La carità del prossimo - 09

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Il capitano, da parte sua, s'era accorto di qualche cosa riguardo alla
figliuola.
--Lisa: le disse un giorno, pigliandola per mano e fissandola ben bene
in volto. Tu non ridi più come per lo innanzi; tu non canti più da
mattina a sera come facevi. Che cosa è capitato?
La giovane s'era fatta del color delle fragole, come una colpevole
colta in fallo.
--Io, babbo? rispose ella tutto impacciata: ti pare?... Ma no... Son
sempre quella io... Non è capitato niente... Che cosa vuoi ci sia
capitato?
E da quel momento stette in sull'avviso per non lasciar scorgere più
nulla del suo turbamento al genitore.
Quella sera adunque in cui noi penetriamo nel salotto di codesta
famiglia. Lisa e suo padre erano soli presso al fuoco nel salotto, e
nella vicina stanza coniugale si udiva l'andare e venire d'un uomo che
non poteva essere altri che Gustavo.
Ad un punto, il signor Carlo alzò gli occhi dal suo libro, volse la
testa verso sua figlia e disse con accento pacato, ma in cui era pure
una leggiera tinta d'impaziente ironia:
--Che? Tuo marito non ha ancora terminata la sua acconciatura?
Cospetto di bacco! Sai che non c'è donna per quanto civetta essa sia
che impieghi tanto tempo alla teletta?
Lisa non sapeva che cosa rispondere; ed ecco, per fortuna, a torla
d'imbarazzo entrare nel salotto i due casigliani del piano di sopra,
Giovanni Selva e sua moglie Adelina.
Conosciuti quali erano dalla fantesca, i due visitatori avevano potuto
inoltrarsi senz'essere annunziati. All'udir gente che entrava il
signor Carlo aguzzò lo sguardo verso l'uscio; ma non vedendo bene chi
fosse nella penombra prodotta dal coprilume, sollevò questo dal globo
della lampada, e fece spandere la luce per tutta la camera.
--Siate i benvenuti, miei cari vicini: disse egli con molta
cordialità, ravvisandoli tosto, e chiuso il libro lo ripose sulla
tavola per porgere la destra a Giovanni che s'avanzava verso di lui.
Lisa, appena visto ancor essa chi entrava, s'era levata vivacemente da
sedere con un'esclamazione di affettuosa letizia ed un saluto
amichevole, ed era corsa incontro all'Adelina ad abbracciarla.
--Lei sta bene, signor capitano? disse Giovanni stringendo con
deferenza la mano leale del padre di Lisa.
--Benissimo, grazie. Di lei non lo domando neppure; lo si vede
abbastanza.... E neanche di lei signora, soggiunse con un sorriso di
galanteria, volgendosi ad Adelina, la quale s'era seduta dall'altra
parte del tavolino, accosto alla Lisa. Ella è un fior di rosa.
La moglie di Selva, sorridendo, minacciò scherzevolmente il signor
Biale coll'indice della sua piccola mano.
--Ah, signor capitano! Lei mi vuol fare imbizzarrire.
--E il signor Pannini? domandò Giovanni.
Il capitano fece una smorfia di cattivo umore e crollò le spalle con
atto di malcontento.
--È di là, rispose, in grandi occupazioni di teletta. Non so quando
avrà finito. Per me gli è un'ora che m'impaziento per tanta grulleria.
Lisa arrossì, come se fosse a lei diretto il rimbrotto, e timidamente
disse:
--Gustavo deve andare ad una gran festa, e....
--Sì, sì: fu sollecito a soggiungere il capitano, pentito d'aver fatto
pena alla figliuola. E' va ad un suntuoso ballo d'apparato che dà non
so qual principe della finanza.
--Desidererei parlargli: disse Giovanni; ma del resto ciò di cui
voglio pregarlo--perchè si tratta d'un favore che ho intenzione di
domandargli--posso dirlo a loro, è la medesima cosa.
