Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 13
mani uno spillo un momento?--Non restava all'Italiano che obbedire.
Vittoria Colonna si volse altrove, mostrando sul viso bello ed altero
quanto sarebbe stata lontana dall'usare tali lusinghe; e Fanfulla
rimasto un momento a guardar Fieramosca:
--Buon per te--gli disse--gli altri seminano e tu raccogli: e
s'allontanò zufolando come fosse stato solo per istrada, e non in mezzo
a tal compagnia.
I doni però di Consalvo non erano soltanto destinati alle donne; aveva
pensato anche ai suoi ospiti francesi; ed al duca di Nemours, non meno
che a' suoi baroni, toccarono di ricchi presenti d'anella, di lavori
d'oro per portare sulla berretta ed altre coserelle. La sontuosità che
il Capitano di Spagna spiegava in questo convito non era senza cagione;
voleva mostrare ai Francesi che non solo non gli mancava cosa veruna
per provvedere le sue genti, ma che gliene avanzava tanto da poterne
usar cortesia.
Il giuoco delle colombe era finito; ed ognuno, ritrovato il suo posto,
si stava preparando ai brindisi che si vedevano poco lontani.
Il duca di Nemours, seguendo l'uso di Francia, si rizzò, prese il
bicchiere, e volgendosi a Donna Elvira, la pregò volesse tenerlo
d'allora in poi per suo cavaliere, salva l'ubbidienza del re
Cristianissimo. La donzella accettò e rispose cortesemente; e dopo
molti altri brindisi parve tempo a Consalvo d'alzarsi, e seguìto da
tutti i convitati uscì su una loggia che guardava la marina, ove
spesero in ragionamenti le ore che ancor mancavano al fine di quella
giornata.
La maggior parte di questo tempo Donna Elvira e Fieramosca lo passarono
insieme. Pareva che la giovane non sapesse star un momento discosta
da lui: se egli si allontanava, mescolandosi al resto della brigata e
fermandosi in qualche crocchio, essa dopo pochi minuti gli si trovava
accanto. Ettore, troppo sagace per non avvedersi di questa preferenza,
per un giusto sentimento d'onestà non voleva fomentarla, sapendo che
non poteva aver lodevol fine, ma legato dalla sua natura e dal dovere
di Consalvo non poteva mostrarsi scortese. Molti s'avvidero di questo
giuoco, e ne bisbigliavan tra loro sogghignando. Fanfulla che ancora
si sentiva indispettito pel fatto della colomba, si rodeva di vedere
il compagno in tanto favore, e quando poteva accostarsegli gli diceva
mezzo ridendo e mezzo con istizza--Me la pagherai ad ogni modo.
NOTE:
[10] Il duca di Nemours fu morto alla battaglia della Cerignola.
CAPITOLO DECIMOQUINTO.
Al pian terreno, nella sala maggiore, che tutte le antiche rocche
avevan per ritrovo degli uomini d'arme, era stato eretto un teatro
formato all'incirca come i moderni, salvo che in quel tempo il sipario
in vece d'alzarlo, s'usava lasciarlo cadere nel luogo ove oggi si tiene
l'orchestra. Da una città vicina del littorale era stata chiamata una
compagnia di comici ambulanti, che dopo aver passato il carnovale in
Venezia, veniva da città in città rappresentando drammi e commedie,
per ritrovarsi poi a Napoli per le feste di San Gennaro, od a Palermo
per Santa Rosalia. Dovendo ora comparire innanzi ad un'adunanza così
scelta, s'era preparata con ogni studio, onde lo spettacolo riuscisse
gradito. Appena fatto notte, s'allogarono gli spettatori, e tosto
fu dato ordine d'incominciare. Mandata giù una gran tela che serviva
di sipario, apparve un palco, sul quale, da un lato si vedea un
portico ricco di colonne e di statue, e che mostrava esser l'ingresso
di una reggia, sulla cui porta era scritto a lettere d'oro: TERRA
DI BABILONIA; e sotto di esso, seduto su un trono ed attorniato da'
suoi baroni, un re collo scettro d'oro in mano, vestito alla foggia
d'Oriente, con un gran turbante coperto di gemme, e sovr'esso la
corona: nel mezzo una spiaggia di mare; e dall'altro lato, sotto
un'alpestre montagna piena d'alberi e di rupi, era scavata una caverna,
dalla quale un dragone usciva di tempo in tempo facendo vista di
guardare una pelle d'ariete coi velli dorati molto rilucente, che stava
appesa ad un albero vicino.
Accanto al re, su un trono minore, stava una donna alta, complessa, di
bella faccia, vestita di raso rosso con due braccia di strascico ed un
capperone di velluto nero alla francese; un falcione accanto ad uso di
storta, ed in mano un libro ed una verga: era Medea.
Poco stante comparve sul lido una nave dalla quale scesero molti
giovani in abito di soldati, e fra questi uno bellissimo, tutto coperto
a piastra e maglia, salvo il capo: era Giasone; due giovani Mori gli
portavano l'elmo e lo scudo.
Venuto avanti, e fatta riverenza al re, cominciò costui una parlata
in versi ottonarj, che forse non sonarono troppo bene all'orecchie di
Vittoria Colonna, come non soneranno a quelle de' miei lettori, e che
cominciava così:
Di cristianità venemo,
Argonauti se chiamemo,
Al soldan de Babillona,
Che Dio salvi sua corona.
E seguitando su questo metro, diceva com'eran venuti per riportarne
con loro il vello d'oro. A queste parole il re Oeta, dopo aver tenuto
consiglio coi suoi baroni e colla figlia, rispondeva che era contento,
e partendo lasciava sola Medea con Giasone.
Questi cominciava tosto a vagheggiar la donna, e domandandole il suo
ajuto, le prometteva di condurla in cristianità, dove l'avrebbe
fatta sua sposa e gran regina. Medea si lasciava facilmente piegare,
e gl'insegnava certi incanti co' quali addormentare il drago;
raccomandandogli sopra ogni cosa che, se voleva poterli usare, non
nominasse Santi, nè facesse segni di croce, le quali cose li avrebber
guastati. Come fu partita, Giasone volto ai compagni, diceva non essere
opera di buon cavaliere combattere con incanti; e perciò voler prima
tentare di vincere il drago colle armi, e ponendo mano alla spada,
coprendosi collo scudo, che uno degli scudieri gli avea presentato,
mentre l'altro gli allacciava l'elmo, veniva ad assalire il drago. Ma
questo uscendo dalla caverna e vomitando fiamme si difendea così bene
che, dopo una battaglia di pochi minuti, Giasone dovette rinunziare
all'impresa. I suoi compagni allora con molte preghiere l'esortavano
a servirsi degli incanti; ed egli così facendo riusciva ad assopire
il dragone, e spiccava il vello senza contrasto. Ciò fatto, ritornava
Medea sollecitando tutti per riporsi in nave con esso lei: si udiva
allora nella terra dar nelle trombe e sonar cembali, chiarine ed altri
stromenti moreschi. Poco dopo usciva un giovane a cavallo in abito
saracino a sfidar Giasone, che accettava l'invito ed in pochi colpi
l'abbatteva; e mentre volea salire in nave co' suoi, sopraggiugnendo
Oeta colla sua baronia, e vista fuggir la figlia, e a terra morto il
figlio Absirto, ordinava che s'impedisse agli Argonauti di partire.
Medea allora cominciava i suoi incanti; l'aria si faceva oscura, e
molti uomini, stranamente vestiti in sembianza di demoni, scorrendo
colle fiaccole finivano coll'incendiar Babilonia; e portar con loro il
re e tutti i baroni, nel tempo che si scorgeva in fondo gli Argonauti
andarsene liberi al loro viaggio. Così finiva il dramma.
