La carità del prossimo - 18

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--Santola, vuole che io parta o che rimanga a farle compagnia?
La vecchia posò un momento il suo sguardo sul volto della figlioccia,
che stava lì innanzi e presso al suo; quelle sembianze giovanili ed
allora animate, quell'aria d'affetto che ne spirava, tornarono
piacevoli a mirarsi alla madrina.
--Rimani, rimani: rispose ella con qualche po' d'effusione. Mi fa
piacere il vederti, e tu vieni sì di rado!
Grisostomo fece una smorfia, e non ebbe neppure la cura di celare il
suo dispetto. Per isfogarlo si volse a Vanardi.
--E voi, gli domandò bruscamente, che fate qui, chi siete?
Antonio rispose non senza fierezza:
--Gli è alla signora marchesa che ho da parlare, ed a lei ho già dato
conto dell'esser mio.
--Oh, sentite che tono! esclamò il villano servitore imbizzarrito. Chi
vi ha introdotto?
Lisa già voleva intromettersi, ma a questo punto successa al
malavventuroso pittore una tanta disgrazia che la sua causa fu
compiutamente perduta. La cagnetta, posta in terra poc'anzi dal
dottore, s'era avvicinata ad Antonio, il quale, non badandole punto,
nel fare un passo indietro, calpestò con un piede una delle piote
podagrose della bestiola. S'elevò tosto un alto guaito; e la vecchia
si riscosse sulla sua poltrona, che più non avrebbe potuto fare se a
lei medesima avessero pestato un callo.
--Che cosa avete fatto a _Mimì_? Vieni qui, carina.... O Dio, come
zoppica!... Siete stato voi che me l'avete rovinata.... Insolente!
andate fuori... ch'io non vi veda più... Grisostomo, fate uscire
costui.
Antonio, senz'attender altro, si precipitò fuor della stanza con una
rabbia ed una vergogna nell'anima che Dio vel dica; già toccava
all'uscio del pianerottolo, quando Carlotta lo raggiunse, e in fretta
in fretta, senza dargli tempo nè a pensare nè a parlare, gli pose in
mano un involtino di alcune monete e gli disse:
--La vecchia è scema, Grisostomo è un birbone, ma la signora Lisa è un
angiolo; è lei che vi manda questo.
Ed ella era veramente, come diceva Carlotta, un angelo, quella brava
signora Lisa, cui que' tristi, uniti in empia lega, avevan fatto di
tutto per allontanare dalla presenza, non che dal cuore della
marchesa. Grisostomo non si mosse più dal fianco della vecchia fin che
la figliuola del capitano Biale rimase colà; ed ella in vero,
impacciata e infastidita dalla vista e dalle maniere di quel
tracotante, non tardò a partire.
--Signora marchesa, disse il cacciatore, quando appena fu fuori la
Lisa, il notaio oggi non può venire, ma verrà domani senza fallo.
--Il notaio! balbettò la marchesa, perchè cosa il notaio?... Ah! mi
ricordo. Ho da rifare il mio testamento. Volete proprio ch'io rifaccia
il mio testamento?... Oh poveretta me!... Ma ciò mi farà morire....
Ah, mi sento male, sapete Grisostomo.--E diffatti dopo poche ore la si
pose a letto colla febbre.
Nel pomeriggio di quel giorno medesimo, che era il lunedì, Selva e
Vanardi si recarono a Valnota, e per una strana combinazione, che
pareva un aiuto della Provvidenza, trovarono che Orsacchio erasi
partito di là, per una misteriosa gita alla capitale. Matteo, tuttavia
riconoscente al pittore delle generose mostre d'interesse che ne aveva
ricevute, non pose ostacolo a che egli vedesse la signora della
palazzina, ed Anna, dietro i cenni di Antonio, si recò da Gina a
prepararla a riceverlo.
