La carità del prossimo - 05

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sforzo che aveva dovuto fare su sè medesimo per tirar fuori queste
parole. Messer Agapito si grattò la punta acuta del suo lungo naso.
Poi lo speziale andò presso al braciere, ne tolse il coperchio della
campana sotto cui era, e ne mosse i carboni colla palettina; e vi
sedette presso con aria di profonda meditazione.
--Ah! un compenso! diss'egli: va benissimo.
Trasse di tasca la sua tabacchiera di corno bigio, ne battè con
piccoli colpi secchi il coperchio ed i lati, l'aperse, col
polpastrello delle dita radunò il tabacco nel centro, coll'unghia
dell'indice fece ricadere quello che era rimasto nella scanalatura del
coperchio e nella mastiettatura, e rimestandolo anche un pochino, ne
trasse poi una grossa presa.
--Ne piglia? domandò porgendo la tabacchiera aperta ad Antonio.
--No, grazie.
Agapito serrò la scatola serrando il pugno: appoggiò quest'ultimo sul
ginocchio e si mise a fiutare fragorosamente la sua presa; quindi
mandò un gran sospirone: col rovescio delle quattro dita rinettò il
panciotto dai granelli di tabacco che v'erano caduti, e volgendosi con
un mezzo giro sulla sua seggiola verso il pittore, ripetè:
--Un compenso? Niente di più giusto. Anzi questa mattina, parlando io
con sua moglie.... La signora Rosina non le ha detto nulla?
--Sì: mi ha detto ch'ella ci aveva gentilmente offerto i suoi servigi.
Ed io ne la ringrazio tanto. Ma, com'ella sa, signor Agapito, io mi
trovo in cattive acque.... E un po' di denaro sarebbe per me la manna
del cielo.... Epperò sono venuto a domandarle dell'opera mia un
discretissimo prezzo.
Lo speziale pose la tabacchiera in tasca e cacciò le dita delle due
mani nelle scarselle del panciotto, rimenandovele come per farvi
scorrere il denaro che contenevano.
--Va bene, va bene... Veramente io non ci pensava, ma... purchè questo
prezzo sia discreto... com'ella dice...
--Ci ho messo tutta la mia abilità, e non fo per dire, ma quelle due
figure mi sono riuscite per benino.
Agapito trasse una mano dal borsellino per grattarsi la punta del
naso.
--Veniamo alla cifra, diss'egli.
--S'io fossi un ricco e celebre pittore, che perciò non avesse bisogno
di nulla, potrei chiedergliene mille lire per cadauna...
Lo speziale fece un salto sulla sua seggiola.
--Due mila lire! Misericordia! esclamò egli spaventato, levando anche
l'altra mano dal taschino.
--Ma siccome sono un poveraccio, che ho necessità di tutto, continuava
Antonio, che non ha pane per sè e per la sua famiglia, che avrebbe
giusto bisogno di quella somma per aggiustare a dovere i fatti suoi,
così nè io oso chiederle tanto, nè lei me ne darebbe.
--Insomma, a farla breve, qual è l'ultimo prezzo?
--Duecento cinquanta lire.
--Beuh! È matto lei: disse bruscamente lo speziale, e s'alzò da
sedere. Duecento cinquanta lire per l'impiastricciamento di due tavole
di legno.
S'accostò all'uscio a vetri e guardò traverso ad esso le due figure
che mascheravano i battenti aperti.
--Le pare che quelle faccie da scomunicati valgano cotanto?
Antonio fu punto nel suo amor proprio, di artista.
--Può darsi, rispose egli atteggiandosi il più dignitosamente che
seppe nel suo mantello, che la mia opera sia cattiva, ed ella ha tutto
il diritto di trovarla pessima. Lasci però a me quello di non
accettare per autorevole il giudizio d'uno spacciatore di medicine.
