Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - 15

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nel volto che si vedeva star sopra immobile e sconosciuto: ma lo vedeva
materialmente soltanto, senza che la mente ricevesse nessuna idea da
quella vista: pure i suoi occhi non potendo reggere all'immagine di
quel viso sfigurato, si volsero altrove, lentamente, con un moto così
languido, che avrebbero messo compassione in ogni altro. Nel tornarle
a poco a poco il senso, la prima memoria che la percosse fu quella di
Fieramosca sulla loggia ai piedi di Donna Elvira.
--Oh Ettore!--disse articolando appena le sillabe:--Dunque era vero, e
son tradita da te!....--e portando sugli occhi e sulla fronte le palme
delle mani, stette così alcuni momenti. Al Valentino, udito quel nome,
si contrassero leggermente le labbra con un sorriso rabbioso.
Ginevra si ricordò allora soltanto che doveva esser nel suo battello,
ed alzandosi sul gomito per tentar di rizzarsi, sentì il morbido del
letto: aprì gli occhi spaventata, vide il duca, e gettò un grido
che la mano di lui le troncò nelle fauci, afferrandola alla gola, e
respingendola a giacere.
--Non gridare Ginevra,--le disse il Valentino--sprecheresti il fiato;
ho caro assai che mi sia venuta a trovare, e ti ristorerò del disagio
di un viaggio a quest'ora..... Tu però non cercavi di me. Non è egli
vero? Che vuoi? tutte le palle non riescon tonde.--
La povera Ginevra ascoltava queste parole con un tremito che le
toglieva la forza; da molto tempo non avendo veduto il duca non lo
riconosceva, e soltanto provava orrore alla sua vista trovando pure
in sè una confusa reminiscenza di quella fisonomia. Conoscendo di non
poter far difesa, disse soltanto:--Signore!.... chi siete?.... abbiate
pietà di me... che cosa volete?.... lasciatemi....--Ed il duca:
--Ti ricordi, Ginevra, in Roma, in qual modo ti governasti, son già
molt'anni, con un tale che t'amava allora quanto gli occhi suoi, e
t'avrebbe fatto tali doni e tali carezze da farti maravigliare? Ti
ricordi che usasti seco modi che sarebbero stati sconci ad un ragazzo
di stalla? Ti ricordi che ti ridesti del suo amore, che tenesti a vile
le sue proferte, che ti vestisti seco d'una superbia che sarebbe stata
troppa ad una regina? Ebbene, sai chi era quel tale? Quel tale son io.
E sai chi son io? Cesare Borgia.--
Questo nome cadde come una massa di piombo sul cuor di Ginevra a
soffocarvi ogni speranza: stava perciò senza rispondere, guardando il
duca tutta tremante, come avrebbe guardato un tigre che la tenesse
fra gli artigli, e che non le sarebbe neppur venuto in capo di voler
intenerire colle parole.
--Ora che sai chi io mi sia--seguì a dire il duca--pensa se dovresti
aspettar da me compassione; pure potrei piegarmi a non far su di te la
vendetta che dovrei e potrei. Ma ad un patto, Ginevra, che facci senno:
e ti so dire che n'hai mestieri.--
Queste meno aspre parole non potettero non ridestare nel petto della
donna una favilla di speranza, e colle mani giunte, procurando di non
mostrare nel guardarlo il ribrezzo che ne sentiva, si pose a pregarlo
come si prega la Croce, che non volesse opprimere una femminella già
troppo misera ed infelice.
