La carità del prossimo - 13

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soprarrivare a visitarlo, mentre Tommaso aveva seco una brigata di
giovinotti dal più al meno eleganti, male lingue tutti. Figuriamoci di
che gusto dovette riuscire a Tommaso quella visita! Accolse i genitori
colla freddezza con cui si tratta un inferiore importuno, e traendoli
brusco in altra stanza non mostrò solo col contegno, ma anche colle
parole, quanto lo seccassero, e quindi lasciatili ambedue mortificati,
senza curarsi maggiormente di loro, andò a raggiungere la comitiva.
--Chi sono quei villani? udì Matteo domandare nella stanza vicina da
uno di quei signorini dagli occhiali inforcati sul naso.
E suo figlio a rispondere:
--Sono i coltivatori di una mia tenuta. E' mi hanno visto bambino, e,
povera gente, mi voglion bene come lor figliuolo.
Matteo e la moglie si guardarono in volto quasi spaventati. Suo figlio
li rinnegava! Da questo tratto furono loro aperti finalmente gli
occhi. Tommaso era un egoista senza cuore, che non amava che sè stesso
e i guadagni. Fu il peggiore dei dolori che potessero provare. A
vedersi partire di mano il suo caro tesoretto; a dover abbandonare il
diletto orto che amava con quell'amore tenace, appassionato dei
villani per la terra, che tutti sanno; a lasciare il paesello natale
dove aveva sperato di vivere e dormir, morto, in pace; a veder fatta
incerta la sua esistenza e forse travagliosa la sua vecchiaia: Matteo
non aveva ancora sofferto mai tanto quanto in quel momento.
Egli avrebbe voluto precipitarsi in mezzo a quella gente, ed investire
lo sconoscente figliuolo colle meritate rampogne; ma la moglie ne lo
trattenne. Tommaso uscì, senza lasciarsi vedere e i genitori dovettero
aspettare sin tardi per averlo seco di nuovo.
Matteo appena lo scorse, non potè frenarsi e proruppe, pallido per ira
e con voce tremante che pure preannunziava vicine le lagrime:
--Che? gli è proprio vero adunque?... Noi vi facciamo vergogna, noi...
In questa casa i miei capelli bianchi sono accolti come un disdoro...
Ce l'avevate già fatto capire colle vostre maniere, ma ora ce lo avete
spiegato chiaro pur troppo!... Non abbiamo ad essere i vostri
genitori, noi; appena se siamo degni d'essere i vostri servi... Ebbene
sia. Il signorone stia di per sè; e noi non verremo più a seccarlo...
Siamo noi, gli è il nostro denaro, gli è il nostro lavoro, gli è il
sudore di queste fronti che l'ha rimpannucciato a quel modo il sor
marchese... Che monta? Siam villanacci ed egli arrossisce al vederci.
Vieni, vieni moglie mia... Questa casa non è fatta pei poveri diavoli
come noi, e ci conviene uscirne, e non rimetterci i piedi mai più.
Si mosse diffatti: la moglie lo voleva trattenere, e supplicava cogli
sguardi (che colle parole, angosciata com'era, non lo poteva) il
figliuolo a voler placare la giusta collera del padre. Se Tommaso
avesse detto una sola parola, avesse fatto un sol cenno di pentimento,
di domandar perdono, questa gran collera sarebbe sbollita d'un colpo:
il povero padre in sè stesso non aspettava che il menomo degli atti
per cedere e rimanersi: ma il tristo figliuolo stette lì impietrito,
l'aspetto insensibile, gli occhi a terra, senza pur muoversi. A tutta
prima ben gli era venuto all'animo l'impulso di placare suo padre, ma
poi tosto s'era detto fra sè, che quella era buona occasione per
liberarsi una volta dal fastidio di quelle visite, e che per ciò non
aveva che da lasciar andare le cose pel loro verso.
Matteo gli diede un'ultima sguardata, e lo sdegno s'accrebbe.
--Ebbene? che fai moglie mia? gridò egli trovando la sua mazza,
impugnandola e camminando risoluto verso la porta. Vieni una volta, e
togliamo a questo gran signore l'imbarazzo e la vergogna delle nostre
persone.
La donna, poverina, piangeva senza aver parole fatte, e voleva calmare
il marito; ma questi la prese risoluto per un braccio e la trasse con
sè a forza.
