La carità del prossimo - 16

andava soggetta, era passata oramai, e quindi quel po' di ragione che
era sopravvissuta ai colpi crudelissimi di tanti dolori, tornava a
pigliare il governo della povera vittima. Le pose una mano sulla
spalla e con accento pieno d'intenzioni, e quasi direi di minaccia,
disse lentamente:
--Gina! ora la ti va meglio; tranquillati... Ora ben riconosci chi son
io.
La misera, al tocco di quella mano, al suono di quella voce, s'era
messa a tremare di tutte le sue membra. Quand'egli ebbe detto, ella
rimase un poco senza muoversi, quasi meditasse seco stessa sulle
parole di lui; poi rialzò lentamente la testa e guardò. Ma non si
volse dalla parte dov'era Orsacchio; fissò alquanto Gaspare, il quale
s'accorse in quel punto d'avere ancora piantato sulla nuca il suo
cappellaccio, e se lo tolse di fretta facendo uno stupido sorriso ed
un goffo inchino.
--Lasciatemi, diss'ella con fievol voce appena intelligibile.
Orsacchio commentò quella parola, mostrando la porta con un gesto che
non aveva mestieri d'ulteriore spiegazione.
Gaspare non se lo fece ripetere, e scomparve guizzando via fra i
battenti semichiusi dell'uscio.
Anna, a cui l'inferma si teneva ancora abbracciata senza badarci, capì
che quest'atto del marito era un comando anche per lei, e fece a
spiccarsi dalla poveretta. L'attenzione di costei da questo moto fu
tratta a quella donna che essa non aveva ancora neppure guardata.
Stupì nel vedere una persona che non conosceva; ma sulla faccia di
questa persona c'era tanta benevolenza, tanta generosa pietà, tanto
interessamento per lei, che la povera Gina ne fu tocca di botto. E
come la ragazza voleva dipartirsi, l'ammalata la ritenne dolcemente e
le disse con ineffabile tenerezza, guardandola fiso, e, per così dire,
bevendo cogli occhi la simpatia dal volto di lei:
--No voi, non mi abbandonate!
Anna diresse uno sguardo al signore, per interrogarlo sul come la
dovesse fare; Gina comprese, e volgendosi al marito, pur senza
levargli in viso gli occhi.
--Oh lasciatemela: disse vivamente.
Orsacchio si tacque.
--Lasciatemela.
Il marito le si accostò vieppiù, ed alzando un dito come a segno di
ammonimento, disse fissandola:
--Ma!...
Gina, sollecita soggiunse:
--Non parlerò; ve lo prometto.
L'uomo fece un cenno approvativo col capo, quindi si ritrasse
lentamente non cessando di tenere il suo fosco sguardo sulla moglie.
Anche costei guardava fiso lui, paurosa, seguitandolo in ogni suo
moto; quando egli fu fuori ed ebbe rabbattuto dietro sè l'imposta
dell'uscio, ella si drizzò un poco della persona e mandò un sospiro
come se sollevata dalla gravezza d'un peso che l'opprimesse; poscia si
volse ad Anna, le prese le mani, la trasse a sè, le fece un po' di
luogo sul divano al suo fianco e ve la fe' sedervi; allora,
guardandola ben bene con curiosità infantile e benevola, le disse:
--Vi ho già vista alcune volte io? Mi par di no... Se non vi riconosco
bisogna perdonarmelo... Ho tante cose nella mia povera testa... Non
domandatemi quali, perchè non ve le direi... Oh no certamente... l'ho
promesso... Siete forse la figliuola di Teresa? È una molto buona
donna Teresa, e le voglio bene... Vorrò bene anche a voi se ne vorrete
a me... I vostri occhi mi piacciono... Come vi chiamate?
--Anna.
--Anna: ripetè l'infelice chinando il capo in atto di meditazione: non
ho mai sentito questo nome... Dite, mi vorrete bene?
