Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 02

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scingendola, la pose al fianco del suo prigione) sarebbe gran torto
se un braccio come il vostro non trovasse un'elsa dove appoggiarsi.
Terrete Barletta per prigione sino a cambio o riscatto. La vostra
parola, Cavaliere?--
La Motta stese la destra a Paredes, che la prese e soggiunse:
--Pei vostri compagni sia lo stesso patto. Non è vero?--E ciò disse
volto a Correa e ad Azevedo, due uomini d'arme che avean fatti prigioni
i compagni di La Motta. Risposero che eran contenti, ed ambedue colla
medesima cortesia toltesi d'accanto le spade le cinsero ai baroni
francesi.
--In tavola signori--gridò in quella Veleno, ponendo in mezzo al
desco un grave catino, ove giaceva la metà dell'agnello attorniato da
cipolle e legumi, e due gran piatti alle estremità pieni d'insalata; e
l'apparire della vivanda non fu meno possente della voce dell'oste a
chiamare a sè l'affamata adunanza. Tutti con gran premura, spostando
e rimettendo le panche, in un momento furono seduti, e all'opera; e
per alcuni minuti non s'udì parola, ma solo uno strepito di piattelli,
bicchieri e posate percosse.
Solo, in capo tavola, sedeva Diego Garcia, e da' suoi lati avea fatto
porre La Motta e de Guignes. Scalcando con una gran daga, in un lampo
ebbe fatto in pezzi quell'animale, e divisolo fra i convitati. Il suo
stomaco di ferro, servito ottimamente da due file di denti bianchissimi
e forti da non temer paragone, si trovò dopo alcuni minuti racquetato
se non satollo. Non gli rimase un sol osso sul piattello, poichè nessun
mastino potea dirla seco per stritolarli e ridurli in polvere. Finita
la pietanza, empiè i bicchieri de' suoi vicini ed il suo. Com'ebbe
bevuto, e passata un poco quella prima furia di fame, s'avviarono
a poco a poco i discorsi, mescolandosi le domande, le risposte ed
i frizzi, che si raggiravano per lo più sui casi della guerra, sui
cavalli, sui colpi dati o toccati, e sui varj accidenti del giorno.
Nella parte inferiore del desco ove s'eran seduti i venti o ventitrè
Spagnuoli, lasciando per cortesia al loro capo ed ai prigioni francesi
ciò che essi chiamano la _cabecera_, ossia il sommo della tavola, si
scorgeva negli atti e nelle parole quell'amorevole fratellanza che
suol produrre il trovarsi avvolti insieme ogni giorno in grandissimi
pericoli, ove si conosce quanto pregio abbia l'esser pronti ad ajutarsi
l'un l'altro nell'occasione.
Le facce ruvide e cotte dal sole di questi uomini d'arme, che il moto,
la recente fatica ed il calor del cibo rendevano rosse ed infocate,
producevano, al chiaror dei lumi che le percoteva dall'alto, un effetto
di chiaro-scuro degno del pennello di Gherardo delle Notti.
Avvicinandosi il termine della cena, il conversare, secondo il solito,
era divenuto più generale, e le risa e il romore cresciuti in gente che
avea riportato onore e profitto dalle guerresche fatiche del giorno. La
fronte d'Inigo era la sola che più durava fatica a rasserenarsi. Stava
egli col gomito appoggiato alla tavola, e si guardava d'intorno, poco o
nulla rispondendo alle ciarle de' suoi compagni.
-Inigo--gli disse, stendendo verso di lui la mano Azevedo, che
aveva forse votato un bicchiere più del solito, ed essendo uomo
sollazzevole, mal soffriva di veder uno della brigata star sopra di
se malinconico--Inigo, si direbbe che sei innamorato, se le donne di
Barletta meritassero le occhiate di un bel giovane par tuo. Ma qui,
viva Dio, siamo al sicuro. Non vorrei che avessi lasciato il cuore in
Ispagna, o a Napoli.