--Io vi prego, signore, per le piaghe di Gesù, per quel giorno in cui
ancora voi, benchè tanto potente in terra, vi troverete anima ignuda al
cospetto del Giudice eterno..... Se aveste mai donna che vi fosse cara,
dite, se si trovasse in mano altrui, e domandasse invano misericordia,
se vostra madre, se vostra sorella fosser poste al passo in che mi
trovo io, e pregassero, e pregassero invano, gridereste vendetta al
Cielo, non è egli vero, contra chi avesse loro fatto oltraggio?--
Queste parole, che univano l'idea della virtù e dell'onestà coi nomi
della Vannozza e di Lucrezia Borgia, mossero alquanto a riso il
Valentino, che ne sapea qualche cosa. Ma fu un riso sinistro, che a
Ginevra accrebbe la paura; pure seguitò la sua preghiera mutandosele
a poco a poco pel pianto la voce mentre parlava, onde poi a stento
fra la piena de' singhiozzi furon udite l'ultime parole:--Io sono
una meschina femminuccia: qual bene, qual gloria può trovare un
potente signore qual siete voi a vendicarsi di me?.... Chi sa che non
venga un momento in cui la memoria d'avermi usata mercede non vi sia
balsamo al cuore?--Voler dir l'ansia, l'angoscia, la disperazione
dell'infelicissima Ginevra nel vedersi a questo terribil passo, voler
descrivere le sue lagrime, le preghiere, ed in ultimo le furibonde
grida, e le dementi imprecazioni, sarebbe impossibile, ed offriremmo ai
nostri lettori un quadro troppo straziante. Diremo soltanto che la sua
sorte era fissata ed irrevocabile.
Don Michele intanto che tornava co' suoi compagni malcontento e colle
mani vuote, tremando dello sdegno del suo signore, giunse a piè del
castello, e vedendo fermi alla porta del duca i due battelli di Ginevra
e del messo, si mise in sospetto: sceso a terra s'accostò all'uscio, e
sentendo rumore di dentro, dubitò di qualche sinistro accidente: spinse
la porta, la trovò chiusa, e non si sarebbe rassicurato se la voce di
Cesare Borgia, che gli gridò «aspetta», non gli avesse mostrato ch'ei
non correva alcun pericolo. Mise l'orecchio al fesso dell'uscio non
potendo immaginare qual fosse la cagione per la quale non gli veniva
aperto.
Dopo alcuni minuti duranti i quali regnò il più alto silenzio, e si
sentiva soltanto su in alto rimbombar l'aria di suoni e di grida
lontane, e il gorgoglìo dell'onda alla riva che faceva leggermente
percuotere i battelli l'un contra l'altro, Don Michele, che origliava
tutto attento, udì ad un tratto la voce del duca che disse con un
scroscio di risa:
--Or va, prega Dio e i Santi....--e il rumore de' suoi passi che
s'accostava alla porta, onde egli se ne ritrasse al punto che il duca,
voltata la chiave, uscì fuori.
Don Michele volle cominciare a scusarsi, ma venne interrotto.--Mi
dirai ciò un'altra volta; di questo fatto per ora ne so più di te
assai.--Queste parole avrebbero potuto far credere a Don Michele che
il suo padrone fosse sdegnato seco, se non avesse conosciuto nel suono
della voce e nel viso, che v'era un nodo nel quale egli non aveva che
fare.
Il Valentino volto agli uomini venuti con Don Michele disse:--Presto,
voi tutti in barca, ed aspettatemi sotto Sant'Orsola:--ed a questi--e
tu vien con me.--Coloro dieder de' remi e furon presto fuor di vista.
Don Michele e 'l duca entrarono nelle sue stanze, e tosto uscirono
portando Ginevra che riposero nel battello ov'era stata trovata. Don
Michele scorse sulle sue vesti dal lato sinistro alcune tracce di
sangue.
Ciò fatto venne chiamato dalla camera in fondo il messo; entraron nella
sua barca tutti tre senza profferir parola, e, raggiunta che ebbero
quella avviatasi innanzi, vi si trasferirono.
Sedè il duca a poppa, e Don Michele in piedi avanti a lui: quantunque
ora sapesse perchè il suo signore non si curava che il colpo non avesse
avuto il suo effetto, volle però narrargli per quali cagioni fosser
tornati colle mani vuote, e gli venne raccontato tutto a filo il modo
che avevan tenuto, e come assaliti da molti uomini s'eran difesi a
stento ed era loro stata ritolta la donna.