La giovane levò le mani pallide e macilenti di Gina all'altezza delle
sue labbra e le baciò con effusione.
--Oh sì, diss'ella, tanto, tanto!
Gina liberò le sue mani e le battè palma a palma con gioia
fanciullesca.
--Brava! staremo insieme, sempre insieme. Vi torna? Ne ho tanto
bisogno! Io sono sempre sola con.... Zitto! Non parliamo di ciò....
Saremo amiche... Ne avevo una di amiche.... Come la mi amava!... Mi
hanno detto che è morta.
E due lagrime silenziose le vennero agli occhi. Essa le lasciò
gonfiarsi, traboccar dalle ciglia, colar lentamente giù per le
guancie, senza badarci. Poi cambiando ad un tratto di tono, domandò
quasi brusco:
--Chi siete?
--Una povera orfanella che va cercando di guadagnarsi il pane col suo
lavoro.
--Un'orfanella! esclamò Gina, rifacendosi affettuosa. Ancor io sono
tale. Da giovine sono rimasta sola. Niun appoggio, niun consiglio,
niuna difesa... Povera Gina!
Appoggiò il mento al petto e stette assorta. Anna le si pose intorno
con mano delicata a rassettarle i panni, a ravviarle i capelli, ad
accarezzarne la fronte. La povera donna sentiva una destra amichevole
e gentile occuparsi di lei, ed una soave sensazione se ne diffondeva
per tutto l'esser suo; gli era come una graduata invasione d'un fluido
magnetico affettuosissimo. Riappoggiò la testa al petto della giovane,
adagiò mollemente sopra il divano le sue membra stanche, e con
carezzevole intonazione di voce:
--Contatemi la vostra vita, Anna, diss'ella; mi farete piacere.
Anna obbedì pronta. Narrò le poche vicende della sua semplice
esistenza. Quando ebbe finito si chinò verso il volto della signora.
Essa aveva gli occhi chiusi, l'aspetto tranquillo, calmo ed a cadenza
il rifiato. Stretta al seno della ragazza, la s'era dolcemente
addormentata.


XXII.

Orsacchio, scoperto che sua moglie amava, riamata, Adolfo Cioni, aveva
costretto quest'ultimo a battersi con lui in un duello che era stato
un assassinio, ed uccisolo. Poscia, preparato già tutto per una pronta
partenza, s'era presentato alla moglie, le mani lorde di sangue del
giovane, e seco l'aveva tratta ferocemente per torla al resto del
mondo e farla vivere sola con lui, col suo rimorso, col suo dolore,
coll'immagine tormentosa e la memoria dell'ucciso amante.
Quell'orrenda sciagura era caduta ad un tratto sul capo della povera
Gina. Al venirle innanzi del marito, tremendo in vista e sanguinose le
mani, un doloroso orrore l'aveva invasa, una di quelle inesprimibili
strette di angoscioso raccapriccio che tutto sconvolgono un essere
umano, e al cui urto sembra impossibile non si rompano le vene ed il
cuore. Essa avea indietreggiato innanzi all'assassino, come
favoleggiavano i Greci che si dovesse fare all'apparire della testa di
Medusa, mezzo impietrita, mezzo fuor di senno; ed egli l'aveva
afferrata ad un braccio ed a forza trascinatala e cacciatala in una
carrozza, l'aveva fatta partire, ella non sapeva per dove.
Pensate che viaggio dovette esser codesto per l'infelice donna!
L'unico uomo che essa amasse era spento, e l'uccisore era lì, presso
di lei!... Non le sembrava avesse ad esser vero. Credeva d'essere come
in un tristissimo sogno, oppressata dall'incubo, e che uno sforzo di
volontà dovesse bastare a destarla e rimetterla in una meno angosciata
condizione. Si riscuoteva tratto tratto sotto questo pensiero dal
cantuccio in cui la si rannicchiava, ma il suo occhio smarrito
incontrava tosto quello feroce, sanguigno, inesorabile d'Orsacchio, il
quale tacitamente le affermava la di lei sciagura e il suo delitto.