La bizza fe' venir rossa la punta del naso al signor Agapito: parve in
sul punto di ribattere con risentite parole; ma un altro sentimento,
che ben presto vedremo qual sia, lo fe' fermarsi.
--Via, via, diss'egli tutt'amichevole; non la voglio mica offendere,
caro signor Vanardi. Ma duecento cinquanta lire!... Corbezzoli! vede
bene anche lei!... Sia buono con me che... che... non voglio mica
vantarmene... era mio dovere... ci avevo troppo compenso nel piacere
stesso che ne provavo... Oh che? noi si fa il bene per far bene... Ma
insomma non mi sono rifiutato mai per quello che ho potuto in suo
vantaggio... E alla nascita dell'ultimo figliuolo, se non fosse stato
di me... senza contare che ho fornito allora delle medicine e dei
cordiali...
Vanardi stava tutto immelensito non osando contraddire e non volendo
accettar per vere le cose dette dallo speziale; e questi battendogli
sulle spalle, continuava con un suo cotal sorriso che voleva essere
piacevole ed affettuoso.
--Ci aggiusteremo all'amichevole, non è vero? Oh ci aggiusteremo.
Pensi anche lei che in queste stagioni i denari scappan via come
l'acqua dal ramaiuolo bucherato; l'affitto, le mancie, le liste dei
fornitori, che so io... Pagarle ciò che domanda, non lo potrei
proprio... Ci faremo un calo non è vero? Oh sì, sì che lo faremo.
Il povero pittore che non aveva pur l'ombra di quel muso duro che è
necessarissimo in queste circostanze, esitò, tentennò, balbettò parole
senza senso, che non erano nè un negare nè un accondiscendere.
Ma lo speziale fu lesto a soggiungere in tono d'allegro accordo:
--Se lo dico io che ce la intenderemo da buoni amici. Lasci stare,
caro signor Vanardi, che al primo istante ch'io abbia di libero vado
su a casa sua e finiamo questa faccenda con comune soddisfacimento.
Antonio non trovò più nulla da rispondere; salutò, si calcò in testa
il suo cappellaccio e si mosse per uscire. Agapito lo accompagnò sino
all'uscio, gli aprì la porta, gli fece un saluto pieno di affettuosa
domestichezza e venendo fuori ancor egli sul passo della bottega
guardò che strada pigliasse il pittore allontanandosi.
--Ah, ah! disse fra sè, salutando ancora Antonio già lontano; e' non
va a casa... Chi sa se starà fuori lungo tempo!... Ho in mente che
sì... Buono! buono!
Rientrò fregandosi le mani, diede qualche ordine a' garzoni e salì
agli ammezzati sopra la bottega, dove ci aveva il suo alloggio.


VII.

Come vi ho già detto, Agapito viveva solo con una nipote, dalla quale,
sotto pretesto d'usarle carità albergandola in casa sua, si faceva
servire come e più umilmente che da una fante, senza punto pagarle il
becco d'un quattrino.
Quella poveretta di ragazza poteva proprio dirsi sacrificata. Sino ai
ventitre anni (ora ne aveva venticinque e da due anni dimorava collo
zio) era vissuta al suo villaggio natio, a quello stesso di cui
abbiamo udito lo speziale dirsi originario. La sua famiglia era di
agricoltori, che traevano un modestissimo sostentamento dai proventi
d'una poco estesa lista di terra cui coltivavano con quell'amore che i
nostri paesani mettono alla zolla da essi fecondata col proprio sudore
instancabilmente. Erano due i figliuoli che allietavano il padre e la
madre; buona gente se mai fu, che amavansi tra loro grandemente ed
amavano del pari la prole, un maschio ed una femmina. Difficilmente si
sarebbe potuto trovare una famiglia in cui regnassero, non dico di
più, ma del pari la pace, l'amore e l'accordo. La loro tenuissima
mediocrità di fortune, mercè la tenuità ancora maggiore dei loro
desiderii e la parsimonia del viver loro, tornava quasi un'agiatezza,
che loro non lasciava sentire la mancanza di nulla. Lavoravano a gara
di buon umore genitori e figliuoli in quella sana e direi allegra
opera dei campi che rafforza il corpo e lascia l'anima soddisfatta e
tranquilla. Si sarebbe stranamente meravigliato chi fosse venuto a dir
loro che c'erano condizioni ed individui più felici e cui essi
avrebbero da invidiare.