Quelli fra i nostri lettori che troppo s'invanissero della squisitezza
de' moderni teatri, considerino che il talento, col quale oggi si sa in
certi spettacoli cavar gli applausi degli spettatori, e che consiste
nel disporre le cose in modo che finiscano sempre con qualche incendio,
o qualche rovina, o coll'Olimpo, o col Tartaro, non è nuovo nella
nostra età, ma serviva già le scene, ed era apprezzato dal pubblico
del millecinquecento.
La compagnia alla quale si poneva innanzi questo spettacolo, benchè
composta in parte di persone non prive di coltura, ne fu contenta, o
almeno mostrò di esserlo. E per verità da comici di quella portata, ed
in un luogo come quello in cui si trovavano, fu fatto anche troppo.
Ma un'altra porzione fra gl'invitati alla festa, cui per la loro
condizione inferiore non veniva permesso di frammischiarsi ai nobili e
cavalieri, godeva intanto d'un altro simile spettacolo che le era stato
preparato in cortile, e certamente con ischiamazzi e grida dava segni
di una più viva approvazione.
Alcuni soldati spagnuoli avevan dimandato ed ottenuto la licenza
di recitare anch'essi alla meglio una loro commedia nazionale; ed
accomodato in un angolo del cortile un luogo con tavole e tele
in foggia di teatro, da molti giorni s'erano andati esercitando,
ingegnandosi ognuno d'imparare e portar bene la sua parte; ed avean
messa insieme una commedia carissima agli Spagnuoli intitolata _Las
mocedades del Cid_, che letteralmente significa le ragazzate del Cid,
e più propriamente la sua giovinezza: dopo questa, se avanzava tempo,
dovean recitare un _Saynete_ a guisa di _petite pièce_, come soglion
chiamarle i Francesi.
Mentre cominciava in castello l'azione drammatica che abbiam descritta,
ebbe principio anche il secondo teatro, e l'udienza era numerosissima,
composta di capisquadra, uffiziali, soldati, di molti abitanti,
bottegai, e d'infinito popolo minuto. L'aristocrazia di questa adunanza
sedeva assai comodamente presso al palco, ed a mano a mano che i raggi
della folla si scostavano da questo centro si trovavan sempre individui
di più basso stato, e di più povera apparenza; finchè si giugneva
agli ultimi che erano monelli, e cenciosi di strada. L'ingresso
del cortile era aperto a tutti, perciò la folla era grandissima; e
se tutti egualmente per la situazione diversa non potevan godere
del divertimento, quelli che ne stavan lontani si rifacevano collo
schiamazzare, e cacciar urli e fischi che dai più vicini al palco eran
uditi con segni di sdegno, ed inutilmente repressi con dei _zitto_,
lanciati or da un angolo or da un altro, e che invece di servir di
freno, eran piuttosto di stimolo ai perturbatori.
Fra tanta gente intesa a darsi buon tempo, s'aggirava un uomo che, non
ostante la sua povera apparenza ed il vestire dimesso, aveva un viso ed
un portamento che non permetteva di confonderlo colla rimanente turba;
e nel suo aggirarsi irrequieto e sollecito, mostrava che il fine che
qui lo conduceva era tutt'altro di quello di divertirsi. Quest'uomo
era Pietraccio; che venuto sin qui senza ostacolo per ammazzare
il Valentino e per avvertire Fieramosca del pericolo di Ginevra,
trovandosi ora in mezzo a tutta questa confusione, rimaneva perplesso,
conoscendo con quanta difficoltà gli sarebbe venuto fatto di trovar
le persone che cercava. Stupirà forse il lettore, che un assassino
condannato nel capo ardisse venire in città ed esporsi ad esser preso;
e certo nel modo onde è composta in oggi la società sarebbe grave
imprudenza. Ma gli uomini di quel tempo non avevano come noi leggi ed
ufficiali di polizia tutti intesi a vegliare alla loro tranquillità; e
Pietraccio, ora che la stretta nella quale s'era messo ammazzando il
podestà era passata, poteva star sicuro in Barletta (tanto più essendo
notte) come sarebbe stato in mezzo alle macchie fra' suoi. Ma qualunque
sia la difficoltà dell'impresa ch'egli tenta, è troppo avvezzo a trarsi
d'impaccio, e troppo bramoso di sfogare la sua vendetta, per non
trovar modo di superare ogni ostacolo: lasciamone il pensiero a lui, e
torniamo piuttosto ai principali attori della nostra storia.
Le due ore di notte non erano molto lontane, quando, finito il teatro,
ritornò la comitiva nella sala ove aveva pranzato, la quale cambiata
ora negli addobbi era destinata al ballo, e tutta splendeva d'infiniti
lumi di cera disposti intorno intorno in gran candelabri, e nel mezzo
in bellissime lumiere che pendevano dalla volta. L'orchestra, come al
tempo del pranzo, stava sulle logge aperte in giro su in alto a due
terzi dello spazio fra il pavimento ed il cornicione: oltre i sonatori,
che ne tenevano solo un lato, vi s'era cacciata ogni sorta di gente di
minor conto per essere spettatrice d'un divertimento al quale non potea
prender parte.
Consalvo co' suoi ospiti e le donne sederono sopra uno strato posto ove
dal muro pendevano le bandiere; ed il duca di Nemours alzatosi poi,
tosto che fu piena la sala, e pregata Donna Elvira, incominciò la danza.
Com'ebber finito, e la giovane fu tornata al suo luogo, Fieramosca,
volendo anche in questa occasione mostrarsi cortese, venne ad offrirle
la mano, scusandosi anticipatamente sulla sua imperizia. La proposta
fu accettata con visibile allegrezza; si unirono molt'altre coppie, e
Fanfulla fra gli altri, non potendo aver Donna Elvira, scelse fra le
molte donne di Barletta che si trovavano alla festa una che gli parve
più leggiadra, e fece di situarsi in modo che in quella che chiameremo
_contraddanza_, si trovasse accanto ad Ettore ed alla sua compagna. Lo
studio, col quale coglieva a volo tutti gli atti e le parole di Donna
Elvira, non dovette troppo riuscirgli grato: negli sguardi tremoli
della giovane spagnuola si leggeva quanto le andasse a' versi il suo
compagno; ed il suono degli stromenti, il moto, il prendersi per la
mano spesso, e quella licenza che il ballo mette anche fra persone che
in altre circostanze si tratterebbero a vicenda col maggior riguardo,
avea prodotto nella figlia di Consalvo un'esaltazione di fantasia
che poteva reprimere a stento. Ettore e Fanfulla se ne accorgevano
egualmente; il primo ne provava rammarico, il secondo dispetto; e
sempre, o con mezze parole o con occhiate d'intelligenza, tribolava
Fieramosca, il quale non amando tali scherzi teneva un contegno serio,
ed in parte malinconico, interpretato dalla donzella a suo modo, e
questo modo era molto lontano dal vero.
Alla fine Donna Elvira con quell'arrischiata imprudenza, che era tutta
sua, cogliendo un momento che teneva Ettore per la mano, si piegò
verso di lui, e gli disse all'orecchio:--Finito questo ballo andrò sul
terrazzo che dà sul mare; venite, che voglio parlarvi.--
Fieramosca, colpito dolorosamente da queste parole che gli mostravan
imminente un gravissimo intrigo, accennò col capo di sì, un poco mutato
in viso e senz'altra risposta. Ma sia che le precauzioni di Donna
Elvira nell'abbassar la voce non fossero state bastanti, o che Fanfulla
troppo stesse sull'avviso, il fatto si è che anch'esso udì quelle
malaugurate parole, e bestemmiando in cuor suo la ventura che toccava a
Fieramosca e non a lui, diceva fra denti: Che non vi sia modo di farla
costar cara a questa pazzarella?