--Ad uno però di costoro è andata male--soggiungeva accennando dietro
di sè verso Pietraccio, il quale, come vedemmo, colto sul capo con un
remo, e caduto stordito nella barca v'era rimasto prigione. A quell'ora
risentitosi stava seduto a due braccia dal duca; e gli uomini suoi
credendolo più morto che vivo, nell'impossibilità del resto di fuggir
loro dalle mani, lo lasciavano stare.
--Questo mascalzone--seguitava Don Michele--c'è saltato in barca come
una furia, ma qui il Rosso gli ha appoggiata una nespola sull'orecchio,
che l'ha messo a giacere: lo credevo morto, ma vedo che va riprendendo
spirito.--
Nel racconto di Don Michele eran corse parole delle quali Pietraccio
s'era accorto d'essere innanzi a chi egli invano quella sera era andato
cercando. Il Valentino s'avvide che il ferito lo guardava in cagnesco,
e con un viso stralunato che gli facea dubitare stesse macchinando
qualche cosa a suo danno, ed era per ordinare fosse buttato a' pesci.
Don Michele poi che, se si ricorda il lettore, aveva ascoltate nella
prigione di Sant'Orsola le ultime parole della madre dell'assassino,
e le raccomandazioni perchè cercasse di vendicarsi di Cesare Borgia,
conobbe anch'esso osservandolo sott'occhio che stava per tentare
qualche atto disperato. Il sicario del duca, quantunque lo servisse
perchè col suo appoggio faceva gran guadagno, non ostante avrebbe
goduto se, senza scoprirsi e senza che sembrasse averne egli la colpa,
gli fosse riuscito di fargli scontare un'antica ingiuria. Sarà facile
al lettore l'immaginare qual fosse l'animo suo verso il suo signore
allorchè sappia che la donna morta nei fondamenti della torre sotto gli
occhi di Don Michele era sua moglie.
Quando, in conseguenza dell'incontro di Fieramosca coi compagni,
s'era trovato aver Pietraccio in poter suo, aveva messo insieme in
fretta alcune idee, e come abbozzato un progetto di farlo servire a
vendicarsi del suo signore; ma in così poco tempo non gli era venuto
fatto di stabilire il modo; e senza aver nulla di fermo, pensava
soltanto a coglier l'occasione se si presentasse, ed a questo punto
vedeva avviarsi la cosa a seconda dei suoi disegni. Di fatti alle
ultime parole di Don Michele succedette un momento di silenzio, che
bastò al giovane per eseguire un disperato proposito. S'alzò dal luogo
ove stava, e passando accanto a Don Michele, il quale fece le viste
d'averlo voluto trattenere e che gli fosse sfuggito di mano, si scagliò
addosso al Valentino come una bestia arrabbiata, pensando valersi
dell'ugne e dei denti per isbranarlo; ma il duca che era in sospetto
si trovò pronto a riceverlo, e Don Michele aveva appena avuto tempo
d'afferrar Pietraccio per le spalle, che già gli cadeva morto di mano,
trafitto dal pugnaletto che portava il duca alla cintura, e che aveva
saputo in quel momento usare con incredibil prestezza.
La cosa era succeduta in modo tanto istantaneo che i remiganti si
volsero al rumore quando già tutto era finito, e, rimasti così sospesi,
videro il Valentino che, rimettendo la daghetta nel fodero e spingendo
col piede il cadavere ancor palpitante, ordinava che fosse buttato in
mare.
