La carità del prossimo - 19

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precedente il passo concitato d'un uomo ed una voce aspra ed affannata
che diceva:
--Non c'è?... È partito?... Voglio veder sua moglie... suo padre...
voglio parlare a qualcheduno, io!
Il signor Biale voleva andare a vedere egli stesso che cosa fosse,
quando la serva entrò di fretta.
--Gli è un signore tutto accalmanato, disse, che dimanda di sor
Gustavo, e vuole ad ogni modo venire innanzi.
--Introducetelo, comandò l'antico capitano.
In questo mentre lo sguardo di costui si posò sulla figliuola. Ella
era sì pallida e turbata ch'egli se ne atterri.
--Lisa, esclamò, c'è qualche cosa? che sai tu?...
--Niente, niente: ebbe tempo appena di rispondere la donna.
Il signor Bernardo, il cassiere di Bancone, si precipitava nella
stanza coll'impeto d'un masso che precipita giù da una china.
--Signora! gridò egli avanzandosi quasi minaccioso verso Lisa: dov'è
suo marito? Ho bisogno di parlargli, ho bisogno d'averlo qui subito.
Lisa confusa, quasi spaventata, non seppe nemmeno rispondere. Il
capitano, facendo un passo verso il nuovo venuto, disse con accento
asciutto e risentito:
--Signore, mio genero non è a Torino.
Busca si volse di scatto verso di lui.
--Ah, proruppe, il birbone è proprio scappato...
Il signor Biale gli troncò aspramente la parola.
--Chi siete voi? che modo è codesto? che impertinenza è la vostra?
E il dabbene Bernardo con tutto il calore di cui era capace:
--Chi sono? Sono il cassiere della banca a cui vostro genero ha
portato via cencinquanta mila lire.
A questa brutale sortita, Lisa cadde seduta, mandando un grido: Biale
indietrò come colpito a mezzo il petto da una botta.
--Signore! sclamò quest'ultimo: voi mi darete ragione di queste
parole.
Il cassiere contò senz'altro come la mancanza di Pannini dal suo posto
e quella delle cartelle del debito pubblico avessero già desto alcun
sospetto in Bancone; come una lettera di Marone avesse avvisato che
egli non aveva ricevuto i denari; come la misteriosa partenza di
Gustavo troppo confermasse i concepiti sospetti.
--È impossibile, è impossibile, disse Biale diventato pallido, che
pure sentiva entrare in suo cuore lo spavento che quella potesse
essere la verità.
Lisa si drizzò con impeto, presa da nuova energìa, e gettò le braccia
al collo del genitore.
--Sì, è impossibile: grida ella: oh! difendetelo voi, padre mio, non
lasciatelo calunniare il mio Gustavo. Egli è innocente, ne sono
sicura...
E la meschina ruppe in pianto.
--Sta di buon animo: le disse il capitano abbracciandola; sarà uno
sbaglio che tosto si metterà in chiaro... Io vengo con voi, signor
cassiere: voglio parlare al vostro principale.
Ed abbracciata amorosamente la figliuola, partissi tosto col signor
Bernardo.


XXVI.

Bancone soffriva della podagra anche più del giorno precedente; e il
fatto della fuga di Gustavo l'aveva mandato in un'irritazione da non
dirsi.
Bernardo entrò primo nel gabinetto del banchiere.
--Ebbene? dimandò Bancone appena lo vide: quel mariuolo ce lo menate
voi qui per le orecchie?
--Egli è fuggito davvero: rispose Busca, coll'aria mortificata d'un
segugio che si lasciò scappar la lepre.
Bancone mandò una grossa bestemmia da scandalizzare un vecchio
caporale.
--Ma c'è qui suo suocero: continuò Bernardo.
--Suo suocero! esclamò il banchiere. E che cosa m'importa dello
suocero? Andate a chiamare l'assessore di pubblica sicurezza.
Biale s'avanzò.
--Un momento, di grazia, diss'egli con nobile accento: la prego.
Bancone mirò il volto pallido e commosso del capitano: quelle
sembianze severe ed oneste gli imposero.
--Che cosa la mi vuole?
--Prima di gettare il disonore sopra un nome ed una famiglia si
compiaccia riflettere.
--Riflettere! proruppe Bancone trasalendo sulla poltrona: e intanto il
merlotto se la batte col bottino... Fossi matto!
--Ma se fosse un equivoco?