Ettore dal canto suo era combattuto da avversarj pensieri: non gli
passava neppur pel capo di dar retta alle lusinghe della bella
Spagnuola, prima per esser nel cor suo troppo viva l'immagine di
Ginevra, poi, anche senza questo motivo, avrebbe avuto senno abbastanza
per non volersi dar buon tempo colla figlia di Consalvo; ed essa con
siffatti modi non sarebbe mai stata tale da giungere al suo cuore, chè
non era Ettore di quelli, i quali in questo genere son sempre pronti
ad afferrar l'occasione. Per un altro verso gli rincresceva di poter
passare per iscortese, villano, e forse peggio; chè pur troppo fra le
contraddizioni umane v'è quella di voler chiamar cattive certe cose,
e sciocco e dappoco nello stesso tempo chi non le vuol fare. Durante
il resto del ballo andò sempre lavorando colla mente per trovar modo
di salvar, come suol dirsi, la capra e i cavoli; e dopo aver molte
volte mutato progetto, alla fine vedendo che il momento s'avvicinava,
si dispose risolutamente a correr qualunque rischio prima di esporsi a
far torto a Ginevra. E pensando che essa, mentre egli si trovava fra
quelle feste, era in un povero chiostro in mezzo al mare, abbandonata
da tutti, e probabilmente col pensiero in lui, si struggeva d'aver
avuto anche un momento altri rispetti maggiori dell'amor suo, e perciò,
appena finito di ballar con Donna Elvira, sollecitò a levarsi da
quel luogo, e pensando metter per iscusa uno di quei mal di capo che
servivano nel secolo XVI, come servono nel XIX in tante occasioni, si
disponeva a lasciare il ballo ed andarsene a casa.
I giovani, che avean preso parte a questa contraddanza, per essere più
svelti e perchè tale era l'uso, s'eran tolto i mantelli che portavano
sulla spalla sinistra, e gli avean tutti insieme deposti in una camera
attigua rimanendo in giustacore e calzoni, per la maggior parte di raso
bianco. Fanfulla ed Ettore eran vestiti di questo colore, e somigliavan
per la statura e per il sott'abito l'uno all'altro perfettamente; solo
riprendendo i mantelli si sarebbe notata fra loro una differenza:
Fieramosca lo portava azzurro ricamato d'argento; quello di Fanfulla
era vermiglio.
Ettore trovato Diego Garcia, lo pregava volesse scusarlo presso
Consalvo e la figlia se pel dolor di capo era obbligato partirsi; e
s'avviò alla camera ov'era il suo mantello: quando fu presso a varcar
la soglia, in un momento in cui avendo la folla fatto un poco di largo,
egli si trovava non aver presso veruno, si sentì batter sulla spalla
una leggera percossa come d'un corpo sodo che cadesse dall'alto, e,
guardandosi ai piedi ove era di rimbalzo caduto, fide una cartolina
piegata che conteneva qualche cosa di grave. Guardò in su alla loggia
d'onde pareva venuta, e vide che nessuno fissava lo sguardo in lui.
Stava per passar oltre: pure si chinò, la raccolse, e spiegatala vi
trovò dentro un sassolino che vi era stato posto solo per darle peso,
onde gettandola si potesse dirigere. Vi era scritto in modo grossolano
ed appena intelligibile: «Madonna Ginevra debb'esser rapita di Santa
Orsola per volere del duca Valentino al tocco delle tre ore. Chi vi dà
quest'avviso v'aspetta con tre compagni al portone di Castello, ed avrà
una zagaglia in mano.»
Un brivido scorse ad Ettore fin nelle midolle dell'ossa, e gli
si raddoppiò ricordando che le due ore e mezzo eran già sonate
all'orologio della torre da un pezzo. Non v'era un momento da perdere:
pallido come un uomo che ferito a morte faccia gli ultimi passi e stia
per cadere, in un lampo trovò la porta, e giù a gambe per lo scalone
si gettò a precipizio così come si trovava senza mantello e senza
berretta, facendo restare maravigliati quanti s'imbattevano in lui;
e correndo quanto poteva, giunse al luogo indicato con tanto impeto,
che si dovette attenere per fermarsi al grosso anello di ferro del
portone; l'arco dell'entrata era scurissimo; guardò ansando pel correre
e per l'angoscia, quando, scostandosi dal muro contra il quale stava
appiattato, venne avanti l'uomo della zagaglia.
La partita di Fieramosca dal ballo così a furia, e tanto mutato in
viso, fu osservata da molti, ma non pensarono a seguirlo, udendo da
Garcia il motivo che ne era stato addotto da Ettore medesimo. Inigo
però e Brancaleone, che più degli altri lo amavano, non potendosi
così di leggieri soddisfare, gli tennero dietro, e quantunque non
lo potesser raggiungere, l'ebbero però sempre in vista, e furono al
portone pochi momenti dopo di lui.
Trovarono Fieramosca che, afferrato Pietraccio, lo trascinava
dicendo:--Andiamo dunque, presto, presto.--Vide i compagni, e disse
loro con gran prestezza:--Se mi siete amici, venite meco ed ajutatemi
contra quel traditore del Valentino; entriamo in un battello, siamo
sette uomini, saremo presto a Santa Orsola.--Brancaleone, guardando
sè ed i compagni, rispondeva:--E dove son l'armi?--Difatti nessuno
di lor tre avea neppur la spada. Fieramosca dava in ismanie, batteva
i piedi, cacciandosi le mani nei capelli e pareva presso ad uscir
di senno. Allora Brancaleone, che al bisogno sapeva trovar parole e
ripieghi diceva:--Tu Ettore va al mare con costoro, metti in ordine il
battello e i remi, ed aspettaci: e tu Inigo vien meco;--e partì con
lui correndo, mentre Fieramosca gli gridava dietro:--Presto, presto:
son tre ore a momenti;--e quantunque i suoi amici non intendessero nè
il senso di queste parole, nè il motivo di tanta fretta, conoscendo
che dovea esser cosa di gravissima importanza entraron di volo nella
casa dei fratelli Colonna e nella saletta terrena ov'eran l'armi, e
spiccati dal muro giachi, elmi e spade per tre persone, con egual
precipizio si cacciarono a correre, e l'ebber tosto raggiunto che già
stava in barca: vi buttaron quelle loro armature, e saltandovi dentro
Inigo ch'era rimaso l'ultimo con un piede appuntato alla riva la
spinse in mare, ed arraffati i remi vi si curvavan sopra, e li facevan
piegar per lo sforzo. Uscendo dai piccol porto che era dietro la rocca
dovean passar sotto la torre dell'orologio: quando vi furono, s'udì
su dall'alto quello scattare che fanno le ruote poco prima di batter
l'ore. Il povero Ettore si curvò nelle spalle abbassando il capo con un
moto istantaneo, come se avesse aspettato che quella torre gli cadesse
allora allora sul cranio; dopo alcuni secondi il campanone diede i tre
tocchi fatali, e se ne udì il suono cupo che, perdendosi nell'aria in
oscillazioni decrescenti, venne debolmente ripetuto da un eco lontano.
Prima di veder l'esito del viaggio di costoro ci conviene per poco
ritornare nella sala del ballo.
Fanfulla, che il caso o la sua astuzia avea reso padrone del segreto di
Donna Elvira, s'era disposto in cuor suo di farselo fruttare, ma non
sapeva trovarne il modo; finchè, vedendo partire con tanto impeto il
suo preferito rivale senza mantello nè berretta, gli nacque un pensier
pazzo; ed egli che mai non istava un momento in forse ove si trattasse
di soddisfare un capriccio, che che ne dovesse venire, tosto più
pazzamente si pose ad eseguirlo.
