, ma ho cuore.
--Lo so, Ginevra, e dubiterei che il sole si levasse domani, prima
di dubitar di te....--e le narrò la sfida, esponendone minutamente
l'origine, la gita al campo francese, il ritorno, il combattimento che
si preparava: e quanto animose fossero le sue parole, quanto accese
d'amor di patria e di gloria, quanto la presenza di Ginevra rendesse
più vivo quel fuoco, lo sanno quei lettori che hanno sentito il cuore
batter più rapido, parlando di operar generoso a pro della patria con
donna capace di ugual sentimento.
A mano a mano che Ettore si veniva spiegando (crescendo sempre di forza
nel dire, nella voce e ne' gesti) il respiro di Ginevra diveniva più
frequente; il seno, come fa una vela investita dai soffi d'un vento che
incalza, s'alzava e s'abbassava gonfio di affetti impetuosi, discordi,
ma però tutti degni di lei; gli occhi, che parevan temperarsi a seconda
delle parole del giovane, s'accendevano, gettavan faville.
Alla fine colla mano bianca e gentile afferrò l'elsa della spada di
Fieramosca, ed alzando la faccia arditamente, diceva:
--Se avessi il tuo braccio! se potessi far fischiare questa, che reggo
appena! non anderesti solo: no! e non mi toccherebbe forse di sentirmi
dire, hanno vinto gl'Italiani, ma v'è rimasto..... Oh, lo so, lo so.
Vinto non ritornerai.....--e qui presa dal pensiero del vicino pericolo
non poteva frenare una pioggia di lagrime; alcune delle quali caddero
sulla mano di Fieramosca:
--Per chi piangi? Ginevra, vorresti per cosa del mondo che non s'avesse
a combattere questa sfida?
--Oh no, Ettore: mai, mai! Non mi far questo torto:--ed asciugando le
lagrime, sollecita seguiva:--non piango.... ecco, è finito.... è stato
così un momento....--Poscia con un sorriso, che le palpebre ancor umide
rendevano più bello, diceva:
--Mi son voluta far troppo brava e parlar di spade e di battaglia, e
poi ecco mi fo scorgere; me lo merito.
--Le donne del tuo taglio possono far fare miracoli alle spade senza
toccarle; potreste voltar il mondo sottosopra... se sapeste fare. Non
parlo per te, Ginevra, ma per le donne italiane, che pur troppo non ti
somigliano.--
Quest'ultima frase fu udita da Zoraide sopraggiunta con un canestro
pieno di frutta, di focacce, di mele e d'altre gentilezze: lo teneva
infilato nel braccio sinistro, e nella mano destra portava una boccia
di vin bianco. I panni che vestiva eran tagliati all'uso d'Occidente;
si scorgeva però nella scelta de' colori tutti vivissimi, e nel modo
bizzarro di disporli, il gusto de' paesi ancor barbari onde aveva
l'origine. La sua testa, conservando ancora le fogge d'Oriente, era
coperta di bende attorcigliate, i capi delle quali le cadevan sul
petto. Avea quel sopracciglio alto, quello sguardo aquilino, quella
tinta bruna, e, se ardissi dirlo, leggermente dorata, che serban
le razze più vicine al Caucaso. Ne' suoi modi amorevoli spiccavano
talvolta lampi d'una natura selvaggia, d'una schiettezza ardita, scevra
di rispetti.
Si fermò guardando Ettore e Ginevra, e con parole italiane bensì, ma
che sapevano di forestiero per la pronunzia, disse:
--Parlavi di donne, Ettore? Voglio sentir anch'io.
--Altro che donne!--rispose Ginevra;--si parlava di una danza nella
quale noi altre faremmo trista figura.--
Queste parole coperte destarono vieppiù la curiosità di Zoraide, ed
Ettore narrò anche a lei ciò che avea raccontato a Ginevra.
La giovane rimase sospesa, pensando per qualche momento; poi disse,
scuotendo il capo:
--Io non vi capisco. Tanta collera, tanto romore perchè i Francesi
dicono stimarvi poco! Ma non ve l'hanno detto anche più chiaro col
fatto venendo nel vostro paese a divorar le vostre biade, a cacciarvi
dal vostro tetto; non ve lo dicono gli Spagnuoli al par de' Francesi
venendo anch'essi in Italia a far quel che fan loro. Il cervo non
caccia il leone dalla sua tana, ma il leone caccia il cervo e lo divora.