Fra le altre avevano eziandio la fortuna d'un buon amico. In buona
attinenza con tutti del villaggio, era quel solo che potesse proprio
dirsi un amico e teneva loro luogo di parenti che non avevan più,
fuorchè lo speziale Agapito, lontano e che pensava ad essi come al
_taicun_ del Giappone. Era costui un ortolano che coltivava il
verziere ed il frutteto d'un vasto tenimento che un gran signore
possedeva lì presso: si chiamava Matteo, era del paese ancor egli ed
ammogliato eziandio, non aveva avuto che un figliuolo, e i ragazzi
dell'una e dell'altra famiglia giuocavano insieme; e i parenti, come
suole, immaginavano che, quando cresciuti, il figliuolo dell'ortolano
avrebbe sposato la figliuola dell'agricoltore.
Le avventure di Matteo avremo l'occasione di conoscerle più tardi, chè
ancor esse fanno parte del dramma al cui svolgimento abbiamo da
assistere; ma per intanto conviene ch'io vi accenni, come, mal
corrisposto da quell'unico figliuolo, non solo dovesse rinunziare al
vagheggiato maritaggio, ma il povero ortolano ne avesse tal
dispiacere, che, natagli l'occasione di cambiar paese andando a
servire altro padrone in altra e lontana località, egli abbandonasse
il villaggio, deciso a non tornarvi più.
Questi furono i primi due dolori che piombarono addosso alla famiglia
di Anna (questo era il nome della nipote dello speziale), sulla qual
povera famiglia doveva ad un tratto abbattersi la sventura.
Il fratello di Anna dovette andar soldato benchè unico de' maschi,
giacchè suo padre a quel tempo non aveva ancora l'età richiesta dalla
legge per salvarnelo. Fu un dolore inesprimibile per la povera
famiglia, e come potete pensare, tanto più per la madre, che lo amava
supremamente: tal dolore che la poveretta si ammalò e mai più non si
riebbe. Il padre rimasto solo a lavorare ci consumò le poche forze che
ancora gli rimanevano, e a non lungo andar di tempo, fu ridotto
cagionevole di salute ancor egli. Alla povera Anna toccava la custodia
e la cura di due infermicci e il bastar essa sola, giovanetta, a tutte
le bisogne famigliari.
E non era tuttavia colma la misura. Il figliuolo era stato incorporato
nell'artiglieria a cavallo (di cui erano allora solo due compagnie):
faticoso servizio cui egli, partito con troppo doloroso distacco da'
suoi, faceva a malincuore e quindi trovava gravosissimo oltre ogni
dire. In realtà faceva un indolente e poco zelante soldato, e le
punizioni gli fioccavano addosso a rendergli sempre più uggiosa la
vita militare, già sì poco aggradevole a chi non sia nato fatto per
essa. Un giorno gli toccò di fare una tappa forzata di più e delle
miglia parecchie oltre la marcia ordinaria: appunto perchè soldato
meno diligente e quindi in mala vista ai superiori, eragli toccato un
cavallo bizzarro cui era una fatica maggiore tenere in freno. Verso la
fine della giornata il giovane si sentiva stanco da non poterne più;
il cavallo secondo il suo solito adombra: egli irritato gli caccia
senza pietà gli speroni nei fianchi, e la bestia impennatasi fa così
bene che manda il suo cavaliere stramazzoni sul suolo. L'infelice
batte col petto sopra un sasso e quando lo rialzano vomita a piene
boccate il sangue, e, trasportato allo spedale, ci sta ammalato sei
mesi e n'esce tisico senza più redenzione. Ottiene il congedo di
riforma e torna a casa incapace al lavoro, altro malato alle cure
sollecite di Anna. Stentò ancora poco meno d'un anno e morì. La madre
gli tenne dietro poco tempo dopo. Padre e figliuola, consumato tutto
quel poco che avevano, rimasero nella più profonda miseria.
