La carità del prossimo - 08
facile fosse d'accordo col signor Orsacchio che non altro; ad ogni
modo egli ci avrebbe riflettuto su di meglio, e guardato se c'era
possibilità alcuna d'averne un filo da potersi guidare, essendo che
stimava doverosa carità d'ognuno, e tanto più di Antonio che era stato
amicissimo dello sventurato amante di quella donna, il venire in
soccorso della infelice, non d'altro rea che d'un innocente amore
natole in cuore prima ancora che a forza le si facesse sposare un uomo
indegno d'ogni affetto.
X.
Vanardi uscì dalla casa di Giovanni col cuore più leggiero e col
taschino un po' più pesante. Quei tre napoleoncini, nella sua assoluta
miseria, gli parevano poco meno che un tesoro. Camminò verso il suo
quartiere con la testa più alta e il passo più ardito. Siccome voleva
comprare per la famiglia pane, companatico e vino, pensò con qualche
solletico di superbia di andare ad abbacinare il fornaio, il canovaio
e il salumiere, suoi inesorabili creditori che dubitavan di lui, collo
splendore dei marenghini nuovi che si faceva ballare in tasca con
intima compiacenza. Ma quando già era presso alle botteghe di que'
suoi creditori, si fermò ad un tratto per un nuovo, più saggio avviso
sopraggiuntogli. S'egli mostrava a quei cotali di possedere del
denaro, essi avrebbero preteso tanto più istantemente di venir pagati
dell'aver loro, e Antonio non ne aveva abbastanza da pagarli
compiutamente; e poi, se avesse loro dato quel po' di moneta che
doveva alla carità dell'amico, in che modo il giorno di poi avrebbe
provveduto al mantenimento de' suoi?
Si recò in fondachi dove non era conosciuto, e quando ebbe fatto
compra di ciò che desiderava corse tosto verso casa sua. Per fortuna
questa volta niuno de' suoi creditori era fuori a vederlo passare.
Antonio si stupì forte di non iscorgere neppure dietro i cristalli
dell'uscio il naso appuntato dello speziale. Corse su fino in cima
della casa, pieno di buona voglia e di buon umore, e si trovò in
faccia ad un tremendissimo ingrognamento della signora Rosina.
Costei, liberatasi da messer Agapito, aveva pensato che cosa le
convenisse di fare, se dire o tacere al marito l'insolenza del
farmacista; e la prudenza, e insieme l'affezione che aveva per Antonio
l'avevano persuasa ad abbracciare l'ultimo dei due partiti, e salvare
così il suo uomo da un dispiacere, ed anche dalle triste conseguenze
che avrebbe potuto fruttargli la collera cui egli non avrebbe mancato
di abbandonarsi contro lo speziale. Ma il silenzio era pur grave alla
ciarliera donna, che non aveva mai avuto sì bell'argomento di
chiacchiere da non finire! Era per essa un vero supplizio, e senza
manco averne coscienza, si sentiva stizzita contro il marito a cui
cagione vi si era determinata. E poi, neppure contro quello sfacciato
di messer Agapito ella non aveva potuto sfogare tutta la bizza che
glie n'era venuta, e bisognava bene che verso qualcheduno la si
procurasse un supplemento di sfogo, se non voleva correre il pericolo
di schiattarne. Incominciò coi figliuoli; e l'improvvido marito giunse
giusto in tempo a prenderne la parte sua.
Rosina era seduta al suo solito luogo, coi suoi soliti panni
d'intorno, occupata al suo solito lavoro; ma solo a vedere il modo
brusco e violento con cui ella tirava i punti, s'indovinava il
temporale che c'era in quell'anima. I bambini, la cui turbolenza era
stata frenata da qualche cosa di più grave che un ammonimento, stavano
aggruppati in un angolo rasente il muro, e facevan greppo in silenzio,
guardando di sottecchi non senza timoroso sospetto la mano della mamma
che andava e veniva nella sua opera con vivacità febbrile.
Antonio, entrando, salutò allegramente, ma la moglie non se ne diede
per intesa.
--Mentre io era fuori, domandò egli, è venuto qualcheduno a cercarmi?
Rosina crollò le spalle, e un punto tirato con più violenza stracciò
il filo.
--Maledetto! diss'ella con rabbia.
--Che? esclamò il marito volgendosi a guardarla con qualche stupore:
con chi ce l'hai?
--Col fistolo che ti colga.
--Grazie!... Ne siamo alle solite gentilezze?
Rosina infilò l'ago e si rimise a cucire canterellando in mezzo ai
denti una canzoncina arrabbiata.
Antonio che si levava dalle tasche del soprabito con precauzione,
l'una dopo l'altra, due bottiglie di vino e le posava sulla tavola, si
rifaceva a domandare:
--Non è dunque venuto nessuno?
--E chi vuoi tu che ci sia venuto? rispose con impazienza la moglie, a
meno che non fosse qualche creditore per farsi pagare.
--Non parliamo di melanconie, per carità: esclamò Antonio, che trasse
di saccoccia un bell'involto di grossa carta azzurra da cui emanava un
confortevolissimo odore di salame, e lo pose sulla tavola vicino alle
bottiglie.
I bambini attratti da quella vista e da quell'odore si venivano
lentamente accostando, gli occhi larghi.
Antonio trasse ancora da quelle sue benedette tasche quattro pagnotte
o le mise ancor esse sulla tavola.
--E Giacomo non è venuto per caso a far la risposta della commissione
che gli ho data?
--Ti dico che non è venuto nessuno: ripetè con maggiore impazienza la
moglie: oh che sei sordo?
Allora la si degnò di fare attenzione ai preparativi di pasto
luculliano che il marito aveva disposti sopra la tavola.
--Che cosa è ciò? Dove hai tu presa tutta codesta roba? Te l'hanno
ancora data a credito?
--Oibò!.... L'ho pagata bravamente con quibus sonantibus.
E fece saltare il resto dei denari che aveva ancora in tasca.
La Rosina meravigliata allargò tanto d'occhi.
--Che? esclamò, come non potendo credere a tanto miracolo, del
denaro!... Come te lo sei tu procurato?
--Lo devo a quel bravo Giovanni, a cui non ho potuto tacere le mie
angustie.
Rosina smise alquanto del suo tono scontroso.
--Ah, quello è davvero un buon amico!
--Puoi dirlo sul sicuro.... Non solo mi ha soccorso di metà dei denari
che aveva presso di sè, ma si adoprerà in mio favore, e spero che sarà
efficacemente, per farmi ottenere un impiego....
Rosina gettò via dalle sue falde il lavoro a cui stava occupata e si
alzò sollecita, interrogando con molto interesse:
--Un impiego?... Possibile?... Quale?
Il marito le comunicò il progetto di Selva di farlo entrare negli
uffizi dei banchiere ricchissimo che avea nome Bancone, e i mezzi che
voleva usare per ciò. Il mal umore della donna si dileguò quasi per
l'affatto a codesta notizia.
--Avremo per lo meno il pane quotidiano assicurato: esclamò essa
lietamente; se pure tu saprai conservarcelo: soggiunse con un residuo
di acerbezza.
Vanardi mandò un grosso sospiro di pena e di rassegnazione.
--Lo saprò, diss'egli, ed alla mia povera arte, darò un addio....
--E fosse eterno! interruppe vivamente la Rosina.
--Papà; entrò opportunamente in mezzo il primo de' bambini con queste
parole: ho fame... Non vuoi darmi di quella buona roba che hai
portato?
--È giusto: disse il padre riscuotendosi; non mi manca l'appetito nè
anco a me. Non pensiamo ora a melanconie e godiamo di questo ben di
Dio che la sorte ci manda.