--Non penso a donne, Azevedo--rispose il giovane--ma penso al buon
cavallo che quel barone m'ha quasi ammazzato seguitando a menar le mani
da pazzo, quando già vedeva di non poterci fuggire. Povero Castagno!
la sua spalla è perduta; ho paura, e non penso d'averne mai più sotto
un altro che lo valga. Ti ricordi a Taranto che cosa seppe fare questo
demonio? e quando si guazzò quel fiume... non mi ricordo il nome...
là dove fu ammazzato Quignones... che l'acqua era più alta che non si
pensava; chi arrivò il primo alla riva? E dopo tante prove e tanti
pericoli doveva finire alle mani di questo nemico di Dio!
--Non alzar tanto la voce--disse Correa--quel che è stato è stato a
buona guerra: e non si deve dar carico ai prigionieri, nè conviene che
odano questi discorsi.
--Ed io ti giuro--rispose Inigo--che vorrei essere in terra con una
buona ferita, e veder sano il mio povero Castagno: e perdonerei al
Francese se avesse rotto la spada sul capo a me, invece di pigliarla
col cavallo. All'uomo si tira: almeno chi sa tener la spada in mano
fa così; e non di qua, di là, all'impazzata. Maledetto! pareva che si
cacciasse le mosche.
--Hai ragione, perdio--gridò Segredo, vecchio soldato con baffi e
barba che mostravano aver veduto più d'una zuffa.--Quand'ero giovane
pensavo come te: vedi la mia fronte (e battendo sovr'essa leggermente
con una mano incallita dal guanto di ferro, indicava una cicatrice che
orizzontalmente gli tagliava il sopracciglio) questa me l'ha fatta
_el Rey Chico_ per amor d'un cavallo, il più bel bajo che vi fosse in
campo. Quello si chiamava cavallo! Quando fra uomini d'arme si veniva
alle spade, bastava scuotergli così un poco la briglia, e un'ombra di
sperone; che volevate vedere! S'alzava sulle zampe, e poi volate e
sparate avanti, chè a non volere uscir per gli orecchi, vi dico io,
mi toccava a stringer le cosce: quando ricadeva venivo giù insieme
col mio colpo di spada, che pareva la saetta di Dio, e in questa
maniera più d'un Moro è andato a cena con Satanas. E la _siesta_!
Dormivo fra le sue gambe all'ombra, povero _zamoreno de mi alma_, che
nemmeno ardiva cacciarsi le mosche, per non disturbarmi. All'assedio
di Cartagena dove pochi di voi si son potuti trovare, e dove cominciò
a farsi conoscere il gran Capitano,... e vi dice Segredo che era un
bel far la guerra allora: un po'meglio d'adesso: sotto gli occhi del
re Don Fernando e della regina Isabella, che era una bellezza, e di
tutta la corte, ben pagati e mantenuti noi e i cavalli, come in casa
d'un principe... ma per dir del mio cavallo, in una sortita dove _el
Rey Chico_ alla testa de' suoi combatteva come un leone (ed era un
uomo che m'arrivava al petto, ma aveva un braccio che dove toccava
lasciava il segno) quel povero animale ebbe passato il collo fuor
fuori da una zagaglia moresca, e la prima volta in vita sua cadde
sulle ginocchia. Mi gettai a terra e vidi che non c'era rimedio. Pure
speravo di ricondurlo al campo a mano, chè per tutto il mondo non avrei
voluto abbandonarlo: mi seguitava che appena poteva reggersi, e non ho
vergogna a dirlo, le lagrime calde calde mi scendevano per la gorgiera
dell'elmo, e mi bagnavano il collo: io che non sapevo che cos'era
piangere! In quella tornò addietro una furia di Mori stretta da molti
uomini di arme, e quel re era obbligato a fuggire, e veniva mugghiando
come un toro. Io preso in mezzo da questi, solo, a piedi mi vidi
morto. Tenni lontano più d'uno girando la spada; ma mi cadde sul capo
quella del re che m'aperse l'elmo e rimasi per morto un pezzo. Quando
mi riscossi e mi potetti alzar da terra, mi trovai il povero Zamoreno
steso morto accanto.--
I casi del cavallo di Segredo erano stati uditi con affetto da tutta la
tavola, ed il vecchio soldato al fine del suo racconto non avea potuto
a meno di non mostrare sul viso solcato dall'età e dai travagli, che la
memoria dell'antico compagno gli durava molto viva nel cuore. Qui ebbe
vergogna di farlo troppo scorgere, e si versò da bere per distrarre gli
sguardi che ancora lo fissavano.