Avea tenuto d'occhio la figlia di Consalvo, e l'avea veduta, appena
finito il ballo, avviarsi alla loggia, e conobbe che non s'era potuta
avvedere della partita di Fieramosca. Corse sollecito alla camera dei
mantelli ove tutti avean ripreso il loro, e v'era rimasto soltanto,
oltre il suo, quello di Fieramosca e la sua berretta di velluto scuro
ornata di molte piume cadenti: se la pose in capo in modo che le piume
gli adombrassero parte del volto; sulle spalle si gettò il mantello
azzurro del suo amico, e, a non guardarlo in viso, ognuno avrebbe detto
che era Fieramosca. Così vestito, se n'andò fra gente e gente, cheto
cheto sulla loggia ove non eran lumi, e venivan soltanto dissipate le
tenebre dal chiarore di quelli di dentro: molte casse d'agrumi disposte
intorno ad una vaschetta, dal mezzo della quale zampillava l'acqua,
ingombravano il luogo in modo che era facile celarsi da quelli che
vi fosser venuti uscendo dalle sale del ballo. Quando Fanfulla entrò
sulla loggia, per sorte non v'era persona; andò avanti cautamente, e
vide Donna Elvira seduta presso al parapetto che dava sul mare, con
un gomito appoggiato alla ringhiera di ferro; reggendosi ella il capo
colla mano stava immobile guardando il cielo.
La luna era oscurata in quel momento da alcune nuvolette che le
passavano avanti spinte dal vento. Fanfulla conobbe che se non coglieva
quel punto, tornando chiaro, sarebbe stato più probabile che fosse
riconosciuto; s'accostò pianamente in punta di piedi a Donna Elvira,
che non lo sentì finchè non le fu vicino; e quando ella volse il capo
per guardarlo, Fanfulla abbassando il suo con molta grazia e destrezza,
in atto di riverenza pose un ginocchio a terra vicino a lei, e, presale
la mano, v'impresse su le labbra, e seppe così ben fare che riuscì a
celare il viso interamente, e la figlia di Consalvo non ebbe il più
leggier dubbio ch'egli non fosse Fieramosca.
Fece per ritrarre a sè la mano, e ciò, secondo l'usanza di tutti i
tempi, le fu con perdonata violenza vietato: quantunque l'indole di
Donna Elvira fosse capricciosa, leggera e fatta a suo modo, vogliamo
però credere che il trovarsi in un colloquio così stretto con un
giovane, le facesse provare un certo rimorso, e tremasse anche in parte
pel sospetto di non venir ivi trovata dal padre o più ancora dalla sua
severa amica.
Un soffio di vento più forte tolse alla luna il velo che la copriva;
e questa, essendo piena, rischiarò di un raggio limpidissimo tutto
quel luogo, ed il fulgido vestire di Fanfulla e d'Elvira. Forse nessun
de' due se n'accorgeva; ma un grido acidissimo di una voce femminile,
che veniva dal piè della loggia alta poche braccia sul mare, li fece
riscuotere; e conoscendo che altre persone del ballo avendolo udito
potevan uscir sulla loggia, sollecitamente tornarono per diverse parti
nella sala, ove i pochi che avean posto mente a quel grido, distratti
da altre idee, più non se ne curarono. Il primo era però stato seguìto
da un secondo più debole, e che morendo fra le fauci di quella che lo
gettava, fu seguìto dallo strepito sordo d'un corpo umano che cadde
nel fondo d'un battello; ma la loggia era deserta: nell'interno tutti
erano intenti alla festa: nessuno s'affacciò per vedere qual fosse la
meschina che domandava soccorso.
Mentre queste cose accadevano nella rocca, la barchetta che portava
Fieramosca e i suoi compagni, spinta da sette uomini robusti volava
ondeggiando sul mare alla volta del monastero, lasciandosi dietro
una lunga striscia di spuma. Brancaleone vedendo che Fieramosca non
pensava che a buttarsi sul remo con quanto n'avea nelle braccia, disse
risolutamente:--Orsù, Ettore, non so dove ci conduca, ma per certo,
non par cosa da motteggio, e se s'ha a far davvero, finchè questi
giachi sono in fondo alla barca ci vorranno giovar poco.--Persuasi da
queste parole, si misero quell'arme attorno, usando cautela che un
solo per volta lasciasse il remo per vestirsene. Cintesi le spade ed
allacciatisi in capo certi cappelli di ferro leggeri, si diedero a
vogare con nuova furia, sempre ficcando gli occhi pel piano del mare se
potessero scoprire i loro avversarj. Ettore, strada facendo, raccontò
con interrotte parole per qual cagione gli occorresse il loro ajuto:
videro in quella una barchetta poco lontana, e si torsero a quella
volta; ma nell'avvicinarsele s'accorsero che era condotta da una sola
persona che lentamente andava verso Barletta. Per non perder tempo si
drizzarono di nuovo al monastero senza aver potuto chiarirsi della
figura di quello che remigava. Inigo consigliava che s'andasse accosto
se mai avesse saputo o visto nulla; ma Ettore nol permise: l'ora
fissata era trascorsa, e appena poteva sperar di giungere in tempo.
Eppure se avesse seguìto il consiglio d'Inigo quante sventure avrebbero
sfuggite!
Il monastero di Santa Orsola si veniva facendo più grande. Fieramosca
vi teneva gli occhi fitti, e vedeva tutte le finestre senza lume:
a due tiri d'archibugio, ecco da manca venir un battello basso e
lungo che andava come una rondine a fior d'acqua. Ettore, Inigo
e Brancaleone dissero sotto voce e tutti insieme:--Eccoli--; e
voltata la prora a quella banda, raddoppiaron gli sforzi: l'altra
barca, accorgendosi del loro disegno, si mise presto a fuggire: ma
ai persecutori parve triplicato il vigore: visibilmente diminuisce
lo spazio che separa i due battelli; già si possono udir le parole
dall'uno all'altro; già Fieramosca alzandosi quanto può, senza lasciar
il remo, scorge una donna stesa a poppa con due uomini che la guardano,
e grida:--Traditori!--con un ruggito che rimbomba entro le mura del
monastero.
--Andiamo, andiamo, voga, arranca--dicevan tutti insieme affannati, e
co' denti stretti; ma già quasi colla prora toccano la poppa nemica.
Ettore presto come il baleno lascia il remo, e colla spada in alto si
lancia fra i nemici che spingendo l'arme innanzi l'aspettavano bene
apparecchiati. L'urto, che dovette dar al suo battello per ispiccare
il salto, lo fece rimaner addietro dall'altro, onde si trovò solo, e
ricevette nel busto e nel capo parecchi colpi, dai quali lo scamparono
il giaco e la cervelliera. Ma già i suoi compagni, vedutolo in tanto
pericolo, lo avevan raggiunto. Pietraccio che si trovava più vicino,
salta il secondo, ma non fu appena ove credeva trovare il Valentino,
che un colpo di remo sul capo lo batte in terra tramortito. Inigo e
Brancaleone sono accanto ad Ettore, e combattendo in tanta strettezza
spada a spada (e tutti la sapean maneggiare), nè essi potean molto
nuocere ai nemici, e nè pure riceverne gran danno, avendoli di fronte
ristretti nel fondo della barca; onde a vicenda si davano e si
ribattevano colpi e stoccate con grandissima prestezza; ed in questa
confusione facendo barcollare il battello andavano ora di qua ora di là
a rischio di farlo rivoltare.