Il padre non tardò di molto ad esser liberato ancor egli dalla morte;
e il solo parente che rimanesse ad Anna, lasciata senza mezzi di
sussistenza, era lo speziale Agapito. Sollecitato dal giudice di
mandamento a venire, si recò lo speziale al paese, e siccome era
restato appunto senza serva, si decise facilmente alla generosità di
pigliar seco quella poveretta che lo avrebbe servito con tutta umiltà,
e che egli non avrebbe pagato che con rimbrotti e rinfacciamenti. Si
vantò di questo bel tratto come d'un eroismo degno degli uomini di
Plutarco, ed ogni giorno che Dio mandava lo gettava in muso alla
infelice con una crudeltà degna delle mazzate. Avrebbe sorpreso
profondamente e indignato ancor più il brav'uomo, chi si fosse osato
dirgli che il suo non era il miglior atto di carità che si possa
vedere nel mondo.
Agapito adunque salito su nel suo quartiere quella tal mattina, da cui
prende le mosse la nostra storia, si mise a gridare con voce già piena
di maltalento:
--Marmotta? Dove sei, marmotta?
Questa era l'appellativo più gentile con cui egli fosse solito
chiamare la povera nipote.
La ragazza era in cucina a preparare il pranzo, ed accorse lesta,
tutta rossa in viso dal fuoco dei fornelli. Certo che non aveva in sè
nulla di bello nè di distinto: era una villanella qualunque, non della
letteratura arcadica nè dell'arte pastorale dei quadri al di sopra
delle porte, secondo lo stile di Watteau, ma della realtà che si trova
nelle nostre montagne: una ragazza tozza, forte, che aveva però
un'aria di molta bontà e d'infinita rassegnazione. Vestiva una misera
ciopperella di povera stoffa, logora e mal fatta, la quale non aveva
che un pregio: la pulitezza. Stette innanzi allo zio, impacciata e
timorosa, come chi s'aspetta ad ogni occasione i rimbrotti e le male
parole.
--Qui c'è puzza di bruciaticcio: incominciò Agapito in tono burbero e
minaccioso; me ne hai fatta qualcheduna in cucina, scimunita che sei.
Già, secondo il tuo solito, chè altro che malestri non mi sai fare.
Possibile che non ne indovini una, brutto mascherone!... Mi mangia il
pane a tradimento questa sciagurata.
Anna chinò il capo e non disse una parola. Ma stata lì un poco senza
muoversi e senza fiatare, Agapito la riscosse con uno spintone.
--Ebbene, marmottaccia, chè stai lì piantata come un cavolo? Non t'ho
mica chiamata per bearmi nella contemplazione del tuo grifo.
La ragazza, colle lagrime in pelle in pelle, si fe' forza e domandò
colla voce più ferma che potè:
--Che cosa mi comanda, signor zio?
--Uh! La s'è sveglia finalmente!... Portami il mio soprabito di panno
verdescuro, e dagli una buona spazzolata, e va in cucina a moderare un
po' il fuoco del fornello, chè tu mi consumi giorno per giorno più di
carbone di quel che tu vali... E fa presto, ch'io non voglio
indugiarmi qui a tua cagione.
La nipote corse lesta ad obbedire. Messer Agapito si fece innanzi a
uno specchietto che pendeva all'intelaiatura de' cristalli della
finestra ad aggiustarvisi con miglior garbo la pezzuola da collo.