--Non c'è equivoco: la cosa è chiara come il sole....
E raccontò al capitano come Gustavo giuocasse alla borsa, avesse
perso, avesse pregato lui di soccorrerlo, e si fosse soccorso poi
colle sue mani, rubando.
L'infelice padre di Lisa sentì la vergogna affogarlo; con voce che
stentava ad uscir dalla gola, disse allora:
--Ebbene, la prego in nome della carità a voler soprassedere... Pensi
che vi sono degli innocenti.
--Penso che ci perdo centocinquanta mila lire: interruppe ruvidamente
il banchiere.
--Signore... tutto quello che ho son pronto a dare per indennizzarla.
--Eh si, parole! Il suo patrimonio è egli bastevole a ciò?... Non ne
so niente io, e non voglio perdere tempo in inutili incombenti.
Biale non pregò più. La pena che l'opprimeva era incredibile. Una
vergogna dolorosa, più che parola umana possa esprimere, gli gravava
l'anima eletta; il rossore, senza colpa, gli faceva abbassare quella
nobile fronte che sino allora aveva portata alta innanzi a tutti, nel
fuoco delle battaglie, nelle vicende della vita civile.
--Faccia a sua posta, diss'egli con dignità. Eseguisca lei ciò che
crede suo diritto, io non mancherò di fare quel che penso mio dovere.
E fatto un leggiero inchino se ne partì, la morte nell'animo, ma fermo
tuttavia nel viso.
Con quanta impazienza Lisa attendesse il ritorno di suo padre è più
facile immaginare che dire. Quand'egli giunse si precipitò verso di
lui, e venne a cadere fra le sue braccia.
--Gustavo è innocente, esclamò ella. Non è vero che Gustavo è
innocente?
--Voglio ancora sperarlo, rispose il padre, non osando dire la
tremenda verità: ma intanto conviene tosto provvedere che niuno pel
fatto suo abbia danno. Tutto ciò che io posseggo è tuo, sei tu pronta
a sacrificarlo?
Lisa non lo lasciò terminare.
--Tutto, tutto, diss'ella. Purchè Gustavo sia salvo... e torni
presto... O cielo! s'egli non avesse a tornar più?
Intanto l'autorità a cui s'era sporta denunzia avvisava per telegrafo
tutte le stazioni di carabinieri, lungo la linea di ferrovia per cui
si appurò essere partito Gustavo, perchè si cercasse del fuggitivo e
lo si arrestasse.
Un giorno solo era trascorso e la povera Lisa pareva aver passati anni
di dolore: anche suo padre era disfatto e scoraggiato. Il bravo uomo
già aveva date tutte le disposizioni per vendere il suo piccolo avere,
e si addolorava forte perchè non bastasse a pagare l'intiera somma da
Gustavo derubata.
Verso le dieci ore padre e figliuola furono riscossi dal suono del
campanello. Questa volta era Carlotta, la cameriera della marchesa di
Campidoro, che domandava sollecita di parlare alla signora Pannini.
Venuta innanzi a Lisa ed al capitano, la giovane cominciò a chiedere
scusa del presentarsi così di suo capo, non mandata da nessuno, ma
soggiunse non averci potuto resistere, aver ella troppo interesse e
troppa simpatia per la buona signora Lisa da vedere con indifferenza
la solenne birbonata che si voleva compire a danno di lei. Pregata di
spiegarsi, raccontò come da un pezzo ci fosse intorno alla marchesa
una gara fra Grisostomo, il curato, il dottor Lombrichi, il signor
Marone e il cavalier Salicotto a dar la caccia all'eredità dei
Campidoro: che negli ultimi giorni i fili s'erano venuti stringendo,
che fattasi una lega fra tutti, escluso Salicotto, cui avevan trovato
modo di levare ogni considerazione nello spirito della marchesa mercè
la storia narrata dal dottore del modo di governarsi di quel tale
verso suo padre, aveano deciso di spartirsi fra loro la torta; che da
un po' di tempo stavano a' panni alla marchesa perchè rifacesse dietro
loro intenzione il suo testamento, che per una ragione o per l'altra
non ci avevano mai potuto riuscire, ma che di quel giorno medesimo,
premendo la cosa perchè la vecchia era molto giù, si voleva finire la
bisogna. La buona Carlotta pertanto veniva ad avvisare la signora Lisa
perchè accorresse subito presso la santola, la quale vedendola o non
avrebbe più fatto il nuovo testamento od almanco non ci avrebbe più
dimenticata la figlioccia, come quei brutti musi la volevano indurre a
fare.