Tommaso non si mosse: vide partire il padre e la madre a quell'ora già
tarda con occhio asciutto, senza una parola, senza un gesto. Matteo
comandò alla moglie che del figliuolo non glie ne parlasse più mai;
quanto a sè il nome di lui non fu mai più udito sulle sue labbra.
La famiglia non seppe mai più notizie dell'ingrato figliuolo, nè
questi di quella. Tommaso non cercò mai di vedere i genitori; le sue
vicende frattanto andavano sempre meglio; la sua fama d'uomo
amantissimo dei poveri aumentava di pari passo colle sue ricchezze, e
i suoi parenti, impoveriti per causa sua, stentavano la vita senza
ch'egli si curasse non che di soccorrerli, ma di saperne novelle.
Erano passati parecchi anni in questo modo, quando Vanardi, spintovi
dalla rinomanza di Salicotto, suonava timidamente il campanello
dell'uscio del pubblicista per supplicarne la sua generosa protezione.
Ed ora che lo conosciamo per bene, possiamo seguitare il nostro amico
Antonio e penetrare con esso nel santuario del famoso filantropo.


XVII.

--Che cosa volete? chiese il domestico che venne ad aprir l'uscio, in
tono orgoglioso quand'ebbe squadrato la povertà degli abiti del
visitatore.
--Parlare al signor cavaliere: rispose umilmente Vanardi.
Il servo si levò di mezzo all'apertura de' battenti e lasciò il passo.
Il pittore entrò levandosi il cappello e incurvando la schiena.
Attraversarono, il domestico primo e Antonio dietrogli, un'anticamera
piuttosto vasta, lastricata da formelle di marmo bianco e bruno
avvicendate, e intorno alla quale, alle pareti, stavano armadii di
legno inverniciato di color bigio. S'intromisero in un corridoio che
n'era a capo, volsero a sinistra, entrarono in un salotto ben
riparato, ben caldo, con un soffice tappeto sul pavimento, con comodi
ed eleganti sedili d'ogni fatta, tappezzato di fine carta azzurrina a
fiorami appannati del medesimo colore ma più scuro, adorna di buone
pittura di paese, appiccate con cornici alle muraglie, rallegrata da
un vivace fuoco nel caminetto.
--Aspettate qui: disse il domestico a Vanardi. Il signor cavaliere è
là nel gabinetto (ed additava un uscio a vetri in faccia a quello per
cui erano entrati); ha seco qualcheduno; appena sarà libero, potrete
parlargli.
E poste ancora alcune legne sul fuoco, se ne andò lasciando solo il
pittore.
Questi cominciava a conoscere che nel mestiere di supplicante, la
prima cosa da impararsi è il fare anticamera.
All'uscio a vetri, dalla parte del gabinetto, erano appese tendoline
di mussolina bianca, che impedivano di vederci per entro. La serratura
n'era chiusa colla stanghetta a scatto; ma pur tuttavia il suono delle
parole che si scambiavano nel camerino veniva nella stanza che lo
precedeva, benchè indistinto. Se ne poteva però comprendere, che un
colloquio animato aveva luogo, ed una voce massimamente, che pareva
quella d'un vecchio, di quando in quando s'elevava come rampognante,
sdegnata e minacciosa. I due uomini che discorrevano non erano seduti,
e le loro ombre si scorgevano traverso le tendoline dell'uscio, e
dall'apparire e scomparire d'una di esse si capita che uno degli
interlocutori andava e veniva, come se impaziente, per la camera.
Antonio s'era già rassegnato ad aspettare chi sa quanto tempo; ed
invece, poco dopo ch'egli era stato introdotto, ecco aprirsi
bruscamente l'uscio a vetri, e un vecchio a chiome bianche, con panni
contadineschi, pallido in volto, non si sarebbe potuto dire se per
dolore o per isdegno, comparire sulla soglia. Dietro di lui, discosto
due passi, era il signor Salicotto, la cui prima vista fece una
cattiva impressione sopra Vanardi; chè diffatti a quell'uomo in tal
momento davano un aspetto tutt'altro che simpatico la fronte
aggrottata, una dura espressione di fisonomia, le labbra serrate e lo
sguardo incerto, che pareva non osare di fissarsi in volto al vecchio
contadino.
--Non temete: diceva questi, a cui la voce tremava come la mano che
teneva ancora sulla gruccia della serratura: questa sarà l'ultima
volta di certo, e Dio voglia!....