--Parli, parli pure: disse con gentilezza invitatrice, non per
cerimonia, ma affatto sincera, il padre di Lisa.
In questa s'udì la voce di Gustavo dalla stanza vicina.
--Lisa, hai tu veduto i miei guanti?... Non li trovo più.... Ne avevo
ancora parecchie paia...
--Li ho riposti io: rispose Lisa alzandosi in tutta fretta. Vado a
darteli.
E corse sollecita dov'era il marito.
Gustavo in tutto lo splendore d'un'acconciatura di rispetto più che
accurata, abbagliante per i bottoncini di diamanti allo sparato della
camicia, pei bottoncini d'oro al panciotto nero, per la lunga e grossa
catena d'oro dell'oriuolo, dalla quale pendeva una voluminosa ciocca
di ciondoli, di ninnoli, di minuterie preziose, stava innanzi allo
specchio ammirando il nodo elegante della sua bianca cravatta e le
volute graziose alle tempia della sua zazzera arricciata dal ferro
sapiente d'un parrucchiere alla moda.
Si volse alla moglie che era entrata, e le disse con un sorriso
trionfante:
--Ti pare ch'io stia bene?
--Benissimo: rispose Lisa con ammirazione innanzi alla beltà di suo
marito.
--Vieni dunque a darmi un bacio.
Ella ubbidì con molto zelo. Gustavo le passò un braccio intorno alla
vita e guardandola con espressione di molto amore, soggiunse:
--Ah, perchè non posso condur meco anche te, mia buona ed adorata
Lisa, in una teletta che facesse stare al disotto quella di tutte le
altre? La tua bellezza, cara donna mia, disgraderebbe le più superbe
pretensioni di quelle poppattole che tengono lo scettro della moda...
Mandò un sospiro di sincero rimpianto, soggiungendo:
--Ah! se la fortuna mi avesse un po' assecondato!...
Sulla sua fronte venne di botto ad oscurarla quella nube che la moglie
da qualche tempo ci aveva notata ad intermittenze, però fu lesto a
discacciarla.
--Ma non ho perso ancora le speranze, continuò; ed anzi, chi sa che
fra poco...
Fece una reticenza, la quale, più ancora delle pronunziate parole,
eccitò la curiosità di Lisa.
--Che cos'è? domandò essa. Tu tenti qualche cosa? Tu hai qualche
progetto? Quale?
--Nulla, nulla: rispose il marito sciogliendo l'amplesso con cui la
teneva abbracciata e tornando allo specchio a mirarsi. Non andare
fantasticando colla tua testolina delle cose spiacevoli, sai... Non
voglio; no, cara, non voglio che la menoma ombra di cruccio passi sul
cuore della mia Lisa... Ti dico solamente che il mio costante
desiderio è il poter procurare a questa diletta donna tutti i piaceri
e le soddisfazioni della ricchezza...
--Ma io non ci tengo: disse vivamente la donna. Io non desidero in
nessun modo nè le feste nè gli sfarzi del gran mondo.
--Li desidero ben io per te... Come! a te non piacerebbe di venir
meco... non foss'altro che per istare insieme?
--Ah, Gustavo! Potremmo stare insieme tanto bene e con maggior
abbandono, qui, nella nostra casa!...
--Hai ragione: ma che cosa vuoi? Viviamo nella società, e non possiamo
sottrarci ai legami ed agl'impegni di essa... Quanto a me, poi, alla
mia carriera, al mio avvenire, è quasi una necessità il vivere quella
vita.
Lisa chinò il capo sospirando come per indicare ch'ella ben vi si
rassegnava, ma che penosa erale la sua rassegnazione.
--Oh, dunque, Lisa, riprese Gustavo cambiando tono: dammi i guanti.