Detto ciò, la buona ragazza scappò tosto per tornare a casa prima che
la sua mancanza vi fosse avvertita.
Padre e figlia rimasero senza parlare per un po': Lisa aveva sentito
che il suo dovere era di accorrere ad assistere la santola che stava
male, ma ora il suo cuore era preso da tanto affanno che non aveva
risoluzione e coraggio a pur pensare ad altro che quello non fosse: il
capitano appariva preoccupato assai. Fu egli finalmente a rompere il
silenzio.
--Conviene tu ci vada dalla marchesa, prima perchè è tuo debito,
poi...
Ristette come se le parole che avevano da seguire gli fossero penose
da pronunziare, e in vero non fu senza sforzo ch'egli soggiunse:
--Perchè se tua matrina ti volesse favoreggiare, ciò ne gioverebbe
assaissimo...
Arrossì come uomo in colpa e s'affrettò a soggiungere:
--Non già per noi... ma per poter riparare a tutto... il danno fatto
da Gustavo.
Lisa non rispose parola, ma diede in una esclamazione, e corse a
vestirsi.
Dieci minuti dopo, ella era pronta ad uscire quando la sorte le mandò
un ostacolo ad impedirnela. Era l'autorità giudiziaria che si
presentava per procedere ad una perquisizione domiciliare.
La brava Carlotta intanto aspettava l'arrivo di Lisa a casa della
marchesa con vera impazienza. Ma il tempo passava, ed ecco alle undici
il notaio arrivare ed essere introdotto tosto nella stanza
dell'inferma, dove già erano il curato ed il dottore. La signora
Pannini non s'era ancora fatta viva.
La stanza dell'inferma era in una oscurità quasi completa; nel fondo
giaceva la vecchia in un letto suntuoso, cortinato di seta, e il
macilento di lei corpo si perdeva affatto sotto le coperture, come il
capo quasi scompariva in mezzo dei guanciali di piuma a cui
s'appoggiava. Presso al letto stavano il parroco ed il medico: in un
angolo della stanza un tavolino con sopravi carta, penne, calamaio,
bastoncini di cera lacca ed una candela accesa, con un coprilume opaco
che non ne lasciava spandere i raggi all'intorno.
Appena entrato col notaio, Grisostomo andò innanzi, e s'avvicinò
sollecito alla giacente dalla parte del letto verso la parete.
--Il notaio è qui finalmente: diss'egli.
Non s'udì risposta alcuna dell'ammalata.
Il dottore col più lezioso de' suoi sorrisi sulle labbra s'accostò al
notaio che stava là piantato, senza vederci ancora distintamente in
quella oscurità, e gli disse:
--Lei avrà già preparato l'atto?
--No, signore.
--La sarebbe stata più spiccia. Pazienza! S'accomodi qui e lo rediga
subito, chè la signora marchesa desidera far presto.
Egli accennava il tavolino col lume.
--Scusi, disse il notaio, ma per ragione del mio ministero, mi bisogna
parlar prima colla cliente.
S'avvicinò al letto. I suoi occhi già avvezzi a quella poca luce
videro l'ammalata che già pareva morta, cotanto era gialla e senza
espressione nel volto: aveva però gli occhi larghi e quasi inquieti.
--Riverisco, signora marchesa, disse il notaio, come sta?
Grisostomo si chinò verso la giacente.
--È il signor notaio ch'ella aspettava sin dall'altro ieri.
E la marchesa guardando stupidamente il notaio si pose a balbettare:
--Testamento... testamento... ho da fare testamento.
Il dottore fu lesto ad interpretare quelle parole al notaio.
--La sente? Dice che ha mandato a chiamar lei per fare testamento.
--Eccomi ai suoi ordini: disse il notaio parlando alla marchesa.
Questa e proprio la sua decisa volontà?
Grisostomo fissò con sì intentiva insistenza i suoi sguardi sulla
vecchia, che gli occhi di costei, come per influsso magnetico, furono
attirati a quelli di lui e parvero attingervi alcuna maggiore
intelligenza.
--Grisostomo, balbettò ella con fievolissima voce, dite voi, fate
voi.... Ho sete, datemi da bere.