--E così? gridò egli dopo un momento. Anna, marmottona, vieni o non
vieni? Mi vuoi proprio far perdere la pazienza?
Anna entrò correndo tutta affannata con in una mano l'abito penzoloni
e nell'altra la spazzola.
--Finalmente!
Agapito vestì l'abito che la nipote l'aiutò ad infilar nelle maniche,
cambiò il suo solito berretto in un cappello a staio, e borbottando e
rampognando dietro la nipote, uscì di casa per l'uscio che metteva sul
pianerottolo della scala comune.
Non discese verso la strada, ma si avviò invece verso i piani
superiori, e non cessò di salire finchè non si trovò al sommo affatto
delle scale: nel corridoio delle soffitte. Andò all'uscio per cui si
entrava nel gabbione del pittore e picchiò discretamente alla porta
colla nocca delle dita.
--Chi va là? chiese dall'interno la voce della Rosina.
--Amici: rispose coll'accento il più grazioso che seppe fare il signor
Agapito, atteggiando in pari tempo le labbra ad un lezioso sorriso.
--Entri; disse la donna: la porta è socchiusa e non ha che da
spingerla.
Agapito la sospinse pianamente e sgusciò dentro con un certo mistero,
aitandosi della persona non senza pretesa al garbo ed alla leggiadria.
La moglie di Antonio era seduta al suo tavolino di lavoro, e come si
fa per coloro che sono di casa, non si mosse punto e salutò
famigliarmente colla voce e col capo soltanto.
--Che buon vento me la porta qui di nuovo, messer Agapito?
Lo speziale diede maggior intensità alla leggiadria del suo sorriso e
del suo portamento.
--Un vento, rispos'egli lanciando delle occhiate lampeggianti, che è
buono sopratutto per me, e che vorrei mi fosse anche un buon evento.
Intanto s'era accostato alla donna, e le aveva preso una mano. Gliela
strinse più forte che non facesse di solito, la tenne un po' fra le
sue, poi mandò un sospiro, e recandosi la mano di lei alle labbra vi
pose su un grosso e prolungato bacio.
Rosina, alquanto stupita, levò il suo sguardo in volto allo speziale,
e gli avrebbe forse domandato spiegazione della novità, quando la
vista della _toilette_ che il suo visitatore avea fatta le destò altro
stupore e le fece mandare altra esclamazione.
--Oh, oh, cospetto! diss'ella. La si è messo in fronzoli. Che cosa
vuol dire codesto?
--Vuol dire, vuol dire, rispose Agapito che si grattava la punta del
naso come per farne uscire le parole: vuol dire che avendo un momento
di libertà... ed avendo inoltre da parlarle, signora Rosina... cara
signora Rosina... mi sono procurato il piacere, il grande, il massimo
piacere di venirle a fare una visita.
Rosina aveva tolto da quelle di Agapito la sua mano, ed aveva ripreso
tranquillamente il suo agucchiare.
--Che? disse, la vorrebbe farmi credere che ha fatto quello sfarzo
d'acconciatura per venir da me?...
--E perchè no? Gli è le persone che più si stimano, che più si amano,
per cui...
--Ma s'accomodi.
--Grazie.
Prese la seggiola in migliore stato e venne a sedere vicino vicino
alla donna.
I fanciulli secondo il solito erano venuti ad aggrupparsi innanzi al
nuovo venuto e lo miravano a bocca larga. Lo speziale trasse di tasca
un involto di carta, lo spiegò, ci prese dentro tre pezzetti di
regolizia, e ne diede uno a ciascuno dei ragazzi.
--Prendete, carini.
Ripose l'involto in tasca, e soggiunse parlando alla Rosina:
--Questi bambini le par egli che facciano abbastanza di moto, sempre
rinchiusi come sono qui dentro?
--Abbastanza di moto! Santa la Madonna! che sono tutto il giorno per
aria da non poterli far quietare un solo momento.