Jacques de Guignes che, non meno degli altri prigioni, era andato
riprendendo animo a misura che s'era pieno lo stomaco, udita la storia
di Zamoreno cominciò:
--_Chez-nous_, messer cavaliere, questo non vi sarebbe accaduto tanto
facilmente (quantunque è pur troppo vero che _les bonnes coutumes de
chevalerie_ si vanno perdendo ogni giorno). Pure un uomo d'arme si
crederebbe disonorato se ad armi e a numero pari la sua spada cadesse
sul cavallo del nemico. Ma dai Mori, come tutti sanno, non si può
aspettare questa cortesia.
--Eppure--disse Inigo, rispondendo ad una proposta che non gli era
diretta--si potrebbe provare che non è usanza solamente de' Mori
l'ammazzar cavalli. Lo sanno le pianure sotto Benevento, e lo seppe il
povero Manfredi. E Carlo d'Angiò, che ne diede l'ordine, non era più
Moro di voi e di me.--
La stoccata era diritta, ed il Francese si scontorse sulla sedia.
--Questo si dice; forse sarà vero: ma _Charles d'Anjou_ combatteva per
un reame, e poi aveva a fare con uno scomunicato nemico della Chiesa.
--Ed egli non lo era della roba altrui?--interruppe Inigo con un
sorriso amaro.
--Credo che saprete--prese la parola La Motta--che il reame di Napoli
è feudo della S. Sede, e che _Charles_ n'ebbe l'investitura: e poi il
diritto d'una buona spada vale qualche cosa.
--E poi, e poi... Diciamo la cosa com'è--riprese Inigo--le barbute
tedesche di Manfredi, ed i mille cavalieri italiani che guidati dal
conte Giordano combattevan contra i Francesi s'erano mostrati tali
dal principio della battaglia, che Carlo d'Angiò non istimò inutile,
volendosi far re di Napoli, di ricorrere a questo espediente a malgrado
_les bonnes coutumes de chevalerie_, in vigore a quei tempi.
--Vi concederò se volete--rispose La Motta--che i Tedeschi valgano
qualche cosa sotto la corazza, ed avranno forse potuto far testa
qualche momento alla gendarmeria francese, nella giornata di Benevento;
ma quanto ai vostri mille Italiani, veramente! Se erano dugento anni
fa, quel che sono al dì d'oggi, non faceva bisogno che per metterli
in rotta i Francesi perdessero il tempo a storpiare i loro poveri
cavalli. Da cinque anni che scorro l'Italia, ho imparato a conoscerli,
ho seguitato il re Carlo nella compagnia del prode _Louis d'Ars_, e
v'assicuro che le frodi degl'Italiani ci hanno dato a fare più delle
loro spade. La sola guerra che essi conoscano è la sola che ignori la
lealtà francese.--
Queste gonfie parole poco piacquero a tutti, e niente affatto ad Inigo,
che aveva coltura ed ingegno più che mediocre: era amico di molti
Italiani militanti sotto le bandiere di Spagna, e conosceva com'erano
andate le cose nella calata di Carlo in Italia. Sapeva, per dirne
una, che, a malgrado la lealtà francese, ai Fiorentini non era stato
tenuto l'accordo, ed erasi loro fatta ribellar Pisa; nè le fortezze
che l'imprudenza di Pietro de' Medici avea poste in mano loro, erano,
secondo la fede data, state restituite al tempo stabilito. Tutto ciò
corse al pensiero d'Inigo, e le parole di La Motta gli movevan la
stizza, mal sofferendo che i poveri Italiani, traditi e malmenati dai
Francesi, fossero da questi medesimi trattati da traditori e coperti di
vituperj. Stava perciò in procinto di dirgli il fatto suo; ma quegli
accorgendosi che le sue parole non erano favorevolmente accolte,
aggiunse:
--Voi venite di Spagna da poco tempo, signori, e non sapete ancora che
razza di canaglia sieno gl'Italiani; voi non avete avuto a far nè col
duca Lodovico, nè col papa, nè col Valentino, che prima ci ricevevano
a braccia aperte, e poi cercavano di piantarci il pugnale nelle reni.