--Pazzo, ribaldo!--sclamava Don Michele mostrandosi affannato pel
pericolo corso dal duca:--eppure nessuno mi leverà dal capo non fosse
costui altr'uomo da quel che mostrava..... Lo trovai son pochi giorni
nel fondo della torre qui del monastero, rinchiusovi con sua madre, ed
eran stati presi ambedue dalla corte con una masnada d'assassini: la
madre rimase morta per certe ferite che avea toccate nel difendersi, e
prima di render lo spirito, diede al figlio una collana dicendogli non
so che novella.... ora sì mi ricordo... dicendogli, che l'avea avuta
da un suo innamorato a Pisa.... Eppure..... aspetta, Rosso, prima di
buttarlo a mare, voglio vedere se ancora l'ha al collo. L'oro, se non
altro, è meglio non vada in bocca ai pesci.--
In così dire sfibbiato il giubbone davanti al giovane trovò la catena,
e recatasela in mano la faceva vedere al duca che si mostrava tutto
attento alle sue parole.
Non potè il Valentino esser tanto uguale a sè stesso da dissimulare
l'improvviso turbamento che gli cagionò quella vista. Rimase un momento
sopra di sè; e le mani, che unite reggevano la gemma pendente dalla
collana, gli caddero sulle cosce come avessero perduta ogni forza.
Si rimise seduto nel luogo ov'era prima, ordinando la seconda volta
con voce tronca si gettasse a mare il cadavere. E volta la testa
dall'altra parte conobbe che era stato tosto ubbidito, dal tonfo che
udì nell'acqua, e dagli spruzzi che vennero nel battello: ristretta
in pugno la catena, scagliolla lontano, e serratosi nel mantello,
appoggiato il capo su una mano, ammutolì.
Don Michele, fingendo rispetto pei pensieri che occupavano il duca,
si scostò sedendo fra gli uomini che conducevan la barca, e tutti in
silenzio vogarono; nè s'udì più per tutto il viaggio che il leggero
strepito dell'acqua che stillava da' remi, quando eran alzati sul
mare. Lo sgherro del Valentino ebbe una vendetta che nessuno al mondo
aveva ottenuto forse mai da quell'uomo; riuscì a ridestargli nel cuore
memorie che gli fecero provare certo che di simile al rimorso; a
quel rimorso che spogliato d'ogni conforto somiglia alla disperazion
dell'inferno. Fu gran vanto per Don Michele, che ne seppe conoscere ed
assaporare il pregio. Dopo questi accidenti seguitando il lor viaggio
giunsero al legno che li aspettava, e che fece tosto vela per ritornare
in Romagna. Ma non terrem dietro altrimenti a questi ribaldi.
NOTE:
[11] I fatti indicati in questa lettera si trovano particolarmente
narrati nella vita del duca Valentino di Tommaso Tommasi.


CAPITOLO DECIMOSETTIMO.

La partenza di Fieramosca e de' suoi amici dal ballo, osservata da
pochi, non ne aveva turbata l'allegrezza: Fanfulla togliendosi dal
terrazzo, ove avea trovato Donna Elvira, con prestezza e senz'essere
veduto, era andato a deporre le spoglie del suo amico, e, tornato poi
a mescolarsi fra quelli che ballavano come non fosse suo fatto, rideva
fra sè della burla compita con tanta fortuna, e si moriva di voglia
di raccontarla. La figlia di Consalvo andava coll'occhio cercando
Ettore fra gente e gente, e non vedendolo in nessun lato, non sapeva
indovinare per qual cagione volesse ora celarsi da lei.
Passata così quasi un'ora, furon veduti entrare Brancaleone ed Inigo, e
domandaron di Consalvo ai primi che ebbero innanzi. Fu loro accennato
verso un angolo della sala, ove stava in crocchio con alcuni de' baroni
francesi. Accostatisi a lui lo trassero in disparte: gli raccontarono
la novità che era nata, e come sapevan che il Valentino era nella
rocca, e per suo volere s'era fatto quel disordine; lo pregavano
volesse dir loro come s'avessero a governare. Consalvo che lo teneva
capace di tali assassinamenti e di maggiori, se fosse bisognato, rimase
sopra di sè un momento, poi disse ai due che lo seguissero; e s'avviò
verso le sue stanze. Vide nel moversi Don Garcia, e gli accennò che
venisse anch'esso.