Allora si tornava ad acquattare più stretto, per così dire, nel suo
angolo, sentendosi correre spasimi e brividi entro le vene
all'accidentale scontrarsi pur delle sue vesti ne' panni di
quell'uomo, che tutto le appariva alla mente turbata grondante del
sangue d'Adolfo...
Di tutta la notte che seguì non parlarono mai, non chiusero mai
l'occhio nè l'un nè l'altra; passarono crudelissime ore orrendamente
lunghe. Gina teneva gli occhi sbarrati, privi d'ogni espressione che
non fosse un alto terrore; e il volto pareva, ad ogni minuto che
trascorresse, incavarsele, spallidirsi vieppiù, improntarsi dei segni
della morte.
Nel suo interno succedeva un dolorosissimo e strano travaglio. Il più
forte sentimento, il solo anzi a tutta prima, in lei, era stato
l'orrore, quindi era venuto a pareggiarlo, se non a sopravanzarlo,
l'odio. Oh! se quell'uomo che le aveva detto «io ho ucciso il tuo
Adolfo» ella avesse potuto vederlo cadere fulminato ai suoi piedi! Oh!
se avesse potuto versar sangue per sangue, rispondere con delitto a
delitto! Nel caos turbinoso di pensieri che con tormentosa ressa le
avevano assalita e posta sossopra la mente, anche quest'esso ci venne
e ci stette chiaro e distinto un po' di tempo. Ma le idee s'erano
tosto siffattamente scombuiate nella sventurata, che più niuna
distinta vi ci rimase. Nel suo capo si fece come un vuoto, ma il quale
pure era un importabile dolore. Non sapeva più di niente, non pensava
più niente, non si ricordava più nemmanco, la misera: solo soffriva e
sentiva di soffrire immensamente. Quindi questo immenso spasimo poco a
poco prese una nuova tinta, e si congiunse ed anzi fu predominato da
un immenso terrore.
Orsacchio pigliava nella mente esagitata di lei le proporzioni
colossali d'un mostro; esso le tornava come qualche cosa di più tristo
e di più feroce di quel che uomo esser possa. Lo stesso mistero del
destino ch'egli le preparava, l'incognita meta a cui erano diretti, le
riuscivano di maggiore spavento che non una realtà cui si trovasse
dinanzi, per quanto crudele la fosse.
Questo alto terrore cresceva nella povera donna ad ogni momento. Le si
affannava il respiro, le si smarriva il senno, le mancava il cuore. Ad
ogni mossa dell'uomo che le stava accanto, ella si riscuoteva in
sussulto. La era sempre nello stato doloroso di chi sia per isvenire,
e non isveniva pur mai. Oh! almeno avesse potuto perdere i sensi!
Avesse potuto morire!
Orsacchio, prima del duello con Adolfo, annunziando alla moglie la
partenza per la sera, le aveva detto sarebbero andati alla campagna.
Ma quello non era il suo proposito. Egli voleva togliersi ad ogni
conseguenza che potesse nascere dall'uccisione del Cioni; voleva
condurre la moglie là dove nessuno più potesse frammettersi tra lei e
la sua vendetta. Correva le poste diretto all'estero: il suo viaggio
era una fuga.
Non si fermarono che a mezzo il giorno successivo alla partenza. Nè
all'uno nè all'altra l'interna passione lasciava sentire la fatica.
Scesero al meschino albergo d'un piccolo villaggio fuor di mano.
Orsacchio non avea voluto viaggiare per le vie ferrate, dov'è
impossibile esser soli e non esser visti, ed aveva scelto strade non
frequentate per incontrare meno gente. Saltò giù dalla carrozza egli
primo. Per quanto facesse forza a sè stesso, gli eventi del giorno
innanzi e quella lunga notte avevano stampato sul suo volto certi
segni ch'e' non valeva a nascondere. Si volse all'interno della
carrozza e porse a Gina la mano, per invitarla ed aiutarla a scendere.