Anche la moglie trovò questo partito il migliore che fosse, perchè si
diede le mani attorno a preparare il desco, e fu così sollecita, che
due minuti dopo tutta la famigliuola era seduta intorno al mantile non
nuovo, nè fino, nè di bucato, e mangiavasi coll'appetito di gente che
si è preparata al pasto con lungo digiuno.
Il malumore della Rosina era sparito del tutto; e quella buona gente
godeva un istante di tranquillità e d'allegrezza in mezzo alle loro
traversie, obliando i travagli passati, le minaccie presenti,
lusingandosi nelle speranze che trasparivano nell'avvenire.
Quando più vivamente erano occupati nelle delizie del loro pasto e in
quelle dei castelli in aria che venivano sognando a gara, due picchi
all'uscio d'entrata annunziarono un visitatore.
--Chi viene adesso a seccarci? disse con malavoglia impaziente la
Rosina.
--Ch'e' sia il figliuolo della portinaia che ci rechi la risposta di
mio zio! esclamò Antonio a cui una nuova speranza venne a balenare
alla mente.
--Uhm! fece la moglie movendo il capo con atto che dinotava
partecipare ella assai poco in questo argomento la speranza del
marito. Avrà egli risposto tuo zio?
--Avanti: gridò Vanardi verso l'uscio; e questo, aprendosi pian piano,
lasciò scorgere la faccia melensa di Giacomo.
--Vedi se l'ho indovinata! esclamò con vivezza di buon umore Antonio,
in cui la concepita speranza si era di subito ingrandita ed afforzata.
Avanti, avanti, mio bravo Giacomo. Voi siete stato a portare quella
lettera?
--Sor sì: rispose avanzandosi il giovane, i cui stupidi occhi si
fissavano con manifesta ed ingenua cupidigia sui commestibili e sulle
bottiglie che stavano sul desco.
--Oh che bravo figliuolo! soggiungeva il pittore. Vi ringrazio
tanto... E mio zio ce l'avete trovato?
--Sor sì: ripeteva il figliuolo della portinaia non istaccando l'avido
sguardo dal salame e dal prosciutto affettati che mandavano un
solleticante odore dai piatti di maiolica in cui erano stati
ordinatamente disposti.
--Va benissimo: disse Antonio. Voi ci direte per filo e per segno
com'è andata la cosa. Prendete una seggiola... Quella appunto... Non
impugnatela per la spalliera che la traversa vi resterebbe in mano...
Venite a seder qui presso di me... Lì!... Piano e con precauzione,
ve', perchè la è un po' scassinata... Così... Ed ora parlate.
--Sor sì... Auguro loro buon appetito...
--Grazie.
--Anche a lei, madama.
--Grazie tante.
--A proposito, disse Antonio che era di carattere il più largo e
generoso, bereste una volta con noi?
Giacomo chinò la testa fra le spalle, fece boccuccia, mando giù la
saliva e lo sguardo disse chiaramente quanto ciò gli sarebbe stato a
grado.
--La ringrazio... Non vorrei scomodarli.
--Niente affatto. Ecco qui il bicchiere di Tonietto... I bambini
beranno in quel della mamma... Assaggiatemi questo poco; ciò vi vorrà
sciogliere lo scilinguagnolo.
E mescette un buon mezzo bicchiere, che Giacomo tracannò senz'altre
cerimonie.
--Dunque a noi: riprese Vanardi; siete stato nella bottega di mio zio?
--Sor sì... Oh che buon odore ha quel prosciutto lì!
Chi non glie ne avrebbe offerto? Antonio non era capace di far
orecchie da mercante; d'altronde pensava che non potendo dare a quel
giovane la mancia, il fargli parte della loro colazione avrebbe tenuto
le veci di quella, e ne avrebbe suscitato lo zelo per altre occasioni
in cui si avesse ancora bisogno di lui. Offrì adunque a Giacomo di
que' commestibili, che tanto manifestamente gli tiravano la gola; ed
egli, senza farsi punto pregare, si mise di buon animo a mangiare a
due palmenti, con qualche stizza della Rosina, meno generosa che il
marito, la quale invano veniva saettando Antonio di occhiate di
rimprovero ad ogni grosso boccone che faceva l'indiscreto figliuolo
della portinaia.
--E mio zio era egli nel fondaco? gli domandò poi Vanardi che voleva
ridurre il discorso a ciò che gl'importava.
--Sor sì: rispose Giacomo con la bocca piena; da principio, entrando,
ho creduto di no, perchè non ci vidi colà che un garzone seduto dietro
al banco... Se la mi favorisse un po' da bere, signor Vanardi...
Grazie!
Tracannò un bicchier di vino.
--E dunque? disse Antonio per ravviare la narrazione interrotta.
--Dunque mi diressi a quel garzone e domandai se il padrone non c'era.
A queste parole suo zio trasse fuori la testa da quella sua baracca di
bussola dove ci ha lo scrittoio e mi domandò: «che cosa c'è? che cosa
si vuole?» Io trassi di tasca la lettera ch'ella mi aveva data e
risposi: «Questo per lei.» Suo zio si alzò, uscì fuori dal suo
nascondiglio e venne avvicinandosi a me: «Una lettera, disse, chi la
manda?» Gli risposi che era lei. Il vecchio che già aveva tesa la mano
verso di me per prenderla, fece tal quale come se invece d'un pezzo di
carta avesse visto ch'io gli porgeva una vipera; trasse indietro la
mano e sè stesso, ed esclamò: «Mio nipote! Non voglio nulla da lui, nè
lettera, nè altro. Andate al diavolo voi e chi vi manda.»
--Ah! fece Antonio con un sospiro di dolore.
--Ha detto proprio così: continuava Giacomo. Io, com'ella capisce,
rimasi lì in asso, colla mia lettera in mano, che non sapevo più che
cosa dire nè che fare. Suo zio si pose a passeggiare su e giù della
bottega colle mani dietro le reni, borbottando fra sè delle parole che
non capivo e facendo ballare il fiocco della sua berretta con iscosse
di capo che mi sembrava volessero dire che era molto in collera. «Che
cosa fate ancora costì? mi disse dopo un poco, più burbero che mai;
non avete udito che non voglio ricever lettera di sorta di quel
signore?... E ditegli ben chiaro che si risparmi la pena di
scrivermene, chè di lui e delle cose sue in nessun modo non voglio più
sentire a parlare.» Ripetè queste ultime parole, staccando una sillaba
dall'altra e con forza: «Non vo-glio più sen-ti-re a par-la-re! Avete
capito?» Avevo capito benissimo. Rimisi in tasca la lettera e me ne
uscii.
--Oh diavolo! sclamò Antonio col più doloroso disappunto.
--Eh! io l'aveva previsto che sarebbe andata così: disse la Rosina
tornata in tutto il suo malumore di poc'anzi.
--E questa lettera me l'avete dunque riportata? domandò Vanardi che
cominciava a rimpiangere i bocconi ed il vino che ingollava con tanta
voglia quello stupido di Giacomo.
--Un momento, rispose questi: mi lasci dire, chè non ho finito.
--Dunque avanti, corpo di bacco! esclamò Antonio con impazienza.
--Ecco! Avevo fatto appena una cinquantina di passi, quando sento a
gridare di dietro: «Ehi, ehi, quel giovane.» Pensando che si potesse
parlare a me mi volto, e vedo il garzone che correndo mi raggiunse in
breve e mi disse: «Venite, il padrone vuol ancora parlarvi.» Tornammo
insieme nel fondaco. «Sapete voi che cosa mi scriva quel birbante?»