La moglie venne a recargliene parecchie paia; egli ne scelse
accuratamente due, e messone uno in tasca per servir di ricambio, si
pose a calzar l'altro con tutta la cura che richiede una sì dilicata
operazione.
Passarono tutti due nel vicino salotto, Lisa portando il mantello, il
_cachenez_ ed il cappello del marito.
--La riverisco, signora, disse questi ad Adelina; buon giorno, Selva,
come va?
I due coniugi risposero al saluto.
Il signor Carlo guardò suo genero non senza un po' d'ironia
nell'espressione del volto.
--Hai finito pur una volta, bellimbusto? gli disse tra lo scherzo e il
rimprovero.
--Che volete? rispose Gustavo ridendo. Questo benedetto nodo di
cravatta non lo potevo far bene. Ci ho sciupato tre pezzuole prima di
venirne a capo... Hai mandato a prendere la carrozza, Lisa?
--Eh! disse con qualche impazienza il capitano: è quasi mezz'ora che
sta qui sotto ad aspettare.
Gustavo trasse fuori il suo ricco orologio.
--Cospetto! è tardi. Ho promesso al signor Bancone di andar presto a
fare la sua partita. Addio, Lisa; buona sera, papà; signori Selva, li
riverisco.
La moglie lo aiutò a mettere sulle spalle il mantello, e gli avvolse
con cura il _cachenez_ intorno al collo.
--Non aspettarmi sai, Lisa, diceva intanto il marito, guarda che te lo
proibisco!... Non so a che ora mi sarà possibile rientrare... già farò
di tutto per isbrigarmi presto... ma in ogni modo, guai a te, se non
ti trovo placidamente addormentata.
La moglie lo accompagnò fino al pianerottolo.
--Copriti bene, gli diceva con infinita amorevolezza, e non istancarti
di troppo, che, per carità, non avessi poi da patirne; ed anche in
mezzo a tutta quella folla, a tante belle signore, a tanto chiasso,
pensa un poco anche a me.
--Forse ch'io ti possa dimenticar mai, anima mia? rispose con accento
di sincero affetto il marito; e datole ancora un caldo bacio
partivasi, mentr'ella tornava nel salotto.
Biale aveva guardato dietro suo genero che s'allontanava, tentennando
un pochino la testa.
--In fondo è un buon diavolo, diss'egli, ma sarà sempre un ragazzo.
Lisa tornò con una lieve mestizia espressa nelle sembianze, la quale
però sotto lo sguardo del padre si dileguò ben tosto.
Selva quindi, sollecitato dal signor Carlo, espose ciò di che era
venuto a pregarli; volessero cioè raccomandare al genero e marito di
procurare un posto nella banca a Vanardi, del quale Giovanni raccontò
le misere condizioni. Il capitano e la sua figliuola presero il
maggior interesse pel povero pittore; e l'intesa fu che Selva mandasse
egli stesso poi il suo raccomandato agli uffici del signor Bancone con
un suo biglietto per Pannini, al quale la mattina seguente il suocero
e la moglie parlerebbero con tutto calore in pro' di quell'infelice.


XII.

Il domattina Selva s'affrettava verso la dimora di Vanardi a portargli
la novella, che il signor Biale aveva assunto di raccomandarlo, e la
sua lettera ch'egli doveva consegnare a Pannini.
Giunto all'uscio del pittore, Giovanni udì nell'interno la voce della
Rosina e quella d'un uomo che gli parve del signor Marone, cui egli
conosceva eziandio. Temendo che gli argomenti di discorso fra la
moglie d'Antonio e il padrone di casa fossero di tal fatta da tornar
poco graditi alla donna, Giovanni s'affrettò ad entrare, e si trovò
innanzi per prima la brutta faccia d'un uomo che non aveva visto mai.