Essa lo guardò spaventata, e con raccapriccio trasse indietro le sue
mani e sè stessa.
--Scendete! disse il marito in tono basso, ma imperioso e concitato.
E le presentò nuovamente la destra.
Gina mosse le labbra livide per parlare, ma non uscì suono alcuno
dalla sua bocca; fe' cenno cogli atti egli si scostasse, la lasciasse,
sarebbe discesa da sè.
Orsacchio si pose dallato allo sportello. La povera donna, radunò
tutte le forze che le rimanevano, si spiccò dal posto in cui stava
accasciata, e discese. Appena il marito ebbe veduto alla più piena
luce i guasti dello scarno viso di Gina, le si fece innanzi per
toglierla agli sguardi d'ognuno.
--Abbassate il vostro velo, diss'egli, e come la misera indugiava,
forse non avendo neppure capito, Orsacchio prese ratto il velo scuro
che pendeva all'indietro dal cappello di lei, e glielo calò innanzi al
viso.
--Venite: soggiunse additandole la porta della locanda, sulla cui
soglia l'oste stava facendo de' grandi inchini per accoglierli.
Gina si provò a camminare, ma le gambe si rifiutavano all'ufficio
loro; Orsacchio passò una mano sotto il braccio di lei a sorreggerla:
a quel tocco un raccapriccio scosse tutti i nervi dell'infelice, le
forze le tornarono di subito; si sciolse bruscamente e disse con una
certa forza:
--Vado... vado.
--Una camera: comandò il marito all'oste entrando; ci fermeremo due
ore.
Quando furono soli, rinchiusi in una stanza della locanda, per la
povera Gina fu peggio ancora. Si sentiva come affatto disgiunta da
tutto il mondo e in balìa assoluta dell'odio di quell'uomo; trovavasi
press'a poco come l'agnella serrata nella gabbia con una tigre, che
s'aspetta ad ogni momento essere sbranata. In sè stessa voleva pure
riagire contro quello spavento che pareva quello d'una rea cui
vincesse il rimorso, mentre, fuorchè d'un affetto purissimo fin dalla
prima giovinezza entratole in cuore, ella di nulla poteva
accagionarsi; ma pure invano cercava sollevar l'animo a un po' di
coraggio: sentiva sempre più venirle meno ogni forza.
Gina s'era lasciata andare sulla prima seggiola che le era capitata,
rimanendo vestita così appunto come essa era, senza nemmanco levare il
velo che la mano del marito le aveva poc'anzi abbassato sulla faccia.
Orsacchio le si pose innanzi fulminandola collo sguardo feroce, e con
una barbara gioia, con un'ironia spietata le disse:
--L'avete udito?... ve l'ho detto io stesso, signora..... Adolfo Cioni
è morto ieri sera..... Morto d'una palla di pistola che gli ha
attraversato il cuore. Che peccato eh! che disgrazia!... Egli era pure
più giovane di me... oh assai più giovane... e più bello di me... oh
assai più bello, non è vero? Ed io sono qua vivo e sano per vivere chi
sa fin quando... non vi fate lusinghe su questo punto, chè conto
invecchiare di molto... Adolfo invece è steso nella bara... a questo
momento gli salmodieranno gli uffici de' morti... stassera gli faranno
la sepoltura... Mi par di vederlo... bianco bianco... le sue belle
chiome nere scomposte... Aveva delle belle chiome il leggiadro
giovine...