La infelice, ancora affranta dall'ultima crisi passata, era del corpo
più inferma, ma quasi del tutto in senno, come da lungo tempo non era
stata. Accolse Anna con un amichevole sorriso.
--Ho udito il baroccio a partire, diss'ella: _egli_ s'è dunque
allontanato... Sono sola!... Quanto tempo starà?
--Credo tutta la giornata.
Gina trasse un sospiro di sollievo.
--Signora, rispose la ragazza esitando, c'è qui un cotale che vorrebbe
parlarle.
--Parlarmi! esclamò la misera. A me! Ma non c'è nessuno che venga a
parlarmi. E chi ci verrebbe?... Non ho più alcuno al mondo io che si
ricordi di me....
--Sì, signora, disse Anna dolcemente. C'è ancora qualcheduno che si
interessa per lei... Qualcheduno ch'ella ha conosciuto in altri tempi.
Gina si riscosse tutta e si gettò ratta giù del sofà, su cui giaceva.
Pigliò le mani della giovane e lo strinse forte; poi guardandola con
occhio ardente dimandò ansiosa, agitata, tremante:
--Chi?... oh, chi?... Rispondi!... Sarebbe?... O Dio! o Dio!...
E la sua faccia s'illuminò d'un lampo di gioia sì eccelso che Anna ne
fu, come dire, abbagliata. Ma sparì tosto; il volto di lei tornò
all'espressione di profonda mestizia, e lasciandosi ricadere sul sofà
mormorò:
--È impossibile, è impossibile... Sono folle.
Antonio, che non poteva più stare alle mosse, s'inoltrò pianamente:
Gina vide l'ombra d'un uomo, trasalì, alzò vivamente la testa, quasi
per un miracolo riconobbe di subito chi ei si fosse. Sorse di scatto,
gettò un grido, si slanciò verso di lui, cadde nelle sue braccia
esclamando:
--Siete voi!... E Adolfo? e Adolfo?... Parlatemi di Adolfo.
Vanardi non aveva parole fatte a rispondere. Le lagrime gli cascavano
silenziose giù per le guancie. E' guardava quella misera donna così
dal dolore distrutta, e una massima compassione l'occupava.
Ella sollevò il volto verso quello di lui, lo guardò un poco, e poi
disse con un accento in cui parevano lottare la ragione e la pazzia:
--Voi piangete!... voi piangete!... E perchè?
Ad un tratto si spiccò vivamente da lui e mandò un grido:
--Ah! egli è morto!... È dunque vero? Voi piangete Adolfo... Perchè
siete venuto allora?... Lasciatemi morir qui.
E si buttò sul sofà con disperato dolore, tutta la persona riscossa da
un penoso singhiozzo. Antonio le si inginocchiò presso e si pose a
parlarle: ciò che a quel punto gli dettassero la commozione e la pietà
non l'avrebbe saputo ripetere egli medesimo di poi. La donna si calmò
a poco a poco; ma il suo occhio era più smarrito e le sue parole più
sconnesse e più tronche.
--Siete venuto a recarmene novelle, disse; vi ringrazio... Alzatevi,
signore... S'accomodi, la prego... Mio marito è fuor di casa, ma non
tarderà... Potete dire ad Adolfo che ho da parlargli... Conviene che
s'allontani da me... Mi avevano detto ch'era morto... Non l'ho mai
creduto, sapete... Signor Vanardi, ella è suo amico intimo. Le parla
alcune volte di me?...
Antonio volle persuaderla a venir via con lui, ad abbandonare quel
luogo e fuggire il suo carnefice, ma non ci potè riuscire. Gina aveva
posto a quel luogo un materiale attaccamento, e spiccarsene non
poteva, e non volle. Antonio dovette lasciarla, e ritornare in Torino
con Selva, deciso a denunciare all'autorità Orsacchio l'uccisore
d'Adolfo.