--Zoraide, qui non siam fra barbari, ove la sola forza decide tutto.
Troppo ci vorrebbe a dirti quali ragioni abbia la corona di Francia
sul Reame. Devi sapere soltanto che è feudo di Santa Chiesa. E ciò
significa ch'essa n'è padrona; ed essendo padrona, n'ha investito,
son circa dugento anni, Carlo duca di Provenza, del quale è erede il
Cristianissimo.
--Oh bella! ed alla Chiesa chi l'ha donato?
--L'ha donato un guerriero francese che si chiamava Roberto Guiscardo,
il quale per forza d'arme se n'era fatto padrone.
--Ora poi capisco meno che mai. Il libro che m'ha dato Ginevra, e l'ho
letto tutto, sai, e con attenzione, non è egli scritto da Issaben-Jusuf?
--Sì.
--Non dice forse che tutti gli uomini son fatti ad immagine di Dio,
ricomprati col suo sangue? Capisco vi sia fra i cristiani alcuni che,
abusando della forza, si faccian signori dell'avere e delle vite dei
loro eguali; ma come quest'abuso possa cambiarsi in diritto che ricada
sui figli dei figli, non lo capisco.
--Io non so--rispose Ettore sorridendo--se tu non capisca, o se capisca
troppo. Quello che è certo, senza questo diritto che cosa diverrebbero
i papi, gl'imperatori, i re; e senza loro come andrebbe il mondo?--
Zoraide si strinse nelle spalle, e non rispose altro. Con ciò che aveva
nel paniere apparecchiò una merenda su uno di que' sedili, coperto
prima da una tovaglia che mandava la fragranza del bucato.
--Oh sì--disse Ettore per divertir i pensieri che leggeva sulla fronte
di Ginevra--attendiamo noi a star allegramente fin che si può, e il
mondo vada come vuole.--Così mangiarono lietamente.
--Il proverbio--seguiva Fieramosca--dice non parlar di morti a tavola:
dunque nemmeno di sfide; parliamo di cose allegre. Saremo in feste
presto. Il signor Consalvo ha bandito una giostra, una caccia di tori,
e commedie e balli e desinari: vuol esser una cuccagna.
--Che vuol dire? e i Francesi?--disse Ginevra.
--E i Francesi ci verranno anch'essi. È stata offerta una tregua,
e non saranno tanto villani da rifiutarla. Si tratta di festeggiar
l'arrivo di donna Rivira, figlia del gran Capitano: ed egli che l'ama
quanto gli occhi suoi, vuoi che l'allegrezze sien grandi.--
Qui le domande delle due donne furon infinite, ed Ettore veniva alla
meglio soddisfacendo ora all'una ora all'altra con queste risposte. Le
interrogazioni le indovinerà il lettore.
--Bella? bellissima, da quel che si dice; una capellatura che pare oro
filato.
--Arriverà fra pochi giorni.
--Era rimasta ammalata in Taranto, ed ora che è guarita ritorna col
padre.
--Se le vuol bene! Pensate che ha fatto per lei ciò che non ha fatto
mai per sè. In Taranto appunto, avrete sentito dire che una volta le
bande spagnuole s'erano ammutinate, perchè non le pagava: e mi dice
Inigo che Consalvo è vivo per miracolo, che tutti quei diavoli gli
erano attorno colle picche. Un certo Yciar, capitano di fanti (Consalvo
gridava che non aveva danari), gli disse ad alta voce, e con villane
e sconce parole, che sua figlia (scusate) gliene farebbe trovare. Lui
zitto: finì il tumulto e la sera tutto era quieto. La mattina dopo
s'alzano, vanno in piazza, e sapete che cosa vedono? Il capitano Yciar
penzoloni impiccato alla finestra dove abitava. Ed a quelli che gli
avean appuntate l'aste al petto non fu torto un capello. Vedete se le
vuol bene.--
Con tutte queste chiacchiere era venuto tardi.