Nel pronunziar queste parole aveva levato verso il soffitto la mano
destra col solo indice teso, in atto solenne: ma lo sguardo del
filantropo, sgusciando fra il vecchio e l'uscio, aveva visto nel
vicino salotto la figura d'un estraneo, perciò si affrettò egli ad
interrompere il villico, slanciandosi in quella stanza, e quasi
sospingendo il parlatore verso la porta d'uscita.
--Basta! diss'egli imperiosamente. Non più una parola; vi prego di non
insultarmi più oltre. So che voi non mi comprendete, vi compatisco e
vi perdono, perchè è dovere di perdonar sempre ai nostri simili, ma vi
consiglio a rammentare che qui sono in casa mia ed ho diritto di
mandarne fuori chi mi oltraggia.... Partite; ma ciò nulla meno, ad
ogni volta che avrete bisogno di qualche aiuto, potrete sempre in
tutta sicurezza valervi di me.
Vanardi cominciava a trovare molto nobile e molto degno il procedere
del filantropo; ma il vecchio invece arrossì di sdegno e parve sul
punto di prorompere in un'acerba invettiva, pur si fermò, ed
allontanandosi vivamente, quasi con orrore, da Salicotto, esclamò
fremendo.
--Sciagurato! sciagurato!
E si partì senz'altro, barcollando come sotto il peso d'una soverchia
emozione.
Il signor cavaliere gli tenne dietro con uno sguardo che sembrava
tutto mitezza e pietà.
--Infelice, diss'egli mandando un sospiro. Ah! com'è doloroso trovare
degl'ingrati....
Poi andò presso il caminetto e tirò il cordone da campanello che vi
pendeva presso. Il domestico che aveva introdotto Vanardi si presentò
tosto alla porta.
--Quel vecchio contadino aveva egli detto il suo nome?
--No signore: rispose il domestico.
Questa risposta parve far piacere al padrone.
--Avete voi notata la fisonomia di quell'uomo tanto da riconoscerlo
un'altra volta?
--Signor sì.
--Ebbene se mai si presentasse ancora, gli direte sempre che non sono
in casa... fino a che non vi dia un ordine diverso. Andate.
Il servo uscì; allora il pubblicista democratico, socialista ed
umanitario si volse verso Antonio.
--Lei vuole parlarmi? gli domandò.
--Signor sì, se la mi permette.
--Si dia la pena di passare qui nel mio gabinetto.
Lo fece entrare nello studiolo, sedette nella sua poltrona innanzi
alla scrivania e fece sedere Vanardi sur una seggiola vicina.
Il cavaliere Tommaso Salicotto era tal quale lo aveva descritto la
Rosina: grosso, tozzo, con un testone insaccato nelle spalle larghe e
rotonde, il colore ulivigno, neri i capelli che aveva abbondantissimi
e portava lunghi, pioventi fin sopra il bavero del vestito, nera del
pari la barba, di cui lasciava crescere i baffi ed il pizzo al mento.
L'occhio era nero ancor esso, e non mancava di vivacità, ma la
guardatura non n'era schietta. Le chiome aveva piantate giù verso le
sopracciglia da fargli la fronte bassa, ma questa era larga alle
tempia e pareva quasi una lista al di sopra della faccia che la
riquadrasse. Le traccie della sua origine villereccia gli si leggevano
chiare nelle sembianze e nei modi, a dispetto del suo vestire elegante
onde cercava dar garbo e distinzione alla sua persona.
Stette un poco ad osservare il suo visitatore, il quale non sapeva
troppo che contegno tenere, poi gli chiese con tutta cortesia.
--Con chi ho l'onore di parlare e in che cosa posso servirla?
Antonio levò lo sguardo sopra chi lo aveva interrogato, e lo sguardo
di costui fu lesto a guizzar via. Il povero pittore stava pensando che
la sua prima accontagione con quel famoso filantropo era bene strana;
poichè era arrivato nel punto in cui scacciava di casa sua un povero
vecchio. Certo tutti i torti dovevano essere dalla parte di
quest'ultimo; ma pure!...
Com'egli esitava, Salicotto riprese:
--Ha ella qualche difficoltà a dirmi il suo nome?
--Oh no: rispose vivamente Vanardi, e gli disse tutto l'esser suo.
--Bene! esclamò il giornalista. Ho molto piacere di conoscerla. Ella
pittore, io scrittore; siamo si può dire, artisti entrambi; siamo
quasi fratelli, o d'altronde tutti gli uomini sono tali.