Ad una stazione intermedia della strada da percorrersi incontravansi i
due treni, l'uno che veniva, l'altro che andava alla capitale. In
questa sosta di pochi minuti in cui i due treni si trovavano allato,
Vanardi, guardando per caso nell'altro treno, vide due occhi grifagni
che stavano fisi su di lui, e riconobbe la brutta faccia di Orsacchio;
bene si ritrasse egli vivamente all'indietro, ma era troppo tardi: il
marito di Gina l'aveva visto e riconosciuto ancor'egli.
La cagione che aveva menato Orsacchio in città era sempre quel
benedetto ritratto che egli voleva possedere ad ogni costo.
Informatosi se il pittore fosse in casa, e saputo dalla portinaia
ch'egli era assente, Orsacchio era salito al quartieretto di Vanardi,
ed alla Rosina aveva detto senza preamboli, additandole il quadro:
--Datemi questa tela e vi pagherò cinquecento lire....
La donna allargò tanto d'occhi.
--Cinquecento lire! ripetè essa.
Orsacchio scambiò la meraviglia di lei per irrisoluzione, e pressato
qual era di finirla, soggiunse:
--Seicento... ottocento, via, e non esitate più...
Rosina non esitò punto.
--Manderò a prenderlo domani o dopo domani. Lo consegnerete a chi ve
ne recherà il denaro.
--Mandi al mattino dallo dieci alle undici; a quell'ora mio marito non
c'è.
--Va bene.
Alla vista di Antonio che veniva dalla direzione di Valnota, un subito
sospetto entrò nell'animo di Orsacchio. Un istinto lo avvisò che gli
era per lui che quel maledetto pittore aveva fatto tal viaggio, che il
suo asilo era scoperto, e che contro di lui l'amico d'Adolfo avrebbe
eccitata la vendetta della legge. Provò una tal rabbia che dirlo è
nulla. Quel mondo ch'egli aveva con tanta cura sfuggito tendeva ancora
un braccio a ghermirlo.... Che fare? oh non si lascerebbe prendere.
Fuggire di nuovo, ramingar sempre, cercare un ancora più nascosto
ricetto in estera contrada!
Giunse a casa con un turbinio di siffatti pensieri pel capo che non
gli lasciavano requie. Andò diviato verso la camera di sua moglie, e
in quella che precedeva si arrestò e tese l'orecchio. Gina piangeva e
andava pronunziando tratto tratto con immensa effusione di affetto il
nome di Adolfo.
Al vedere entrare inaspettato il marito, la donna si drizzò pallida e
spaventata cessando immantinente dal piangere, quasi dal rifiatare.
Anna, che le era compagna, si ritrasse in un angolo timorosa ancor
essa.
L'uomo guardò intorno con occhi che mandavano luce di sangue. Indovinò
tutto. Incrociò le braccia al petto, si rivolse ad Anna, e
fulminandola con quel suo sguardo tremendo, le disse:
--Un uomo è entrato qui, quest'oggi, ed ha parlato a mia moglie.
Anna non ebbe neppure in pensiero di negare, curvò il capo e si
tacque.
--Uscite! soggiunse imperiosamente Orsacchio: e qui dentro non verrete
più.
La fanciulla partì, Gina guardava stupidita e non si mosse. Orsacchio
fece due o tre giri per la camera, poscia piantandosi ritto innanzi a
lei:
--Domani, le disse, noi ripartiremo.
E la lasciò sola.
Il domani infatti Orsacchio fu alla più vicina città, e verso sera ne
tornò con una carrozza a due cavalli di posta. Aveva messo in poche
valigie egli stesso tutto ciò soltanto che poteva dirsi
indispensabile; e quando le ebbe fatte caricare sul legno, entrò nella
stanza di Gina, e senz'altri preamboli le disse brusco:
--Venite.
La donna alzò il capo, guardò un poco il marito e parve tutto disposta
ad obbedire.
Orsacchio s'avviò primo verso l'uscio, ed essa lo seguì; ma quando il
suo piede ebbe tocca la soglia, Gina s'arrestò.