(ha detto proprio così) mi domandò suo zio con voce di collera. Io
risposi che non sapevo di niente. «Date qui quella lettera!» soggiunse
ancora più burbero e sdegnoso. Io glie la diedi: la prese, la girò e
rigirò fra le mani, la spiegazzò quasi con rabbia e poi la gettò senza
aprirla sopra il banco. «Che cosa fate?» mi domandò ruvidamente,
vedendo ch'io non muoveva. «Aspetto la risposta,» gli dissi. «Eh! non
c'è risposta da fare, mi disse di mala grazia; andate pure pei fatti
vostri.» Ero già colla mano sul saliscendi per aprir l'uscio, quando
egli, che pareva cambiare ad ogni momento d'idee, mi comandò brusco
brusco: «Aspettate.» Prese la lettera, entrò in quel suo gabbiotto, e
ci stette forse un dieci minuti e più, non dando altro segno della sua
presenza che di soffiarsi rumorosamente il naso due o tre volte. Poi
venne fuori ed aveva una faccia tutto diversa...
--Era commosso? domandò vivamente Antonio che ascoltava questo
racconto con interesse infinito.
--Quello che fosse non so, ma non pareva più in collera. «Va, mi
disse, e di' a mio nipote che una risposta glie la farò forse tra
poco. Bisogna ch'io ci pensi, ch'io veda, ch'io sappia.... Infine in
un modo o nell'altro gli farò conoscere le mie decisioni.» Aprì egli
stesso la porta ed io me ne venni via, ed ora le ho detto tutto dalla
prima parola all'ultima.
--Grazie, Giacomo: disse Antonio il cui cuore s'era aperto di nuovo
alla speranza: le novelle che mi porti sono migliori di quelle che mi
avevi fatto temere dapprima. Evidentemente lo zio fu tocco dalla mia
lettera; il suo affetto per me non è ancora spento del tutto, e il suo
buon cuore non si può smentire. Vedrai, Rosina, che di quest'oggi
medesimo il padrino si rifarà vivo per noi.
La moglie non aveva così liete speranze, ma non contestava ciò nulla
meno che le apparenze non fossero più favorevoli che per l'addietro.
Bisognava bene far festa a questo più benigno sorriso che regalava la
sorte, e ne pagarono la spesa le due bottiglie, delle quali, per zelo
specialmente di Giacomo, ben presto si vide il fondo.
Ma Giacomo era tutt'altro che avvezzo a simil baldoria, obbligato
dalla parsimonia della madre ad un culto esagerato della virtù della
temperanza. E ciò fu causa che quando egli, dopo essere rimasto nel
quartiere del pittore poco meno d'un'ora, discese nella loggia sotto
il portone era in preda ad una certa vivacità, ad un certo eccitamento
cui non era calunniare soverchiamente il dirlo una mezza cotta.
La portinaia scandolezzata accusò con isdegnose imprecazioni Antonio
di corrompere la savia morigeratezza di suo figlio; e per punire
quest'ultimo d'aver ceduto alle seduzioni del tentatore lo tenne tutto
il dì chiuso in casa, senza che si discorresse altrimenti per lui nè
di pranzo nè di cena.
Vanardi aspettò tutto quel giorno alcuna novella del padrino: ma
invano. Nulla giunse; in nessun modo il droghiere diede segno di vita.
Il domattina Antonio stette in casa fino alle dieci, nella speranza
sempre che da un momento all'altro qualche cosa apparisse. Verso le
dieci fu picchiato all'uscio e il pittore corse con uno slancio ad
aprire: era il signor Martino, giovane dello speziale, che porse ad
Antonio per commissione del suo principale una bustina di lettera
suggellata, che dal peso e dal suono si conosceva contenere monete.
--Se la volesse far grazia di scrivermene una ricevuta: disse Martino.
Antonio dissuggellò tosto tosto l'involtino e ci trovò dentro quattro
righe di scritto sopra un foglio di carta e due napoleoni d'oro da
venti lire. Nel bigliettino Agapito diceva che la somma acchiusa era
maggiore di quel che il pittore potesse pretendere, e quindi non lo
seccasse più.
--Che villano! esclamò Antonio, senza che la presenza del garzone
potesse più frenarlo. E mi manda quaranta lire!... Il miserabile!...
Appena se mi paga i colori.
Voleva rimandargli addietro il denaro; ma pure veniva tanto opportuno!
Rosina che era presente, non avrebbe lasciato passare senza contrasto
un simile dignitoso atto di risentimento; si acconciò a ritenerli e
farne la ricevuta, colla quale il signor Martino se ne andò.
Pochi momenti dopo era un usciere di Giudicatura che veniva cercando
il povero Vanardi, e gli rimetteva in mani proprie parecchi atti di
citazione provocati dal venditore di carbone, dal pizzicagnolo, dal
panattiere.
Antonio guardò quelle carte, sbalordito, come se fossero una sua
condanna di morte. Poi si battè la fronte, prese una subita
risoluzione, si calcò il cappellaccio in testa e con quel po' di
denaro che aveva corse via per ammansare mercè alcuni acconti i suoi
creditori. Un quarto d'ora dopo egli si trovava precisamente nella
florida condizione in cui era il giorno innanzi, cioè senza un soldo
in tasca.
E non era un quarto d'ora ch'egli era uscito di casa, quando bussavano
alla porta del suo alloggio, e dietro invito di Rosina vi entravano il
signor Marone ed uno sconosciuto.
XI.
La sera medesima del giorno in cui Vanardi aveva parlato a Selva,
questi con sua moglie discese in casa il signor Biale, come usava due
o tre volte la settimana, per farvi insieme la vegliata.
Il capitano e sua figlia Lisa stavano in un modesto ma pulito salotto,
in cui la tappezzeria e le masserizie mostravano, se non la ricchezza,
certo il buon gusto ed il buon governo.
Un allegro fuoco fiammava nel caminetto alla _Franklin_, e, sedutovi
presso su d'una poltrona coperta di cuoio color tané, il signor Carlo,
i piedi appoggiati al paracenere, la persona avviluppata in una vesta
ovattata, leggeva attentamente un volume della _Storia militare del
Piemonte_. Vicino a lui era un tavolino da una gamba sola con tre
piedi e sopravi una lampada col coprilume di carta verdescuro
all'infuori, che rifletteva la luce in un ristretto cerchio
tutt'intorno, lasciando nella penombra il rimanente della stanza.
Dall'altra parte di quel tavolino sedeva la moglie di Pannini; aveva
il suo cuscinetto da lavoro sulle ginocchia e cuciva.
Giovanni Selva nel dipingere a Vanardi l'antico capitano, Carlo Biale,
non aveva detto che la verità. È una figura che a prima vista vi
ispira confidenza e v'impone rispetto; una di quelle figure oneste,
aperte, gravi, le quali, solamente ad incontrarle, vi fanno provare
una certa soddisfazione e, nel contemplarle, vi fanno inorgoglire
d'essere della loro razza.
Lisa, sua figlia, ha diciott'anni. In punto a bellezza non uscirebbe
dalla mediocrità, s'ella non possedesse nello sguardo, nel sorriso,
nell'espressione delle sembianze, nell'aria del volto una quasi direi
malìa, la quale a chi l'accosta, a chi specialmente le parla, fa
ch'ella sembri la più bella, od anzi meglio, la più cara donna del
mondo. È l'eccellenza della sua anima eletta che si manifesta di
quella guisa e dolcemente comanda in una l'ammirazione e l'affetto.
Tenuta a battesimo dalla marchesa di Campidoro, fu fino agli ultimi
tempi carissima alla gentildonna, la quale il più spesso possibile,
fin da quando Lisa era bambina, la voleva seco; ed ella nel domestico
e frequente praticare in casa l'aristocratica famiglia, senza pur
volerlo, senza pensarci, senza accorgersene menomamente, aveva attinto
un'eleganza, una distinzione, una squisitezza di maniere che
meravigliosamente bene s'accordavano colla sua nativa gentilezza,
cortesia e bontà. Ella è di umor lieto ordinariamente, benigno sempre.