Non volle ammettere che il duca fosse nel castello per non rompergli
fede; ma riflettendo che quel giorno medesimo avea tolto commiato,
dicendogli volersi partir nella notte, gli pareva strano che avesse
appunto scelto quell'ultimo momento per far tanto disordine. In ogni
modo stabilì di chiarirsi: e fatti prender due lumi, cintasi la
spada, s'avviò innanzi per un andito che riusciva su una scaletta a
chiocciola, per la quale scesero aprendo due porticelle di ferro che
ne chiudevan l'entrata. Rimaneva ad aprir un altr'uscio: si fermò
Consalvo, e disse a voce bassa ai suoi che ivi l'aspettassero senza far
romore, nè venissero se non chiamati. Poscia aperto, scese nelle camere
del duca che trovò deserta, senza lume, e in grande scompiglio; qua una
sedia, là una tavola rovesciata, presso al letto la lucerna caduta, e
l'olio sparso sul pavimento; le stanze vicine, vuote. Chiamò allora i
suoi, e, stato un momento pensando, disse:
--Per serbar fede ad un ribaldo non vorrei correr rischio d'oltraggiar
chi è innocente. Sappiate dunque che il duca è stato per molti giorni
in questa stanza. Domattina o stanotte voleva partirsi; di più non
posso dirvi, poichè non so altro. Tutti siam persuasi che è capace
d'ogni ribalderia, anche di questa potrebbe esser esso l'autore. Fate
dunque ciò che vi par meglio, inseguitelo, se volete, ve ne do piena
licenza; e voi, Don Diego, prestate loro tutto quell'ajuto che si
potrà.
Ad Inigo venne tosto l'idea d'affacciarsi per veder se si scorgesse
ancora in mare qualche legno che potesse esser quello; ma a traverso
i vetri non riuscendo a scorger nulla, per non perder tempo a sferrar
que' gran finestroni, corse alla porticella che metteva su quel poco di
lido sopraddetto e ch'egli conosceva avendo in pratica tutta la rocca,
ed uscito vide la barchetta e nel fondo stesa una giovane che non
conosceva, ma tosto pensò potesse esser Ginevra.
Chiamati a furia i compagni, rimasero tutti senza saper che pensare,
vista costei così abbandonata ed in un tal luogo. Con quanta cura
poterono, la portarono sul letto del duca che trovato tutto sottosopra,
fu da loro rassettato alla meglio, e Consalvo, commiserando quella
meschina che appariva tutta pesta, graffiata in viso, coi capelli
stracciati, non senza alcuna macchia di sangue, risalì frettoloso per
commetterla alla cura di qualche donna: nè volendo propalar la cosa
per allora, al bujo com'era di tutto quel fatto, pensò fidarsi di
Vittoria Colonna, la cui matura prudenza gli era ben conosciuta. Giunto
nelle sale del ballo, e trovata la figlia di Fabrizio, la condusse
chetamente al letto di Ginevra, narrandole per istrada ciò ch'era
avvenuto, e quanto fosse d'uopo in quel frangente de' suoi conforti per
la sventurata che non conoscevano. Il cuore animoso di Vittoria Colonna
ne accettò con premura e gratitudine il carico; e quando fu giunta al
letto della giovane, e l'ebbe fissata in volto un momento, si diede ad
assettarle il letto, dispose meglio i guanciali, ed adagiovvela in modo
più comodo, con quella sollecita e sagace pietà di cui la Provvidenza
ha dotate specialmente le donne, istituendole quasi dispensatrici delle
sue consolazioni agli afflitti.