E tese la sua mano larga e robusta ad Antonio che con rispettosa
peritanza ci pose dentro la punta delle sue dita. Salicotto le serrò
forte, e le scosse più forte all'usanza inglese.
--Or dunque parli.
Antonio si sentì il sudore spuntargli a goccie alle radici dei
capelli; ma si fece forza, chiamò in aiuto tutta la sua risoluzione e
cominciò non senza fremito nella voce il racconto delle sue sventure.
Salicotto lo ascoltò molto attento e raccolto, senza interromperlo mai
e senza guardarlo in faccia pur una volta; ma egli mostrava
interessarsi in sommo grado a quell'Odissea. Scuoteva la testa, moveva
le mani, mandava sospiri a seconda, come uomo che è padroneggiato da
profonda emozione. Quando Antonio ebbe finito, gli prese la destra non
con una, ma con tuttedue le mani, glie la serrò più forte che prima,
glie la tenne così fra le sue un cinque minuti e disse con accento
d'uomo che per la compassione fosse lì lì per iscoppiare in pianto:
--Poverino! Quanta sventura e quanto coraggio! Oh come io ne la
ammiro! La vede. Gli stenti del povero sono per me qualche cosa di
grande, di sublime, ciò che vi ha di più sublime sopra la terra. Tutte
le pompe del mondo, tutti gli sbarbagli della ricchezza non valgono a
farmi stimare un uomo più che i cenci della miseria coraggiosamente
sopportati. I ricchi!... Oh i ricchi!... Conviene perdonarli, perchè
anche loro ci sono fratelli; ma l'organismo attuale della società ne
fa tanti oppressori di noi povera gente. La vede. La società va
rimutata da capo a fondo. Conviene che il voto di Enrico IV di Francia
sia una realtà in tutto il mondo, per tutto il genere umano: che
ciascuno abbia ogni giorno che Dio manda un pollo nella sua pentola.
Ecco il mio programma! Io studio con tutta la potenza del mio animo,
con tutta la forza del mio ingegno ad ottenere questo risultamento. Ha
ella per caso letto i miei scritti? Le presterò, se vuole, la raccolta
completa del mio giornale. Vedrà come dal primo numero a quello di
ieri ho combattuto e combatto in favore delle classi diseredate. Sono
un missionario, sono un apostolo dell'avvenire, sono l'avvocato dei
poveri. Oh i poveri! Vorrei potere aprire le mie vene e dare tutto il
mio sangue per farli ricchi. Io piango caldissime lagrime sulle loro
sfortune: la vede. Che? Siamo tutti figliuoli d'Adamo, abbiamo tutti
un'anima immortale; la nostra vita ha in tutti i medesimi bisogni, ed
io dovrò stentare un boccone di pan nero, mentre il mio vicino mangia
quaglie e beccafichi?
Prese fiato in mezzo alla declamazione di questa tirata, che aveva già
ammanita le migliaia di volte in articoli ai suoi lettori.
--Che rimedio trovarci? La carità? Rimedio effimero: inutile, anzi
dannoso palliativo: anche gli economisti la condannano. Senza contare
che la è un'umiliazione della natura umana in chi la riceve. Però in
circostanze straordinarie, per eccezione, via, l'ammetto ancor io. La
vede. Pochi giorni sono un povero diavolo s'è tolto di vita lasciando
una famiglia all'ultima miseria. Bene! Io ho tosto aperta nel mio
giornale una sottoscrizione per venire in soccorso di quei poveretti,
la quale ha già prodotto una considerevol somma. Sono fatto così
io!... Ma gli è alle istituzioni, la vede, che bisogna domandare il
rimedio; misure radicali ci vogliono, perchè la vera uguaglianza regni
una volta sulla terra e quindi la vera fratellanza e la felicità
umana. A questi principii ho consacrato tutto me stesso, e non ci
fallirò per Dio!
S'alzò da sedere; e Antonio dovette imitarne l'esempio. Salicotto
volse al soffitto il suo sguardo e si battè sul petto con aria
ispirata.
--Non ci fallirò, finchè qui dentro palpiterà questo cuore, finchè un
soffio di vita animerà queste membra.
Poi la sua voce si fece piagnucolosa.
--So bene che molte delusioni e molti dolori mi aspettano. Ah! ne ho
già sofferti di troppi e che avrei creduto prima insopportabili. Iddio
mi darà forza anche per l'avvenire, e la mia coscienza quell'unico
compenso che mi posso aspettare.