Amorevole qual'è, si compiace nelle mostre di affetto, nelle tenere
cure, nelle ufficiose attenzioni agli oggetti dell'amor suo: il padre
ed il marito. Poichè ebbe sposato l'amato giovane, Lisa fu pienamente
felice; visse in questa terra come in un paradiso; e la sua gioia
cotanta, nei primi tempi da cosa nessuna turbata, lasciò manifestarsi
nella rosea freschezza delle guancie, nel brillare degli occhi vivaci,
nella schiettezza del perenne sorriso, nell'allegre canzoni, nella
medesima alacrità posta ai quotidiani uffizi del domestico governo.
Però da alcun tempo quella sua tanta allegria era sminuita; la sera di
cui dico, sulla fronte di lei e sul volto avreste detto essere disteso
un velo che ne faceva meste le sembianze. Non era già un dolore, ma
una melanconia; meglio ancora era una preoccupazione non esente da
inquietudine. Un poco essa lavorava sbadata, a rilento, visibilmente
col pensiero ad altre ben diverse cose, un poco pareva rientrare in sè
s'affrettava, s'affrettava nel suo trar d'ago: tratto tratto i suoi
occhi neri ed espressivi si levavano dal lavoro e si rivolgevano
intenti, non senza una specie d'ansietà, verso l'uscio che menava alla
vicina stanza coniugale, in cui s'udiva un passo d'uomo che di quando
in quando si muoveva e un aprire e richiudere di cassetti e uno
spostar di mobili.
Di quando in quando il padre levava il suo serio e sereno sguardo
dalle pagine del libro e lo faceva guizzare verso la diletta
figliuola, ed era allora sollecita la buona Lisa a richiamare sulle
sue fattezze la usata espressione di tranquilla e beata ilarità, ed a
fare che l'occhio paterno incontrasse il più lieto di lei sorriso;
imperocchè ella avrebbe voluto fare ad ogni modo acciocchè il segreto
turbamento che era in lei non apparisse allo sguardo amoroso e
perspicace del padre.
Di cotal turbamento che da alquanto tempo la possedeva, era cagione il
marito, il quale, benchè amoroso e carezzevole sempre, pure aveva da
parecchi giorni qualche cosa di nuovo e di strano nei suoi contegni,
che dava mille indefinite paure alla Lisa.
Il primo lievissimo velo di nube che costei aveva visto salire sul
sereno orizzonte della sua felicità coniugale era provenuto da quella
sciocca ambizione di sfoggio che Gustavo pareva avere ereditata dal
padre e dal nonno. Vedutolo sopra pensiero alcune volte, la giovane
moglie l'aveva interrogato con ansioso affetto, timorosa che alcun
cruccio ne angustiasse l'anima, ed aveva scoperto con dolorosa
meraviglia come a lui non bastasse per essere felice la fortuna di
quel tanto e spartito amor loro ed invidiasse nel profondo del cuore
le distinzioni sociali, gli sbarbagli della ricchezza di cui godevano
altri nel mondo. Rimproverato amorosamente dalla giovine donna, perchè
potesse ad altro ancora rivolgere il pensiero e il desiderio, che
l'amor loro non fosse, quando la Provvidenza era stata così pietosa
per essi da conceder loro sì fortunata sorte, Gustavo aveva risposto
che non tanto per sè andava egli desiderando la ricchezza e i suoi
vantaggi, quanto per lei, sua diletta sposa, che avrebbe voluta la
prima in tutto e per tutto e la più ammirata dovunque.
--Ma ciò, soggiungeva egli tutto infervorato, sta pur certa che
avverrà senza fallo, o ch'io perderò il nome. Voglio mettere ai piedi
della mia bella Lisa una fortuna principesca; e quando io voglio una
cosa...
Con pari ardore Lisa lo interrompeva per protestare ch'ella si trovava
abbastanza contenta della modesta agiatezza del loro stato, che ciò
che importava al suo cuore era ch'egli l'amasse sempre e che le
ricchezze, non che non desiderarle, non che non sapere che cosa farne,
ma le temeva benanco quali insidie della sorte, come temeva ogni
cambiamento nelle sue condizioni presenti che le tornavano le migliori
possibili.
Gustavo crollava la testa, faceva un suo cotal sorriso misterioso e
conchiudeva con dire abbracciandola e baciandola:
--Vedrai, vedrai; lascia fare a me e non temere di nulla.
Lisa si racchetava, ma sarebbe stata assai più tranquilla se il marito
avesse rinunziato ad ogni velleità di simile ambizione. Gustavo aveva
sempre usato frequentare di molto le veglie e le feste della società
elegante. Aveva la sciocca smania di comparirvi riccamente vestito di
tutto punto e starvi a paro coi più doviziosi; seguiva gli esempi e le
traccie del signor Padule, il primo commesso di Bancone, che incarnava
sempre in sè l'ultimo figurino delle mode. Non c'era convegno, non
solennità, non festa, per cui egli tanto non facesse da riuscire ad
avervi l'invito. La moglie aveva condotta seco alcune volte, ma poi si
era dovuto a ciò rinunciare perchè le acconciature di lei costavano
troppo più di quello ch'essi potessero spendere, e perchè Lisa
medesima che ci trovava un mediocrissimo diletto aveva determinato
assolutamente di non volerci metter più il piede. E di molto le doleva
che il marito abbandonasse tutte le sere lei e suo padre soli, e non
trovasse pur mai che una veglia in famiglia valesse il sacrifizio
d'una di quelle concorrenze piene di soggezione; le doleva tanto più
che il tempo da passare insieme coll'amato uomo fosse così ridotto
sempre a meno, poichè di giorno le occupazioni di Gustavo alla Banca
gli lasciavano poche ore libere, e le sere, il _mondo_ lo toglieva
affatto alla moglie.
Non andò guari che Lisa si accorse una segreta preoccupazione essere
nell'animo di suo marito; allo sguardo d'una donna amorosa non isfugge
mai un simil fatto. Lo interrogò: egli rispose colla più franca
negativa; e qualche tempo di poi si mostrò veramente così allegro, che
ogni sospetto dovette dileguarsi dall'animo di Lisa. Gustavo era più
amoroso che mai; recò a casa per la moglie i più splendidi e suntuosi
regali di ori, di gioie e di vesti, così bene ch'ella dovette
rimproverarnelo, e non osò mostrarli al padre che più severamente ne
avrebbe ripreso la follìa del genero.
Ma quest'allegria fu una fase che non tardò a passare per lasciar
scorgere all'occhio scrutatore di Lisa i segni d'una nuova e maggiore
preoccupazione nel marito; e tale che da alcun tempo sembrava a lei
fosse addirittura un cruccio che ne tormentava l'animo. Aveva ella di
nuovo interrogato Gustavo con tutto interesse e con tutta
amorevolezza; ed egli a risponderle di bel nuovo press'a poco come
prima: non se ne ponesse in pensiero, non essergli capitato nulla, e
fra poco tempo vedrebbe che tutto andava per la meglio.
Le quali parole non avevano rassicurata l'amorosa donna che a mezzo; e
vedendo essa di tanto in tanto più tristamente pensosa e più
annuvolata la faccia del marito, l'inquietudine di lei ripigliava più
forte, quanto più si sforzava ad immaginare ed argomentare le ignote
ragioni di quella tristezza.
modo egli ci avrebbe riflettuto su di meglio, e guardato se c'era
possibilità alcuna d'averne un filo da potersi guidare, essendo che
stimava doverosa carità d'ognuno, e tanto più di Antonio che era stato
amicissimo dello sventurato amante di quella donna, il venire in
soccorso della infelice, non d'altro rea che d'un innocente amore
natole in cuore prima ancora che a forza le si facesse sposare un uomo
indegno d'ogni affetto.