I compagni di Pietraccio non avean potuto venir avanti a combattere,
Vittoria Colonna si volse altrove, mostrando sul viso bello ed altero
quanto sarebbe stata lontana dall'usare tali lusinghe; e Fanfulla
rimasto un momento a guardar Fieramosca:
--Buon per te--gli disse--gli altri seminano e tu raccogli: e
s'allontanò zufolando come fosse stato solo per istrada, e non in mezzo
a tal compagnia.
I doni però di Consalvo non erano soltanto destinati alle donne; aveva
pensato anche ai suoi ospiti francesi; ed al duca di Nemours, non meno
che a' suoi baroni, toccarono di ricchi presenti d'anella, di lavori
d'oro per portare sulla berretta ed altre coserelle. La sontuosità che
il Capitano di Spagna spiegava in questo convito non era senza cagione;
voleva mostrare ai Francesi che non solo non gli mancava cosa veruna
per provvedere le sue genti, ma che gliene avanzava tanto da poterne
usar cortesia.
Il giuoco delle colombe era finito; ed ognuno, ritrovato il suo posto,
si stava preparando ai brindisi che si vedevano poco lontani.
Il duca di Nemours, seguendo l'uso di Francia, si rizzò, prese il
bicchiere, e volgendosi a Donna Elvira, la pregò volesse tenerlo
d'allora in poi per suo cavaliere, salva l'ubbidienza del re
Cristianissimo. La donzella accettò e rispose cortesemente; e dopo
molti altri brindisi parve tempo a Consalvo d'alzarsi, e seguìto da
tutti i convitati uscì su una loggia che guardava la marina, ove
spesero in ragionamenti le ore che ancor mancavano al fine di quella
giornata.
La maggior parte di questo tempo Donna Elvira e Fieramosca lo passarono
insieme. Pareva che la giovane non sapesse star un momento discosta
da lui: se egli si allontanava, mescolandosi al resto della brigata e
fermandosi in qualche crocchio, essa dopo pochi minuti gli si trovava
accanto. Ettore, troppo sagace per non avvedersi di questa preferenza,
per un giusto sentimento d'onestà non voleva fomentarla, sapendo che
non poteva aver lodevol fine, ma legato dalla sua natura e dal dovere
di Consalvo non poteva mostrarsi scortese. Molti s'avvidero di questo
giuoco, e ne bisbigliavan tra loro sogghignando. Fanfulla che ancora
si sentiva indispettito pel fatto della colomba, si rodeva di vedere
il compagno in tanto favore, e quando poteva accostarsegli gli diceva
mezzo ridendo e mezzo con istizza--Me la pagherai ad ogni modo.
NOTE:
[10] Il duca di Nemours fu morto alla battaglia della Cerignola.
CAPITOLO DECIMOQUINTO.
Al pian terreno, nella sala maggiore, che tutte le antiche rocche
avevan per ritrovo degli uomini d'arme, era stato eretto un teatro
formato all'incirca come i moderni, salvo che in quel tempo il sipario
in vece d'alzarlo, s'usava lasciarlo cadere nel luogo ove oggi si tiene
l'orchestra. Da una città vicina del littorale era stata chiamata una
compagnia di comici ambulanti, che dopo aver passato il carnovale in
Venezia, veniva da città in città rappresentando drammi e commedie,
per ritrovarsi poi a Napoli per le feste di San Gennaro, od a Palermo
per Santa Rosalia. Dovendo ora comparire innanzi ad un'adunanza così
scelta, s'era preparata con ogni studio, onde lo spettacolo riuscisse
gradito. Appena fatto notte, s'allogarono gli spettatori, e tosto
fu dato ordine d'incominciare. Mandata giù una gran tela che serviva
di sipario, apparve un palco, sul quale, da un lato si vedea un
portico ricco di colonne e di statue, e che mostrava esser l'ingresso
di una reggia, sulla cui porta era scritto a lettere d'oro: TERRA
DI BABILONIA; e sotto di esso, seduto su un trono ed attorniato da'
suoi baroni, un re collo scettro d'oro in mano, vestito alla foggia
d'Oriente, con un gran turbante coperto di gemme, e sovr'esso la
corona: nel mezzo una spiaggia di mare; e dall'altro lato, sotto
un'alpestre montagna piena d'alberi e di rupi, era scavata una caverna,
dalla quale un dragone usciva di tempo in tempo facendo vista di
guardare una pelle d'ariete coi velli dorati molto rilucente, che stava
appesa ad un albero vicino.
Accanto al re, su un trono minore, stava una donna alta, complessa, di
bella faccia, vestita di raso rosso con due braccia di strascico ed un
capperone di velluto nero alla francese; un falcione accanto ad uso di
storta, ed in mano un libro ed una verga: era Medea.
Poco stante comparve sul lido una nave dalla quale scesero molti
giovani in abito di soldati, e fra questi uno bellissimo, tutto coperto
a piastra e maglia, salvo il capo: era Giasone; due giovani Mori gli
portavano l'elmo e lo scudo.
Venuto avanti, e fatta riverenza al re, cominciò costui una parlata
in versi ottonarj, che forse non sonarono troppo bene all'orecchie di
Vittoria Colonna, come non soneranno a quelle de' miei lettori, e che
cominciava così:
Di cristianità venemo,
Argonauti se chiamemo,
Al soldan de Babillona,
Che Dio salvi sua corona.
E seguitando su questo metro, diceva com'eran venuti per riportarne
con loro il vello d'oro. A queste parole il re Oeta, dopo aver tenuto
consiglio coi suoi baroni e colla figlia, rispondeva che era contento,
e partendo lasciava sola Medea con Giasone.
Questi cominciava tosto a vagheggiar la donna, e domandandole il suo
ajuto, le prometteva di condurla in cristianità, dove l'avrebbe
fatta sua sposa e gran regina. Medea si lasciava facilmente piegare,
e gl'insegnava certi incanti co' quali addormentare il drago;
raccomandandogli sopra ogni cosa che, se voleva poterli usare, non
nominasse Santi, nè facesse segni di croce, le quali cose li avrebber
guastati. Come fu partita, Giasone volto ai compagni, diceva non essere
opera di buon cavaliere combattere con incanti; e perciò voler prima
tentare di vincere il drago colle armi, e ponendo mano alla spada,
coprendosi collo scudo, che uno degli scudieri gli avea presentato,
mentre l'altro gli allacciava l'elmo, veniva ad assalire il drago. Ma
questo uscendo dalla caverna e vomitando fiamme si difendea così bene
che, dopo una battaglia di pochi minuti, Giasone dovette rinunziare
all'impresa. I suoi compagni allora con molte preghiere l'esortavano
a servirsi degli incanti; ed egli così facendo riusciva ad assopire
il dragone, e spiccava il vello senza contrasto. Ciò fatto, ritornava
Medea sollecitando tutti per riporsi in nave con esso lei: si udiva
allora nella terra dar nelle trombe e sonar cembali, chiarine ed altri
stromenti moreschi. Poco dopo usciva un giovane a cavallo in abito
saracino a sfidar Giasone, che accettava l'invito ed in pochi colpi
l'abbatteva; e mentre volea salire in nave co' suoi, sopraggiugnendo
Oeta colla sua baronia, e vista fuggir la figlia, e a terra morto il
figlio Absirto, ordinava che s'impedisse agli Argonauti di partire.
Medea allora cominciava i suoi incanti; l'aria si faceva oscura, e
molti uomini, stranamente vestiti in sembianza di demoni, scorrendo
colle fiaccole finivano coll'incendiar Babilonia; e portar con loro il
re e tutti i baroni, nel tempo che si scorgeva in fondo gli Argonauti
andarsene liberi al loro viaggio. Così finiva il dramma.