Pareva aver sessant'anni all'incirca; era alto di statura, ma curvo di
petto, come se a stento si reggesse sulla macilenta persona;
calvissima aveva la fronte, e il cranio diventato di color giallognolo
pareva di avorio affumicato; alla nuca si rizzavano ribelli, e, per
dir così, tormentate delle superstiti ciocche di capelli, il cui color
fulvo era temperato dalla canutezza, folti baffi del tutto bianchi gli
coprivano il labbro superiore; foltissime sopracciglia s'aggrottavano
per moto abituale sopra i suoi occhi piccoli, di color bigio,
infossati ed irrequieti, che dal fondo delle occhiaie risplendevano
d'un luciore maligno; la faccia era incavata, e la pelle aderiva
all'osso sporgente dello zigomo, piegandovisi sotto, alle gote, in una
rete inestricabile di minutissime rughe; un pallore quasi livido gli
si stendeva sulle sembianze. Un dolore profondo, interno, antico,
appariva da quel tristissimo volto; ma non era che destasse in chi lo
mirava senso alcuno di pietà, sì piuttosto di paura e di ribrezzo,
perchè nello sguardo, nel cipiglio continuo di quell'uomo si leggeva
una vendetta implacabile, una ferocia da non saziarsi mai.
Giovanni indietreggiò innanzi a quell'orrida figura. Il signor Marone,
che parlava, troncò di subito il suo discorso; e tanto egli quanto il
suo compagno si mostrarono spiacenti del sopraggiungere d'un estraneo.
--Ci pensi madama: aggiunse in fretta il padrone di casa lisciando il
pelo del suo cappello colla manica del pastrano. Noi torneremo per una
risposta.... o tornerò io soltanto, uno di questi giorni.... Mi saluti
il signor Vanardi.... La riverisco.
E sgusciò fuor dell'uscio, come se nulla gli premesse di più che
l'andarsene; lo sconosciuto lo seguì senza disserrare le labbra, senza
fare neppure il menomo cenno di saluto.
--Che animale è egli codesto? disse Giovanni chiudendo la porta dietro
di loro.
--Neh! com'è brutto! esclamò Rosina giungendo le mani. Quando l'ho
veduto entrare, Gesummaria! mi ha fatto paura.
--E che cosa gli è venuto a far qui?
--Eh! lo so io bene? Chè qui mi ha tutta l'aria d'esserci un mistero.
Si figuri che il pretesto fu quello di vedere il nostro alloggio....
Bella cosa, veramente, da vedere!... E che? io dissi subito a quella
talpaccia del signor Marone; noi dunque non si conta più un cavolo e
vuole addirittura spazzarci via. Quell'impostorone faceva il
melato.... E l'altro, quella faccia di morto con que' suoi occhi di
basilisco.... Dio! che occhi!... ha notato signor Giovanni che
lanternini d'inferno sono quelli?... Quell'altro intanto, sa che cosa
faceva?... Guardava tutt'intorno, alle pareti, negli angoli, da questa
parte e da quella con avidità, come se ci avesse da cercare un tesoro.
Il signor Marone lo fece passare di là del paravento. Io veniva loro a
panni e seguitavo a tempestare a parole il padrone di casa. Quel
brutto muso, appena fu di là, vide il quadro colla cornice dorata, e
mandò una specie di grido, quasi un urlo soffocato, che mi fece
trasaltare...
--Oh bella! interruppe Giovanni, il quale fu assalito di botto da un
sospetto: e poi? e poi?
--Se avesse visto come gli occhi gli si misero a risplendere! Parevano
carboni accesi, su cui si fosse soffiato forte. Corse al quadro; lo
spiccò dal muro: lo guardò ben bene che pareva volesse mangiarlo. Un
rosso cupo glie ne era venuto su quelle guancie scialbe, e le sue mani
tremavano come se avesse il freddo della terzana. «Signore, io gli
dissi, che cos'ha, che cosa vuole?» Eh sì! non mi badò più che se
avessi parlato ad un ceppo. Si volse verso il padrone di casa e gli
disse con una voce che pareva venirgli su dal fondo della pancia, come
quella d'un raffreddato che parli in un imbuto: «Avete ragione, è
lei.»