X.
Vanardi uscì dalla casa di Giovanni col cuore più leggiero e col
taschino un po' più pesante. Quei tre napoleoncini, nella sua assoluta
miseria, gli parevano poco meno che un tesoro. Camminò verso il suo
quartiere con la testa più alta e il passo più ardito. Siccome voleva
comprare per la famiglia pane, companatico e vino, pensò con qualche
solletico di superbia di andare ad abbacinare il fornaio, il canovaio
e il salumiere, suoi inesorabili creditori che dubitavan di lui, collo
splendore dei marenghini nuovi che si faceva ballare in tasca con
intima compiacenza. Ma quando già era presso alle botteghe di que'
suoi creditori, si fermò ad un tratto per un nuovo, più saggio avviso
sopraggiuntogli. S'egli mostrava a quei cotali di possedere del
denaro, essi avrebbero preteso tanto più istantemente di venir pagati
dell'aver loro, e Antonio non ne aveva abbastanza da pagarli
compiutamente; e poi, se avesse loro dato quel po' di moneta che
doveva alla carità dell'amico, in che modo il giorno di poi avrebbe
provveduto al mantenimento de' suoi?
Si recò in fondachi dove non era conosciuto, e quando ebbe fatto
compra di ciò che desiderava corse tosto verso casa sua. Per fortuna
questa volta niuno de' suoi creditori era fuori a vederlo passare.
Antonio si stupì forte di non iscorgere neppure dietro i cristalli
dell'uscio il naso appuntato dello speziale. Corse su fino in cima
della casa, pieno di buona voglia e di buon umore, e si trovò in
faccia ad un tremendissimo ingrognamento della signora Rosina.
Costei, liberatasi da messer Agapito, aveva pensato che cosa le
convenisse di fare, se dire o tacere al marito l'insolenza del
farmacista; e la prudenza, e insieme l'affezione che aveva per Antonio
l'avevano persuasa ad abbracciare l'ultimo dei due partiti, e salvare
così il suo uomo da un dispiacere, ed anche dalle triste conseguenze
che avrebbe potuto fruttargli la collera cui egli non avrebbe mancato
di abbandonarsi contro lo speziale. Ma il silenzio era pur grave alla
ciarliera donna, che non aveva mai avuto sì bell'argomento di
chiacchiere da non finire! Era per essa un vero supplizio, e senza
manco averne coscienza, si sentiva stizzita contro il marito a cui
cagione vi si era determinata. E poi, neppure contro quello sfacciato
di messer Agapito ella non aveva potuto sfogare tutta la bizza che
glie n'era venuta, e bisognava bene che verso qualcheduno la si
procurasse un supplemento di sfogo, se non voleva correre il pericolo
di schiattarne. Incominciò coi figliuoli; e l'improvvido marito giunse
giusto in tempo a prenderne la parte sua.
Rosina era seduta al suo solito luogo, coi suoi soliti panni
d'intorno, occupata al suo solito lavoro; ma solo a vedere il modo
brusco e violento con cui ella tirava i punti, s'indovinava il
temporale che c'era in quell'anima. I bambini, la cui turbolenza era
stata frenata da qualche cosa di più grave che un ammonimento, stavano
aggruppati in un angolo rasente il muro, e facevan greppo in silenzio,
guardando di sottecchi non senza timoroso sospetto la mano della mamma
che andava e veniva nella sua opera con vivacità febbrile.
Antonio, entrando, salutò allegramente, ma la moglie non se ne diede
per intesa.
--Mentre io era fuori, domandò egli, è venuto qualcheduno a cercarmi?
Rosina crollò le spalle, e un punto tirato con più violenza stracciò
il filo.
--Maledetto! diss'ella con rabbia.
--Che? esclamò il marito volgendosi a guardarla con qualche stupore:
con chi ce l'hai?
--Col fistolo che ti colga.
--Grazie!... Ne siamo alle solite gentilezze?
Rosina infilò l'ago e si rimise a cucire canterellando in mezzo ai
denti una canzoncina arrabbiata.
Antonio che si levava dalle tasche del soprabito con precauzione,
l'una dopo l'altra, due bottiglie di vino e le posava sulla tavola, si
rifaceva a domandare:
--Non è dunque venuto nessuno?
--E chi vuoi tu che ci sia venuto? rispose con impazienza la moglie, a
meno che non fosse qualche creditore per farsi pagare.
--Non parliamo di melanconie, per carità: esclamò Antonio, che trasse
di saccoccia un bell'involto di grossa carta azzurra da cui emanava un
confortevolissimo odore di salame, e lo pose sulla tavola vicino alle
bottiglie.
I bambini attratti da quella vista e da quell'odore si venivano
lentamente accostando, gli occhi larghi.
Antonio trasse ancora da quelle sue benedette tasche quattro pagnotte
o le mise ancor esse sulla tavola.
--E Giacomo non è venuto per caso a far la risposta della commissione
che gli ho data?
--Ti dico che non è venuto nessuno: ripetè con maggiore impazienza la
moglie: oh che sei sordo?
Allora la si degnò di fare attenzione ai preparativi di pasto
luculliano che il marito aveva disposti sopra la tavola.
--Che cosa è ciò? Dove hai tu presa tutta codesta roba? Te l'hanno
ancora data a credito?
--Oibò!.... L'ho pagata bravamente con quibus sonantibus.
E fece saltare il resto dei denari che aveva ancora in tasca.
La Rosina meravigliata allargò tanto d'occhi.
--Che? esclamò, come non potendo credere a tanto miracolo, del
denaro!... Come te lo sei tu procurato?
--Lo devo a quel bravo Giovanni, a cui non ho potuto tacere le mie
angustie.
Rosina smise alquanto del suo tono scontroso.
--Ah, quello è davvero un buon amico!
--Puoi dirlo sul sicuro.... Non solo mi ha soccorso di metà dei denari
che aveva presso di sè, ma si adoprerà in mio favore, e spero che sarà
efficacemente, per farmi ottenere un impiego....
Rosina gettò via dalle sue falde il lavoro a cui stava occupata e si
alzò sollecita, interrogando con molto interesse:
--Un impiego?... Possibile?... Quale?
Il marito le comunicò il progetto di Selva di farlo entrare negli
uffizi dei banchiere ricchissimo che avea nome Bancone, e i mezzi che
voleva usare per ciò. Il mal umore della donna si dileguò quasi per
l'affatto a codesta notizia.
--Avremo per lo meno il pane quotidiano assicurato: esclamò essa
lietamente; se pure tu saprai conservarcelo: soggiunse con un residuo
di acerbezza.
Vanardi mandò un grosso sospiro di pena e di rassegnazione.
--Lo saprò, diss'egli, ed alla mia povera arte, darò un addio....
--E fosse eterno! interruppe vivamente la Rosina.
--Papà; entrò opportunamente in mezzo il primo de' bambini con queste
parole: ho fame... Non vuoi darmi di quella buona roba che hai
portato?
--È giusto: disse il padre riscuotendosi; non mi manca l'appetito nè
anco a me. Non pensiamo ora a melanconie e godiamo di questo ben di
Dio che la sorte ci manda.
Anche la moglie trovò questo partito il migliore che fosse, perchè si
diede le mani attorno a preparare il desco, e fu così sollecita, che
due minuti dopo tutta la famigliuola era seduta intorno al mantile non
nuovo, nè fino, nè di bucato, e mangiavasi coll'appetito di gente che
si è preparata al pasto con lungo digiuno.