--Dove andiamo?
--Che v'importa saperlo? Noi partiremo di qui.
Ella indietreggiò.
--Partire di qui! esclamò. Non voglio.
Orsacchio la prese ad un braccio e ripetè più fieramente:
--Venite!
Ma ella, scrollando il capo, con una pacatezza da scema, rispose:
--No, no, non voglio... sto bene qui... sto molto bene... amo il mio
giardino... benchè ci sia la neve... ma la neve andrà via e torneranno
i fiori...
Il marito le strinse violentemente il braccio e accostando le sue
labbra all'orecchio di lei, quasi da toccarlo:
--Non obbligatemi a mezzi di rigore, le disse. Voglio essere ubbidito,
lo sapete.
La poveretta diede in uno scossone come chi da una placida quiete
venga improvvisamente turbato per un alto terrore. Mandò un grido, e
fece a sciogliersi dalla stretta della mano di lui.
--Lasciatemi, lasciatemi!... Ah, voi mi fate male... Lasciatemi stare
per carità.
La si dibatteva per divincolarsi; egli s'avviò verso la porta,
trascinandola a forza dietro sè: Gina gettava grida di spavento e
s'attaccava dall'uno all'altro a tutti i mobili della stanza.
--Tacete! tacete! le diceva sommesso il feroce.
--No, no, urlava essa: non voglio partire, voglio rimaner qui...
Uccidetemi piuttosto.
Orsacchio l'afferrò per le due braccia, la tirò violentemente a sè, la
strinse riluttante al suo petto, le pose innanzi al volto il suo
orribilmente contratto, e con accento crudelissimo le disse spiccato:
--Sì... come ho ucciso Adolfo.
Gina puntò le sue deboli braccia alle spalle di lui per rigettarsene
indietro, si dibattè per isciogliersi da quell'orribile amplesso, ma
le forze le mancarono a un tratto, e svenne.
Così priva di sensi ei la portò sollecito nella carrozza.
--A Torino, diss'egli al postiglione: e di galoppo.
Quindi si slanciò nella vettura che partì di furia.
L'infelice donna abbandonava quella casa come c'era arrivata, svenuta.


XXIV.

Due giorni dopo, era il mercoledì, Antonio, che non poteva pagare il
padrone di casa non ostante la dilazione, si vedeva in giudizio
condannato al pagamento mediante lo staggimento e la vendita delle sue
poche robe.
Vanardi, che il giorno prima erasi tutto occupato per Gina,
presentando all'autorità competente una sua denuncia contro Orsacchio,
ora pensò di tornare agli uffizii del signor Bancone a ricevere da
Gustavo Pannini la promessa risposta.
Vedendo uscire il marito per tempo, Rosina si rallegrò molto; perchè
essa aspettava ogni mattina l'acquisitore del quadro, il quale venisse
a pigliar questo ed a recarne il prezzo, e assai si turbava al
pensiero che in tal momento Antonio si trovasse in casa.
Vanardi camminava inquieto alla volta del palazzo del banchiere. Era
l'ultima sua speranza, era l'ultimo filo di salute; se quella riesciva
a non altro che ad un disinganno, se questo gli si rompeva tra mano,
egli era senza redenzione perduto. La sua famiglia sarebbe stata
cacciata sulla strada, e il freddo e la fame si sarebbero disputato a
chi più tosto l'avrebbe morta.
Introdottosi nell'afa calda di quegli ufficii, dov'era già penetrato
una volta, Antonio si ricordò che il meno scortese di tutti colà
dentro era stato il cassiere; epperò tirò dritto sino allo
scompartimento di lui, e venuto alla cancellata, dimandò:
--Ci sarebbe il signor Pannini?
Il cassiere sussultò come se gli avessero dato all'impensata un forte
pizzicotto.
--Pannini! gridò egli con accento tra la meraviglia e l'indignazione.
Voi cercate di Pannini?