Ma a Fornovo si sono accorti che cosa può fare un pugno di brava gente
contra un nuvolo di traditori: ed il Moro il primo è stato preso nelle
sue reti. Scellerato! se non avesse altro delitto che quello della
morte di suo nipote, non basterebbe forse questo solo a farlo il più
infame degli assassini?
--Ma--disse Correa--suo nipote era infermiccio e di poco senno, e si
vuole sia morto naturalmente.
--Naturalmente, come tutti coloro ai quali vien dato un veleno. De
Forses e De Guignes lo sanno, che erano anch'essi alloggiati come me
nel castello di Pavia. Il re andò a visitare la povera famiglia di
Galeazzo (e tutto questo lo tengo dalla bocca di Filippo de Comines
al quale fu raccontato dal re stesso). Il Moro lo condusse per certi
passaggi oscuri, in due camere basse ed umide che guardavano le fosse
del castello; trovò il duca di Milano colla moglie Isabella ed i figli.
Questa si gettò ai piedi del re pregandolo per suo padre, ed avrebbe
voluto pregarlo anche per sè e pel marito, ma quel traditore del Moro
era presente: il povero Galeazzo pallido ed estenuato poco disse, e
pareva sbalordito dall'enormità della sua disgrazia: già aveva nelle
vene il veleno che lo ammazzò... E Cesare Borgia, per dirne un altro:
dove trovate una coppia come questa? Abbiamo viste di lui cose che se
si raccontano non son credute. Poi, già molte delle sue imprese sono
conosciute quanto basta. Tutto il mondo sa che ha ammazzato il fratello
per averne gli onori e la roba; tutto il mondo sa come ha fatto per
diventar padrone della Romagna; tutto il mondo sa che ha ucciso il
cognato, avvelenato cardinali, vescovi e tanti altri che gli davano
ombra.--
Volgendosi poi ai suoi compagni francesi col viso di chi ricorda un
fatto noto e degno di compassione:--E la povera Ginevra di Monreale?
La più bella, la più virtuosa, la più amabile donna ch'io m'abbia mai
conosciuta! Questi miei amici se ne ricordano: fu da noi veduta al
nostro passaggio in Roma del 92. Ma la sua mala sorte la fece anche
conoscere al duca Valentino allora cardinale: era costei divenuta
moglie di un nostro soldato ch'ella aveva sposato più per ubbidienza
a suo padre che per altro. Fu presa da un male che nessuno seppe
conoscere; si provarono tutti i rimedii; tutto fu inutile: dovette
morire. Ma un accidente singolare mi fece scoprire un segreto
d'inferno, che pochi hanno saputo. La sua malattia non era stata altro
che un veleno datole dal Valentino per punirla della sua onestà. Povera
infelice! Non son cose queste da chiamare i fulmini dal cielo?--
Qui il Francese si fermò pensando, e pareva cercasse ricordarsi qualche
circostanza che il tempo gli avesse annebbiata nella memoria.