Strinse di nuovo la mano d'Antonio e glie la scosse da fargli male.
--Io sono l'amico di tutti quelli che soffrono: sono anche il suo. Mi
consideri come tale, la prego. S'accerti che non avrà persona mai la
quale partecipi così di cuore a' sventurati come a' prosperi di lei
successi.
E in ciò dire l'aveva tratto dolcemente nel salotto che precedeva il
gabinetto e stava avviandolo verso l'uscio che metteva pel corridoio
nell'anticamera.
--Signor cavaliere, balbettò Antonio.
E l'altro, senza lasciarlo parlare:
--Le manderò il mio giornale; son certo che la ne piglierà alcun
conforto. Vedrà, oh vedrà s'io fallisco al dovere che mi sono imposto.
Apri la porta del corridoio e pianamente vi sospinse Antonio.
--Spero che ci rivedremo, soggiunse; anzi un'altra volta potremo
parlare più a lungo. Le esporrò il mio disegno di riforma sociale;
confido che otterrà la sua approvazione. La riverisco.
E chiuse l'uscio del salotto alle spalle del pittore. Il domestico
nell'anticamera accorse sollecito ad aprire la porta di casa. Vanardi
si trovò sul pianerottolo aggirato, confuso, mezzo balordito.
Che cosa gli restava da fare? Nient'altro che allontanarsi di là.
Prese le scale e cominciò a discendere lentamente, tutto mortificato.
Alla seconda branca della scala trovò seduto, o meglio accosciato
nell'attitudine del più doloroso abbandono, il vecchio contadino che
aveva visto poc'anzi uscire dal gabinetto del cavaliere. C'era tanta
espressione di dolore nel contegno del vecchio, i singhiozzi che
rompevano come a forza dal petto di lui erano così angosciosi che
Vanardi ristette, e un'immensa, subita pietà l'occupò tutto e lo
spinse verso quel miserello dalle chiome canute.
--Coraggio, buon uomo: gli disse con voce piena d'affettuoso
interesse. Non datevi così al disperato. Io non conosco le vostre
disgrazie, ma qualunque esse sieno l'abbandonarsi dell'animo non può
recar loro sollievo nessuno.
Il vecchio contadino sollevò verso chi gli parlava la faccia
lagrimosa. I suoi lineamenti erano profondamente turbati, e la
pallidezza delle sue guancie quasi cadaverica. L'accento simpatico del
pittore parve confortarlo alcun poco; pure scosse il capo
disperatamente, e rispose:
--Io sono il più infelice uomo del mondo.... Vorrei esser morto.... Ah
no: Dio mi perdoni.... C'è costassù, a Valnota, una povera vecchia che
mi ama e mi attende. Se non fosse per lei!... All'uscire di costì m'è
mancata ogni forza.... Avevo dimenticato perfino la mia povera vecchia
moglie. Bisogna ch'io torni presso di lei.... E sarà il meglio ch'io
mi levi presto di qui.
Fece a drizzarsi, ma lo poteva a stento; Vanardi ve l'aiutò.
--Grazie! disse il vecchio, e si mosse per discendere; ma le gambe gli
vacillavan sotto, e a mala pena si teneva in piedi.
--Venite meco, soggiunse Antonio; appoggiatevi al mio braccio; così,
pian pianino. Siete debole; avete bisogno di qualche cosa che vi
riconforti.
--Grazie, grazie: ripeteva il vecchio commosso. Voi avete pietà d'un
povero vecchio: voi che non mi avete mai visto, mentre colui...
colui!...
Tentennò un momentino la testa con atto dolorosissimo; poi riprese con
voce soffocata dalla soverchia commozione, stringendo forte il braccio
di Vanardi:
--Colui mi ha scacciato di casa sua, come uno che gli faccia
vergogna.... E sono suo padre!
Antonio mandò un'esclamazione di meraviglia e di orrore.
Il vecchio, smarrita affatto ogni forza, s'aggrappò al braccio di chi
lo sosteneva, appoggiò la fronte alla spalla del pietoso e scoppiò in
pianto dirotto.


XVIII.

Il mattino di quella medesima domenica, verso le ore nove, un vecchio
contadino aveva aperto l'uscio della bottega di messer Agapito e aveva
domandato al signor Martino, che primo gli si era fatto incontro:
--La casa del signor Marone?
--Questa.