La fronte stretta del brav'uomo aveva una certa ruga che poteva
credersi volesse significare severità e corruccio, e gli occhi di
vetro del buon cassiere avevano una certa fissità a cui se si fosse
potuto attribuire un'espressione, si sarebbe detto esser quella del
dubbio e del sospetto.
--Sì signore: aveva risposto Antonio.
Il signor Busca parve meditare una qualche cosa importante da dire, e
come meglio dirla; ma due minuti di riflessione evidentemente
profondissima non gli valsero che a trar fuori la seguente richiesta:
--Sapete voi dove sia Pannini? Ne avete voi novelle?
Fu per Antonio la volta di mostrarsi meravigliato.
--Eh no! esclamò: se vengo qui a cercarlo....
--Qui! qui! proruppe il signor Bernardo; ma non sapete dunque niente
voi? Ah! quel birbone certo non metterà più i piedi qui dentro, a meno
che due carabinieri ve lo menino.... Il ladro è lontano chi sa
quanto!... È scappato chi sa dove!... Lo scellerato ci ruba dai
cencinquanta ai dugento mila franchi.
Vanardi cadde dalle stelle. Oh sì che adesso poteva servirgli la
protezione di quel tale per entrare negli uffizii della banca! Si
partì di là disperato del tutto, persuaso che oramai per lui non c'era
più scampo di sorta, e la sciagura lo voleva senza riparo nel fondo
della miseria.
S'avviò per tornare a casa che non aveva più la testa a segno; ed
entrò nel suo camerone sui tetti colla faccia d'un Amleto che si
apparecchia a dire il famoso monologo. La Rosina, che da un momento
all'altro aspettava chi venisse a pigliare il quadro, si stupì
sgradevolmente e si stizzì maledettamente del così sollecito ritorno
del marito. Egli entrò nel secondo scompartimento della stanza e si
buttò a sedere senz'aver pure il coraggio di parlare; essa cercava
modo di mandarlo via di nuovo, quando venne a turbarla per l'affatto
un picchio dato all'uscio.
Era il padrone d'un piccolo e riposto albergo a cui Orsacchio,
arrivato il mattino, era andato a pigliare stanza sotto un supposto
nome. Per non abbandonare la moglie egli aveva pregato il locandiere
di recarsi colà, a quell'ora, ed alla donna dare i denari ritirandone
il quadro; che se ci trovasse il marito fingesse uno sbaglio, non
parlasse di nulla e se ne venisse via tosto tosto.
L'albergatore, che non era de' più furbi, entrato, e non visto innanzi
a sè che la Rosina, credette poter parlare senza più cautele.
--Siete voi la moglie del pittore Vanardi?
--Sì signore.
--Bene: vengo per quel certo quadro che avete venduto l'altro jeri, e
qui ci sono i denari.
Antonio udì queste parole e saltò fuori con impeto di dietro il
paravento; l'oste rimase in asso, guardò la donna, la vide farsi
bianca bianca, poi rossa rossa di volto, capì che l'aveva sgarrata e
non pensò ad altro che a battere in ritirata.
Se Vanardi fosse stato in chiaro dei patti, chi sa se l'assoluto
bisogno non l'avrebbe fatto cedere: ma egli non dovette nemmanco
cimentarsi con siffatta tentazione, perchè l'oste che ricordava le
pressanti raccomandazioni del suo committente di non dir nulla al
marito, accortosi che giusto quest'esso gli stava dinanzi, non attese
altro, e già era fuor dell'uscio che Antonio aveva ancor da aprir
bocca.
Marito e moglie si trovarono a fronte e si guardarono tra impacciati e
stizzosi. Ma nella Rosina non fu tarda a dominare del tutto la stizza;
ne nacque una lite del diavolo, in cui anche il marito, che aveva
l'anima per traverso, fece la parte sua, e che finì colla partenza di
Antonio il quale, dato di piglio al suo cappellaccio, fuggì
protestando che piuttosto che vivere con un basilisco simile di donna
gli era più caro qualunque caso, mentre la Rosina gli gridava dietro
che il fistolo lo portasse; sapete bene, i soliti spropositi che fa
dire la collera e che a sangue raffreddo pare impossibile si sieno
potuti dire.