Giovanni interruppe la Rosina, battendo insieme le mani.
--Corpo di bacco! non c'è più dubbio: è lui.
--Chi lui?.
--Quel birbone d'Orsacchio.
--Orsacchio! esclamava Rosina curiosamente. Vuol dire il marito della
donna del quadro?
--Quello appunto.
--Oh poveretta! Ora che ho visto il muso di codestui, comincio a
compiangerla anch'io daddovero.
--Ma vive essa ancora? E dove?... Ecco quanto si ha da scoprire...
Averlo avuto qui quel birbone ed esserselo lasciato scappare!... Ma
poichè pare che egli è in buona relazione col signor Marone, per mezzo
di costui, sorvegliando i suoi passi, potremo forse venire a capo di
qualche cosa... A lei, signora Rosina, che cosa dissero d'altro?
--Parlarono di comprare quel ritratto. Io risposi che mio marito non
lo voleva vendere... Noti che fu sempre il padrone di casa a parlare.
L'altro non disse che poche parole colla sua voce cavernosa...
N'eravamo a quel punto quando lei è venuto e loro sono scappati.
Selva non si mosse di là, finchè Vanardi non fosse tornato. Questi
rientrò a casa avendo placato i suoi creditori e fattili acconsentire
a sospendere l'intentata lite, ma avendo di bel nuovo le tasche
asciutte.
Giovanni gli narrò subito quant'era avvenuto, lui assente, in casa
sua; ed Antonio fu persuaso eziandio, e tosto, che quello sconosciuto
era proprio Orsacchio, cui la fortuna gli menava finalmente tra'
piedi.
I due amici furono d'accordo che conveniva profittarsi di quella
proposta di compera del quadro per iscoprire la sorte di Gina: che
perciò era necessario andarne dal signor Marone sotto colore di
riannodare le pratiche, e governarsi di guisa da venir a scovar fuori
la verità: e siccome Antonio protestava di non esser fornito della
voluta accortezza a quell'uopo, Selva si profferì egli stesso, e
promise ci sarebbe andato al più presto. Alla qual cosa Vanardi lo
sollecitò di molto; impaziente che egli era di aver pur finalmente fra
le unghie quello scellerato che gli aveva ammazzato l'amico Alfredo
Cioni e di recare, se pur fosse possibile, alcun sollievo al destino
certo sciaguratissimo della infelice Gina.
Esaurito questo discorso, Giovanni consegnò a Vanardi la lettera che
aveva scritto per lui a Gustavo Pannini, e lo stimolò a recargliela
sollecitamente, di quel giorno medesimo, s'ei potesse.
--Bisogna battere il ferro mentre è caldo, soggiunse. Questa mattina
il signor Carlo e sua figlia hanno parlato di te a Pannini, ed egli è
di certo disposto a far molto in tuo favore.... non bisogna lasciare
che si raffreddino queste buone disposizioni.
Antonio annuì a tutto quello che Selva gli disse: ed avess'egli fatto
a senno dell'amico, avrebbe risparmiati a lui ed a sua moglie alcuni
brutti momenti che, come vedremo, toccò loro di passare: ma quando
l'amico fu partito per le sue faccende, Antonio che, a cercare
quell'impiego per cui doveva rinunciare all'arte sua, ci andava di
mala gamba, si pose in tasca il biglietto introduttivo presso il
segretario di Bancone, e determinò essere miglior partito l'aspettare
ancora tutto quel giorno se lo zio padrino, commosso dalla lettera
mandatagli, non gli rispondesse favorevolmente come glie ne avevan
data speranza le parole di Giacomo, e quindi non gli rendesse inutile
quel passo che gli gravava assaissimo l'aver da fare.