--Ma sì, non m'inganno: oggi fra i vostri uomini d'arme, nel venire
a Barletta, ne ho veduto uno del quale per verità non mi sovviene il
nome, ma che mi ricordo benissimo d'avere incontrato più volte per Roma
in quel tempo; ed ha una statura ed un viso che non si dimenticano
facilmente: si diceva da tutti fosse l'amante nascosto della Ginevra,
e dopo la morte di lei sparì, nè mai più si seppe nulla de' fatti suoi
(_Mais oui, je suis sûr que c'est le même_, disse volto ai compagni).
Ad un miglio della città quando ci siamo fermati alla fontana per
aspettare i fanti, quel giovane pallido, coi capelli castagni, e non
penso d'aver mai veduto un viso d'uomo più bello nè più malinconico del
suo... sì, sì, è lui sicuramente; ma il nome non me lo domandate.--
Gli Spagnuoli si guardavano in viso studiando di chi volesse parlare.
--Era Italiano?--domandò uno.
--Sì; Italiano. È vero che non ha aperto bocca; ma un compagno che era
sceso da cavallo, e gli porgeva da bere, gli parlò italiano.
--E le sue armi?
--Mi pare avesse una corazza liscia con una cotta di maglia; e, se non
isbaglio, una penna ed una sciarpa azzurra.--
Inigo il primo gridò:--Ettore Fieramosca.
--Fieramosca appunto--rispose La Motta--ora mi ricordo, Fieramosca.
Ebbene, questo Fieramosca era innamorato di Ginevra (almeno così si
diceva), e molti non vedendolo più comparir dopo la morte di lei
credevano si fosse ucciso.--
A queste parole sorridendo gli Spagnuoli dicevan fra loro non esser
oramai da stupirsi se sempre era malinconico, e se menava una vita
tanto da sè, e diversa da quella de' giovani pari suoi. Tutti però
d'accordo lodavano la sua buona natura, il suo valore, la sua cortesia;
dal che si poteva conoscere quanto fosse amato e tenuto in pregio
da tutto l'esercito. Inigo poi, sopra tutti, che gli era amico, e
come ogni animo non volgare ammirando senza gelosia le belle doti
del guerriero italiano, quanto lo conosceva da più di sè, tanto
maggiormente lo amava, prese la parola in sua lode, con tutto il caldo
che può aver l'amicizia in un cuore spagnuolo.
--A voi piace il suo viso, ed a chi non piacerebbe? ma cos'è per un
uomo la bellezza? Se conosceste l'anima di quel giovane! la nobiltà, la
grandezza di quel cuore! ciò che egli ha osato coll'armi in mano con
quell'arrischiato valore che nei più va unito ad una certa ebbrezza, ma
in lui all'opposto fra i maggiori pericoli è sempre congiunto a freddo
consiglio!... In vita mia ne ho conosciuti dei bravi giovani, e alla
corte di Spagna e in Francia; ma vi dico da uomo d'onore, un insieme
come quell'Italiano, che, perdio, riunisce tutto, non l'ho trovato, e
non penso di trovarlo più.--
Il favore che il Fieramosca godeva nell'esercito fece sì che ognuno
volle dir la sua, mostrando premura per questi suoi casi, nè il vecchio
Segredo si mostrò duro più degli altri, e disse:
--Quantunque non abbia avuto mai tempo da perder con donne, e non abbia
mai capito come un petto coperto di maglia possa tormentarsi per loro,
non ostante quel bravo giovane, a vederlo sempre tristo, con quel
viso sbattuto, mi muove un certo sentimento, che nemmeno io posso ben
capire, e _por Dios santo_, darei il migliore de' miei cavalli (purchè
non fosse il Pardo) per vederlo una volta far un pajo di risate di
cuore.