Antonio girò lungamente pei viali fuor di città come una mosca senza
capo. Ad un punto si lasciò cadere sopra un panca, e coprendosi colle
mani la faccia si domandò con infinita angoscia dell'animo:
--Ed ora che cosa debbo fare?
Di botto mandò un'esclamazione, fece un trasalto e si battè la fronte
come uomo a cui si affaccia l'inspirazione d'un'idea. Si frugò in
tutte le tasche finchè da quella del petto nel soprabito trasse fuori
un giornale ripiegato: era quello che parecchi giorni prima gli avea
imprestato messer Agapito, perchè facesse leggere alla moglie il
pietoso caso di quel povero diavolo che non sapendo più come
provvedere alla sua famiglia s'era buttato nel fiume. Dopo il luttuoso
avvenimento, narrava il giornale come la carità dei concittadini si
fosse desta ed avesse provvisto agli orfani ed alla vedova del
disgraziato.
Vanardi lesse e rilesse quell'articoletto; si vedeva che ci faceva su
delle meditazioni profondissime; ma in mezzo alla serietà del suo
aspetto passava tratto tratto un lampo di malizia, quasi di buon
umore. Dopo una buona ora di siffatta meditazione, ripiegò
accuratamente il giornale, lo ripose in tasca, s'alzò e si diresse
verso l'abitazione di Giovanni Selva.
Questi era eziandio molto conturbato ed afflitto a cagione
dell'orrenda disgrazia avvenuta alla famiglia del signor Biale,
disgrazia che vi racconterò nel capitolo venturo; ma alla vista della
desolazione impressa sul volto di Vanardi obliò tutto il resto per non
darsi cura che di lui.
Il pittore espose come quella medesima disgrazia della famiglia Biale
togliesse anche a lui ogni speranza, raccontò la scena avvenuta colla
moglie e finì per confessare che aveva presa una grande risoluzione.
--Quale? domandò con inquietudine Selva.
Antonio mostrò all'amico l'articolo del giornale che glie l'aveva
ispirata, e soggiunse:
--Un uomo, perchè il mondo lo soccorra e i nemici lo perdonino,
conviene che muoia... Io non ho che un mezzo per ridurre mia moglie un
agnellino, per fare che mio zio torni un padre ai miei figli, perchè
tutto si aggiusti in bene della mia famigliuola: e questo mezzo è
quello di morire.


XXV.

Se vi ricorda, gli era il lunedì a sera che Marone doveva recarsi da
Pannini per averne le sue novanta mila lire, e quel giorno medesimo un
agente di cambio era venuto a portare delle cartelle del debito
pubblico pel valore di sessanta mila franchi.
Ora quel giorno, Gustavo Pannini, infelicissimo nelle sue speculazioni
di borsa, doveva pagare dalle sessanta alle settanta mila lire di
differenza per la liquidazione di fin di mese. L'infelice era
disperato, e benchè non sapesse come trovarci un rimedio, aveva
pregato quell'agente a cui doveva pagare tal somma, quel cotal
Borgetti che ci avvenne d'incontrare in quegli uffici quando la prima
volta ci entrammo in compagnia di Antonio, di tornare verso sera che
in qualche modo avrebbe provvisto.
Pensò ad implorare il principale, e fattosi coraggio salì al piano
superiore dove il signor Bancone, tormentato dalla podagra, stava
sdraiato nella sua camera. Il milionario banchiere non lo lasciò manco
terminare; disse a Gustavo che gli era un babbuino ad aver giuocato al
rialzo, mentre egli, Bancone, aveva giuocato al ribasso: che quel
tanto e più cui Pannini perdeva era egli a guadagnarlo, e che non lo
avrebbe soccorso manco d'un centesimo per mostrargli ad essere più
accorto nell'avvenire: intanto pensasse a pagare, perchè in difetto
egli non avrebbe più tenuto nella sua banca un tale che non avesse
fatto onore ai propri impegni, altro che dargli il posto di primo
commesso; e con questa pillola confortativa, facendo smorfie orribili
per la gotta, lo congedò.