--Qui bisogna andarsene--disse Fieramosca; s'alzò, ed accompagnato
dalle due donne s'avviò passo passo alla sua barchetta. Ginevra scese
con lui sino al basso dello scoglio, e Zoraide, ch'era rimasta di
sopra, fu salutata da Ettore mentre entrava in battello; ma essa appena
rispose e si tolse di là. Questi non ne facendo caso, disse a Ginevra:
--Non ha sentito. Me la saluterai. Dunque addio. Questi giorni, Dio
sa se potremo appena vederci. Basta: in qualche modo faremo.--Diede
de' remi all'acque, e s'allontanò dall'isola. Ginevra, risalita la
scala, rimase in alto un pezzo guardando, sopra pensieri, le due
linee divergenti che dalla prora della barchetta si prolungavano
indietro per lungo tratto di mare. Quando non vide più nulla, entrò
nella foresteria, e, chiusa la porta, la sbarrò per la notte con due
chiavistelli.


CAPITOLO NONO.

Dal principio del mondo in qua gli uccelli sono sempre stati presi
dagli uccellatori a un di presso cogli stessi zimbelli, e gli uomini
sono sempre stati colti alle stesse reti.
Ma la più pericolosa di tutte è forse quella che mette in giuoco il
nostro amor proprio. Lo sapea Don Michele, e conosciuto di qual piè
zoppicasse il podestà, in pochi colpi, come abbiamo veduto, l'ebbe
in sua mano. Quando uscì dell'anticamera di Consalvo per cercar del
servitore del Comune, andava fantasticando, rivolgendo fra sè mille
pensieri, e non capiva in sè dall'allegrezza d'aver trovato chi gli
prometteva tante maraviglie. Talvolta, è vero, gli nasceva il sospetto
fosse un ciurmatore; ma, avendo alta idea della propria avvedutezza,
diceva come tutti quelli che passan la loro vita ad esser fatti fare:
«A me non me la fanno.»
Si trovò all'osteria del Sole secondo l'appuntamento. Ma non ebbe per
allora nulla a dire a Don Michele, poichè il servo, che a suo credere
era tanto mirabile indagatore, aveva promesso molto, operato poco, e
scoperto niente.
La sera a cena la moglie e la fante s'accorsero che qualche gran
cosa gli bolliva nel cervello, e non gli lasciaron mangiar boccone
che gli piacesse, a furia d'interrogazioni. Fu gran fatto che non
ispiattellasse tutto: chè il serbare un segreto, massime se gli pareva
potesse dargli riputazione, era per lui maggior fatica che il trattener
la tosse a chi n'abbia il prurito. Già gli uscivan delle mezze parole.
Eh, lo so io!... se sapeste!... se mi va bene un certo affare!... Poi
pensò un tratto, si sbigottì del pericolo, s'alzò da tavola, e, preso
un lume con istizza, se n'andò a letto.
Quella notte gli parve un secolo. Alla fine venne il giorno, si vestì
in fretta, e sceso in piazza si piantò da un barbiere ove Don Michele
gli avea promesso di venirlo a trovare. Sedè sulla panca della bottega
ove capitavano ogni mattina il notajo, il medico, lo speziale, e due
o tre altri che eran le teste quadre di Barletta. Posta una gamba
sull'altra, dimenava così un poco il piede che restava in aria; il
braccio sinistro stava rasente il busto, e la sua mano al fianco
opposto riceveva nel concavo della palma il gomito destro; colle dita
si sonava il tamburo sul mento guardando ora di qua ora di là se
comparisse l'amico; poi in aria, perchè non compariva. Lo speziale,
il notajo e gli altri gli avevan detto più volte: Ben levato signor
podestà; ma vedendo che faceano poco frutto, e che appena rispondeva,
si tenean in rispetto, parlando fra loro sotto voce, e dicendo: Che
diamine ci sarà di nuovo questa mattina! Don Litterio li lasciava dire
e taceva, poichè aveva due visi al suo comando; uno umilmente giulivo
per coloro che eran dappiù di lui; l'altro arricciato, e pieno d'angoli
per quelli che eran da meno; e questo, come ognuno sa, è il bel dono
concesso dal Cielo a tutti gli sciocconi.