Nel dire queste scellerate parole, pareva al trist'uomo di godere
un'orribile gioia, gli sembrava di gustare ardentissima la voluttà
dell'odio e della vendetta. E' teneva fiso lo sguardo sulla donna per
coglierne ogni menomo trasalto, ogni mossa, ogni mostra di dolore,
onde apparisse ch'egli feriva proprio nel vivo il cuore di quella
sventurata. Essa dapprima udiva paziente, sommessa, quasi avvilita. Od
udiva ella veramente? Quelle parole piuttosto le ronzavano penosamente
all'orecchio senza che le capisse; producevano sì un accrescimento di
tortura in lei, ma traverso la confusione di tutto il suo essere non
giungevano pur tuttavia a far apprendere chiaro e preciso il loro
senso all'intelletto sconvolto dell'infelice.... Ma ci giunsero alla
fine. Allora tutto quello che c'era ancora in lei di forza e di vigore
si ribellò contro cotanta infamia; ella sorse con nobile impeto, levò
il velo e mostrò lo scarno volto colorito di viva fiamma, e l'occhio
incavato ebbe un lampo di indignazione violenta.
Tese vivamente una mano verso il marito con tanta imponenza che questi
ne troncò il suo dire. Fece un passo contro di lui, e parve pensare
quale arma migliore dovesse scegliere ad opporre a quella con cui egli
la veniva trafiggendo, con qual più acconcio colpo rispondere ai colpi
di lui; ma la trovò di botto e con accento animato e con ineffabile
scoppio d'amorosa passione, esclamò:
--Ebbene si, Adolfo, l'ho amato... più che ogni cosa al mondo... e lo
amo... e l'amerò sempre... sì l'amo anche morto... il suo cuore vive
nel mio, il suo spirito è qui meco... Io lo vedo e gli parlo... T'amo,
Adolfo, t'amo!... Uccidetemi, io l'amo.
Per Orsacchio fu come, in una lotta, per l'atleta che ad un nuovo e
più vigoroso assalto dell'avversario dapprima cede e indietreggia, poi
tosto, ripresa nuova lena, si rifà più ardimentoso e più accanito alla
pugna. Gli si erano allividite e contratte vieppiù le sue guancie, e
il suo sguardo non aveva potuto reggere a quello avvampante di Gina;
ma il furore in lui non era stato tardo a sovraggiungere, si slanciò
su di lei, la afferrò alle braccia, le serrò i polsi e scuotendola
senza un riguardo, ruggì, accostando a quello di lei il suo volto
terribilmente impresso dall'ira:
--Sciagurata! sciagurata!
La donna, per un istante, pensò a resistere. Ebbe l'ardimento
d'incrociare il suo con lo sguardo furibondo di lui; ma non potè
oltre, tutta la sua forza ella aveva esaurita in quel momentaneo
slancio. Nel sentirsi stringere da quelle mani ch'essa la sera innanzi
aveva vedute rosse di sangue, e di qual sangue! le nacque tale un
orrore che per poco non ne perdette gli spiriti. La si gettò
all'indietro, si accasciò su sè medesima, gettò un grido di spavento
disperato e con voce arrangolata dallo spasimo, esclamò:
--Misericordia! misericordia!... Oh abbiate compassione di me!...
Ella pendeva colle braccia tese, non sostenuta che dalla ferrea morsa
delle mani d'Orsacchio che le facevano lividi i polsi; egli incombeva
sovr'essa, a mezzo chinato, improntata la faccia della più ria
ferocia. Stette così un poco, mentr'ella si dibatteva sotto di lui
nelle convulsioni della paura, poi la ributtò villanamente, ed ella
cadde come corpo morto sul suolo.
Orsacchio incrociò le braccia al petto e la sogguardò un istante in
silenzio con un satanico ghigno.
--Alzatevi: diss'egli poi duramente.
Gli scotimenti che facevano trasaltare tratto tratto il corpo di Gina
mostravano ch'ella era in sensi; ma tuttavia la non si mosse, nè
accennò in alcun modo aver udito.