Ma il poveretto ebbe un bell'aspettare tutto quel giorno ed anche
l'altro appresso: nessuna risposta gli giunse da quel barbaro di
padrino.
Come avvenne egli mai? Il cuore dello zio droghiere, che, dietro la
narrazione di Giacomo, pareva essersi aperto ad un poco di pietà,
erasi egli chiuso di nuovo più inesorabilmente di prima? Ecco in che
modo era andata la faccenda.
La verità era che il vecchio non aveva potuto leggere lo scritto del
nipote senza sentirsi commuovere. La sua collera aveva un bel dirgli
che doveva star saldo; la compassione e l'affetto che, malgrado tutto,
senza che egli volesse e sapesse, gli durava nell'animo per quel
cattivo soggetto d'un nipote, lo piegavano con molta forza a più miti
consigli. Antonio po' poi era l'unico parente che ancora gli
rimanesse: perdonargli le sue colpe, questo poi no; il fiero droghiere
non lo voleva, e dicevasi che non l'avrebbe fatto mai; ma lasciarlo
morire di fame poi, la gli pareva troppo dura anche al suo animo
irritato.
Ed ancora: se non si fosse trattato che di quell'ingrataccio d'un
figlioccio e di quella poco di buono ch'egli aveva sposato, passi: ma
c'eran di mezzo dei bambini.
--In codesto ha ragione, quello scellerato: disse fra sè lo zio. I
suoi ragazzi non ne possono nulla... I suoi ragazzi!.. E' son pur
sangue mio... Poveri bimbi!
Per uno strano gioco di fantasia, rivide col pensiero il suo
figlioccio quando ancora bambino egli stesso. Ricordò le mille piccole
vicende di quel caro fanciullo ch'egli aveva preso ad amare come suo,
e s'intenerì vieppiù. Tolse in un cassetto del suo scrittoio una buona
manciata di monete, cambiò il berretto di seta nera col suo cappello a
stajo, indossò il pastrano ed uscì di bottega, senza dire una parola
ai garzoni, per alla dimora del nipote.
Ma il guaio era che il droghiere sapeva bene qual fosse la strada in
cui Antonio abitava, e press'a poco a qual punto della medesima ne
fosse la casa, ma non aveva mai saputo o non si ricordava più il
numero della porta. Onde, giunto in quella via, rallentò il passo,
parve non andar più che di mala voglia, e si diede a guardare alla
scimunita di qua e di là, come se sulla facciata delle case dovesse
scorgere un indizio che gli mostrasse l'abitazione del nipote.
Già nel tempo che aveva dovuto impiegare a giunger fin lì, quel suo
primo impeto di pietà aveva dato giù un poco. S'era venuto via via
rammentando il suo giuramento, non solo di non perdonare, ma di non
voler nemmanco saper più nulla del colpevole, tutti i gran dispetti
che Antonio gli aveva fatto provare, s'era detto che un uomo di
carattere non deve lasciarsi avvolgere così facilmente da poche
parole, le quali, chi sa ancora se fossero veritiere!
Al sopravvenire di questo dubbio, e' s'era fermato sui due piedi.
--È capace di tutto quel senza fede: aveva pensato. Può esser
benissimo una lustra per bubbolarmi denari; ed io, sciocco, mi ci
lascerei accalappiare?... Oh no, no. Voglio prima conoscere
esattamente come stanno le cose. E se la è una trappola, mal per lui!
Così se ne veniva egli giù per la strada guardando da questa e da
quella. Se la fortuna avesse voluto cessare di esser nemica al povero
Antonio, l'avrebbe menato lì a quel punto, e messolo naso a naso collo
zio. Ma no, essa voleva proprio vederlo alla disperazione, e, per
giuocare all'infelice pittore il più brutto tiro Che potesse, trasse
fuor della bottega e postò lì sul passaggio del droghiere quella buona
lana di messer Agapito.