Il domestico passò il suo braccio sotto ai tanti cuscini che reggevano
il capo dell'inferma e ne la sollevò pianamente; Lombrichi gli porse
un bicchiere, e Grisostomo messolo alle labbra della vecchia, vi
lasciò cadere a goccie la bevanda. Poi la rimise giù adagino e le
riassettò intorno al collo le coltri.
Il notaio riprese a domandare:
--Che sorta di testamento vuol ella fare signora marchesa? pubblico o
segreto?
--Segreto, segreto: rispose il curato che non aveva ancora detto
sillaba, e presa d'in sul tavolino una carta ripiegata in quadrato e
chiusa da più sugelli di cera lacca, la porse al pubblico uffiziale:
ed eccolo qui.
--Va bene, disse il notaio, ma bisogna che sia la marchesa stessa che
me lo consegni, dichiarandomi espressamente in presenza dei testimonii
che quello è il suo testamento.
Grisostomo si curvò di nuovo verso la giacente, e fissandola con
un'espressione che quasi poteva dirsi di comando, le disse:
--Ha udito? Bisogna che sia lei a dar nelle mani del notaio il
testamento.
La marchesa volse al _cacciatore_ i suoi occhi fatti quasi sgomenti e
ripetè con voce tremolante:
--Testamento!... testamento!... O Dio! Ho proprio da morire?
Il domestico si chinò vieppiù sull'ammalata, e le disse all'orecchio:
--No, anzi.... ciò le vorrà far del bene.
Il curato entrò in mezzo anch'egli.
--La nostra vita è nelle mani di Dio; e felice colui che è in ogni
modo preparato a comparirgli dinanzi.
Il medico fu lesto a temperare l'effetto poco rassicurante di queste
parole.
--Grisostomo ha ragione, diss'egli. Quando la si sarà tolto questo
fastidio, più tranquilla d'animo, la vorrà stare assai meglio.
--Sì?... Allora.... fate voi Grisostomo.... dite voi.... E mi si lasci
la pace.
Furono introdotti i servi che dovevano servire da testimoni;
Grisostomo trasse fuori dalle coltri il braccio destro della marchesa,
levò dalle mani del curato la carta ripiegata, e la pose nella destra
dell'inferma, poi le disse:
--Ecco: dia questa carta al signor notaio e gli dica: Questo è il mio
testamento.
La marchesa ubbidì come una macchina; e il notaio, ricevuto il plico,
andò al tavolino preparatogli e ci sedette a scrivere l'atto.
In quella un po' di rumore ed alcune parole scambiate nella stanza
vicina attrassero l'attenzione di Grisostomo; gli parve udire fra le
voci che parlavano quella di Lisa, ed accorse sollecito. La figlioccia
della marchesa stava proprio per entrare spinta da Carlotta.
Lisa, tostochè libera, erasi affrettata a giungere in quel punto.
--Presto, presto, le aveva detto Carlotta che era andata ad aspettarla
in anticamera; forse la è ancora in tempo.
E, prendendola, l'aveva menata sollecitamente fino all'uscio della
camera da letto della padrona. Ma colà ecco mettersi innanzi a loro un
servo che, d'ordine del signor Grisostomo, aveva da impedir l'entrata
a chicchessia. Carlotta volle persuaderlo, Lisa si mise a pregarlo, e
Grisostomo comparve in quella.
--Che cos'è? diss'egli, lanciando uno sguardo da basilisco su
Carlotta.
Costei capì che per essa la era rotta affatto col _cacciatore_, e che
perciò tanto valea la lotta aperta.
--C'è che la signora Pannini vuol vedere sua madrina, e niuno glie
l'ha da impedire: diss'ella con un coraggio eroico.
Grisostomo si volse al servo.
--E tu panbianco, che cosa facevi costì?
--Io le ho detto subito che in questo momento non si poteva entrare:
rispose il servo.
E Grisostomo, burbero, senza però guardare in faccia la signora Lisa:
--Nè in questo momento, nè mai.
La moglie di Gustavo fece un passo innanzi, e con dignitosa fierezza
proruppe:
--Che vorreste voi dire, Grisostomo?
--È l'ordine della signora marchesa, rispose costui guardando sempre
di sbieco, quasi non osasse fissare in volto la signora.
--È impossibile, esclamò Lisa con isdegno: voi mentite.
--No, signora: rispose Grisostomo stizzito; la mia nobile padrona ha
detto...
Esitò un momentino; ma poi, come ripreso coraggio, soggiunse
spiccatamente:
--Che non la voleva più accogliere in casa sua la moglie di un ladro.