Il malumore della Rosina era sparito del tutto; e quella buona gente
godeva un istante di tranquillità e d'allegrezza in mezzo alle loro
traversie, obliando i travagli passati, le minaccie presenti,
lusingandosi nelle speranze che trasparivano nell'avvenire.
Quando più vivamente erano occupati nelle delizie del loro pasto e in
quelle dei castelli in aria che venivano sognando a gara, due picchi
all'uscio d'entrata annunziarono un visitatore.
--Chi viene adesso a seccarci? disse con malavoglia impaziente la
Rosina.
--Ch'e' sia il figliuolo della portinaia che ci rechi la risposta di
mio zio! esclamò Antonio a cui una nuova speranza venne a balenare
alla mente.
--Uhm! fece la moglie movendo il capo con atto che dinotava
partecipare ella assai poco in questo argomento la speranza del
marito. Avrà egli risposto tuo zio?
--Avanti: gridò Vanardi verso l'uscio; e questo, aprendosi pian piano,
lasciò scorgere la faccia melensa di Giacomo.
--Vedi se l'ho indovinata! esclamò con vivezza di buon umore Antonio,
in cui la concepita speranza si era di subito ingrandita ed afforzata.
Avanti, avanti, mio bravo Giacomo. Voi siete stato a portare quella
lettera?
--Sor sì: rispose avanzandosi il giovane, i cui stupidi occhi si
fissavano con manifesta ed ingenua cupidigia sui commestibili e sulle
bottiglie che stavano sul desco.
--Oh che bravo figliuolo! soggiungeva il pittore. Vi ringrazio
tanto... E mio zio ce l'avete trovato?
--Sor sì: ripeteva il figliuolo della portinaia non istaccando l'avido
sguardo dal salame e dal prosciutto affettati che mandavano un
solleticante odore dai piatti di maiolica in cui erano stati
ordinatamente disposti.
--Va benissimo: disse Antonio. Voi ci direte per filo e per segno
com'è andata la cosa. Prendete una seggiola... Quella appunto... Non
impugnatela per la spalliera che la traversa vi resterebbe in mano...
Venite a seder qui presso di me... Lì!... Piano e con precauzione,
ve', perchè la è un po' scassinata... Così... Ed ora parlate.
--Sor sì... Auguro loro buon appetito...
--Grazie.
--Anche a lei, madama.
--Grazie tante.
--A proposito, disse Antonio che era di carattere il più largo e
generoso, bereste una volta con noi?
Giacomo chinò la testa fra le spalle, fece boccuccia, mando giù la
saliva e lo sguardo disse chiaramente quanto ciò gli sarebbe stato a
grado.
--La ringrazio... Non vorrei scomodarli.
--Niente affatto. Ecco qui il bicchiere di Tonietto... I bambini
beranno in quel della mamma... Assaggiatemi questo poco; ciò vi vorrà
sciogliere lo scilinguagnolo.
E mescette un buon mezzo bicchiere, che Giacomo tracannò senz'altre
cerimonie.
--Dunque a noi: riprese Vanardi; siete stato nella bottega di mio zio?
--Sor sì... Oh che buon odore ha quel prosciutto lì!
Chi non glie ne avrebbe offerto? Antonio non era capace di far
orecchie da mercante; d'altronde pensava che non potendo dare a quel
giovane la mancia, il fargli parte della loro colazione avrebbe tenuto
le veci di quella, e ne avrebbe suscitato lo zelo per altre occasioni
in cui si avesse ancora bisogno di lui. Offrì adunque a Giacomo di
que' commestibili, che tanto manifestamente gli tiravano la gola; ed
egli, senza farsi punto pregare, si mise di buon animo a mangiare a
due palmenti, con qualche stizza della Rosina, meno generosa che il
marito, la quale invano veniva saettando Antonio di occhiate di
rimprovero ad ogni grosso boccone che faceva l'indiscreto figliuolo
della portinaia.
--E mio zio era egli nel fondaco? gli domandò poi Vanardi che voleva
ridurre il discorso a ciò che gl'importava.
--Sor sì: rispose Giacomo con la bocca piena; da principio, entrando,
ho creduto di no, perchè non ci vidi colà che un garzone seduto dietro
al banco... Se la mi favorisse un po' da bere, signor Vanardi...
Grazie!
Tracannò un bicchier di vino.
--E dunque? disse Antonio per ravviare la narrazione interrotta.
--Dunque mi diressi a quel garzone e domandai se il padrone non c'era.
A queste parole suo zio trasse fuori la testa da quella sua baracca di
bussola dove ci ha lo scrittoio e mi domandò: «che cosa c'è? che cosa
si vuole?» Io trassi di tasca la lettera ch'ella mi aveva data e
risposi: «Questo per lei.» Suo zio si alzò, uscì fuori dal suo
nascondiglio e venne avvicinandosi a me: «Una lettera, disse, chi la
manda?» Gli risposi che era lei. Il vecchio che già aveva tesa la mano
verso di me per prenderla, fece tal quale come se invece d'un pezzo di
carta avesse visto ch'io gli porgeva una vipera; trasse indietro la
mano e sè stesso, ed esclamò: «Mio nipote! Non voglio nulla da lui, nè
lettera, nè altro. Andate al diavolo voi e chi vi manda.»
--Ah! fece Antonio con un sospiro di dolore.
--Ha detto proprio così: continuava Giacomo. Io, com'ella capisce,
rimasi lì in asso, colla mia lettera in mano, che non sapevo più che
cosa dire nè che fare. Suo zio si pose a passeggiare su e giù della
bottega colle mani dietro le reni, borbottando fra sè delle parole che
non capivo e facendo ballare il fiocco della sua berretta con iscosse
di capo che mi sembrava volessero dire che era molto in collera. «Che
cosa fate ancora costì? mi disse dopo un poco, più burbero che mai;
non avete udito che non voglio ricever lettera di sorta di quel
signore?... E ditegli ben chiaro che si risparmi la pena di
scrivermene, chè di lui e delle cose sue in nessun modo non voglio più
sentire a parlare.» Ripetè queste ultime parole, staccando una sillaba
dall'altra e con forza: «Non vo-glio più sen-ti-re a par-la-re! Avete
capito?» Avevo capito benissimo. Rimisi in tasca la lettera e me ne
uscii.
--Oh diavolo! sclamò Antonio col più doloroso disappunto.
--Eh! io l'aveva previsto che sarebbe andata così: disse la Rosina
tornata in tutto il suo malumore di poc'anzi.
--E questa lettera me l'avete dunque riportata? domandò Vanardi che
cominciava a rimpiangere i bocconi ed il vino che ingollava con tanta
voglia quello stupido di Giacomo.
--Un momento, rispose questi: mi lasci dire, chè non ho finito.
--Dunque avanti, corpo di bacco! esclamò Antonio con impazienza.
--Ecco! Avevo fatto appena una cinquantina di passi, quando sento a
gridare di dietro: «Ehi, ehi, quel giovane.» Pensando che si potesse
parlare a me mi volto, e vedo il garzone che correndo mi raggiunse in
breve e mi disse: «Venite, il padrone vuol ancora parlarvi.» Tornammo
insieme nel fondaco. «Sapete voi che cosa mi scriva quel birbante?»
(ha detto proprio così) mi domandò suo zio con voce di collera. Io
risposi che non sapevo di niente. «Date qui quella lettera!» soggiunse
ancora più burbero e sdegnoso. Io glie la diedi: la prese, la girò e
rigirò fra le mani, la spiegazzò quasi con rabbia e poi la gettò senza
aprirla sopra il banco. «Che cosa fate?» mi domandò ruvidamente,
vedendo ch'io non muoveva. «Aspetto la risposta,» gli dissi. «Eh! non
c'è risposta da fare, mi disse di mala grazia; andate pure pei fatti
vostri.» Ero già colla mano sul saliscendi per aprir l'uscio, quando
egli, che pareva cambiare ad ogni momento d'idee, mi comandò brusco
brusco: «Aspettate.» Prese la lettera, entrò in quel suo gabbiotto, e
ci stette forse un dieci minuti e più, non dando altro segno della sua
presenza che di soffiarsi rumorosamente il naso due o tre volte. Poi
venne fuori ed aveva una faccia tutto diversa...