--Dove potrei trovarne il proprietario?
--E' non abita qui.
--Lo so bene. Vengo appunto dalla sua dimora, e la serva mi ha detto
che l'avrei trovato in questa casa. Ho un biglietto da dargli che
preme.
Martino si strinse nelle spalle.
--Non saprei che cosa dirvi. Sarà certo da qualche casigliano a
riscuoter l'affitto. Potete andar cercando di lui su per tutti i piani
della casa.
Il villano s'avviava per partire, quando messer Agapito, che dal punto
in cui quegli era entrato, l'osservava attentamente e con una certa
sorpresa, s'alzò ratto, e fece un gesto per arrestarlo.
--Un momento, diss'egli. O io mi sbaglio, o vi conosco, brav'uomo.
--Può darsi: rispose il contadino volgendo la faccia e lo sguardo
verso lo speziale.--To', esclamò egli a sua volta, appena ebbe veduto
i lineamenti di costui: ella è messer Agapito.
--Bravo! E voi siete l'ortolano Matteo.
--Per l'appunto.
Agapito tese verso il contadino la sua tabacchiera aperta.
--Evviva! Mi fa molto piacere il vedervi. È un secolo che non ci siamo
trovati.... E voi come la va? E la vostra famiglia? E dove state? Già
siete sempre al paese, non è vero?... Che cosa c'è di nuovo per
colà?... E che buon vento vi mena da queste parti?
Matteo, fra tante domande, pensò bene di non rispondere che ad una
sola.
--Non sono più al paese. Sono ortolano ad una villa in Valnota.
--In Valnota? che? vi siete traslocato colà?
--Sì signore.... E son già degli anni parecchi.
--È strana. Non avrei creduto mai più che voi vi sareste deciso ad
abbandonare il villaggio.
La faccia di Matteo s'imbrunì e curvando la testa fra le spalle in
atto di dolorosa rassegnazione, egli rispose:
--Che cosa vuole? Non l'avrei creduto nemmen io un tempo: ma delle
sventurate circostanze sopravvenute mi vi obbligarono.
La curiosità dello speziale intravide tutta una storia che fu tosto
assai ghiotto di apprendere.
--Ah si? diss'egli con molto interesse: raccontatemi su, da bravo...
--Oh! gli è un affare molto lungo...
--Non importa...
--Io ho fretta...
--Lasciate un po'... Quando si trova dopo tanto tempo un
compatriota!... Quella villetta dove ora siete è vostra? l'avete
comperata?
Matteo scosse dolorosamente la testa.
--Oibò. Ci sono al servizio del signor Marone.
--Davvero!
--Sicuro. Saranno tre anni a San Martino.
--E vi ci trovate bene? Ci avete dei buoni guadagni?
--Eh là! non mi lamento.
--Una volta mi ricordo che la vi andava molto bene....
--Ah! questi non sono più i tempi d'una volta. Ho avuto ogni fatta
disgrazie.
--Poveretto!... Ma via, sedetevi un momento qui presso al braciere,
che possiamo discorrerla più comodamente...
--Grazie, non posso.
Il trovare così restio al parlare quel vecchio contadino accrebbe la
curiosità dello speziale, che lo spinse fino alla generosità della
seguente offerta.
--Voi berete bene un bicchierino di qualche cosa di _tonico_... di
_ratafià_ per esempio.
--Grazie tante. Lei è molto buono; ma sono ancora digiuno: e poi non
posso fermarmi. Conviene ch'io trovi il padrone per dargli la lettera
del signor Nicolazzo.
--Nicolazzo! chi è costui?
--È i! pigionante della villetta. Questa lettera preme di molto, a
quel che mi ha detto, consegnandomela; e mi ha comandato di
recargliene la risposta il più presto possibile.
--Alla campagna?
--Già!
--Forse ch'egli abita colà?
--Sicuro.
--A questa stagione?
--Sono due anni ch'ei non se ne move nè state nè inverno.
--Che gusto! È matto?
--Egli no: ma sua moglie pare di sì.
--Ah, ah! c'è anche una moglie?
--Sì signore.
--E vivono colà soli?
--Come i gufi, tutto l'anno, schivando perfino la compagnia nostra, di
me e di mia moglie.
--Cospetto!... A proposito; e la vostra famiglia? Non ve ne ho manco
ancora domandato. Come va?
Il pover'uomo trasse un sospiro.