Quelli fra i nostri lettori che troppo s'invanissero della squisitezza
de' moderni teatri, considerino che il talento, col quale oggi si sa in
certi spettacoli cavar gli applausi degli spettatori, e che consiste
nel disporre le cose in modo che finiscano sempre con qualche incendio,
o qualche rovina, o coll'Olimpo, o col Tartaro, non è nuovo nella
nostra età, ma serviva già le scene, ed era apprezzato dal pubblico
del millecinquecento.
La compagnia alla quale si poneva innanzi questo spettacolo, benchè
composta in parte di persone non prive di coltura, ne fu contenta, o
almeno mostrò di esserlo. E per verità da comici di quella portata, ed
in un luogo come quello in cui si trovavano, fu fatto anche troppo.
Ma un'altra porzione fra gl'invitati alla festa, cui per la loro
condizione inferiore non veniva permesso di frammischiarsi ai nobili e
cavalieri, godeva intanto d'un altro simile spettacolo che le era stato
preparato in cortile, e certamente con ischiamazzi e grida dava segni
di una più viva approvazione.
Alcuni soldati spagnuoli avevan dimandato ed ottenuto la licenza
di recitare anch'essi alla meglio una loro commedia nazionale; ed
accomodato in un angolo del cortile un luogo con tavole e tele
in foggia di teatro, da molti giorni s'erano andati esercitando,
ingegnandosi ognuno d'imparare e portar bene la sua parte; ed avean
messa insieme una commedia carissima agli Spagnuoli intitolata _Las
mocedades del Cid_, che letteralmente significa le ragazzate del Cid,
e più propriamente la sua giovinezza: dopo questa, se avanzava tempo,
dovean recitare un _Saynete_ a guisa di _petite pièce_, come soglion
chiamarle i Francesi.
Mentre cominciava in castello l'azione drammatica che abbiam descritta,
ebbe principio anche il secondo teatro, e l'udienza era numerosissima,
composta di capisquadra, uffiziali, soldati, di molti abitanti,
bottegai, e d'infinito popolo minuto. L'aristocrazia di questa adunanza
sedeva assai comodamente presso al palco, ed a mano a mano che i raggi
della folla si scostavano da questo centro si trovavan sempre individui
di più basso stato, e di più povera apparenza; finchè si giugneva
agli ultimi che erano monelli, e cenciosi di strada. L'ingresso
del cortile era aperto a tutti, perciò la folla era grandissima; e
se tutti egualmente per la situazione diversa non potevan godere
del divertimento, quelli che ne stavan lontani si rifacevano collo
schiamazzare, e cacciar urli e fischi che dai più vicini al palco eran
uditi con segni di sdegno, ed inutilmente repressi con dei _zitto_,
lanciati or da un angolo or da un altro, e che invece di servir di
freno, eran piuttosto di stimolo ai perturbatori.
Fra tanta gente intesa a darsi buon tempo, s'aggirava un uomo che, non
ostante la sua povera apparenza ed il vestire dimesso, aveva un viso ed
un portamento che non permetteva di confonderlo colla rimanente turba;
e nel suo aggirarsi irrequieto e sollecito, mostrava che il fine che
qui lo conduceva era tutt'altro di quello di divertirsi. Quest'uomo
era Pietraccio; che venuto sin qui senza ostacolo per ammazzare
il Valentino e per avvertire Fieramosca del pericolo di Ginevra,
trovandosi ora in mezzo a tutta questa confusione, rimaneva perplesso,
conoscendo con quanta difficoltà gli sarebbe venuto fatto di trovar
le persone che cercava. Stupirà forse il lettore, che un assassino
condannato nel capo ardisse venire in città ed esporsi ad esser preso;
e certo nel modo onde è composta in oggi la società sarebbe grave
imprudenza. Ma gli uomini di quel tempo non avevano come noi leggi ed
ufficiali di polizia tutti intesi a vegliare alla loro tranquillità; e
Pietraccio, ora che la stretta nella quale s'era messo ammazzando il
podestà era passata, poteva star sicuro in Barletta (tanto più essendo
notte) come sarebbe stato in mezzo alle macchie fra' suoi. Ma qualunque
sia la difficoltà dell'impresa ch'egli tenta, è troppo avvezzo a trarsi
d'impaccio, e troppo bramoso di sfogare la sua vendetta, per non
trovar modo di superare ogni ostacolo: lasciamone il pensiero a lui, e
torniamo piuttosto ai principali attori della nostra storia.
Le due ore di notte non erano molto lontane, quando, finito il teatro,
ritornò la comitiva nella sala ove aveva pranzato, la quale cambiata
ora negli addobbi era destinata al ballo, e tutta splendeva d'infiniti
lumi di cera disposti intorno intorno in gran candelabri, e nel mezzo
in bellissime lumiere che pendevano dalla volta. L'orchestra, come al
tempo del pranzo, stava sulle logge aperte in giro su in alto a due
terzi dello spazio fra il pavimento ed il cornicione: oltre i sonatori,
che ne tenevano solo un lato, vi s'era cacciata ogni sorta di gente di
minor conto per essere spettatrice d'un divertimento al quale non potea
prender parte.
Consalvo co' suoi ospiti e le donne sederono sopra uno strato posto ove
dal muro pendevano le bandiere; ed il duca di Nemours alzatosi poi,
tosto che fu piena la sala, e pregata Donna Elvira, incominciò la danza.
Com'ebber finito, e la giovane fu tornata al suo luogo, Fieramosca,
volendo anche in questa occasione mostrarsi cortese, venne ad offrirle
la mano, scusandosi anticipatamente sulla sua imperizia. La proposta
fu accettata con visibile allegrezza; si unirono molt'altre coppie, e
Fanfulla fra gli altri, non potendo aver Donna Elvira, scelse fra le
molte donne di Barletta che si trovavano alla festa una che gli parve
più leggiadra, e fece di situarsi in modo che in quella che chiameremo
_contraddanza_, si trovasse accanto ad Ettore ed alla sua compagna. Lo
studio, col quale coglieva a volo tutti gli atti e le parole di Donna
Elvira, non dovette troppo riuscirgli grato: negli sguardi tremoli
della giovane spagnuola si leggeva quanto le andasse a' versi il suo
compagno; ed il suono degli stromenti, il moto, il prendersi per la
mano spesso, e quella licenza che il ballo mette anche fra persone che
in altre circostanze si tratterebbero a vicenda col maggior riguardo,
avea prodotto nella figlia di Consalvo un'esaltazione di fantasia
che poteva reprimere a stento. Ettore e Fanfulla se ne accorgevano
egualmente; il primo ne provava rammarico, il secondo dispetto; e
sempre, o con mezze parole o con occhiate d'intelligenza, tribolava
Fieramosca, il quale non amando tali scherzi teneva un contegno serio,
ed in parte malinconico, interpretato dalla donzella a suo modo, e
questo modo era molto lontano dal vero.
Alla fine Donna Elvira con quell'arrischiata imprudenza, che era tutta
sua, cogliendo un momento che teneva Ettore per la mano, si piegò
verso di lui, e gli disse all'orecchio:--Finito questo ballo andrò sul
terrazzo che dà sul mare; venite, che voglio parlarvi.--
Fieramosca, colpito dolorosamente da queste parole che gli mostravan
imminente un gravissimo intrigo, accennò col capo di sì, un poco mutato
in viso e senz'altra risposta. Ma sia che le precauzioni di Donna
Elvira nell'abbassar la voce non fossero state bastanti, o che Fanfulla
troppo stesse sull'avviso, il fatto si è che anch'esso udì quelle
malaugurate parole, e bestemmiando in cuor suo la ventura che toccava a
Fieramosca e non a lui, diceva fra denti: Che non vi sia modo di farla
costar cara a questa pazzarella?