Lisa indietreggiò, si fece bianca come un cencio e mandò un grido,
come se un acuto dolore l'avesse sovraccolta improvviso; poi
barcollante andò verso la più vicina seggiola e vi si lasciò cadere
priva di forze.
--Andate là, che siete proprio un villanaccio: esclamò Carlotta, e si
affrettò a soccorrere la povera Lisa.
L'uscio della camera della marchesa si aprì e il dottore Lombrichi
porse in fuori la testa.
--Grisostomo, diss'egli: venite, si tratta di farla sottoscrivere.
Lisa partì, come potete pensare, per non tornare mai più in quella
casa.
Mezz'ora dopo Grisostomo cercava di Carlotta, ed avutala a sè, le
diceva:
--La signora marchesa, nel suo testamento, ha lasciato una buona somma
a tutti i servitori maschi e femmine che si troveranno in sua casa il
dì della sua morte; voi, mia cara, non godrete di questo vantaggio,
perchè da questo giorno medesimo voi andrete fuori... E ci avrete
guadagnato codesto a voler fare la generosa protettrice d'altrui.
Pochi giorni dopo la marchesa di Campidoro moriva. Aperto il suo
testamento si trovava ch'ella aveva lasciato erede la Congregazione di
Santa Filomena coll'obbligo d'una rendita annuale al parroco per tante
messe e per largizioni ai poveri; e che a Grisostomo aveva assegnato
un legato vistosissimo col patto di mantenere ed aver cura della
cagnolina _Mimì_, ed al dottor Lombrichi un lascito considerevole.
Alla sua figlioccia un legatuccio di cinquemila lire.
Salicotto, dimenticato per l'affatto, scrisse un articolo di fuoco
contro le mene dei clericali captatori di eredità.


XXVII.

Sono passate oramai ventiquattr'ore da che Vanardi è uscito per
disperato di casa sua, e Rosina non l'ha più visto ritornare. Nella
buona donna, di cui vi ho già detto più volte che l'indole era
eccellente, non aveva tardato molto a svanire del tutto la collera che
l'aveva spinta alle troppo male parole contro il marito; onde la s'era
pentita forte, e la paura l'aveva assalita potentissima che Antonio,
irritato di soverchio, non ponesse in atto la minaccia di tornar più.
La notte angosciosa ch'ella passò nella vana attesa del marito aveva
servito sempre meglio a macerarle per così dire l'animo ed ammollirne
la tempra. Quando la prima luce del mattino la sorprese, levata
ancora, tutto freddolosa, gli occhi rossi dal piangere, il pentimento
l'aveva così conquisa ch'ella proponeva, giurandolo a sè stessa,
d'essere d'ora innanzi pel marito una vera pasta di zuccaro.
Verso le dieci, ella ode il rumore di parecchi passi nel corridoio
delle soffitte; alza vivacemente la testa; ma sono in più, e con chi
verrebbe egli Antonio, se fosse lui? Richina la testa scoraggiata;
eppur sì, tutti quei passi si sono fermi all'uscio del camerone. O
cielo! ci picchian dentro. Un forte palpito la colse. Fosse avvenuta
disgrazia ad Antonio! e glie lo recassero allora sanguinoso, ferito,
morto? Si ripeteva il picchiare. Rosina andò ad aprire, e si trovò in
faccia quattro uomini sconosciuti, vestiti di nero. Erano il
segretario della giudicatura, uno scrivano, un usciere ed un pubblico
estimatore che venivano, dietro sentenza del giudice, sulle istanze di
Marone, a _procedere agli atti esecutivi in odio_ di Antonio Vanardi.
Rosina all'annunzio che glie ne diè il segretario, sentì mancarle il
cuore: sola com'è, vedersi prendere le poche robe e cacciata fuori di
casa coi bimbi!... Si mise a pregare, scongiurare piangendo; e il
segretario intenerito le dichiarò con evidente rammarico che la
volontà del bigotto padrone di casa era irremovibile, e che a loro non
toccava che fare il dover loro.
Ma s'era appena incominciato, quand'ecco un susurro nel corridoio di
gente che veniva, e poi tosto entrare una frotta, a capo la quale
erano Selva, lo speziale Agapito, il filantropo Salicotto, la
portinaia e suo figlio, e dietro loro il pizzicagnolo della strada, il
panattiere, il carbonaio, tutti i creditori di Antonio, e quasi tutti
gl'inquilini della casa.