Passata così una mezz'ora udì una voce alle spalle che diceva:
-Eccellenza!... signor podestà, non per offendervi... se volete restar
servito... son colte sulla rugiada.--
Si volse e vide l'ortolano di Santa Orsola, Gennaro Rafamillo, che
gli offeriva una decima su un canestro di ciliege, che veniva ogni
mattina a vender in piazza con altre frutta; e sapeva, per esperienza,
che mediante questo tributo poteva poi vendere a voglia sua senza
impacciarsi della bandiera del mercato.
--Ho altro in testa che le tue ciliege--rispose Don Litterio; tuttavia,
dopo aver guardato il paniere, gonfiando le gote, e mandando fuori a
poco a poco l'aria raccolta, prese con un certo nobile sprezzo tre o
quattro foglie di vite, le dispose sulla panca a guisa di piatto, e vi
fece su un bel mucchietto di ciliege che cominciò a mangiare.
--Son buone eh! dite la verità! Ne ho portato jer sera a madonna, e mi
ha detto che non avea visto mai le più belle.
--E chi sarebbe questa tal madonna?
--Madonna Ginevra; quella che abita in foresteria; e dicono che sia una
gran gentildonna di Napoli, ed ha non so se il marito, o il fratello
qui al servigio del signor Prospero, e quasi ogni giorno la viene a
visitare....--
L'ortolano era per parlare un pezzo, chè il laconismo non era la
sua qualità dominante; ma Don Michele frattanto era sopraggiunto, e
fermatosi dietro il podestà senza che se n'avvedesse:
--A noi, signor podestà--gli disse battendogli sulla spalla;--mi viene
il sospetto che costui possa metterci sulla via; lasciate far a me...--
E senz'aspettar altro, si pose a fiscaleggiar Gennaro; e presto dalle
sue risposte conobbe che era appunto la Ginevra che cercava. Il filo
era trovato; ad un par suo il resto era nulla.
Per esser nel monastero, poter esaminar i luoghi, e disporre i mezzi
necessari ad aver in mano la donna, vide che il podestà poteva essergli
utilissimo. Conveniva inspirargli tal fiducia che gli uscisse del capo
ogni sospetto sulla rettitudine de' suoi fini. Lo trasse da canto e gli
disse:
--Bisognerà che la discorriamo un poco. Aspettatemi all'osteria del
Sole; intanto vedrò se costui sapesse insegnarmi quel giovane che ogni
poco visita la Ginevra.--Don Litterio s'avviò all'osteria, ed egli,
condotto seco l'ortolano nel luogo ove si mutavan le guardie, ed era
pieno d'ufficiali e soldati, gli domandò:
--È fra questi?
Gennaro guardò un poco, vide Fieramosca, e disse:--È quello.--
E Don Michele da un di que' soldati seppe finalmente che avea trovato
chi cercava.
Cinque minuti dopo era col podestà all'osteria, a quell'ora deserta,
e seduti uno in faccia all'altro ai due lati d'una tavola sulla quale
stavano due bicchieri ed un boccale di greco.
Cominciò Don Michele con una fisonomia tutta modesta:
--La scoperta è fatta. Ma prima d'entrar in altro v'ho da dir due
parole. Don Litterio, io ho girato il mondo, e fo professione di
conoscer gli uomini dabbene a prima vista. Dal poco che abbiamo
discorso insieme ritraggo che non è al mondo il miglior ingegno del
vostro.--
Il podestà annunziava col viso una risposta al complimento.
--No, no, non serve.... dico quel che penso. Voi non mi conoscete.
Se pensassi il contrario, vi direi tondo, signor podestà, abbiate
pazienza, ma siete un cervellino. Dunque s'io fossi un ciurmatore
cercherei d'un altro. Ma siccome mi vanto d'esser uomo dabbene quanto
chicchessia, e venga chi vuole, così non temo aver che fare con chi
tien gli occhi aperti. Ora vi voglio dir tutto, e neppure avrete
a prestar fede alle sole parole; vedrete fatti, ed allora potrete
conoscere d'esservi impacciato con un galantuomo.--
Qui cavò fuori una sua filastrocca: che egli era stato gran peccatore,
e per avere il perdono era andato al Santo Sepolcro; che un eremita del
Libano l'aveva finalmente assolto, dandogli per penitenza che dovesse
per sette anni girare il mondo, ed ove trovasse da far opere buone, e
fossero di qualunque sorta, avesse ad adoperarvisi, a costo eziandio
della vita, contentandosi di viver umile e povero; ch'egli così facendo
poneva in beneficio degli uomini le forze e 'l sapere acquistato ne'
suoi lunghi viaggi in Persia, in Siria ed in Egitto.