Ettore dal canto suo era combattuto da avversarj pensieri: non gli
passava neppur pel capo di dar retta alle lusinghe della bella
Spagnuola, prima per esser nel cor suo troppo viva l'immagine di
Ginevra, poi, anche senza questo motivo, avrebbe avuto senno abbastanza
per non volersi dar buon tempo colla figlia di Consalvo; ed essa con
siffatti modi non sarebbe mai stata tale da giungere al suo cuore, chè
non era Ettore di quelli, i quali in questo genere son sempre pronti
ad afferrar l'occasione. Per un altro verso gli rincresceva di poter
passare per iscortese, villano, e forse peggio; chè pur troppo fra le
contraddizioni umane v'è quella di voler chiamar cattive certe cose,
e sciocco e dappoco nello stesso tempo chi non le vuol fare. Durante
il resto del ballo andò sempre lavorando colla mente per trovar modo
di salvar, come suol dirsi, la capra e i cavoli; e dopo aver molte
volte mutato progetto, alla fine vedendo che il momento s'avvicinava,
si dispose risolutamente a correr qualunque rischio prima di esporsi a
far torto a Ginevra. E pensando che essa, mentre egli si trovava fra
quelle feste, era in un povero chiostro in mezzo al mare, abbandonata
da tutti, e probabilmente col pensiero in lui, si struggeva d'aver
avuto anche un momento altri rispetti maggiori dell'amor suo, e perciò,
appena finito di ballar con Donna Elvira, sollecitò a levarsi da
quel luogo, e pensando metter per iscusa uno di quei mal di capo che
servivano nel secolo XVI, come servono nel XIX in tante occasioni, si
disponeva a lasciare il ballo ed andarsene a casa.
I giovani, che avean preso parte a questa contraddanza, per essere più
svelti e perchè tale era l'uso, s'eran tolto i mantelli che portavano
sulla spalla sinistra, e gli avean tutti insieme deposti in una camera
attigua rimanendo in giustacore e calzoni, per la maggior parte di raso
bianco. Fanfulla ed Ettore eran vestiti di questo colore, e somigliavan
per la statura e per il sott'abito l'uno all'altro perfettamente; solo
riprendendo i mantelli si sarebbe notata fra loro una differenza:
Fieramosca lo portava azzurro ricamato d'argento; quello di Fanfulla
era vermiglio.
Ettore trovato Diego Garcia, lo pregava volesse scusarlo presso
Consalvo e la figlia se pel dolor di capo era obbligato partirsi; e
s'avviò alla camera ov'era il suo mantello: quando fu presso a varcar
la soglia, in un momento in cui avendo la folla fatto un poco di largo,
egli si trovava non aver presso veruno, si sentì batter sulla spalla
una leggera percossa come d'un corpo sodo che cadesse dall'alto, e,
guardandosi ai piedi ove era di rimbalzo caduto, fide una cartolina
piegata che conteneva qualche cosa di grave. Guardò in su alla loggia
d'onde pareva venuta, e vide che nessuno fissava lo sguardo in lui.
Stava per passar oltre: pure si chinò, la raccolse, e spiegatala vi
trovò dentro un sassolino che vi era stato posto solo per darle peso,
onde gettandola si potesse dirigere. Vi era scritto in modo grossolano
ed appena intelligibile: «Madonna Ginevra debb'esser rapita di Santa
Orsola per volere del duca Valentino al tocco delle tre ore. Chi vi dà
quest'avviso v'aspetta con tre compagni al portone di Castello, ed avrà
una zagaglia in mano.»
Un brivido scorse ad Ettore fin nelle midolle dell'ossa, e gli
si raddoppiò ricordando che le due ore e mezzo eran già sonate
all'orologio della torre da un pezzo. Non v'era un momento da perdere:
pallido come un uomo che ferito a morte faccia gli ultimi passi e stia
per cadere, in un lampo trovò la porta, e giù a gambe per lo scalone
si gettò a precipizio così come si trovava senza mantello e senza
berretta, facendo restare maravigliati quanti s'imbattevano in lui;
e correndo quanto poteva, giunse al luogo indicato con tanto impeto,
che si dovette attenere per fermarsi al grosso anello di ferro del
portone; l'arco dell'entrata era scurissimo; guardò ansando pel correre
e per l'angoscia, quando, scostandosi dal muro contra il quale stava
appiattato, venne avanti l'uomo della zagaglia.
La partita di Fieramosca dal ballo così a furia, e tanto mutato in
viso, fu osservata da molti, ma non pensarono a seguirlo, udendo da
Garcia il motivo che ne era stato addotto da Ettore medesimo. Inigo
però e Brancaleone, che più degli altri lo amavano, non potendosi
così di leggieri soddisfare, gli tennero dietro, e quantunque non
lo potesser raggiungere, l'ebbero però sempre in vista, e furono al
portone pochi momenti dopo di lui.
Trovarono Fieramosca che, afferrato Pietraccio, lo trascinava
dicendo:--Andiamo dunque, presto, presto.--Vide i compagni, e disse
loro con gran prestezza:--Se mi siete amici, venite meco ed ajutatemi
contra quel traditore del Valentino; entriamo in un battello, siamo
sette uomini, saremo presto a Santa Orsola.--Brancaleone, guardando
sè ed i compagni, rispondeva:--E dove son l'armi?--Difatti nessuno
di lor tre avea neppur la spada. Fieramosca dava in ismanie, batteva
i piedi, cacciandosi le mani nei capelli e pareva presso ad uscir
di senno. Allora Brancaleone, che al bisogno sapeva trovar parole e
ripieghi diceva:--Tu Ettore va al mare con costoro, metti in ordine il
battello e i remi, ed aspettaci: e tu Inigo vien meco;--e partì con
lui correndo, mentre Fieramosca gli gridava dietro:--Presto, presto:
son tre ore a momenti;--e quantunque i suoi amici non intendessero nè
il senso di queste parole, nè il motivo di tanta fretta, conoscendo
che dovea esser cosa di gravissima importanza entraron di volo nella
casa dei fratelli Colonna e nella saletta terrena ov'eran l'armi, e
spiccati dal muro giachi, elmi e spade per tre persone, con egual
precipizio si cacciarono a correre, e l'ebber tosto raggiunto che già
stava in barca: vi buttaron quelle loro armature, e saltandovi dentro
Inigo ch'era rimaso l'ultimo con un piede appuntato alla riva la
spinse in mare, ed arraffati i remi vi si curvavan sopra, e li facevan
piegar per lo sforzo. Uscendo dai piccol porto che era dietro la rocca
dovean passar sotto la torre dell'orologio: quando vi furono, s'udì
su dall'alto quello scattare che fanno le ruote poco prima di batter
l'ore. Il povero Ettore si curvò nelle spalle abbassando il capo con un
moto istantaneo, come se avesse aspettato che quella torre gli cadesse
allora allora sul cranio; dopo alcuni secondi il campanone diede i tre
tocchi fatali, e se ne udì il suono cupo che, perdendosi nell'aria in
oscillazioni decrescenti, venne debolmente ripetuto da un eco lontano.
Prima di veder l'esito del viaggio di costoro ci conviene per poco
ritornare nella sala del ballo.
Fanfulla, che il caso o la sua astuzia avea reso padrone del segreto di
Donna Elvira, s'era disposto in cuor suo di farselo fruttare, ma non
sapeva trovarne il modo; finchè, vedendo partire con tanto impeto il
suo preferito rivale senza mantello nè berretta, gli nacque un pensier
pazzo; ed egli che mai non istava un momento in forse ove si trattasse
di soddisfare un capriccio, che che ne dovesse venire, tosto più
pazzamente si pose ad eseguirlo.