--Mia moglie sta bene, povera vecchia!... Grazie!
--E vostro figlio?
La faccia del vecchio mostrò un certo imbarazzo che eccitò grandemente
la curiosità di messer Agapito, il quale ci travide un segreto da
apprendere.
--Che riuscita ha egli fatto? continuò egli non istaccando i suoi
occhietti dal volto sempre più turbato di Matteo. Eh, eh! sono secoli
che io non l'ho più visto; da dopo ch'egli era solamente alto così...
Ma mi ricordo benissimo che prometteva di farsi un gran talentone, e
che tutta la gente vi consigliava di farlo studiare.
L'infelice Matteo trasse un sospiro più profondo del primo:
--Ho dato retta ai consigli della gente, e l'ho fatto studiare.
--Da prete?
--No... da professore.
--Ed ora, dove si trova egli?
--Ma!... Non so bene... Credo sia qui in città.
--Oh bella! Non sapete dove sia vostro figlio? forse che non vi
scrive?
--No... cioè... voglio dire raramente.
--E non va a trovarvi qualche volta?
--Egli ha molto da fare; è sempre occupato...
--Vuol dire adunque che ha fatto davvero una buona riuscita?
Il villano tornò a sospirare.
--Oh sì, disse: guadagna di molto. Se la vive da gran signore--lui:
soggiunse con amarezza.
--E voi continuate a far la vita faticosa d'un tempo?... Oh, perchè
non andate a vivere con lui, riposandovi pur una volta per passare in
santa pace quegli anni che vi rimangono?
Matteo si volse in là per nascondere una lagrima, che lo speziale vide
pur tuttavia.
--Sentite: riprese Agapito con un calore che pareva cortesia di buon
cuore, ed era invece solletico indicibile di curiosità. Il vostro
padrone deve senza fallo venir da me questa mattina per esigere il
semestre della pigione: il mezzo più sicuro di trovarlo gli è dunque
d'aspettarlo in casa mia. Venite su, e perchè il tempo vi sia men
lungo diremo due parole davanti un fiasco ed una fetta di salame.
L'ortolano se ne schermì, ma lo speziale ebbe in quella una vera,
ispirazione!
--Vostro figlio vive da ricco, ed è professore?... Sta a vedere che
gli è quello che abita qui di facciata che si fa dare tanto di
cavaliere e si spaccia figliuolo d'un avvocato.
Matteo non potè e non cercò neppure dissimulare l'emozione che lo
prese.
--Abita qui di facciata? Lui!...
--Vostro figlio si chiama egli Tommaso?
--Sì.
--È dunque lui, lo scommetto: esclamò Agapito trionfante. Matteo,
assolutamente voi avete da far colazione con me: parleremo di codesto
e d'altro.
Il contadino che amava pur sempre l'ingrato figliuolo, e che da tanto
tempo non ne aveva più avute notizie, desiderosissimo di udire dei
fatti di lui, accondiscese all'invito, e fu tratto dallo speziale nel
suo alloggio agli ammezzati.
--Anna, Anna: gridò Agapito entrandovi.
La ragazza accorse sollecita.
--Ecco qui un brav'uomo del nostro paese; soggiunse lo zio: vedi un
po' se lo riconosci!
---Compar Matteo! esclamò Anna giungendo le mani e quasi non credendo
agli occhi suoi.
--Sì, sì, son io, disse il contadino ancora tutto turbato, e a cui
anzi la presenza di quella giovane, rammentandogli il passato,
accresceva la passione della sua presente sciagura. Buon giorno Anna;
la ti va bene?
Per la povera giovane la vista di quel suo compaesano fu una gran
gioia. Le parve ch'egli le portasse un po' dell'aure di quella diletta
contrada ch'ella aveva abbandonata sì a malincuore e per essere poi
tanto disgraziata in città, un po' di quella libertà ch'ella aveva
dovuto scambiare con una sì trista e dolorosa schiavitù. I giorni gai
della sua infanzia le sorsero innanzi con tutte le loro care memorie
di luoghi, di tempi, di piaceri; dove avesse osato si sarebbe
slanciata al collo del vecchio contadino ad abbracciare in lui tutto
quel passato così rimpianto; la si rimase a pigliargli con effusione
una mano e serrargliela con forza fra le sue, mentre gli occhi le si
inumidivano per tenerezza.
La voce burbera dello zio venne a richiamarla brusco al presente.
--Va a prepararci un boccone da colazione: presto!
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