Ed ecco come avveniva che tutta quella gente fosse lì.
Messer Agapito, si teneva sul passo della porta di sua bottega,
secondo il solito. A dire tutto il vero, la noia lo possedeva e lo
faceva sbadigliare. Da parecchi giorni era succeduto un cambiamento
nella sua vita che non tornava affatto a suo vantaggio: al vecchio
egoista mancava qualcheduno da tormentare. La partenza di Anna gli
aveva tolto un docile soggetto e sempre lì sotto mano da punzecchiare
ad ogni volta gli saltasse mattana: e ciò lo crucciava molto, il
brav'uomo ch'egli era.
Tornato a casa quel dì, e trovato in luogo della nipote un biglietto
che lo avvisava essere ella decisa a levargli il fastidio e il peso
della sua carità per essa, e volersi restituire al villaggio a vivere
miserissimamente del suo lavoro, Agapito aveva incominciato per
gridare all'ingratitudine ed alla perversità di quella bertuccia, per
cui egli aveva fatto cotanto; poi tosto se n'era anzi rallegrato,
dicendosi che la era un carico per lui, che la non era buona da
niente, e tanto meglio l'esserne disimpacciato. Ma ecco che a luogo di
Anna era pure stato costretto a prendere una fante; e questa conveniva
pagarla, per quanto meno egli volesse spendere, sempre di più della
nipote, a cui non dava la croce d'un centesimo: e la serva non era
acconcia a soffrire tutti gli umori e tutte le mattie del vecchio
speziale, ma alle aspre di lui parole rimbeccava di santa ragione, e
per poco egli volesse imporne la era subito pronta a piantarlo in
asso, senza più un cane che lo servisse. Epperò egli nel suo segreto
di belle volte lamentava già non poco la mancanza dell'_ingrata_
nipote, e andava macchinando come richiamarla all'ovile.
Ed erano di cotali pensieri che gli frullavano nella mente quella
mattina di cui vi discorro; quando Selva presentatoglisi tutto turbato
nel volto, disse che veniva appunto in cerca di lui, desiderando
parlargli.
Messer Agapito, tutto ingrognato, senza pur tentare di fare il menomo
gioco di parole, in tono grave, senza offrire a Giovanni d'entrare in
bottega, pescò nella sua tabacchiera di corno una presa, e rispose
esser pronto ad ascoltare.
Selva non mostrando d'accorgersi punto punto di queste maniere disse:
--È egli molto tempo ch'ella non ha visto il mio amico Vanardi?
Lo speziale diede in un leggier guizzo e i suoi occhi corsero
interrogativi e dubitosi sulla faccia di Giovanni. Dopo quella sua
certa scena colla moglie d'Antonio gli era sempre rimasto nell'anima
un salutare timore verso quest'esso ed ogni cosa che venisse da lui.
Rispose adunque con una certa diplomaticheria:
--Io?... Ma!... Non saprei nemmanco. Questa mattina certo di no...
Perchè mi domanda ella codesto?
--Perchè? riprese Giovanni con faccia sempre più contristata, perchè
temo una grande disgrazia.
La curiosità dello speziale fu sovreccitata di presente.
--Oh! esclamò egli cogli occhietti accesi e porse a Selva la scatola
aperta. Che cosa mai? che cosa mai? È accaduta qualche novità?
--Lei è un uomo di molta prudenza.
Agapito levò in alto la sua mano destra col pizzico di tabacco fra il
pollice e l'indice.
--Epperò ho voluto consigliarmi con lei: continuò Selva.
--Dica pure. Eccomi qua tutto ai suoi comandi. Che cosa è arrivato?
--Ella sa le misere condizioni di quel povero Antonio.
--Eh, eh! fece lo speziale, strabuzzando degli occhi, crollando la
testa ed agitando la mano.
--Ebbene, la miseria ha mandato quell'infelice a un disperatissimo
partito.
Agapito fece un piccol salto indietro.
--Misericordia! sclamò egli; ne ha commessa alcuna di grossa....
--Si è ammazzato.
Lo speziale mandò un grido di stupore.
--Ammazzato!?
--Tutto me lo fa credere....
Agapito senz'altro, aprì l'uscio a vetri della bottega e chiamò i
garzoni.