--Sì; ma gli è pur sempre uno spazio chiuso, uno spazio ristretto...
Io, se fossi in lei, li vorrei lasciare andare di quando in quando a
ruzzare nel corridoio...
--Eh, ci fa freddo da gelare...
--Uhm! Non fo per dire, ma nemmeno qui non c'è un ambiente da stufa.
--Imbarazzerebbero i vicini, che sono la gente più intollerante e
scontenta che si possa immaginare... E poi andrebbero per le scale con
rischio ancora di precipitare per esse e rompersi l'osso del collo...
No, no, i miei bimbi li voglio avere presso di me, sotto i miei occhi
sempre.
Agapito si mise di nuovo a grattarsi la punta del naso.
--Eh! gli è bene un impiccio, alla fine, lo aver sempre appiccati alla
gonnella dei marmocchi...
--Per me non è niente affatto un impiccio.
--Ma per gli altri... per chi ad esempio avesse a parlarle di cose
interessanti, in segreto... come io in questo momento...
La curiosità di Rosina solleticata a queste parole, dominò di botto
ogni altro pensiero. Lasciò essa l'agucchiare, e voltasi di pieno
verso lo speziale, interruppe vivacemente:
--Ah, sì? Ella mi ha da dir qualche cosa? Lo volevo dire che lei mi
aveva un'aria tutta strana... Parli, parli pure... Questi ragazzi non
capiscono ancora...
--Ma pure... la loro presenza... le assicuro che mi impacciano.
Rosina mandò i bambini dall'altra parte del paravento.
--Parli, parli: eccomi tutt'orecchie ad ascoltarla.
Agapito chiamò in aiuto tutta la sua rettorica, e cominciò il
discorso.
Che volete? Come già vi sarete accorti, cari lettori, i pigli vivaci,
le ciarle volgari e spigliate, gli occhi furbeschi della Rosina
avevano ferito il cuore del già maturo Agapito, celibe, avaruccio ed
egoista: e di quel giorno in quell'occasione s'era coraggiosamente
risoluto ad aprir l'animo suo alla donna.
Cominciò adunque con dire quanta stima, quanto interesse avessero
destato in lui i fatti e i meriti della signora Rosina; ch'egli aveva
scoperto come in poco prospere condizioni si trovassero i coniugi
Vanardi, ed egli ne sentiva gran pena; era disposto a venire in loro
aiuto in tutte le maniere che fossero in poter suo; il pittore
avevagli domandato un prezzo esorbitante dell'opera sua, ed egli per
carità, per l'interesse che sentiva verso di loro, per la generosità
dell'animo, era disposto a pagare assai più di quello che quelle due
tavole valessero; chè anzi, egli era disposto a fare altro ancora e
meglio per loro; egli già non poteva di molto, ma pure, per la signora
Rosina non si sarebbe rimasto a questa sola elargizione, avrebbe
fatto, avrebbe detto, purchè... purchè...
Tutto era andato alla più liscia sino allora. Rosina interrompeva ad
ogni momento il parlatore per ringraziarlo diffusamente, per
magnificarlo con mille lodi; gli aveva pigliato la mano e gliela
stringeva con riconoscenza; lo proclamava il primo speziale del mondo
e il più caritatevole uomo fra quanti mai abbiano portato il naso
sulla terra. Ma quando messer Agapito si fu rintoppato in quel purchè,
tutto cambiò aspetto.
Che si disse egli mai? Che avvenne? Profondo mistero della storia! Ma
si sarebbe potuto udire la voce dello speziale abbassarsi ad un tono
più che confidenziale, e quella invece della Rosina elevarsi a seconda
tant'alto da giungere poi distinta sino nel corridoio delle soffitte,
sin sul pianerottolo della scala: e i bambini spaventati al collerico
gridare della madre strillare acutamente ancor essi. Poscia ad un
tratto si vide l'uscio spalancarsi violentemente e messer Agapito
venirne fuori mogio mogio, incalzato dalla Rosina furibonda, e con una
solenne graffiatura a quella punta del suo naso che l'amoroso speziale
soleva grattare ed accarezzare con tanta compiacenza.