--Ora--proseguiva--intenderete perchè con tanta premura m'accinga
a liberar questo vostro amico dal suo amore e da quei pericoli che
potrebbero partorire l'eterna dannazione dell'anima sua. La donna
dunque è senza dubbio quella madonna Ginevra di Santa Orsola. A voi
sta farmi trovar con lei. Potreste temere non fossi un tristo: nè vi
fidereste porre chi non conoscete in quella santa casa, ed avete mille
ragioni.--
Don Litterio si scontorceva.
--No--vi replico--avete mille ragioni; nessuno porta scritto in fronte
ch'egli è uom dabbene. E son pur tanti i tristi! Ma quando vi mostrassi
che, coll'ajuto di Dio, mi basta la vista di estrarre i tesori dalle
viscere della terra, frenar la furia d'una palla d'archibugio, ed
eseguir altre cose difficilissime, le quali vedrete farsi da me, e che
vostro sarà tutto l'utile senza che io ne tocchi grano, contentandomi
di quel poco che basta a sostentar la mia povera vita, dovrete dire:
Costui potrebbe farsi ricco e viver negli agi; invece è povero, e vive
in travaglio: dunque ciò ch'egli narra è vero, nè può meritamente esser
tenuto un tristo. Due parole e finisco: A molti è giovato l'essermi
capitati innanzi; potrebbe giovar anche a voi. Pensateci, e risolvete
presto. La penitenza che debbo compiere m'obbliga a scorrere il mondo
senza fermarmi in nessun luogo più di una settimana.--
Quest'aringa, che il podestà ascoltò a bocca aperta senza fiatare, fece
sì che fra sè si vergognasse d'aver potuto pensar male. Tuttavia, per
darsi dell'uomo accorto, rispose che, ove avesse veduta qualcuna di
quelle prove, gli avrebbe nel resto prestato il suo ajuto volentieri.
Così rimasti d'accordo, si lasciarono, intesi che al più presto Don
Michele si sarebbe fatto rivedere, ed intanto avrebbe adoperato i
suoi argomenti onde conoscere se in quei contorni giacesse sepolto un
qualche tesoro.
Apparecchiato in tal modo il podestà, e vedendo che il suo inganno si
metteva tanto bene, si dispose allora allora di caricar la trappola;
cercò di Boscherino, e gli disse come in servigio del duca gli
bisognava l'opera sua. Quegli, che al solo nome del Valentino tremava
a verga, rispose, senza neppur sapere di che cosa si trattasse: Son
pronto. Don Michele, senza aprirsegli per allora, gli disse soltanto:
Aspettami fuor della porta che mette sul lido e conduce al ponte di
Santa Orsola (la tregua fra i due eserciti accettata dal capitano
francese permetteva agli assediati di scorrer al di fuori per la
campagna). Boscherino fu esatto all'appuntamento, non meno della sua
guida, che lo raggiunse portando sotto braccio un involto.
Chi volesse seguitar costoro, li vedrebbe andar lungo la spiaggia sino
ad un miglio oltre il ponte che congiunge l'isola alla terra ferma,
quivi voltando a sinistra, ficcarsi fra i macchioni d'una valletta
deserta, ed entrare in una chiesetta antica, abbandonata, che molti
anni avea servito di cimitero; ma questo viaggio, per non ripeterlo,
aspetteremo a farlo a notte chiusa; e di questa economia speriamo che
il lettore ce ne sappia buon grado.
Diremo soltanto che sulle ventidue ore comparì in piazza Don Michele
solo, s'accostò al podestà che era in sulla bottega del barbiere, e gli
disse all'orecchio:
--Il luogo è trovato. Stasera al tocco delle tre ore sarò all'uscio
vostro. Non vi fate aspettare.--
Di fatto alle tre ore Don Michele era al posto. Il podestà uscì;
richiuse con diligenza senza far romore; e zitti e cheti, per istrade e
per chiassi oscuri (chè allora non v'eran lampioni), furon presto fuor
di città.