--Lo dicevo io che era mal d'amore!--disse Azevedo.--Quando si vede
un giovane pallido, di poche parole, che cerca la solitudine, non si
sbaglia, è affare di gonnella. È vero però (disse sorridendo) che alle
volte un pajo di partite alla zecchinetta che vadano a rovescio, vi
metton l'amaro in bocca e vi fanno diventar pallido e malinconico per
dieci gonnelle;... ma non importa: è un'altra cosa, e poi dura meno. E
quanto a Fieramosca non c'è questo pericolo; non l'ho mai veduto con
le carte in mano... Ora capisco il motivo de' suoi viaggi notturni.
Sapete che le mie finestre guardano il molo. Più d'una volta l'ho visto
sul tardi entrare in un battello solo, allontanarsi e girare dietro
il castello. Buon viaggio, dicevo io mettendomi a letto, ognuno ha i
suoi gusti: e pensavo che cercasse fortune d'amore; ma non mi sarei mai
sognato si cacciasse in mare per piangere chi sta all'altro mondo. Pare
impossibile; un soldato par suo lasciarsi vincere da questa pazzia!
--Ciò mostra--rispose Inigo con calore--che un cuore buono ed amorevole
può star nel petto d'un uomo ardito in faccia al nemico; e, viva Dio!
che in questo s'ha a render giustizia a Fieramosca, come a tutti
gl'Italiani che i fratelli Colonna hanno sotto la loro bandiera:
nessuno di quanti portano una spada accanto ed una lancia in pugno, può
vantarsi di portarla più degnamente o d'esser da più di loro.--
A questa lode espressa col fuoco d'un animo schietto ed amante del
vero, gli Spagnuoli diedero coi cenni e colle parole un'approvazione
che non potevano negare essendo giornalmente testimoni del valore
degli uomini d'arme Italiani. Ma i tre prigionieri caldi dalle parole
e dal vino, e La Motta più degli altri, avendola con Inigo, che sempre
durante la cena lo era andato pungendo, non potè mancare alla sua
superba natura di stimar tutti nulla in paragone suo e de' suoi; onde
alle parole dello Spagnuolo rispose con un riso studiato ed un guardo
di compassione che fece montar la stizza fino ai capelli al giovine, e
gli s'accrebbe la metà quando La Motta seguì dicendo:
--Quanto a questo, messer cavaliere, nè io nè i miei compagni non siamo
del vostro avviso. Da molt'anni facciamo la guerra in Italia; e, come
già v'ho detto, abbiamo molto più veduto adoprar pugnali e veleni che
lance e spade, e vi prego di crederlo; un gendarme francese (e fece un
viso grosso) si vergognerebbe d'aver per ragazzi di stalla uomini che
non valessero meglio di questi poltroni d'Italiani: giudicate se si può
immaginare di paragonarli con noi.
--Sentite, cavaliere, ed aprite bene gli orecchi--rispose Inigo che
non potè più reggere alla passione di sentir costui dir tanta villania
de' suoi amici, e non gli parve vero di sfogarsi contra chi gli avea
storpiato il suo cavallo--se qualcuno de' nostri Italiani fosse qui, e
Fieramosca il primo, e voi foste libero, come siete prigione di Diego
Garcia, potreste imparare, prima d'andar a letto, che un uomo d'arme
francese può aver a fare a due mani per difender la sua pelle contra un
Italiano; ma poichè voi siete prigione, e qui non sono che Spagnuoli,
io che sono amico di Fieramosca e degl'Italiani, dico in loro nome, che
voi e chiunque dirà aver essi timore coll'armi in mano di chicchessia,
ed esser, come dite, poltroni e traditori, mente per la gola, e son
pronti a starne al paragone con tutto il mondo, a piedi, a cavallo,
con tutte l'armi o con la sola spada, dove, e quando, e sempre che vi
piacerà.--
La Motta ed i compagni, i quali al cominciar di quelle parole s'erano
rivolti con atto superbo verso chi le diceva, mutandosi gradatamente in
volto, fra l'adirato e l'attonito, ne stavano attendendo la fine. Come
accade in una brigata, allorchè in mezzo allo schiamazzo e alle risa,
si sente sorger una voce e dir parole di ferro e di sangue, che ognuno
tace e si volge sospeso a chiarire il fatto, cessato il bisbiglio, ogni
Spagnuolo stette ad orecchie tese, aspettando che cosa potesse nascere
da questa prima rottura.