--E per chi mi piglia? gridava a testa la Rosina infiammata: ed io son
quella da regalarle la lezione che si merita... Ed è codesta la sua
carità, bell'arnese da spezieria?... E non mi torni più per i piedi,
chè mio marito è capace di romperle sulle spalle un bel legnetto
verde, ed in mancanza di lui io stessa...
--Zitto, zitto per amor del cielo: susurrava Agapito, tentando farsi
piccino piccino e rinsaccando il capo fra le spalle: si calmi, non
facciamo scandali, non facciamo scene...
--Ne voglio far io: gridava più forte la moglie del pittore. E non so
chi mi tenga dal chiamar tutti i casigliani fuori, e contar loro le
sue belle prodezze.
Qualche uscio nel corridoio incominciava a socchiudersi: qualche
cuffia di comare cominciava a lasciarsi scorgere dalle aperture;
Agapito avvertì dietro ogni porta un orecchio ascoltatore; non attese
di più, e rimpiccinito e lesto prese di volo le scale, lasciando
vincitrice sul campo di battaglia la Rosina fieramente impostata sulla
soglia del domicilio coniugale.
Anna si mise a tremare solamente all'udire il colpo violento che lo
zio aveva fatto battere all'uscio nel richiuderlo dietro di sè quando
era entrato in casa. S'affrettò a porre in tavola, e corse alla stanza
dello speziale, dove egli s'era rifugiato.
Agapito stava innanzi a quello specchietto che pendeva
dall'intelaiatura dei cristalli alla finestra, e si faceva bagnòli di
una sua acqua di farmacia alla graffiatura del naso.
--Signor zio, è in tavola, disse la nipote, entrando sollecita.
Ed egli volgendosele tutto invelenito:
--Chi ti ha dato licenza d'entrarmi in camera di questa fatta? Sarai
tu sempre la scioccona e la villanaccia che per mia disgrazia ho
stanato dal nostro paese? Buona da nulla, va! A quest'ora una
bertuccia sarebbe già meglio incivilita di quello tu non sia. Levami
dagli occhi il tuo brutto muso.
La poverina s'affrettava ad andarsene: ma appena era essa fuori
dell'uscio che lo zio la richiamava. Anna, oppressa dalla pena e dalla
vergogna, non udiva alla prima; Agapito, tenendosi con una mano il
pannolino inzuppato sul naso, le correva dietro:
--Marmottona, sei sorda o non vuoi udire? Avresti l'impertinenza di
mettere il broncio? Che sì ch'io ti vo' levare il ruzzo dal capo, se
te ne viene... Oh vedete la signorina che fa la suscettiva!... pitocca
che tu sei!... Non so perchè non ti mando su due piedi a mangiar
polenta e patate nel tuo nido di montagna.
E la infelice, se l'avesse osato, avrebbe pregato lo zio, come d'una
grazia, di porre in atto questa minaccia e lasciarla tornare alla
miseria, ma insieme alla pace, del suo villaggio natio.
--Ma io sono troppo buono, continuava messer Agapito, e sciupo i miei
benefizi con una ingrata. Bada a non istancarmi poi del tutto!... Dà
in tavola pei garzoni... Io non andrò a pranzo con loro, ma mi
servirai qui... Se ti chiedono il perchè, e che cosa ho, e simili
domande, non risponder nulla... Va, e non farmi qualche scempiaggine
delle tue solite.
Non occorre ch'io vi dica se Agapito trovò il pranzo tutto cattivo,
tutto pessimo, e se coprì di villanie e di rimbrotti la povera
ragazza, rimproverandola ad ogni momento persino il poco pane che ella
mangiava. Comechè già avvezza a sì mali trattamenti, l'infelice ad
ogni volta ne provava più e più sempre onta e dolore.