--Era commosso? domandò vivamente Antonio che ascoltava questo
racconto con interesse infinito.
--Quello che fosse non so, ma non pareva più in collera. «Va, mi
disse, e di' a mio nipote che una risposta glie la farò forse tra
poco. Bisogna ch'io ci pensi, ch'io veda, ch'io sappia.... Infine in
un modo o nell'altro gli farò conoscere le mie decisioni.» Aprì egli
stesso la porta ed io me ne venni via, ed ora le ho detto tutto dalla
prima parola all'ultima.
--Grazie, Giacomo: disse Antonio il cui cuore s'era aperto di nuovo
alla speranza: le novelle che mi porti sono migliori di quelle che mi
avevi fatto temere dapprima. Evidentemente lo zio fu tocco dalla mia
lettera; il suo affetto per me non è ancora spento del tutto, e il suo
buon cuore non si può smentire. Vedrai, Rosina, che di quest'oggi
medesimo il padrino si rifarà vivo per noi.
La moglie non aveva così liete speranze, ma non contestava ciò nulla
meno che le apparenze non fossero più favorevoli che per l'addietro.
Bisognava bene far festa a questo più benigno sorriso che regalava la
sorte, e ne pagarono la spesa le due bottiglie, delle quali, per zelo
specialmente di Giacomo, ben presto si vide il fondo.
Ma Giacomo era tutt'altro che avvezzo a simil baldoria, obbligato
dalla parsimonia della madre ad un culto esagerato della virtù della
temperanza. E ciò fu causa che quando egli, dopo essere rimasto nel
quartiere del pittore poco meno d'un'ora, discese nella loggia sotto
il portone era in preda ad una certa vivacità, ad un certo eccitamento
cui non era calunniare soverchiamente il dirlo una mezza cotta.
La portinaia scandolezzata accusò con isdegnose imprecazioni Antonio
di corrompere la savia morigeratezza di suo figlio; e per punire
quest'ultimo d'aver ceduto alle seduzioni del tentatore lo tenne tutto
il dì chiuso in casa, senza che si discorresse altrimenti per lui nè
di pranzo nè di cena.
Vanardi aspettò tutto quel giorno alcuna novella del padrino: ma
invano. Nulla giunse; in nessun modo il droghiere diede segno di vita.
Il domattina Antonio stette in casa fino alle dieci, nella speranza
sempre che da un momento all'altro qualche cosa apparisse. Verso le
dieci fu picchiato all'uscio e il pittore corse con uno slancio ad
aprire: era il signor Martino, giovane dello speziale, che porse ad
Antonio per commissione del suo principale una bustina di lettera
suggellata, che dal peso e dal suono si conosceva contenere monete.
--Se la volesse far grazia di scrivermene una ricevuta: disse Martino.
Antonio dissuggellò tosto tosto l'involtino e ci trovò dentro quattro
righe di scritto sopra un foglio di carta e due napoleoni d'oro da
venti lire. Nel bigliettino Agapito diceva che la somma acchiusa era
maggiore di quel che il pittore potesse pretendere, e quindi non lo
seccasse più.
--Che villano! esclamò Antonio, senza che la presenza del garzone
potesse più frenarlo. E mi manda quaranta lire!... Il miserabile!...
Appena se mi paga i colori.
Voleva rimandargli addietro il denaro; ma pure veniva tanto opportuno!
Rosina che era presente, non avrebbe lasciato passare senza contrasto
un simile dignitoso atto di risentimento; si acconciò a ritenerli e
farne la ricevuta, colla quale il signor Martino se ne andò.
Pochi momenti dopo era un usciere di Giudicatura che veniva cercando
il povero Vanardi, e gli rimetteva in mani proprie parecchi atti di
citazione provocati dal venditore di carbone, dal pizzicagnolo, dal
panattiere.
Antonio guardò quelle carte, sbalordito, come se fossero una sua
condanna di morte. Poi si battè la fronte, prese una subita
risoluzione, si calcò il cappellaccio in testa e con quel po' di
denaro che aveva corse via per ammansare mercè alcuni acconti i suoi
creditori. Un quarto d'ora dopo egli si trovava precisamente nella
florida condizione in cui era il giorno innanzi, cioè senza un soldo
in tasca.
E non era un quarto d'ora ch'egli era uscito di casa, quando bussavano
alla porta del suo alloggio, e dietro invito di Rosina vi entravano il
signor Marone ed uno sconosciuto.
XI.
La sera medesima del giorno in cui Vanardi aveva parlato a Selva,
questi con sua moglie discese in casa il signor Biale, come usava due
o tre volte la settimana, per farvi insieme la vegliata.
Il capitano e sua figlia Lisa stavano in un modesto ma pulito salotto,
in cui la tappezzeria e le masserizie mostravano, se non la ricchezza,
certo il buon gusto ed il buon governo.
Un allegro fuoco fiammava nel caminetto alla _Franklin_, e, sedutovi
presso su d'una poltrona coperta di cuoio color tané, il signor Carlo,
i piedi appoggiati al paracenere, la persona avviluppata in una vesta
ovattata, leggeva attentamente un volume della _Storia militare del
Piemonte_. Vicino a lui era un tavolino da una gamba sola con tre
piedi e sopravi una lampada col coprilume di carta verdescuro
all'infuori, che rifletteva la luce in un ristretto cerchio
tutt'intorno, lasciando nella penombra il rimanente della stanza.
Dall'altra parte di quel tavolino sedeva la moglie di Pannini; aveva
il suo cuscinetto da lavoro sulle ginocchia e cuciva.
Giovanni Selva nel dipingere a Vanardi l'antico capitano, Carlo Biale,
non aveva detto che la verità. È una figura che a prima vista vi
ispira confidenza e v'impone rispetto; una di quelle figure oneste,
aperte, gravi, le quali, solamente ad incontrarle, vi fanno provare
una certa soddisfazione e, nel contemplarle, vi fanno inorgoglire
d'essere della loro razza.
Lisa, sua figlia, ha diciott'anni. In punto a bellezza non uscirebbe
dalla mediocrità, s'ella non possedesse nello sguardo, nel sorriso,
nell'espressione delle sembianze, nell'aria del volto una quasi direi
malìa, la quale a chi l'accosta, a chi specialmente le parla, fa
ch'ella sembri la più bella, od anzi meglio, la più cara donna del
mondo. È l'eccellenza della sua anima eletta che si manifesta di
quella guisa e dolcemente comanda in una l'ammirazione e l'affetto.
Tenuta a battesimo dalla marchesa di Campidoro, fu fino agli ultimi
tempi carissima alla gentildonna, la quale il più spesso possibile,
fin da quando Lisa era bambina, la voleva seco; ed ella nel domestico
e frequente praticare in casa l'aristocratica famiglia, senza pur
volerlo, senza pensarci, senza accorgersene menomamente, aveva attinto
un'eleganza, una distinzione, una squisitezza di maniere che
meravigliosamente bene s'accordavano colla sua nativa gentilezza,
cortesia e bontà. Ella è di umor lieto ordinariamente, benigno sempre.