--Siamo prigioni--rispose La Motta con orgogliosa modestia--e non
potremmo accettare disfide; però, coll'approvazione degli uomini d'arme
che hanno avute le nostre spade, e che, ben inteso, avranno da noi un
giusto riscatto, a nome mio, de' miei compagni e di tutta la gente
d'arme francese, rispondo e ripeto quello che ho già detto una volta, e
che dirò sempre, gl'Italiani valer solo ad ordir tradimenti e non alla
guerra, ed esser la più trista gente d'arme che abbia mai tenuto piede
in istaffa e vestita corazza. E chi dice che io abbia mentito, mente, e
glielo manterrò coll'armi in mano.--
Poi cercatosi in petto ne trasse una croce d'oro, e dopo averla
baciata la depose sulla tavola.--E possa io non avere speranza in
questo segno della nostra salute quando sarà la mia ultim'ora, esser
tenuto cavalier disleale, ed indegno di calzar speroni d'oro, se non
rispondo io ed i miei compagni alla disfida che gl'Italiani mi mandano
per bocca vostra, e colla grazia di Dio, di nostra Signora e di san
Dionigi, che ajuteranno la nostra ragione, mostreremo a tutto il mondo
qual differenza vi sia fra la gente d'arme francese e questa canaglia
italiana che voi proteggete.
--E sia col nome di Dio--rispose Inigo: quindi esso pure apertosi
davanti il giubbone si trasse dal collo un'immagine della Madonna di
Monserrato, colla quale si fece il segno di croce e la depose vicino
alla croce d'oro di La Motta: e quantunque provasse un leggier senso
d'umiliazione di non potere per la sua povertà offrire un pegno di
battaglia di valore eguale a quello di La Motta, pure scossa quella
vergogna, disse francamente:
--Ecco il mio pegno. Diego Garcia li prenda ambedue in nome di
Consalvo, che non ricuserà campo franco ai nostri nobili amici, nè ai
cavalieri francesi che verranno a combatterli.
--Non per certo--rispose Garcia, prendendo i pegni della
sfida--Consalvo non impedirà mai questa brava gente di misurarsi le
spade e fare il dovere di buoni cavalieri. Ma voi, messer barone
(parlando a La Motta) avrete sotto i denti un osso da rodere più duro
che non pensate.
--_C'est notre affaire_--rispose il Francese scuotendo il capo e
sorridendo.--Nè io nè i miei compagni terremo per il più pericoloso e
per il più splendido fatto della nostra vita, quello nel quale potremo
mostrare a questo bravo Spagnuolo il suo errore, facendo votar la sella
a quattro Italiani.--
Diego Garcia, che non si sentiva veramente vivo se non quando stava o
nel calor d'una mischia o parlando di menar le mani, non capiva in sè
dall'allegrezza nel sentir questi preliminari d'una sfida, che sarebbe
senza dubbio stata combattuta e contrastata con tutto l'accanimento
che può inspirare l'onor nazionale; ed alzando il capo e la voce,
e battendo insieme due mani che sarebbero state bene al braccio di
Sansone, gridò:
--Le vostre parole, cavalieri, sono degne d'uomini d'onore, e di
soldati pari vostri, e son sicuro che i fatti non saranno inferiori.
Vivano sempre i bravi di tutte le nazioni! Ed in così dire, imitato
dagli altri, alzò il bicchiere, e tutti con grande allegrezza lo
votarono più d'una volta in onore de' futuri vincitori. Calmato un
poco il romore, Inigo soggiunse:
--L'ingiuria che voi fate al valore italiano, messer cavaliere, non è
cosa che i miei amici vorranno passar così di leggieri, nè terminar
col rompere d'una lancia, come se si trattasse di aver il pregio d'una
giostra. Non parlo per ora del numero de' combattenti: questo si
fisserà d'accordo fra le due parti; ma qualunque sia per essere, offro
a voi ed ai vostri battaglia a tutte armi ed a tutto sangue, finchè
ogni uomo sia morto, o preso, o costretto ad uscir del campo. Accettate
voi questi patti?