Pagare! come lo poteva Gustavo? Era dunque l'onore perduto e
l'impiego?.. In quella gli venivano ricapitate quelle tali cartelle
che ho detto. Se avesse potuto disporre delle medesime!... Cotal
pensiero si era appena affacciato alla sua mente che Borgetti
sopraggiungeva ad esigere la somma dovuta. Fu un atto più d'istinto
che di ragionamento. Gustavo prese quelle cartelle e le pose in mano
all'agente di cambio che lieto di vedersi così assicurato s'affrettò a
partirsi colla sua preda. Fu quando Borgetti era partito che Gustavo
si rese conto dell'azione che aveva commessa. Raccapricciò. Che cosa
direbbe al principale? che cosa allo suocero? sentì la testa dargli in
ciampanelle. Non c'era che un modo: partire, allontanarsi, fuggire. Ma
come, se non ne aveva manco i mezzi?... In quella ecco aprirsi l'uscio
e il signor Bernardo Busca, cassiere della banca, presentarsi con fra
mano alcuni sacchetti ed un grosso viluppo di biglietti di banca.
--Ecco le novanta mila lire richiestemi per questa sera. Vuole che le
riscontriamo insieme?
--Oh, non occorre: rispose Gustavo; le deponga costì, ed io glie ne do
tosto il discarico.
--Le cose in regola, disse il formalista cassiere. Potrei aver
commesso un errore nel contare, ed ella non deve accettare la somma
senz'esser certo del fatto suo. Verifichiamo.
--Lei non commette errori, signor Busca, ne son di là di sicuro. Pure,
se ciò le garba...
Il cassiere si pose a versare sulla scrivania i sacchetti di
napoleoni. Fu un'onda d'oro che coprì il tappeto verde, fu un suono
d'armonia seduttiva che, ripercossa dalle pareti di quel camerino,
destò, per così dire, il demone della voluttà del guadagno. A quel
rumore ed a quella vista gli occhi di vetro del cassiere rimasero quei
medesimi; ma le pupille di Gustavo s'accesero stranamente, mentre le
sue guancie impallidivano. Nel toccare, nel fare scorrere, nel
rammentare a pile quelle lucenti e tintinnanti monete, le dita del
giovane fremevano; con una tenacità carezzevole e desiderosa esse
palpavano i dischi metallici e la carta delle polizze di valore.
Quand'ebbero finito di contare, Bernardo rimise i napoleoni ne'
sacchetti, sovrappose l'una all'altra le polizze di banco, lasciò il
tutto lì dinanzi a Gustavo e si ritrasse.
Il marito di Lisa rimase solo. Solo? No: v'era colà dentro un tremendo
demone tentatore, e quei sacchetti e quei pezzi di carta esercitavano
sul suo spirito un funesto fascino irresistibile.
Lì avrebbe potuto avere i mezzi per fuggire: lì avrebbe potuto avere
almeno assicurata la sua esistenza avvenire... S'alzò e si pose a
passeggiare per la stanza agitato:
--Perduto ad ogni modo, lo sono: disse egli ad un punto, tanto vale
adunque...
S'arrestò e passò la destra sulla fronte madida di freddo sudore.
--Fra poco Marone verrà a pigliare i suoi denari... tanto meglio!.. Oh
venga presto...
In quella si picchiò all'uscio del gabinetto.
--Gli è lui, pensò Gustavo, il sogno è finito; e ratto il suo sguardo
corse al denaro, e, come un lampo, gli passò per la testa l'idea di
gettarvisi su, d'arraffarlo e fuggire per l'altra porta.