--Martino, Giannello, la sapete la novità? Oh che caso! oh che
caso!... Ne son tutto rimescolato... Chi l'avrebbe mai detto?
--Che è? che è? domandarono i garzoni venendo fuori.
--Il pittore Vanardi s'è ucciso.
Oh! Ah! esclamazioni da non dirsi.
La portinaia usciva in quella dalla casa.
--Ucciso chi? domandò ella accorrendo.
Poichè le fu risposto ella gridò e schiamazzò per cinquanta. Bastiano
suo figlio, venuto fuori anche lui ed udita la novella, corse a
propalarla nelle botteghe vicine: tutti accorrevano al fondaco dello
speziale.
--Il pittore! Ucciso? Possibile! Come? Quando? Perchè? Povero diavolo!
Povera moglie! Poveri bambini!
In un momento la strada fu tutta sossopra e già a piovere
interrogazioni e commenti intorno a Giovanni, che ottenuto poscia un
po' di silenzio ebbe campo finalmente ad esporre il fatto.
Narrò come la mattina precedente avesse ricevuto una lettera
dall'amico in cui questi diceva, che disperato aveva risoluto finirla
con un gran colpo e torsi alla sua miseria ed alla vista di quella de'
suoi: gli raccomandava pertanto la sua famiglia nell'atto che gli
mandava quell'ultimo addio. Selva, datosi premura di cercare di
Antonio sparito di casa, non aveva potuto raccogliere altra notizia
fuor quella che il misero era stato visto gironzare sulla sponda del
Po.
--Vi si è buttato: interruppe a questo punto Agapito; la cosa è
chiara. Precisamente come quell'altro di cui parlava il giornale
quindici giorni sono... Anzi, mi ricordo che son io che glie ne ho
dato da leggere la pietosa novella, la quale gli fece tanta
impressione che volle gli lasciassi quel foglio... che poi non mi ha
più restituito.
--È certo, disse uno, che da qualche tempo egli aveva un'aria affatto
sconvolta.
--Ci si vedeva in viso, aggiunse un altro, che macchinava qualche
doloroso proposito.
--Poveretto!
Fu un alto levarsi di compianto: il fornaio medesimo, lo stesso
pizzicagnolo, perfino il carbonaio, uno de' più accaniti fra i
creditori d'Antonio, protestarono che a preferenza vorrebbero
rinunziare ad ogni loro credito verso il misero pittore che udire una
siffatta disgrazia.
Ed ecco, mentre più fitto era il capannello e più animate erano le
chiacchiere, sopraggiungere un altro personaggio ad interrogare che
fosse: niente meno che il filantropo, democratico, socialista cavalier
Salicotto. Le esclamazioni ch'egli fece e i sermoni ch'ei ne tolse
occasione a tirar giù contro i ricchi e le ingiustizie sociali, non ve
li ripeto per non infastidirvi; ma vi basti sapere ch'ei ne ottenne
gli applausi e l'ammirazione di tutta quella poveraglia là radunata,
la quale, per la maggior parte, vedeva nelle miserie del pittore poco
su poco giù le proprie.
Quando s'era sul migliore di questi compianti, quando la compassione
era giunta al suo apogeo, ecco entrar nel portone della casa i quattro
uomini vestiti di nero che abbiamo già veduto penetrare nell'alloggio
di Vanardi. La portinaia li riconobbe per quel che erano, e indovinò
quello per cui venivano; e figuratevi se la poteva rimanersi dal
dirlo! Allora fu un susurro pieno di minaccie e d'improperii contro
quel bigotto impostore, baciapile e succiapoveri di Marone, a cui
accollavano ogni peggiore appellativo: e tutta quella gente, la quale
mezz'ora prima, per avere il fatto suo, avrebbe voluto fare il
medesimo a danno del povero Antonio, ora pareva pronta, in difesa
della famiglia di lui, a qualunque partito anche violento.
Ad un tratto, come per un'idea nata simultaneamente in tutte quelle
teste, si gridò da ogni parte:--Andiamo su; conviene impedire una
tanta infamia; difendiamo quegli innocenti.
E come per una spinta possente, tutta quella massa s'avviò verso le
soffitte della casa di Marone. Il rumore di essa che saliva chiamava
sulle porte ad ogni ripiano i casigliani; s'interrogava, si
rispondeva: la curiosità, la pietà, l'indignazione accrescevano la
frotta, e di questa guisa giunsero, come vi dissi, nella stanzaccia
del pittore.
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