Avea tenuto d'occhio la figlia di Consalvo, e l'avea veduta, appena
finito il ballo, avviarsi alla loggia, e conobbe che non s'era potuta
avvedere della partita di Fieramosca. Corse sollecito alla camera dei
mantelli ove tutti avean ripreso il loro, e v'era rimasto soltanto,
oltre il suo, quello di Fieramosca e la sua berretta di velluto scuro
ornata di molte piume cadenti: se la pose in capo in modo che le piume
gli adombrassero parte del volto; sulle spalle si gettò il mantello
azzurro del suo amico, e, a non guardarlo in viso, ognuno avrebbe detto
che era Fieramosca. Così vestito, se n'andò fra gente e gente, cheto
cheto sulla loggia ove non eran lumi, e venivan soltanto dissipate le
tenebre dal chiarore di quelli di dentro: molte casse d'agrumi disposte
intorno ad una vaschetta, dal mezzo della quale zampillava l'acqua,
ingombravano il luogo in modo che era facile celarsi da quelli che
vi fosser venuti uscendo dalle sale del ballo. Quando Fanfulla entrò
sulla loggia, per sorte non v'era persona; andò avanti cautamente, e
vide Donna Elvira seduta presso al parapetto che dava sul mare, con
un gomito appoggiato alla ringhiera di ferro; reggendosi ella il capo
colla mano stava immobile guardando il cielo.
La luna era oscurata in quel momento da alcune nuvolette che le
passavano avanti spinte dal vento. Fanfulla conobbe che se non coglieva
quel punto, tornando chiaro, sarebbe stato più probabile che fosse
riconosciuto; s'accostò pianamente in punta di piedi a Donna Elvira,
che non lo sentì finchè non le fu vicino; e quando ella volse il capo
per guardarlo, Fanfulla abbassando il suo con molta grazia e destrezza,
in atto di riverenza pose un ginocchio a terra vicino a lei, e, presale
la mano, v'impresse su le labbra, e seppe così ben fare che riuscì a
celare il viso interamente, e la figlia di Consalvo non ebbe il più
leggier dubbio ch'egli non fosse Fieramosca.
Fece per ritrarre a sè la mano, e ciò, secondo l'usanza di tutti i
tempi, le fu con perdonata violenza vietato: quantunque l'indole di
Donna Elvira fosse capricciosa, leggera e fatta a suo modo, vogliamo
però credere che il trovarsi in un colloquio così stretto con un
giovane, le facesse provare un certo rimorso, e tremasse anche in parte
pel sospetto di non venir ivi trovata dal padre o più ancora dalla sua
severa amica.
Un soffio di vento più forte tolse alla luna il velo che la copriva;
e questa, essendo piena, rischiarò di un raggio limpidissimo tutto
quel luogo, ed il fulgido vestire di Fanfulla e d'Elvira. Forse nessun
de' due se n'accorgeva; ma un grido acidissimo di una voce femminile,
che veniva dal piè della loggia alta poche braccia sul mare, li fece
riscuotere; e conoscendo che altre persone del ballo avendolo udito
potevan uscir sulla loggia, sollecitamente tornarono per diverse parti
nella sala, ove i pochi che avean posto mente a quel grido, distratti
da altre idee, più non se ne curarono. Il primo era però stato seguìto
da un secondo più debole, e che morendo fra le fauci di quella che lo
gettava, fu seguìto dallo strepito sordo d'un corpo umano che cadde
nel fondo d'un battello; ma la loggia era deserta: nell'interno tutti
erano intenti alla festa: nessuno s'affacciò per vedere qual fosse la
meschina che domandava soccorso.
Mentre queste cose accadevano nella rocca, la barchetta che portava
Fieramosca e i suoi compagni, spinta da sette uomini robusti volava
ondeggiando sul mare alla volta del monastero, lasciandosi dietro
una lunga striscia di spuma. Brancaleone vedendo che Fieramosca non
pensava che a buttarsi sul remo con quanto n'avea nelle braccia, disse
risolutamente:--Orsù, Ettore, non so dove ci conduca, ma per certo,
non par cosa da motteggio, e se s'ha a far davvero, finchè questi
giachi sono in fondo alla barca ci vorranno giovar poco.--Persuasi da
queste parole, si misero quell'arme attorno, usando cautela che un
solo per volta lasciasse il remo per vestirsene. Cintesi le spade ed
allacciatisi in capo certi cappelli di ferro leggeri, si diedero a
vogare con nuova furia, sempre ficcando gli occhi pel piano del mare se
potessero scoprire i loro avversarj. Ettore, strada facendo, raccontò
con interrotte parole per qual cagione gli occorresse il loro ajuto:
videro in quella una barchetta poco lontana, e si torsero a quella
volta; ma nell'avvicinarsele s'accorsero che era condotta da una sola
persona che lentamente andava verso Barletta. Per non perder tempo si
drizzarono di nuovo al monastero senza aver potuto chiarirsi della
figura di quello che remigava. Inigo consigliava che s'andasse accosto
se mai avesse saputo o visto nulla; ma Ettore nol permise: l'ora
fissata era trascorsa, e appena poteva sperar di giungere in tempo.
Eppure se avesse seguìto il consiglio d'Inigo quante sventure avrebbero
sfuggite!
Il monastero di Santa Orsola si veniva facendo più grande. Fieramosca
vi teneva gli occhi fitti, e vedeva tutte le finestre senza lume:
a due tiri d'archibugio, ecco da manca venir un battello basso e
lungo che andava come una rondine a fior d'acqua. Ettore, Inigo
e Brancaleone dissero sotto voce e tutti insieme:--Eccoli--; e
voltata la prora a quella banda, raddoppiaron gli sforzi: l'altra
barca, accorgendosi del loro disegno, si mise presto a fuggire: ma
ai persecutori parve triplicato il vigore: visibilmente diminuisce
lo spazio che separa i due battelli; già si possono udir le parole
dall'uno all'altro; già Fieramosca alzandosi quanto può, senza lasciar
il remo, scorge una donna stesa a poppa con due uomini che la guardano,
e grida:--Traditori!--con un ruggito che rimbomba entro le mura del
monastero.
--Andiamo, andiamo, voga, arranca--dicevan tutti insieme affannati, e
co' denti stretti; ma già quasi colla prora toccano la poppa nemica.
Ettore presto come il baleno lascia il remo, e colla spada in alto si
lancia fra i nemici che spingendo l'arme innanzi l'aspettavano bene
apparecchiati. L'urto, che dovette dar al suo battello per ispiccare
il salto, lo fece rimaner addietro dall'altro, onde si trovò solo, e
ricevette nel busto e nel capo parecchi colpi, dai quali lo scamparono
il giaco e la cervelliera. Ma già i suoi compagni, vedutolo in tanto
pericolo, lo avevan raggiunto. Pietraccio che si trovava più vicino,
salta il secondo, ma non fu appena ove credeva trovare il Valentino,
che un colpo di remo sul capo lo batte in terra tramortito. Inigo e
Brancaleone sono accanto ad Ettore, e combattendo in tanta strettezza
spada a spada (e tutti la sapean maneggiare), nè essi potean molto
nuocere ai nemici, e nè pure riceverne gran danno, avendoli di fronte
ristretti nel fondo della barca; onde a vicenda si davano e si
ribattevano colpi e stoccate con grandissima prestezza; ed in questa
confusione facendo barcollare il battello andavano ora di qua ora di là
a rischio di farlo rivoltare.
I compagni di Pietraccio non avean potuto venir avanti a combattere,
- Parts
- Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 01
- Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 02
- Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 03
- Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 04
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