--Ah! voi l'amate, voi l'amate anche morto: ripigliava quel feroce:
sta bene; siate pur lieta e superba del vostro infame amore. Vorrei
aver potuto portar meco quel cadavere e gettarlo fra le vostre braccia
amorose e dirvi: «Eccovi il vostro drudo, abbracciatevelo...» Vorrei
potervi rinchiudere con esso, perchè ne aveste sempre innanzi agli
occhi la bara, come ne avete nella memoria il pensiero.... Udite
intanto com'egli sia morto. Ciò vi vorrà dare diletto non poco.
E l'iniquo, curvo sulla caduta, si pose a raccontarle divisatamente,
con una lentezza crudele, tutto l'orrendo fatto: la provocazione sua,
i rifiuti d'Adolfo, gli oltraggi a cui egli dovette ricorrere per
obbligarlo ad impugnare un'arma; le descrisse il terribil momento in
cui i due rivali stettero a fronte la pistola appuntata al petto l'un
dell'altro, il colpo, il subito imbiancarsi della faccia d'Adolfo, il
gemito di lui, il cadere... E' pareva compiacersi con orribil diletto
nel minutamente esporre ogni cosa: era per lui come un trovarsi
nuovamente a quell'atto, un uccidere di bel nuovo l'odiato rivale. I
suoi detti cadevano fieri, spietati, incisivi sulla povera donna. Ella
nel delirare del suo spirito intenebrato, non li capiva bene del tutto
quelli accenti, ma li sentiva piombare dolorosissimi sull'anima. La
era come il misero condannato alla flagellazione, il quale, dopo un
certo numero di sferzate, più non sente quasi il batter della verga
sulle lacere carni, ma ne sente al cuore più doloroso e più
intollerabile il colpo.
Quand'ebbe finito il suo racconto, quando ebbe così un poco sazia
quella esecranda sete d'odio e di male che lo rodeva, Orsacchio si
chinò verso la moglie giacente tuttavia, e guardò s'ella fosse
svenuta. Gina avea gli occhi larghi, stupiditi, riarsi, senza una
lagrima, senza lume più d'intelligenza.
--Su via, alzatevi: disse l'uomo.
Ella non mostrò avere inteso.
--Alzatevi: ripetè più villanamente il marito, urtandola col piede.
Gina non si mosse.
Un passo d'uomo pel corridoio dell'albergo s'accostava all'uscio di
quella stanza.
Orsacchio si curvò vivamente e prese la moglie alla vita per
sollevarla; ma a quel tocco essa tutta si riscosse. Un tremito
generale l'assalse; si rizzò di scatto come per nuova forza entratale
subitamente: si sciolse dalle braccia di lui e corse a riparare
nell'angolo il più rimoto. Colà, gli occhi spaventosamente fuor del
punto, la faccia disperata, i denti che battevano insieme dal terrore,
ella gridò:
--Non toccatemi... non toccatemi!
Il passo s'accostava sempre più.
--Silenzio! intimò il marito andandole incontro minaccioso.
Ed ella, peggio atterrita che prima:
--State in là..... state in là... Aiuto! aiuto!
--Silenzio! ripetè Orsacchio venendole sopra.
L'infelice si rannicchiò tutta nell'angolo, tremando, palpitando,
senza più forza, non che a mandare un grido, ma ad avere il respiro.
Un colpo fu picchiato all'uscio colla nocca delle dita. Orsacchio fu
d'un balzo ad aprire. Era l'oste che veniva ad avvisare i cavalli
essere attaccati alla carrozza e il postiglione già in sella.
--Sta bene: disse Orsacchio; noi scendiam tosto.
Richiuse la porta e si riaccostò a Gina. Gli occhi e la guardatura
della misera erano quelli di un dissennato. Le riabbassò il velo
innanzi al volto, le fe' cenno d'avviarsi ed essa obbedì; le fece
scendere le scale, la invitò a salire nella carrozza ed essa ci montò,
ma schivando di toccar la mano ch'egli le porgeva; e' sedette presso
di lei, e fu ripreso il viaggio.
Qualche tempo essi dimorarono in un riposto casolare della Svizzera.