Cammina, cammina; sentono le quattr'ore batter in castello, ma d'un
suono cupo e portato come affiocato dal vento, chè già si trovavano
aver passato Santa Orsola, e s'avanzavano spiaggia spiaggia verso la
chiesetta diroccata. Era una landa deserta, sterile, sparsa di macchie
nane, che sempre più si facevan salvatiche. Il sentiero che seguivano
presto si perdette in un sabbione ove s'affondava sino a mezza gamba;
di tratto in tratto trovavan letti di torrenti asciutti, pieni di
ghiaja e di macigni rotolati dalle acque; ma i due viandanti superando
queste difficoltà erano in disposizioni d'animo assai diverse.
Don Michele, avvezzo a camminar più la notte che il giorno, precedeva
con passo sicuro. L'altro, che in vita sua non s'era forse trovato
due volte fuor di città dopo l'avemaria, gli s'andava ingrossando il
respiro, si guardava attorno, ed in cuore malediceva il momento in cui
s'era partito di casa: e per verità fu la mala uscita per lui. D'una
in un'altra immaginazione si veniva empiendo di mille paure, e non era
minore dell'altre quella di trovarsi solo, lontano dall'abitato, di
notte, con un uomo che alla fine non sapeva chi fosse.
Pure ogni tanto volea rinfrancarsi, e sotto voce canterellava tre o
quattro sillabe (per la quinta non si trovava fiato); poi gli pareva
aver udito strepito fra quei macchioni, ove al poco chiarore della
luna annuvolata credeva veder da lungi ora appiattato un uomo, ed
avvicinandosi era un tronco od un sasso; ora qualche strana forma
o visione di trapassati, e piano piano diceva un _requiem_ o un
_deprofundis_; ed in queste buone disposizioni si trovarono in uno
slargo del bosco nel mezzo del quale sorgeva la chiesetta.
Sulla porta v'erano certi scheletri dipinti, ritti ritti, con mitre,
triregni e corone in capo, e tenevano in mano cartelloni svolazzanti,
sui quali erano scritti versetti latini, come _Beati mortui qui in
Domino moriuntur_; _Miseremini mei_, etc.; e quantunque a lume di luna
con fatica si potessero leggere, le figure de' morti visibilissime
producevano da sè un bastante effetto. Don Michele scoperse una
lanterna e si dispose a varcar la porta. Il podestà s'era fermato
alcuni passi indietro, e, conosciuto il disegno del compagno, gli uscì
di bocca un _qui_? lamentevole, e pieno di tanto spavento, che fece
apparire un sorriso sulle labbra livide e sottili di Don Michele.
--Vi conviene ora esser di forte animo, signor podestà, chè in tali
luoghi colla paura si fa poco frutto, e ponno talvolta accader
disgrazie. Chi è con voi opera in nome di Dio, e per mostrarvi che
in quello solo costringe le anime de' trapassati, cominciamo dalla
preghiera.--
Inginocchiossi, e principiò ad infilzar _miserere_ e _dies illa_, ai
quali Don Litterio rispondeva il meglio che sapeva, facendo voto, se
ne usciva vivo, d'accender una candela ogni sabato a Santa Fosca e
digiunar la vigilia de' morti. Finita la preghiera si mossero. Una
porta mezzo fradicia che appena si reggeva sulle bandelle rugginose,
cedette, e quasi venne a terra ad un calcio di Don Michele. Entrarono
stracciandosi le calze ai rovi ond'era ingombra l'entrata.
Il pavimento era sparso d'ossa di morti. In un canto un cataletto, che
cadeva in polvere pe' tarli, alcune pale che avean, Dio sa quando,
servito a sotterrare, erano il solo mobile del luogo. Alcune centinaja
di pipistrelli, all'entrare che fecero i due colla lanterna, volarono
in iscompiglio, col loro stridulo guaire, battendo l'ale per le pareti,
e cercando rifugio su per un campanile gotico che avea la base accanto
all'altar maggiore.
Il luogo, la solitudine, l'ora tarda erano tali se non da metter
timore, almeno da dispor l'animo di chicchessia ad immagini funebri;
ed il povero Don Litterio che, quando il sole era alto sull'orizzonte,
avea pensato a quel momento senza turbarsi, trovandosi ora all'atto,
conosceva quanta differenza vi sia tra il dire e il fare.