Lo stato di Ginevra era una specie di letargo nel quale l'avean fatta
cadere i tanti suoi patimenti, una prostrazione totale di tutte le
forze; non si poteva dir fuori dei sensi, nè in sè; stava dove la si
metteva: se le si moveva un braccio, od il capo lasciava fare, e pareva
non se ne accorgesse; avea gli occhi aperti naturalmente, ma spenti
affatto, e li volgeva intorno senza sguardo. S'accorse Vittoria che
questo stato, quanto meno pareva violento, tanto più metteva sospetto;
conobbe che non era tempo da perdere, perciò, licenziati gli uomini,
fece venire alcune sue donne che arrecarono spiriti e cordiali, e con
questi riuscirono in breve tempo a ridestar in Ginevra la vita che
pareva presso ad estinguersi.
Il primo segno che diede d'aver ripreso l'uso delle sue facoltà, fu
guardarsi un momento attorno spaventata, e poi gettarsi con impeto
giù dal letto per tentar di fuggire; ma la sua debolezza era tanta,
che sarebbe caduta in terra, se le braccia di Vittoria non l'avessero
raccolta, e con misurata violenza riposta sul letto.
--Oh Dio!--disse allora Ginevra--Siete anche voi d'accordo? Mi sembrate
pure gentil donna; siete giovane e bella, e neppur voi avrete pietà di
me?
--Anzi,--rispose Vittoria, prendendole le mani, e ponendovi su le
labbra:--noi e quanti sono in questa rocca siam qui in vostro servigio,
e per aiutarvi e difendervi; e quietatevi per amor del Cielo, che non
dovete più temer di nessuno.
--Ebbene dunque, se è così--disse Ginevra buttando di nuovo i piedi giù
dal letto--lasciatemi, lasciatemi andare.--
Vittoria credendo che questa voglia di fuggire nascesse da vacillazione
di mente, vedendola poi così debole e tanto sfigurata, voleva
persuaderla colle buone ad aver pazienza per qualche momento; ma
l'abborrimento per quel luogo era divenuto per colei una smania che
gli ostacoli vieppiù accendevano: onde seguitava a far forza, e diceva
piangendo:
--Madonna! per amor di Dio e della Vergine santissima non vi domando
altro che di esser levata da questo letto, buttatemi in mare, nel
fuoco, ma levatemi da questo letto. Già sarà poco il disagio che vi
darò.... un sorso d'acqua..... chè mi sento ardere le viscere... e
fate che io possa parlar quattro parole con Fra Mariano qui di San
Domenico.... ma andiamo via.... lasciatemi andare....--
E in così dire s'alzò dal letto, non opponendovisi più Vittoria, che
vedeva il suo volere tanto deciso; e non senza grande stento, essa e le
sue donne la portarono quasi di peso su per la scaletta e l'allogarono
in una cameruccia fuor di mano, ove Consalvo avea fatto rizzare un po'
di letticciuolo, e quivi, spogliati i panni ed entratavi, diede un
sospiro e disse:
--Signora, Dio vede tutto, e vede se in cuore lo prego di pagarvi del
bene che mi fate. Vergine, vi ringrazio! E voi, signora, la quale
siete cagione che almeno io non morrò disperata.... solo vi prego
d'affrettarvi, e mandar per Fra Mariano.... Dite, che ora è? è giorno o
sera? non so più in che mondo mi sia.
--Son le cinque ore di notte--rispose Vittoria--e si manderà per Fra
Mariano; ma lo sgomento che avete addosso vi fa temer più del dovere:
quietatevi, state in riposo, cara la mia giovine, qui siete in luogo
sicuro; io non vi lascio....
--Oh no, non mi lasciate! Se sapeste che refrigerio al cuore mi danno
quei vostri occhi pietosi quando mi guardano! Sedete qui sul mio
lettuccio: ecco, mi tiro un po' verso il muro.... no, no, non abbiate
timore di darmi noja, anzi così sto meglio....--E rimasta qualche
momento come balorda, le prendeva un brivido di raccapriccio, e diceva
quasi fuori di sè:--Se sapeste che orrore! esser sotterrata viva....
esser affogata sotto un monte di cadaveri! vedersi addosso quei visacci
dei morti, pieni di putridume che ridono..... Dio! Dio! ancora mi par
d'esservi....--
E dicendo queste parole si stringeva addosso la sua protettrice, che a
quel suo vaneggiare, conoscendo inutili i discorsi, l'abbracciava e con
atti amorosissimi si studiava di racquetarla.