Amorevole qual'è, si compiace nelle mostre di affetto, nelle tenere
cure, nelle ufficiose attenzioni agli oggetti dell'amor suo: il padre
ed il marito. Poichè ebbe sposato l'amato giovane, Lisa fu pienamente
felice; visse in questa terra come in un paradiso; e la sua gioia
cotanta, nei primi tempi da cosa nessuna turbata, lasciò manifestarsi
nella rosea freschezza delle guancie, nel brillare degli occhi vivaci,
nella schiettezza del perenne sorriso, nell'allegre canzoni, nella
medesima alacrità posta ai quotidiani uffizi del domestico governo.
Però da alcun tempo quella sua tanta allegria era sminuita; la sera di
cui dico, sulla fronte di lei e sul volto avreste detto essere disteso
un velo che ne faceva meste le sembianze. Non era già un dolore, ma
una melanconia; meglio ancora era una preoccupazione non esente da
inquietudine. Un poco essa lavorava sbadata, a rilento, visibilmente
col pensiero ad altre ben diverse cose, un poco pareva rientrare in sè
s'affrettava, s'affrettava nel suo trar d'ago: tratto tratto i suoi
occhi neri ed espressivi si levavano dal lavoro e si rivolgevano
intenti, non senza una specie d'ansietà, verso l'uscio che menava alla
vicina stanza coniugale, in cui s'udiva un passo d'uomo che di quando
in quando si muoveva e un aprire e richiudere di cassetti e uno
spostar di mobili.
Di quando in quando il padre levava il suo serio e sereno sguardo
dalle pagine del libro e lo faceva guizzare verso la diletta
figliuola, ed era allora sollecita la buona Lisa a richiamare sulle
sue fattezze la usata espressione di tranquilla e beata ilarità, ed a
fare che l'occhio paterno incontrasse il più lieto di lei sorriso;
imperocchè ella avrebbe voluto fare ad ogni modo acciocchè il segreto
turbamento che era in lei non apparisse allo sguardo amoroso e
perspicace del padre.
Di cotal turbamento che da alquanto tempo la possedeva, era cagione il
marito, il quale, benchè amoroso e carezzevole sempre, pure aveva da
parecchi giorni qualche cosa di nuovo e di strano nei suoi contegni,
che dava mille indefinite paure alla Lisa.
Il primo lievissimo velo di nube che costei aveva visto salire sul
sereno orizzonte della sua felicità coniugale era provenuto da quella
sciocca ambizione di sfoggio che Gustavo pareva avere ereditata dal
padre e dal nonno. Vedutolo sopra pensiero alcune volte, la giovane
moglie l'aveva interrogato con ansioso affetto, timorosa che alcun
cruccio ne angustiasse l'anima, ed aveva scoperto con dolorosa
meraviglia come a lui non bastasse per essere felice la fortuna di
quel tanto e spartito amor loro ed invidiasse nel profondo del cuore
le distinzioni sociali, gli sbarbagli della ricchezza di cui godevano
altri nel mondo. Rimproverato amorosamente dalla giovine donna, perchè
potesse ad altro ancora rivolgere il pensiero e il desiderio, che
l'amor loro non fosse, quando la Provvidenza era stata così pietosa
per essi da conceder loro sì fortunata sorte, Gustavo aveva risposto
che non tanto per sè andava egli desiderando la ricchezza e i suoi
vantaggi, quanto per lei, sua diletta sposa, che avrebbe voluta la
prima in tutto e per tutto e la più ammirata dovunque.
--Ma ciò, soggiungeva egli tutto infervorato, sta pur certa che
avverrà senza fallo, o ch'io perderò il nome. Voglio mettere ai piedi
della mia bella Lisa una fortuna principesca; e quando io voglio una
cosa...
Con pari ardore Lisa lo interrompeva per protestare ch'ella si trovava
abbastanza contenta della modesta agiatezza del loro stato, che ciò
che importava al suo cuore era ch'egli l'amasse sempre e che le
ricchezze, non che non desiderarle, non che non sapere che cosa farne,
ma le temeva benanco quali insidie della sorte, come temeva ogni
cambiamento nelle sue condizioni presenti che le tornavano le migliori
possibili.
Gustavo crollava la testa, faceva un suo cotal sorriso misterioso e
conchiudeva con dire abbracciandola e baciandola:
--Vedrai, vedrai; lascia fare a me e non temere di nulla.
Lisa si racchetava, ma sarebbe stata assai più tranquilla se il marito
avesse rinunziato ad ogni velleità di simile ambizione. Gustavo aveva
sempre usato frequentare di molto le veglie e le feste della società
elegante. Aveva la sciocca smania di comparirvi riccamente vestito di
tutto punto e starvi a paro coi più doviziosi; seguiva gli esempi e le
traccie del signor Padule, il primo commesso di Bancone, che incarnava
sempre in sè l'ultimo figurino delle mode. Non c'era convegno, non
solennità, non festa, per cui egli tanto non facesse da riuscire ad
avervi l'invito. La moglie aveva condotta seco alcune volte, ma poi si
era dovuto a ciò rinunciare perchè le acconciature di lei costavano
troppo più di quello ch'essi potessero spendere, e perchè Lisa
medesima che ci trovava un mediocrissimo diletto aveva determinato
assolutamente di non volerci metter più il piede. E di molto le doleva
che il marito abbandonasse tutte le sere lei e suo padre soli, e non
trovasse pur mai che una veglia in famiglia valesse il sacrifizio
d'una di quelle concorrenze piene di soggezione; le doleva tanto più
che il tempo da passare insieme coll'amato uomo fosse così ridotto
sempre a meno, poichè di giorno le occupazioni di Gustavo alla Banca
gli lasciavano poche ore libere, e le sere, il _mondo_ lo toglieva
affatto alla moglie.
Non andò guari che Lisa si accorse una segreta preoccupazione essere
nell'animo di suo marito; allo sguardo d'una donna amorosa non isfugge
mai un simil fatto. Lo interrogò: egli rispose colla più franca
negativa; e qualche tempo di poi si mostrò veramente così allegro, che
ogni sospetto dovette dileguarsi dall'animo di Lisa. Gustavo era più
amoroso che mai; recò a casa per la moglie i più splendidi e suntuosi
regali di ori, di gioie e di vesti, così bene ch'ella dovette
rimproverarnelo, e non osò mostrarli al padre che più severamente ne
avrebbe ripreso la follìa del genero.
Ma quest'allegria fu una fase che non tardò a passare per lasciar
scorgere all'occhio scrutatore di Lisa i segni d'una nuova e maggiore
preoccupazione nel marito; e tale che da alcun tempo sembrava a lei
fosse addirittura un cruccio che ne tormentava l'animo. Aveva ella di
nuovo interrogato Gustavo con tutto interesse e con tutta
amorevolezza; ed egli a risponderle di bel nuovo press'a poco come
prima: non se ne ponesse in pensiero, non essergli capitato nulla, e
fra poco tempo vedrebbe che tutto andava per la meglio.
Le quali parole non avevano rassicurata l'amorosa donna che a mezzo; e
vedendo essa di tanto in tanto più tristamente pensosa e più
annuvolata la faccia del marito, l'inquietudine di lei ripigliava più
forte, quanto più si sforzava ad immaginare ed argomentare le ignote
ragioni di quella tristezza.
- Parts
- La carità del prossimo - 01
- La carità del prossimo - 02
- La carità del prossimo - 03
- La carità del prossimo - 04
- La carità del prossimo - 05
- La carità del prossimo - 06
- La carità del prossimo - 07
- La carità del prossimo - 08
- La carità del prossimo - 09
- La carità del prossimo - 10
- La carità del prossimo - 11
- La carità del prossimo - 12
- La carità del prossimo - 13
- La carità del prossimo - 14
- La carità del prossimo - 15
- La carità del prossimo - 16
- La carità del prossimo - 17
- La carità del prossimo - 18
- La carità del prossimo - 19
- La carità del prossimo - 20
- La carità del prossimo - 21