Fermò il viso, mandò un sospiro, e con voce non calma del tutto,
disse:
--Avanti.
Ci entrò, non Marone, ma la vecchia di lui fante.
Voi sapete che il giorno innanzi il padrone di casa di Antonio era
caduto giù dalle scale e s'era slogato una gamba; non potendo quindi
venire, mandava la serva con una sua lettera in cui, narrando la
disgrazia avvenutagli, pregava il signor Pannini a volergli recare a
casa la somma in discorso, che glie ne avrebbe fatta una fiorita
compitezza.
Negli occhi di Gustavo balenò una fiamma di gioia. Non fu riflessione,
fu come una trista ispirazione dell'inferno. Si mise alla scrivania, e
rispose a Marone, quella sera non poter egli rendersi alle brame di
lui, ma il domani senza fallo sarebbe ito col denaro. Piegò la carta,
vi pose il suggello e la diede alla fante la riportasse al padrone. La
sua mano tremava un pochino. Quando la donna fu uscita, il giovane,
pallido e cogli occhi sconvolti, corse al tavolo, abbrancò sacchetti e
involti delle polizze, serrò tutto fra mani, fra le braccia, al suo
petto, con febbrile passione.
--Tutto questo è mio, esclamò; fuggirò... Prima di domani a sera non
si saprà nulla... Andrò in America... Là in pochi anni mi farò ricco a
milioni... Ricco!.. ricchissimo!..
Pose nelle sue tasche l'oro e le carte di valore; tremava come
assalito dalla terzana: non era più in sè: uscì ratto e dovette
tornarsene indietro a prendere il cappello che dimenticava. Aveva
sulla faccia l'impronta più della pazzia che del delitto. Quando fu
nella strada vide passare una carrozza da nolo venturosamente vuota;
la chiamò, ci saltò dentro e diede l'indirizzo per a casa sua. Era
l'imbrunire e i lampioni delle strade cominciavano ad accendersi qua e
colà. A casa lo aspettavano pel pranzo. Nello scendere di carrozza
egli ci pensò. Con che viso sarebbe venuto innanzi allo suocero ed
alla moglie? E poi conveniva partire il più presto possibile, e che i
suoi, cercando di lui, non dessero l'allarme; e s'egli parlava loro di
partenza l'avrebbero oppresso di richieste e postolo troppo
agevolmente in imbarazzo. Tutto questo gli passò pel capo in un
baleno; e il suo partito fu preso di botto. Entrò dal portinaio e
chiese un fogliolino di carta: ci scrisse su poche righe in cui diceva
alla moglie, per ragione del suo ufficio aver egli da partir tosto e
star assente alcuni giorni, non volesse quindi darsi pena del non
vederlo, e lo scusasse anche presso lo suocero dell'allontanarsi così
senz'altri saluti, ma necessità lo voleva.
Diede la lettera al portiere perchè la recasse tosto su a Lisa, e
tornato nella carrozza ordinò al cocchiere lo menasse in fretta allo
scalo della ferrovia, da cui stava giusto per partire a quell'ora un
treno.
Al ricevere di quel biglietto, Lisa, col meraviglioso istinto di donna
amante, presenti che quella era una disgrazia; non sapeva capire come,
venuto fin sotto alla porta, Gustavo non fosse salito a darle almanco
un bacio d'addio. Passò una notte agitatissima ed insonne, e pareva,
tanta era la sua inquietudine, che ad ogni momento s'aspettasse lo
scoppio del fulmine che doveva distrarre ogni suo bene terreno.
E il fulmine precipitò verso mezzogiorno. Lisa e suo padre, dopo
l'asciolvere stavano nel salotto, quando una violenta scampanellata
risuonò dall'uscio dell'appartamento. Lisa, senza sapere il perchè,
sentì il suo cuore mettersi a palpitar forte. Si udì nella stanza
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