--Oh signora mia!--proseguiva Ginevra nascondendole il capo in
seno--non so quel che mi dica: m'accorgo che dico spropositi, ma sono
stata troppo, troppo assassinata!.... e non lo meritavo! Che cosa gli
avevo fatto perchè mi trattasse così?..... E la vergine Santissima
m'aveva promesso di condurmi a salvamento.... l'avevo pregata
tanto di cuore!.... e poi abbandonarmi?.... È vero, sono stata una
sciagurata..... ma più infelice che colpevole.... oh sì! più infelice
assai! Perchè il cuore, lo so io, come me lo sentivo.... e quel che ho
sofferto non lo sa altri che io....
--Sì, cara, lo credo--rispondeva Vittoria--ma quietatevi, e non dite
che la Vergine v'abbia abbandonata: non vedete che m'ha mandata per
asciugarvi le lagrime e ristorarvi dei vostri affanni? Ecco ch'io
sto qui con voi: non vi lascio; e se ciò vi basta, non dubitate che
v'abbandoni. Ma se il vostro caso domanda altri ajuti; se s'ha a
castigar chi v'ha oltraggiata, se v'è qualche disordine da rimediare,
parlate.... fidatevi di me.... Fabrizio Colonna mio padre....
Consalvo.... tutti insomma s'offeriscono....
--Ah, signora mia!--interruppe Ginevra--tutto il mondo insieme non
potrebbe farmi provar un momento di bene, nè scemar d'una stilla il
mio male. In questo mondo tutto è finito.... Vi ringrazio però, oh!
vi ringrazio, perchè l'ultima consolazione me l'avete fatta provar
voi..... e perciò non mi dite ingrata se non vi narro i miei casi; ma
non è possibile, non si posson raccontare, e se non accetto le vostre
proferte..... Dio ve ne rimeriti.... egli lo può..... io non posso che
ringraziarvi.... e baciarvi queste mani benedette che mi reggeranno il
capo nell'ultima ora e mi chiuderanno gli occhi...... Promettetemi che
non mi lascerete che quando sarò fredda affatto.--
Vittoria voleva allontanar queste idee persuadendola che la sua vita
non era in pericolo, ma Ginevra non la lasciava dire.
--No, no, signora mia, è inutile, so quel che è stato, e so come mi
sento.... non mi negate questo bene, angelo mio benedetto! è vero che
non me lo negate?.... Ecco, vedete, del vostro buon volere ne profitto,
non potete dirmi nè superba nè ingrata.... Dunque me lo promettete?
--Sì, sì, cara, ve lo prometto, se venisse il bisogno.
--Oh! così son più tranquilla: ora fate che venga Fra Mariano, e poi
tutto è finito di qua.... Datemi ancora un sorso d'acqua, che mi pare
d'aver i carboni accesi nel cuore.... quel lume se si potesse levarmelo
d'innanzi, chè mi abbaglia la vista. Perdonatemi tanto disagio, ma sarà
per poco.--
Vittoria, prestatile questi piccoli servigi, si ripose seduta sul
tettuccio, e dopo non molto, Inigo, che era andato a far alzare
Fra Mariano, s'affacciò sull'uscio domandando se poteva farlo
entrare.--Venga, venga--disse Ginevra.
Comparve sulla porta un frate d'alta statura, la cui sembianza pallida
e modesta era mezzo adombrata sotto il cappuccio; s'appressò al letto
dicendo:--Cristo vi guardi, signora.--Usciron gli altri, e rimase solo
con lei.
La presenza di questo religioso, i suoi modi pieni di quella carità
ardente che nasce dal conoscere quanto sia divina ed augusta la
missione di sollevar l'uomo nelle sue miserie, indicavano a prima vista
che da gran tempo tutti gli affetti, tutti i fini mondani gli stavano
sotto i piedi.