La giornata era bella, il tempo mite, la solita nebbia degl'inverni
torinesi si lasciava lodevolmente desiderare, e un sole giallognolo
mandava di sbieco un raggio fin sulla soglia della farmacia.
Figuratevi se con un tempo simile il nostro signor speziale poteva
starsene rinchiuso nella sua bottega! La graffiatura del suo naso era
accuratamente coperta da un pezzetto di taffetà inglese incerottato;
la voglia di ciarlare gli era tornata in corpo anche maggiore, e del
doppio gli si era accresciuto il maligno talento di tagliare i panni
altrui; venne fuori a respirare quelle aure tepidette e riscaldare il
suo naso a quel fugace raggio di sole.
Non tardò a vedere lo zio d'Antonio, a lui perfettamente sconosciuto,
il quale andava e veniva, come ho detto, col passo incerto di chi
cerca una qualche cosa e non trova. Pensatevi se la curiosità di
messer Agapito non doveva svegliarsi! Cominciò ad ammiccare a
quell'incognito passeggero, e fargli certi cenni d'interesse e certi
sorrisi di mezzo saluto, finchè vedendo che l'altro non gli badava
punto, non si tenne più dal rivolgergli addirittura la parola.
--Signore, gli disse scendendo dallo scalino, e toccando per saluto la
tesa del suo berretto; non vorrei essere indiscreto; ma mi pare che
lei vada cercando per queste parti di qualche cosa... Io, se posso
essere utile a qualcheduno, sono l'uomo più lieto del mondo... Che
vuole? Son fatto così, io... Non potrei vedere un gatto negl'impacci
senza andarlo a districare... Adunque, siccome questo quartiere io lo
conosco poco su poco giù come la mia bottega, e so a qual ripiano di
qual casa abiti questi o quegli, come so a qual ordine delle mie
scansie vi è il tale o il tal altro barattolo, così se lei ha bisogno
di qualcheduna di siffatte informazioni, io son qui a suo servizio, e
non le accade che domandare.
Lo zio d'Antonio, al primo affacciarglisi di costui che non conosceva,
fece una sosta e stette ascoltando stupito e incerto del come
rispondere. Poi pensò che questo tale poteva benissimo informarlo al
giusto delle condizioni del nipote; e che non sapendo affatto chi
fosse a interrogarlo, era disposto senza dubbio a non falsare la
verità. E come poteva mai immaginare che in quello speziale dalla
faccia sorridente ci fosse alcuna animosità contro il pittore?
--La ringrazio, rispose adunque il droghiere: cerco appunto d'un tale
che deve abitare qui presso, ma di cui non so il numero della porta.
--Ebbene, s'ella me ne dice il nome, io ci scommetto che so dargliene
il giusto indirizzo.
--Gli è un pittore...
Agapito diede in un leggier trasalto.
--Ah, ah! interruppe. Vanardi, forse?
--Giusto. Lei lo conosce?
Lo speziale alzò le spalle, insaccò il capo, allungò il labbro
inferiore e mandò una voce d'un'espressione poco lusinghiera pel
povero Antonio.
--Euh!... Lo conosco pur troppo. Sta qui, in questa casa medesima, su
fino al di sopra del tetto. Me lo vedo passare dinanzi ai vetri della
bottega una diecina almeno di volte al giorno.
--Esce di frequente?
--Non fa che andare a zonzo.
--Non trova dunque lavoro?
--Non ha voglia di lavorare... E poi, affè che per dargli alcun lavoro
bisogna proprio voler gettare via il denaro.
--Vuol dire che è poco abile nell'arte sua?
Lo speziale volle grattarsi, secondo il suo solito, la punta del naso;
ma il suo dito incontrò il cerotto che copriva la graffiatura. Ciò non
lo dispose ad essere benigno per Antonio, fece una smorfia e rispose:
--Poco abile!... Vorrebb'ella forse commettergli qualche lavoro?
--Precisamente.