Oh! in cuor suo ella non era lungi dal maledire quella sì fiorita
carità di cui ad ogni piè sospinto si vantava cotanto il signor zio.


VIII.

Vanardi intanto chiotto chiotto avea preso la strada verso
l'abitazione del suo amico Giovanni Selva. Ma di necessità gli toccava
passare innanzi ai principali suoi creditori.
Il venditore di legna era là che spaccava a stecche sopra un gran
ceppo certe legnette rotonde. Antonio sperò poter passare di fretta
innanzi alla bottega, camminando dall'altra parte della strada, senza
che l'inesorabile creditore lo vedesse: ma ecco che questi alzava il
capo appunto in quella e lasciava cader lo sguardo sul povero pittore.
--Oh, oh! signor Vanardi, cominciò egli, che pressa è la sua? Non è
già per venir da me ch'ella corre cotanto?
--No, rispose Antonio, sentendosi spuntare alle radici de' capelli
goccie di sudore per la vergogna. Ho qualche faccenda che mi preme.
--Va bene, va bene. Sa che c'è di nuovo? che mi sono stancato
d'aspettare, che sono stato dal giudice e che lei si riceverà quanto
prima la sua brava citazione...
Vanardi traversò la strada e venne sollecito verso il carbonaio.
--Oh, voi non farete una cosa simile, mio caro signor Gregorio. Siete
padre anche voi, ed avrete un po' più di sofferenza per un povero
padre di famiglia.
--Eh appunto perchè sono padre ancor io debbo pensare ai miei
interessi. Ve l'ho detto tante volte! Ora non c'è più novelle che
valgano; la mia istanza al giudice è già bella e data...
Antonio curvò il capo e s'allontanò senza aggiunger parola, ma con in
cuore una delle maggiori pene che avesse provato ancor mai.
Alla cantonata vide con spavento il pizzicagnolo fuor della sua
bottega, a discorrerla col panattiere.
--Signor Vanardi, quand'è che mi paga? cominciò il primo de' due,
appena fu a tiro.
--E me? soggiunse il secondo.
--Abbiano pazienza ancora un poco: rispose il povero diavolo. Spero
che...
--Ne ho avuto anche troppo di pazienza: esclamò l'uno.
--Ed ancor io, ma non voglio più averne: disse l'altro.
--L'avverto che di quest'oggi stesso mi provvederò in giustizia.
--Ed io pure.
Vanardi fece come avea fatto col carbonaio: non disse più verbo e tirò
dritto.
--Facciano, diceva a sè stesso con rabbia e dolore. Animo, addosso
tutti: coraggio, mi ammazzino, mi squartino addirittura. Ciò farà loro
piacere, può darsi: ma farli avere il fatto loro?... Sfido io!... Di
quest'oggi il mio padrino riceverà la mia lettera. Che effetto avrà
essa?... Quella è l'ultima mia speranza. Se la mi fallisce non mi
resterà più nessun mezzo... E che cosa dovrò fare? Ammazzarmi?
Si ricordò del fatto di cui gli aveva parlato lo speziale, narrato nel
foglio ch'egli teneva in tasca.
--Quella è un'idea... Ah! se con ciò potessi dar pane ai miei poveri
bimbi!
Giunse a casa il suo amico, con la faccia così turbata, che Selva gli
disse tosto spaventato:
--Antonio! Mio Dio! Che c'è? Che cosa t'è capitato?
Giovanni Selva non era neanch'egli in troppo buone fortune. Aveva
moglie ancor esso e famiglia, e non ricavava troppo larghi guadagni
dal lavoro letterario della sua penna.
Antonio s'era proposto di non dir nulla delle sue sciagure finanziarie
all'amico, appunto perchè sapeva che questi si sarebbe tosto risoluto
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