La sua storia era una specie di mistero per gli abitanti di Barletta, e
per gli stessi religiosi del convento di San Domenico, nel quale senza
occupar nessuna carica dell'Ordine, viveva circondato da una sorta di
riverenza, che nasceva dall'esempio delle sue virtù, dal suo sapere,
e dalla persuasione ch'egli era vittima d'una persecuzione religiosa.
Si bisbigliava che fosse stato al secolo uno de' primi cittadini di
Firenze, della setta così detta de' Piagnoni, della quale era capo
Fra Girolamo Savonarola; che, vinto dalle parole di quel terribile
predicatore, avesse abbandonato il mondo e preso dalle sue mani l'abito
domenicano in San Marco. A questi fatti, che ognun teneva per veri,
si frammischiavan voci più incerte: che egli avesse, per darsi a Dio,
rotti legami di cuore.... si diceva che quel repentino cambiamento
fosse stato cagione di gravi scandali, di sdegni, di vendette per parte
della donna abbandonata, per la cui opera, avvolto nella persecuzione
suscitata contra il frate dalla corte di Roma, dopo la morte del
medesimo a stento si fosse sottratto per cura de' suoi superiori che
l'avean fatto fuggire travestito, e mandato sotto altro nome nel
convento di Barletta, ove, per essere luogo poco frequentato e fuor di
mano, se ne vivea sconosciuto.
Queste eran le voci che correvan sul conto suo. Ma la malevoglienza
più oculata avrebbe invano cercato del resto di macchiar la sua fama.
Le severe dottrine del Savonarola avean trovato il suo cuore come una
terra preparata a riceverne il seme, ed ajutate dalla sua natura,
pronta a sacrificar tutto alla verità, avean portato frutti di carità
e di zelo ardentissimo.
Il rogo, sul quale il suo maestro era stato ridotto in cenere, aveva
per così dire consumato insieme tutto il suo partito; lo spavento della
vendetta papale avea fatto tacer quelli che detestavan gli abusi della
corte romana. Fra Mariano viveva tranquillo nel suo ritiro, dacchè
Dio non l'aveva fatto degno di morir per la verità; contento di non
dover essere spettatore inoperoso di mali, contra i quali non gli era
permesso d'alzar la voce.
Sedutosi al capezzale della giovane, la benedisse, domandandole se
volea confessarsi.
--Oh sì! Padre--rispose Ginevra--non ho altro desiderio al mondo; e se
non avessi sentito mancarmi le forze e la vita, non v'avrei dato tanto
disagio a quest'ora, ma per me poco più ve n'è: perciò non perdiamo
tempo, e fate ch'io muoja nella grazia del mio Signor Iddio e della
Santa Chiesa romana.
--La vita e la morte son nelle mani di Dio--rispose Fra Mariano--e sarà
quel ch'egli vorrà: fate dal canto vostro il potere, nè dubitate che vi
manchi il suo ajuto.--
E fatto il segno di croce, dopo le preci che s'usano, disse alla
donna:--Or dite su.--
Per aprire affatto il suo cuore sin nel più interno, le fu mestieri
raccontare dal principio la storia della sua vita, il malaugurato
matrimonio, la morte supposta, l'errare che avea fatto di terra in
terra. Il suo dire era interrotto spesso dallo sfinimento, e in parte
mal connesso, perchè mal le reggeva il cervello a sì penoso lavoro.
--Padre!--disse alla fine Ginevra--sono stata, è vero, molt'anni vicina
a chi non m'era marito, ma non ho avuta altra colpa fuorchè quella
d'espormi al pericolo di mal fare; Iddio solo me n'ha liberata. Sono
stata negligente nel cercar del mio sposo, e nel chiarirmi se veramente
fosse morto.... alla fine poi l'ho trovato, ed allora subito risolsi di
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