--Ebbene, accetti un consiglio d'amico. Vada piuttosto a pigliare uno
di quegl'imbianchini che scialban le case.
--Ma dunque, e' non val niente?
--Dia retta: l'espressione sarà un po' forte, ma è giusta: gli è un
asino calzato e vestito.
--O diavolo! esclamò lo zio, un po' offeso contro lo speziale, ma
irritato molto più contro il nipote.
--E con ciò egli ha delle pretese che a chiamarle impertinenti è dir
poco.
--Davvero?
--Domanda dei prezzi impossibili... Guardi: io amo troppo il mio
prossimo per non avvertirnela... E parlo per esperienza, sa!... vede
questi due brutti figuri che fanno vergogna alla mia bottega e che un
giorno o l'altro caccerò sul fuoco? E' non valgono quattro soldi
l'uno, e quel birbone me li ha fatti pagare un occhio della testa.
--E lei, signore, ha pagato?
--Che cosa vuole?... È così insistente!... Un par mio non fa scandali,
non si cimenta con di quella gente... Ho pagato.
--Sarà forse la necessità che lo spinge a domandar più che non valga
il suo lavoro. Mi è stato detto ch'egli era nella massima miseria...
Lo speziale crollò le spalle e si mise a sogghignare.
--Miseria! miseria! La solita scusa di tutti codesti viziosi che amano
spassarsela e non far niente.
--Ma egli ha pure moglie e figliuoli.
--Ah, sì, la moglie.... Una buona lana, anche quella... Lei la
conosce?
--Io no.
--La è una pettegola che meriterebbe di stare colle rivendugliole in
piazza dell'erbe. Una chiassona, un'impertinente... una linguaccia
poi!... una matta, infine, senza ordine e senza giudizio: non so se mi
spiego.
--Corbezzoli! La si spiega benissimo. La ringrazio di queste
informazioni di cui farò mio pro.
Lasciò lo speziale e si avviò per tornarsene senz'altro a casa sua; ma
il desiderio glie ne venne ancora di edificarsi di meglio intorno alle
cose di suo nipote. Passando innanzi al portone, vide scritto al di
sopra del finestruolo le classiche parole: _parlate al portinaio_, ed
avvisò che niuno poteva dirgliene di più, e di più preciso, che il
portiere. Entrò adunque nel camerino in cui stava, come di solito, la
madre di Giacomo.
Ora, vedete accanimento della sorte contro il nostro Antonio; in
quell'istante appunto, la portinaia, che, per quella tal ragione
dell'assenza totale di mancie da parte del pittore, era già
d'ordinario assai poco propizia a costui, trovavasi infiammata da una
nuova e non piccola collera contro il nipote del droghiere.
Suo figlio, Giacomo, era tornato nella loggia dopo un troppo lungo
intervallo--prima colpa che la portinaia era poco disposta a perdonare
così agevolmente--ed inoltre era tornato col povero cervello offuscato
dai fumi del vino bevuto ad Antonio.
La madre gittò le grida le più indignate, come se le avessero corrotta
la virtù del figliuolo sino allora innocente; cominciò per isfogare il
suo sdegno e correggere il traviamento del giovane coll'applicazione
sonora di due schiaffi solenni, ed immediatamente relegò il colpevole
nel soppalco che doveva servirgli di carcere sino alla largizione
d'una generosa amnistia; ed aspettava la prima occasione per dire il
fatto suo al seduttore di Giacomo, quando il droghiere, già sì poco
ben disposto verso suo nipote dalle parole dello speziale, le venne
innanzi ad interrogarla sul conto del pittore medesimo, contro cui
essa l'aveva sì amara.
--Una poco buona razza di gente: rispose la portinaia incollerita. La
mi domanda se son nella miseria.... Eh! non si meritano altro. Per
pagare a cui devono, certo non si san trovare i denari, ma per far
delle orgie sì che son capaci di procurarseli.
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