--Gli accetto.--
Fermato così l'accordo, nè rimanendo per allora altro da aggiungere,
le fatiche del giorno e l'ora tarda consigliarono ad ognuno il
riposo. La brigata si alzò da tavola di comune consenso; ed uscita
dall'osteria, s'andò sciogliendo a mano a mano, riducendosi ciascuno
al proprio alloggiamento. I baroni francesi furono onorevolmente
trattati, ed ebbero stanza dagli uomini d'arme che gli avean fatti
prigioni. Crediamo di poter asserire, che malgrado le bravate colle
quali aveano mostrato tener gli Italiani in sì poco conto, un intimo
senso, ed in molti l'esperienza gli avvertiva, che a voler uscir ad
onore da quest'impegno, bisognavano però più fatti che parole. Inigo
anch'egli, benchè fosse più che certo del valore de' suoi amici, e
che per la gloria delle armi italiane sarebbero venuti a paragone
con tutto il mondo, riflettendo che gli avversarj erano pur gente
da guerra di grandissimo conto, e le migliori spade dell'esercito
francese, non poteva non istare in pensiero del fine che avrebbe avuta
quest'importante faccenda. Infatti La Motta ed i suoi compagni erano
uomini da star a fronte di chicchessia. Le loro prodezze nell'armi
erano conosciute da tutte le soldatesche d'allora; e nelle squadre
francesi v'erano moltissimi altri non inferiori nè in coraggio nè
in perizia, ed il famoso Bajardo, per dirne uno, bastava solo ad
aggiungere gran peso nella bilancia.
A malgrado di queste riflessioni l'altero Spagnuolo non si pentì un
momento d'averla presa per gl'Italiani, e pensò che avrebbe troppo
mancato sopportando che l'insolente prigione dicesse tanti vituperj
di coloro che non li meritando erano poi suoi amici ed assenti: e
come, disse fra sè, potrebbe esser vinto chi combatte per l'onor della
patria? Così rinfrancato l'animo, si dispose la mattina seguente a
conferire di ciò con Fieramosca, ed usare ogni cura onde la cosa
riuscisse ad onore della parte che avea tolto a proteggere; e pieno di
questi onorati pensieri, stette, senza molto dormire, aspettando l'ora
di metter mano all'impresa.
NOTE:
[4] I guai, con pane, son più soffribili.


CAPITOLO TERZO.

La rocca di Barletta occupata da Consalvo e da parecchi capi di
quell'esercito era posta fra la piazza maggiore della terra ed il
mare. Nelle case all'intorno eransi allogati a mano a mano tutti gli
ufficiali spagnuoli ed italiani col loro seguito; e fra questi, in
una delle migliori abitazioni, i fratelli Prospero e Fabrizio Colonna
facevan dimora col sontuoso traino di scudieri, famigli e cavalli, che
ad una tanta casa si conveniva. Ettore Fieramosca era loro carissimo
sovra ogni altro per mille suoi pregi, e se lo tenevano qual figlio,
avendolo accomodato d'una casetta che era presso la marina, attigua
alle loro stanze, la quale agiatamente poteva contener lui ed i servi
coi cavalli e le bagaglie. La camera più alta della casa, ove solea
dormire, avea le finestre volte a levante.
Era l'indomani della cena: il primo chiarore dell'alba faceva appena
all'orizzonte distinguere dal cielo la bruna linea del mare, quando
il giovane Fieramosca, lasciato il letto ove non sempre trovava sonni
tranquilli, uscì su un terrazzo, a' piedi del quale venivano a batter
l'onde leggermente agitate dal fresco venticello della mattina.
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