Stava guardando quell'ossa che avea sotto i piedi, quelle mura verdi
per l'umido, ed in varj luoghi ancora coperte di antiche pitture; e
ritto nel mezzo, con una mano nell'altra, aspettava il fine di questa
diavoleria.
Don Michele depose in terra un fardelletto che aveva portato. Ne trasse
il libro degli scongiuri, si pose una stola nera impressa di segni
cabalistici, e cominciò colla verga a disegnare un circolo con mille
cerimonie: vi fece la porta, e disse al podestà che entrasse per quella
col piede manco innanzi, e, datogli in mano il pentaculo, cominciò
a mormorare parole latine, greche, ebraiche, ora chiamando a nome
centinaja di demonj in virtù di Dio eterno, ora alzando, ora abbassando
la voce, e facendo pause, durante le quali il rimbombo si prolungava
sotto quella volta; qualche pipistrello passava sventolando presso il
viso del podestà che rannicchiato e tremante pareva il freddo istesso:
temeva ogni momento veder uscir da quelle sepolture gli originali degli
scheletri dipinti sulla facciata, e badava a pregar Dio, e supplicarlo
che per sua misericordia volesse render vani gli scongiuri del suo
terribile compagno.
Mentre in ginocchio si raccomandava a questo modo, sentì battersi in
sulla spalla; alzò gli occhi, e vide l'angolo sotto il campanile pieno
d'una luce livida, ed una forma umana, coperta del lungo lenzuolo, che
suol involgere i cadaveri, sorgere lenta lenta da una buca.
Lo spettro rimase immobile, e non diremo come rimanesse il podestà. Don
Michele gli si chinò all'orecchio, e gli disse:
--Su, coraggio, ora è tempo mostrarvi di saldo animo: presto, via,
domandate ciò che volete.--Tutto era inutile; il podestà non poteva nè
muoversi, nè rispondere, nè rifiatare.
Perchè Don Michele parlò all'apparizione alcune parole in lingua
ignota, alle quali per sola risposta quella alzò lentamente un braccio
indicando una sepoltura che avea la pietra già smossa.
--Avete inteso? dice che cavando costì troveremo tanti fiorini che
saremo contenti.--
Ma l'altro parea che non sentisse. Vedendo che non v'era da sperare di
farlo movere, Don Michele si condusse alla sepoltura, e facilmente vi
si calò. Poco stante, riuscì fuori con un vaso di ferro mezzo coperto
di terra, e venuto dove il podestà era rimasto senza poter muovere un
dito, versò innanzi a lui una buona quantità di monete d'oro, o almeno
parean tali, che caddero in terra senza potere colla loro vista esser
da tanto di rimetter il fiato in corpo a quello che s'era posto in
tanto travaglio per ottenerle.
L'ultima moneta non era appena caduta sul mucchio dell'altre, quando,
spalancarsi con fracasso la porta, saltar in chiesa quindici o venti
ceffi di ribaldi armati di picche e partigiane, essere addosso ai due
appuntando loro l'arme al petto ed alla gola fu tutt'una cosa.
Don Michele ebbe appena tempo di gettar la mano sull'elsa, ma sentendo
quattro o cinque punte che gli scucivano la cappa e qualcuna un poco lo
pungeva, gli convenne star fermo senza far un sol atto, chè altrimenti
era morto.
Nel podestà era già prima tanto spavento, che questo nuovo accidente
non poteva produrre in lui nessun effetto visibile. Rimase come
si trovava con gli occhi stravolti, il capo ficcato nelle spalle,
congiunte le mani con moto involontario stringendo insieme certe sue
dita secche e scarne, con tanta forza, che le unghie gli entravano
nella pelle, e disse con voce soffocata:--Non m'ammazzate, sono in
peccato mortale!--[7]
La lanterna in quel trambusto s'era rovesciata, ed illuminava a
sott'insù quella strana brigata, che, rimasta così un momento immobile
per accertarsi che i due presi non si sarebber nè voluti nè potuti
difendere, appariva composta della mala razza che in quei tempi erano
detti venturieri. Ora li chiamiamo assassini, ed anche allora lo erano,
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