Che vita fosse quella dell'infelice donna, immaginatelo voi. Vivevano
affatto soli, ella ed il suo carnefice, segregati dal mondo; ed ogni
ora, ogni istante era un tormento per lei. Nel farla soffrire cotanto,
il crudele marito soffriva ancor egli; ma questi patimenti a lui erano
cari, si facevano ogni dì più una necessità dell'anima intristita.
Ma il cielo ebbe pietà della misera Gina. Le tolse a poco a poco la
ragione.
Allora alcuna ora di riposo, anche di bene, le fu concessa. Anzi tutto
Orsacchio si atterrì la prima volta ch'ei fu chiaro di questa tremenda
verità. Parve anche a lui un momento che la sua vendetta fosse ita
tropp'oltre: ebbe del suo fatto come l'ombra di un rimorso. Inoltre,
quella donna, cui egli ferocemente godeva di straziare, per uno di
que' strani misteri che ha il cuore umano, egli insieme odiava ed
amava più che non l'avesse amata mai prima. Temette morisse, e questo
pensiero gli fu dolorossisimo; lasciò che all'infelice non venisse più
altro tormento da lui fuor quello della sua vista e della sua
presenza. Poi la pazzia, che ad intervalli assaliva la sventurata, non
sempre le recava penose fantasie e tristi vaneggiamenti. Alcune volte
ella si credeva fanciulla ancora, libera di sè, lieta, amante ed
amata, e in isplendide, dilettose visioni, le appariva più bello, più
caro, più amoroso il suo Adolfo a vagheggiarla, a sorriderle, a
susurrarle incantevoli parole d'amore. Allora fra l'uomo e la donna
rimanevano scambiate le parti, e questa diventava involontario
tormentatore, e quegli soffriva i più acuti spasimi d'una gelosia da
non potersi dire. Invano tentava egli rompere quei sogni dilettosi e
trarre la riconfortata donna nella tristizia della realtà; la
dissennatezza era più potente di lui, ed ella, non turbata punto,
continuava il suo cantico d'amore e le sue felici visioni. Dopo queste
benefiche crisi, Gina cadeva in una mestizia profonda, ma mite, che le
concedeva per giorni parecchi sfogo d'abbondevolissime lagrime. Era
ciò che la teneva in vita.
Di quando in quando, per contro, l'assalivano smanie tormentosissime,
e delirii, e convulsioni che erano una compassione e uno spavento a
vedersi. Era durante uno di siffatti assalti del male che abbiam visto
Anna introdotta presso di lei. In quei momenti la vista del marito le
tornava assolutamente incomportabile; un vigore straordinario, una
febbrile vivacità la occupavano; i deliri della sua mente si
traducevano in fiotti tumultuosi di parole insensate, confuse, in
grida, in ispasimi di contrazioni quasi epilettiche, in isvenimenti da
ultimo. Voleva uccidersi, chiamava con angosciose supplicazioni la
morte. Succedeva poi un abbattimento, una prostrazione in cui completa
era in lei la conoscenza delle sue condizioni, e tornava in tutta la
sua forza il terrore che le ispirava il marito.
Trascorsi parecchi mesi, Orsacchio pensò di tornarsene celatamente in
patria, e di trovarci un ripostiglio in cui nascondersi così bene che
nessuno mai più avesse il menomo sentore de' fatti loro. E ciò era
facile ad ottenersi. Gina non aveva parenti che lontani, i quali, dopo
accasatala, non s'erano più dato il menomo pensiero di lei, e ch'ella
esistesse o no, non si curavano punto. Egli aveva rotto col mondo ogni
attinenza, ed il mondo oblia sì presto quelli che lo abbandonano!
Per maggior cautela cambiò nome, e prese le mosse per tornare in
Piemonte. Gina s'era assuefatta alla dimora in quel pulito casolare
svizzero e alla bella campagna che lo circondava. Come quella che in
alcuna persona viva, fra le poche ond'era accostata, non poteva più
mettere amore, l'anima della povera insensata aveva posto un certo
affetto a que' luoghi, a quel cielo, a quelle aure. Per costringerla a
dipartirsene ce ne volle e di molto. Orsacchio dovette impiegare tutta
la tremenda autorità che gli davano su lei lo spavento e l'orrore
ch'ella ne sentiva. La decise a spiccarsi di là, e la tenne quieta e
sottomessa lungo il viaggio colla pressione continua delle sue
minaccie e con certe tremende parole che, ricordando il passato,
andavano dritto, traverso alla sua follia, sino all'anima della
poveretta.
Orsacchio non iscrisse a nessuno, non commise ad alcuno di cercargli
il suo ricovero: volle far tutto da sè. Condusse la moglie in una
città dove non potessero essere conosciuti da anima viva; e colà,
visto sugli annunzi dei giornali l'_appigionasi_ della villetta di
Valnota, ch'egli sapeva in luogo montagnoso e solitario quant'altro
mai del Piemonte, si recò difilato dal proprietario a trattarne
l'affitto.
Marone, dalle informazioni che gli furono chieste intorno alla casa ed
alle vicinanze, dalla figura del pigionante, dalla facilità medesima
di accettare ogni patto, capì che c'era lì sotto un mistero, e ne
trasse partito per rincarare l'affitto. Orsacchio acconsentì
all'esorbitanza del prezzo dimandatogli. Abbiamo udito dall'ortolano
di che modo egli giungesse e si stabilisse nella villetta, come la
moglie da principio non ci volesse stare, ma poi a poco a poco vi si
acconciasse, come durassero sempre in Gina le vicende di umori lieti e
tristi, interrotte di quando in quando da qualcuna di quelle crisi
tremende, durante le quali il marito era costretto ad allontanarsi e
la moglie di Matteo soltanto poteva accostare la inferma.
Ultimamente abbiam visto l'infelice donna sentirsi attirata di subito
da una simpatia che era in lei come un istinto, verso di Anna, che il
caso soltanto le aveva menato daccosto.
Ora vediamo un poco quei due bravi e generosi cuori, Vanardi e Selva,
che cosa pensassero di fare in pro della sventurata, di cui avevano
finalmente scoperto l'esistenza e il ricetto.


XXIII.

Giusta il comune avviso di Antonio e di Giovanni, il liberar Gina
dalle mani del fiero marito era la prima e la sola cosa da farsi.
Conveniva a quest'effetto, anzi tutto, assicurarsi, senza possibile
errore, che quella di cui l'ortolano aveva loro parlato si fosse
propriamente la Gina cui essi cercavano, esaminare cogli occhi propri,
per quanto potesse loro venir fatto, come stessero le cose, e poscia,
se occorreva, ricorrere alle autorità e chiamare sulla misera donna la
protezione della legge.
Determinarono adunque i due amici, che il domani, che era un lunedì,
sarebbero partiti ambidue per alla volta di Valnota, e là governatisi
secondo l'occasione e i luoghi e le circostanze avrebbero loro
consigliato e concesso; e siccome Selva per ragione de' suoi impegni
non era libero tutta la giornata, stabilirono di partire al
pomeriggio, di fermarsi colà la notte e tornarsene il mattino
successivo.
Ma se per Giovanni v'era l'impedimento dei suoi affari a restar fuori
un giorno intero, il buon Antonio, che non aveva codesto, e l'avrebbe
voluto avere, si trovava impacciato da un altro ben più grave e più
assoluto che è facile ad indovinarsi; il manco di denari. Essere del
tutto a carico dell'amico gli rincresceva troppo, avendo da lui avuto
sì generosi soccorsi, e parendogli che Selva facesse assai più di
quanto gli toccava a metterci la sua parte in quel viaggio, egli che
non aveva vista neppur mai la persona di cui trattavasi e che non
aveva con lei altra attinenza fuori della compassione d'un cuor